Sentenza n. 333 del 1993

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SENTENZA N. 333

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 24, quinto comma, della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1983, n. 54 (Modificazioni ed integrazioni alle disposizioni concernenti lo stato giuridico e il trattamento economico del personale regionale), promosso con ordinanza emessa il 10 dicembre 1991 dal Consiglio di Stato sui ricorsi riuniti proposti dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e altri contro Zanin Quinto [rectius: Anita] ed altri, iscritta al n.740 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visti gli atti di costituzione di Zanin Anita ed altri, di Fusco Renato ed altri e della Regione Friuli-Venezia Giulia;

udito nell'udienza pubblica del 9 marzo 1993 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

uditi l'Avvocato Arcangelo Giuffrida per Zanin Anita ed altri, l'Avvocato Paolo Picasso per Fusco Renato ed altri e gli Avvocati Gaspare Pacia e Sergio Panunzio per la Regione Friuli-Venezia Giulia.

Ritenuto in fatto

l.- Con ordinanza regolarmente notificata e depositata, il Consiglio di Stato, quarta sezione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, quinto comma, della legge regionale del Friuli Venezia Giulia 14 giugno 1983, n.54 (Modificazioni ed integrazioni alle disposizioni concernenti lo stato giuridico e il trattamento economico del personale regionale), in riferimento agli artt. 3, 97 e 98 della Costituzione.

La questione è posta sotto tre diversi profili.

Sotto il primo profilo, il giudice a quo, premesso che il concorso interno per titoli previsto dalla legge regionale impugnata non può essere ricondotto allo scrutinio per merito comparativo previsto dalla legislazione statale, perchè, essendo le funzioni amministrative governate dal principio di tipicità, non è possibile assimilare due fattispecie diverse, quali quelle del concorso interno per titoli e quello dello scrutinio per merito comparativo, sospetta di incostituzionalità la disposizione impugnata per contrasto con gli artt. 3 e 39 [rectius: 97] della Costituzione, perchè la composizione della commissione giudicatrice sarebbe esclusivamente improntata a logiche di rappresentanza politica, burocratica e di interessi (rappresentanti dei lavoratori), senza alcuna considerazione dell'esigenza di assicurare un minimo di competenze tecniche. L'ordinanza di rimessione nega, in sostanza, che il Consiglio di amministrazione abbia la competenza tecnica necessaria per effettuare una valutazione oggettiva dei titoli dei candidati.

Sotto il secondo profilo, il giudice a quo sospetta che sia stato leso il principio di imparzialità amministrativa, di cui all'art. 97 della Costituzione e, di conseguenza, anche il principio di buon andamento, nonchè la soggezione dei pubblici impiegati al servizio esclusivo della Nazione (art.98, primo comma della Costituzione). L'imparzialità, secondo il giudice a quo, richiede che i membri delle commissioni giudicatrici provengano, almeno in maggioranza, da apparati estranei all'amministrazione procedente, così da realizzare una posizione di terzietà nei confronti degli aspiranti e della stessa amministrazione che ha bandito il concorso, al fine di garantire una congrua e oggettiva valutazione del concorrente.

I dubbi di costituzionalità sollevati dalla previsione normativa troverebbero una palese conferma nella prassi applicativa, che ha visto dei membri della commissione giudicatrice allontanarsi da alcune sedute della commissione in quanto direttamente o indirettamente interessati agli esiti concorsuali: conseguenza, questa, che viene considerata connaturata alla scelta operata dal legislatore regionale di far gestire un concorso interno a un organo interno della Regione stessa.

Sotto il terzo ed ultimo profilo, il giudice a quo sospetta che la disposizione impugnata sia manifestamente irragionevole perchè, data per pacifica la natura di collegio perfetto della commissione giudicatrice, questa si troverebbe comunque di fronte all'impossibilità di funzionare. Ed invero, se i membri direttamente o indirettamente interessati non partecipassero ai lavori della commissione, avremmo la violazione del principio della perfezione dell'organo; in caso contrario, le regole violate sarebbero quelle in tema di astensione e incompatibilità.

3.- La Regione Friuli-Venezia Giulia si è costituita in giudizio sostenendo la infondatezza delle questioni sollevate, nonchè la loro inammissibilità.

