SENTENZA N. 25
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
Presidente
Prof.
Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof.
Gabriele PESCATORE
Avv.
Ugo SPAGNOLI
Prof.
Antonio BALDASSARRE
Prof.
Vincenzo CAIANIELLO
Avv.
Mauro FERRI
Prof.
Luigi MENGONI
Prof.
Enzo CHELI
Dott.
Renato GRANATA
Prof.
Giuliano VASSALLI
Prof.
Cesare MIRABELLI
Prof.
Fernando SANTOSUOSSO
Avv.
Massimo VARI
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 23 dicembre
1986, n. 898 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27
ottobre 1986, n. 701, recante misure urgenti in materia di controlli degli
aiuti comunitari alla produzione dell'olio di oliva. Sanzioni amministrative e
penali in materia di aiuti comunitari al settore agricolo.), promosso con
ordinanza emessa il 27 marzo 1993 dal giudice per le indagini preliminari
presso la Pretura di Matera nel procedimento penale a carico di Saponara Marco,
iscritta al n.272 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nella camera di consiglio del 3 novembre 1993 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.
Ritenuto in fatto
l.- A
conclusione di un procedimento di indagine relativo a fatti commessi sino
all'anno 1991, per i quali era stata ipotizzata la violazione dell'articolo 2
della legge 23 dicembre 1986 n. 898 (che prevede sanzioni penali e
amministrative per l'indebita percezione, mediante esposizione di dati o
notizie falsi, di erogazioni a carico del Fondo europeo agricolo), il Pubblico
Ministero presso la Pretura circondariale di Matera ha trasmesso gli atti al
giudice per le indagini preliminari con richiesta di archiviazione, in quanto,
nella specie, non concorrevano entrambe le condizioni previste dalla norma -
secondo l'interpretazione autentica di essa fornita dall'articolo 5, comma
3-bis, della legge 4 novembre 1987 n. 460 - perche'
possa essere erogata la sanzione penale e cioe' che
la somma percepita risulti pari o superiore a un decimo del beneficio
legittimamente spettante e, al contempo, che la stessa sia superiore a venti
milioni di lire. In via pregiudiziale, il Pubblico Ministero ha peraltro
sollevato questione di legittimità costituzionale del suddetto articolo 2 della
legge n. 898 del 1986, per contrasto con l'articolo 3, primo comma, della
Costituzione, in ragione della incongrua diversità di trattamento che la norma
impugnata riserva a coloro che indebitamente percepiscono aiuti comunitari per
l'agricoltura mediante esposizione di dati falsi, rispetto agli autori del
reato di truffa.
Il
Giudice per le indagini preliminari ha ritenuto che l'eccezione fosse rilevante
e non manifestamente infondata e ne ha quindi rimesso l'esame a questa Corte
con ordinanza del 27 marzo 1993 (r.o. n. 272 del
1993).
Il
giudice a quo osserva - richiamando al riguardo giurisprudenza di legittimità e
di merito - che il reato previsto e punito dall'articolo 2 della legge n. 898
del 1986 presenta due elementi specializzanti, rispetto al reato di truffa di
cui all'articolo 640 del codice penale, ed in particolare rispetto all'ipotesi
di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui
all'articolo 640 bis del codice penale: il primo e'
collegato alla peculiarità degli artifici e raggiri, che debbono consistere
nella produzione di una documentazione ideologicamente, ovvero, in determinati
casi, materialmente falsa; il secondo e' invece
riferito al soggetto passivo del reato, che, nella ipotesi speciale, e' rappresentato dal Fondo europeo agricolo di orientamento
e garanzia. Si tratta palesemente di elementi che - secondo il giudice a quo -
non valgono a diversificare la fattispecie speciale rispetto a quella generale
sotto alcun profilo rilevante ai fini della valutazione della gravità del
reato. Notevole e', invece, la diversità del
trattamento che il legislatore ha previsto per la fattispecie speciale: in
primo luogo, la punibilità dell'illecito e' connessa
all'effettivo (e non anche al solo tentato) conseguimento delle indebite
sovvenzioni; in secondo luogo e' previsto che
l'indebita percezione sia penalmente rilevante soltanto quando essa sia
superiore a venti milioni di lire e, al contempo, a un decimo del beneficio
spettante, mentre, al di sotto di tali limiti, vi e'
soltanto una sanzione amministrativa; in terzo luogo, le sanzioni penali
previste sono inferiori a quelle comminate dall'articolo 640-bis del codice
penale per coloro che commettono il reato di truffa al fine di ottenere
"contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello
stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di
altri enti pubblici o delle Comunità europee".
La
norma impugnata appare quindi fonte di una ingiustificata disciplina di favore
per una settoriale categoria di truffatori e si pone pertanto in aperta
violazione dei canoni di uguaglianza e ragionevolezza affermati nell'articolo 3
della Costituzione.
Con
riferimento alle pronunzie di questa Corte che hanno affermato il principio di
inammissibilità delle questioni di costituzionalità che incidano sulla sfera
riservata alla discrezionalità del legislatore (nella quale sarebbe compresa la
individuazione dei reati e la determinazione delle relative sanzioni), il
giudice a quo ricorda il carattere primario e fondamentale della Costituzione,
dalla quale, quindi, "bisogna partire non solo al fine
dell'individuazione, nella scala gerarchica dei beni socialmente rilevanti, di
quelli a cui presidio e' posta l'extrema
ratio costituita dalla sanzione penale, ma anche per sostenere che a comportamenti
i quali in maniera analoga ledano o mettano in pericolo beni giuridici di
rilievo deve corrispondere una medesima reazione dell'ordinamento". Non e' quindi ammissibile che la disciplina penale tratti in
maniera macroscopicamente disomogenea comportamenti che - a parte alcuni
insignificanti elementi di diversità, attinenti al "contorno" dei
fatti regolamentati - si pongono in sostanziale identica posizione di conflitto
con l'ordinamento giuridico".
Con
riferimento alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che, se la
normativa denunziata venisse espunta dall'ordinamento, il giudicante potrebbe
evitare l'archiviazione degli atti, perche'
all'indagato andrebbe ascritto, con le ulteriori valutazioni del caso (anche in
punto di competenza) e sia pur nel rispetto dei limiti di cui all'articolo 2
del codice penale, il reato di truffa aggravata.
2.-
Nel giudizio davanti alla Corte e' intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall' Avvocatura
generale dello Stato, che ha sostenuto l'inammissibilità della questione per
difetto di rilevanza e l'infondatezza della stessa.
In
premessa, l'Avvocatura ricorda che il rapporto tra la norma di cui all'articolo
2 della legge n. 898 del 1986 e quella di cui all'articolo 640 del codice
penale (e poi dell'articolo 640-bis del codice penale, introdotto con
l'articolo 22 della legge 19 marzo 1990 n. 55) era stato inteso all'inizio come
rapporto di mera sussidiarietà, ritenendosi che il suddetto articolo 2 fosse
stato introdotto al fine di non lasciare impunite condotte che, seppur
fraudolentemente predisposte per il conseguimento di illeciti risultati,
potessero sfuggire alla repressione penale, non presentando le connotazioni
dell'ipotesi criminosa di cui all'articolo 640 del codice penale. Perciò, nel
caso che il conseguimento indebito di contribuzioni comunitarie fosse avvenuto
non solo mediante l'esposizione di notizie false, ma anche con artifici e
raggiri, il fatto doveva intendersi integrare il reato di truffa, con assorbimento
di quello minore previsto e punito dalla legge n. 898 del 1986. Così si era
espressa anche la Cassazione, seconda sezione penale, con sentenza del 19
ottobre 1988, n. 1023, imp. Fani.
Altre
sentenze di legittimità e di merito avevano peraltro accolto una
interpretazione diversa (quella presupposta dal giudice a quo) secondo cui la
fattispecie di cui all'articolo 2 in esame era da considerarsi non già
sussidiaria, ma speciale rispetto a quella dell'articolo 640 del codice pena
le, nel senso che il reato previsto dalla prima di tali norme rappresentava una
ipotesi particolare di truffa, contenendo tutti gli elementi costitutivi di
quest'ultimo reato.
E'
allora intervenuta la legge 19 febbraio 1992 n. 142, che, con l'articolo 73, ha
sostituito il precedente testo dell'articolo 2 della legge n. 898 del 1986 con
una nuova formulazione da cui risulta espressamente che la norma trova
applicazione solo "ove il fatto non configuri il più grave reato previsto
dall'articolo 640-bis del codice penale".
Ciò
premesso, l'Avvocatura rileva che un'eventuale pronunzia di accoglimento
dell'eccezione non potrebbe spiegare effetto nel giudizio a quo ed in generale
rispetto ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge n. 142 del
1992, per effetto dell'articolo 2 del codice penale; ne' potrebbe avere
influenza per i fatti commessi successivamente, ai quali si applica il nuovo
testo della vecchia norma, che ha eliminato in radice la questione in esame.
Donde l'inammissibilità della questione; e ad uguale conclusione si perverrebbe
anche ove si ritenesse la natura interpretativa e non innovativa della nuova
formulazione della norma impugnata introdotta con la citata legge n. 142 del
1992.
Nel
merito, l'Avvocatura ha sostenuto che non poteva essere ritenuta irrazionale la
depenalizzazione dell'illecito nelle ipotesi di danno non particolarmente
elevato. Resterebbe il dubbio sulla razionalità della diversità di trattamento
fra chi percepisce indebitamente provvidenze comunitarie esponendo dati o
notizie falsi, punito dall'articolo 2 della legge n.898 del 1986 e chi commette
reato di truffa ordinaria o qualificata, punito dagli articoli 640 e 640-bis
del codice penale. La disarmonia tra le due situazioni (causata invero da
un'interpretazione non del tutto convincente della normativa allora esistente e
venuta ora meno con la modifica apportata dalla legge n. 142 del 1992) non
assurge però - secondo la Presidenza del Consiglio - al livello di
irrazionalità, in quanto l'articolo 2 della legge n. 898 del 1986 prescindeva
(nella vecchia formulazione) e prescinde (nella nuova formulazione) dalla
verifica dell'esistenza di artifici e raggiri e finanche dall'ingiustizia del
profitto, ancorandosi al dato obiettivo della mera esposizione di dati e
notizie falsi: donde la depenalizzazione delle ipotesi di non rilevante valore
economico o (allora, ma non più ora) delle ipotesi di non rilevante scarto fra
quanto effettivamente dovuto e quanto indebitamente percepito.
Considerato in diritto
l.- Il
Giudice per le indagini preliminari di Matera, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 1986 n. 898
(nel testo vigente all'epoca dei fatti, successivamente modificato
dall'articolo 73 della legge 19 febbraio 1992 n. 142), per il quale, "Chiunque,
mediante l'esposizione di dati o notizie falsi, consegue indebitamente, per se'
o per altri, aiuti, premi, indennità, restituzioni, contributi o altre
erogazioni a carico totale o parziale del Fondo europeo agricolo di
orientamento e garanzia e' punito con la reclusione
da sei mesi a tre anni. Quando la somma indebitamente percepita e' inferiore ad un decimo del beneficio legittimamente
spettante, e comunque non superiore a lire venti milioni si applica soltanto la
sanzione amministrativa di cui agli articoli seguenti".
Il
giudice a quo ritiene, in conformità ad una parte della giurisprudenza di
legittimità e di merito, che tale norma si ponga in rapporto di specialità
rispetto sia all'articolo 640 del codice penale, che prevede il reato di
truffa, sia all'articolo 640-bis del codice penale, introdotto dall'articolo 22
della legge 19 marzo 1990 n.55, che prevede il reato di truffa aggravata per il
conseguimento di erogazioni pubbliche (comprese esplicitamente, in queste
ultime, quelle concesse dalle Comunità europee). Tale interpretazione si fonda
sul presupposto che, in generale, ad integrare l'elemento costitutivo del reato
di truffa rappresentato dagli "artifizi e raggiri", e' sufficiente anche la sola menzogna (e quindi anche la
mera "esposizione di dati e notizie falsi"), quando abbia per effetto
di trarre in errore il soggetto passivo, cosicche'
gli unici elementi specializzanti che valgono ad individuare la fattispecie
prevista dal citato articolo 2 nell'ambito di quella più generale prevista
dagli articoli 640 e 640-bis del codice penale, consisterebbero nella
specificità degli artifici e raggiri, nell'identità del soggetto passivo (il
Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia), nella natura del contributo
richiesto e nel contesto politico-economico nel quale si inserisce la condotta
di frode (così Cass., sez. III pen.,
19 - 26 agosto 1987, imp. Coluccio).
Ne consegue, tra l'altro, secondo l'orientamento in esame, che, una volta
realizzatosi il comportamento fraudolento descritto dalla norma speciale
(l'esposizione di dati o notizie false) trova comunque applicazione
quest'ultima - e non la norma sul reato di truffa - a nulla rilevando
l'eventuale esistenza di artifici e raggiri ulteriori, anche particolarmente
fraudolenti, salvo che in ordine a tali fatti non siano configurabili altri
specifici reati concorrenti.
Il
giudice a quo rileva quindi che gli elementi specializzanti sopra indicati sono
del tutto marginali e non idonei a fornire alcuna giustificazione razionale ad
un trattamento sanzionatorio notevolmente attenuato, quale e'
previsto dal citato articolo 2, rispetto a quello comminato per il reato di
truffa aggravata (minore entità della pena, depenalizzazione delle ipotesi più
lievi e - secondo il giudice a quo - non punibilità del tentativo).
Il
giudice a quo dubita che questo trattamento "macroscopicamente disomogeneo
di condotte identicamente confliggenti con l'ordinamento giuridico" de
termini la violazione dell'articolo 3 della Costituzione.
2.-
Deve preliminarmente essere disattesa l'eccezione di inammissibilità per
irrilevanza sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale
sarebbe precluso alla Corte di sindacare la legittimità costituzionale delle
norme penali di favore, posto che una eventuale pronunzia di accoglimento non
potrebbe comunque trovare applicazione nel giudizio a quo, in ragione del
principio di irretroattività delle norme penali stabilito dall'articolo 25
della Costituzione.
Fin
dalla sentenza n.
148 del 1983, e' stato deciso che il principio
costituzionale della irretroattività dei reati e delle pene non vale ad
esonerare dal sindacato della Corte le norme penali di favore,
"quand'anche lesive degli imperativi costituzionali di eguaglianza in
materia penale". Della motivazione di tale pronunzia, merita particolarmente
di essere qui ricordato il passaggio in cui la Corte afferma che "la tesi
che le questioni di legittimità costituzionale concernenti norme penali di
favore non siano mai pregiudiziali ai fini del giudizio a quo, muove da una
visione troppo semplificante delle pronuncie che
questa Corte potrebbe adottare, una volta affrontato il merito di tali
impugnative. La tesi stessa considera, cioe', la sola
alternativa esistente fra una decisione di accoglimento, nei termini indicati
dall'ordinanza di rimessione, ed una decisione di rigetto, pronunciata sulla
base dell'interpretazione fatta propria dal giudice a quo. Ma questa Corte non e' vincolata in assoluto dalle opzioni interpretative del
giudice che promuove l'incidente di costituzionalità. In altre parole, non può
escludersi a priori che il giudizio della Corte su una norma penale di favore
si concluda con una sentenza interpretativa di rigetto (nei sensi di cui in
motivazione) o con una pronuncia comunque correttiva delle premesse esegetiche
su cui si fosse fondata l'ordinanza di rimessione: donde una serie di decisioni
certamente suscettibili di influire sugli esiti del giudizio penale
pendente" (nello stesso senso anche la sentenza n. 167 del 1993).
Questo
profilo - come si dirà in seguito - assume specifico rilievo nel caso in esame.
3.-
Ove fosse da condividere l'interpretazione della norma impugnata - e, più
precisamente, dei rapporti di essa con gli articoli 640 e 640-bis del codice
penale - prospettata dal giudice a quo, non potrebbe negarsi fondamento al
dubbio di illegittimità costituzionale che il medesimo sottopone al vaglio di
questa Corte con riferimento all'articolo 3 della Costituzione.
E' pur
vero, infatti, che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, rientra
nella discrezionalità del legislatore stabilire quali comportamenti debbano
essere puniti, determinare quali debbano essere la qualità e la misura della
pena ed apprezzare parità e disparità di situazioni .
Ma la
Corte ha sempre anche precisato che l'esercizio di tale discrezionalità può
essere censurato quando esso non rispetti il limite della ragionevolezza e dia
quindi luogo ad una disparità di trattamento palesemente irrazionale ed
ingiustificata.
Orbene
non sarebbe possibile ipotizzare alcuna ragionevole spiegazione per una norma
che riservasse un trattamento sanzionatorio più favorevole ad una sottospecie
del reato di truffa, enucleata dalla figura generale in ragione di un elemento
specializzante sostanzialmente unico, rappresentato dal fatto che l'ingiusto
profitto perseguito dall'agente sia un'indebita erogazione a carico totale o
parziale del FEOGA, anziche', ad esempio, un'indebita
erogazione a carico dello Stato, di altri enti pubblici o di altri organismi
delle Comunità europee.
Ma
tale risultato interpretativo non può considerarsi obbligato.
La
norma impugnata e' stata voluta dal legislatore per
ovviare ad una situazione normativa che permetteva di lasciare impunito il
conseguimento indebito di contributi comunitari mediante la mera esposizione di
dati o notizie falsi. Tale presupposto della iniziativa legislativa si
collegava, come si afferma nella relazione alla proposta di legge, alla
constatata riluttanza, nella pratica amministrativa ed in quella giudiziaria,
ad identificare la mera esposizione di dati e di notizie falsi con la messa in
opera di "artifizi o raggiri" e quindi a far rientrare il
comportamento sopra descritto, nella figura del reato di cui all'articolo 640
del codice penale. La configurazione di una nuova fattispecie penale, quale quella
descritta dall'articolo 2, era quindi diretta a rafforzare la tutela penale
delle sovvenzioni comunitarie colpendo com portamenti
che, altrimenti, sarebbero sfuggiti alla repressione, e non già a
ridimensionare il sistema sanzionatorio (v. intervento del Ministro del-
l'agricoltura nella seduta del 17 dicembre 1986 - Camera dei deputati, IX
legislatura, pag. 50918 - nella discussione sulla legge di conversione del
decreto-legge 27 ottobre 1986 n. 701). Alla norma veniva così attribuita una
funzione sussidiaria rispetto a quella concernente la truffa.
In
sede di applicazione giurisprudenziale della legge l'impostazione del
legislatore venne confermata da una parte della giurisprudenza della Corte di
cassazione, ma fu invece disattesa da altre pronunzie della stessa Corte, che
ravvisarono l'esistenza di un rapporto di specialità tra il nuovo reato e la
truffa, traendo da ciò le conseguenze di cui già si e'
fatto cenno. L'ordinanza di rimessione fa appunto riferimento a questo secondo
orientamento.
Il
contrasto giurisprudenziale si collegava a sua volta - principalmente, seppur
non esclusivamente - ad un più generale problema interpretativo, relativo alla
idoneità o meno delle dichiarazioni semplicemente menzognere a concretizzare di
per se' sole la nozione di "artifizi e raggiri", pur in difetto di un
quid pluris, di un ulteriore elemento di frode. Un
contrasto non nuovo, del resto: analoghe discussioni vi furono a proposito del
rapporto tra il reato di truffa e il reato di mendacio bancario, previsto
dall'articolo 95 del regio decreto 12 marzo 1936 n.375 (ora riprodotto
nell'articolo 137 del decreto legislativo 1o settembre 1993 n. 385 recante il
testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia).
Con
l'articolo 22 della legge 19 marzo 1990 n. 55, nell'intento di predisporre uno
strumento repressivo specifico, il Parlamento ha introdotto nel nostro codice
penale, con l'articolo 640-bis, una figura aggravata di truffa per i casi in
cui "il fatto di cui all'articolo 640 riguarda contributi, finanziamenti,
mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate,
con cessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle
Comunità europee". Per tale ipotesi e' comminata
la più grave pena della reclusione da uno a sei anni ed e'
stabilita la procedibilità d'ufficio. Ma l'introduzione di questo più severo
trattamento sanzionatorio e' caduta su un tessuto
normativo nel quale la persistenza dei due diversi orientamenti sopra
menzionati circa la sussidiarietà o la specialità del reato di cui all'articolo
2 della legge n.898 del 1986 rispetto al reato di truffa era destinata a
riprodursi in ordine alla nuova fattispecie di truffa aggravata, così
determinando conseguenze che per certi versi finivano per vanificare l'intento
di una maggiore tutela nei confronti delle frodi comunitarie.
Il
legislatore e' quindi nuovamente intervenuto con
l'articolo 73 della legge 19 febbraio 1992 n. 142 che ha modificato l'articolo
2 della legge n. 898 del 1986, esplicitandone il carattere sussidiario,
mediante la formula "Ove il fatto non configuri il più grave reato
previsto dall'articolo 640-bis", che precede il restante testo
dell'articolo, riproducente, con qualche modificazione, quello originario.
Nella relazione al disegno di legge n. 5497, presentato alla Camera dei
deputati nella X legislatura, si afferma, infatti, che per evitare che
l'accentuazione del rilievo penale delle frodi in danno della Comunità, voluta
con la citata nuova disposizione codicistica
(l'articolo 640-bis) "sia vanificata da una malintesa specialità del reato
meno grave previsto dal succitato articolo 2 della legge n. 898 del 1986 ... e' necessario stabilire che questa norma non e' applicabile in luogo dell'articolo 640-bis quando la
fattispecie materiale integra gli estremi della truffa".
Questa
nuova norma - non considerata dalla ordinanza di remissione in quanto
successiva ai fatti da giudicare - non per questo perde di rilievo ai fini del
presente giudizio. Ed infatti, considerata insieme alla successione di
interventi legislativi che l'ha preceduta e ai relativi lavori parlamentari,
appare palese che, con essa, si e' inteso
semplicemente esplicitare, a fronte di contrastanti interpretazioni
applicative, quella che era stata chiaramente, fin dall'origine, l'intenzione
del legislatore e cioe' che la condotta sanzionata
dall'articolo 2 della legge 23 dicembre 1986 n. 898 fosse quella consistente
nella mera esposizione di dati o notizie falsi, mentre i fatti connotati da
ulteriori elementi di frode continuavano a ricadere nell'ipotesi di cui
all'articolo 640 e, successivamente, dell'articolo 640-bis del codice penale.
4.-
Ne' può ritenersi che la disciplina del rapporto tra norma speciale e norma
generale dettata dall'articolo 15 del codice penale sia di ostacolo ad
un'interpretazione che si uniformi non solo e non tanto all'intenzione del
legislatore ma anche e soprattutto alla razionalità intrinseca del sistema ed
alla ratio della norma quale e' con certezza
desumibile dal quadro normativo in cui essa e'
inserita e dal contesto politico-economico alla quale la stessa fa riferimento.
E'
chiaro che il problema neppure si pone per coloro che accedono alla tesi
secondo cui il semplice mendacio non e' sufficiente
ad integrare gli "artifizi e raggiri" di cui all'articolo 640 del
codice penale. Per costoro, infatti, l'articolo 2 della legge n. 898 del 1986
colpisce una condotta diversa da quella propria del reato di truffa, sicche' il rapporto tra le due norme non e' di specialità, mentre trova applicazione il principio
dell'assorbimento o della consunzione del reato meno grave in quello più grave
allorquando l'esposizione di dati o notizie falsi si accompagni ad altre
modalità ingannevoli.
Ma
anche la tesi secondo cui, in generale, il semplice mendacio e' sufficiente ad integrare il delitto di truffa, ove abbia
comunque avuto l'effetto di trarre in errore il soggetto passivo, non e' tale da imporre la soluzione interpretativa presupposta
dal giudice a quo. E' infatti sufficiente osservare che, in quest'ottica, la
norma di cui al citato articolo 2 configurerebbe un'ipotesi speciale di truffa
di gravità minore, connotata, peraltro, non solo dall'essere il fatto diretto
ad ottenere indebite erogazioni a carico del FEOGA (il che non sarebbe
sufficiente a giustificare l'attenuazione), ma anche dal ricorso al meno
ingannevole tra i comportamenti sussumibili, secondo questa tesi, nella nozione
di artifici o raggiri, e cioe' il semplice mendacio.
Tra
gli elementi specializzanti che concorrono a distinguere, all'interno della
fattispecie di truffa, l'autonoma figura di reato di cui all'articolo 2 della
legge n. 898 del 1986, vi sarebbe quindi anche un elemento negativo, costituito
dall'assenza di elementi o modalità ingannevoli diversi e ulteriori rispetto
alla mera falsa dichiarazione, sì che, all'inverso, la presenza di questi
ultimi determinerebbe anche qui la sussistenza del solo reato più grave. E,
certamente, la minor fraudolenza dei mezzi usati costituisce, in questa
materia, una considerazione idonea a fornire una giustificazione non
irragionevole per un trattamento sanzionatorio attenuato rispetto a quello
normale.
Pertanto,
quale che sia l'interpretazione prescelta circa la nozione di "artifizi o
raggiri" agli effetti dell'articolo 640 (e, su questo, la Corte non ha
necessità di pronunziarsi), e' ben possibile
risolvere il problema dei rapporti tra la norma impugnata e gli articoli 640 e
640-bis del codice penale in termini diversi da quelli presupposti dal giudice
a quo e tali da non determinare quei vizi di illegittimità costituzionale che
egli ha paventato.
A tal
fine e' appunto sufficiente interpretare la
previsione dell'articolo 2 della legge n. 898 del 1986 nel senso che essa si
riferisce al caso di colui che consegue indebitamente erogazioni a carico del
FEOGA soltanto mediante l'esposizione di dati o notizie falsi. Tale
interpretazione - consentita dal tenore letterale della disposizione, conforme
all'intenzione del legislatore e coerente con la considerazione sistematica e
funzionale della disciplina - e' anche imposta dal
fondamentale canone ermeneutico secondo cui, tra più significati possibili di
una medesima disposizione, l'interprete deve escludere quello, tra di essi, che
non sia coerente con il dettato costituzionale.
E poiche' la norma, interpretata come si e'
detto, non determina effetti di irrazionale ed ingiustificata disparità di
trattamento sanzionatorio, l'eccezione di illegittimità costituzionale in esame
deve essere dichiarata infondata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara
non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità
costituzionale dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 1986 n. 898 (Conversione
in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 ottobre 1986, n. 701, recante
misure urgenti in materia di controlli degli aiuti comunitari alla produzione
dell'olio di oliva.
Sanzioni
amministrative e penali in materia di aiuti comunitari al settore agricolo.)
nel testo vigente prima delle modifiche apportate dall'articolo 73 della legge
19 febbraio 1992 n. 142, sollevata in riferimento all'articolo 3 della
Costituzione dal Giudice per le indagini preliminari di Matera con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 26/01/94.
Francesco
Paolo CASAVOLA, Presidente
Ugo
SPAGNOLI, Redattore
Depositata
in cancelleria il 10/02/94.