Replicando alle prime due questioni poste, la Regione sostiene che non è vero che i membri del Consiglio di amministrazione non abbiano le competenze tecniche necessarie alla valutazione dei candidati, sia perchè l'organo di cui fanno parte (Consiglio di amministrazione del personale della Regione Friuli-Venezia Giulia) è un organo tecnico proprio in materia di pubblico impiego regionale, sia perchè nove membri su sedici sono preposti ad un ramo dell'amministrazione regionale che richiede, comunque, la soluzione di problemi di gestione del personale. Inoltre, in base all'art. 168 della legge regionale n. 53 del 1981, la componente tecnica del Consiglio può essere arricchita con la nomina di commissioni speciali o di commissioni paritetiche ovvero con la chiamata di altri funzionari qualificati, cosicchè la eventuale inadeguatezza della componente tecnica, se e in quanto configurabile, dovrebbe imputarsi non alla previsione legislativa, bensì a carenza di iniziativa amministrativa. Da ciò conseguirebbe l'inammissibilità della questione sollevata.

Con riferimento alla terza questione, la Regione nega la irragionevolezza della norma che affida al Consiglio di amministrazione la funzione di commissione giudicatrice, sia perchè i membri in posizione di incompatibilità potevano farsi sostituire da coloro che ne fanno le veci (art. 168, secondo comma, legge regionale n. 53 del 1981), sia perchè la commissione non doveva operare come collegio perfetto, tantomeno in caso di incompatibilità di qualche suo membro, dal momento che la legge regionale non dispone in tal senso.

La mancanza della previsione normativa dell'obbligo di operare come collegio perfetto renderebbe, anche sotto il profilo considerato, inammissibile la questione, in quanto sostanzialmente rivolta contro una scelta amministrativa.

4.- Nella memoria depositata in prossimità dell'udienza la Regione insiste sulla inammissibilità e sulla infondatezza delle questioni proposte.

In primo luogo la Regione sostiene che il previsto concorso interno per titoli è assimilabile allo scrutinio per merito comparativo. Di qui deriverebbe l'inconferenza del riferimento a principi dottrinali e giurisprudenziali sui concorsi, ivi compresa la necessità della prevalenza nella commissione giudicatrice di membri tecnici o esperti, affermata da questa Corte nella sentenza n. 453 del 1990 con riguardo ai concorsi pubblici.

In ogni caso, sempre secondo la Regione, il Consiglio di amministrazione è in grado di fare le valutazioni tecniche richieste dallo svolgimento delle procedure concorsuali, ivi compresa la valutazione delle pubblicazioni scientifiche dei candidati, dato che si tratta di pubblicazioni che devono essere attinenti all'attività e ai servizi propri dell'Amministrazione (all. B, lett. i del d.p.G.R. 29 settembre 1983, n. 0566). A questo riguardo la Regione prospetta anche l'inammissibilità della questione, sul presupposto che soltanto il regolamento, e non la legge, prevede fra i titoli valutabili le pubblicazioni scientifiche.

Circa la dedotta violazione del principio di imparzialità conseguente alla designazione di esperti interni come membri della commissione, la Regione nega che dall'art. 97 della Costituzione derivi un tale divieto, sottolineando come questo non sia neppure previsto dall'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, che, nell'imporre la presenza di esperti nelle commissioni di concorso per l'accesso e la progressione del personale, prevede espressamente che gli esperti possano anche essere funzionari delle amministrazioni procedenti, oltre che estranei alla medesima.

Nessuna rilevanza, inoltre, potrebbe avere in un giudizio sulla costituzionalità della disposizione impugnata il fatto che alcuni membri della commissione giudicatrice, che si trovavano in situazione di incompatibilità, abbiano partecipato ai lavori della commissione medesima, assentandosi solo nelle sedute che li riguardavano, perchè la disposizione impugnata ciò non prevede, cosicchè avrebbe potuto operare la regola generale secondo la quale l'incompatibilità impone di non partecipare a tutti i lavori.

La Regione resistente, infine, considera inammissibile l'ultima censura sulla manifesta irragionevolezza della disposizione impugnata, in quanto la questione proposta sarebbe indeterminata e ipotetica, avendo il giudice a quo prospettato due possibili interpretazioni (commissione esaminatrice come collegio perfetto o meno), senza peraltro op tare per una di esse. La stessa questione sarebbe comunque infondata, dal momento che la commissione avrebbe potuto operare come collegio perfetto sostituendo, per tutti i suoi lavori, i membri incompatibili. Se invece, secondo la interpretazione preferibile, la disposizione impugnata non prevede la commissione come collegio perfetto, tale previsione non si potrebbe certo considerare in contrasto con l'art. 97 della Costituzione.

5.- Si sono costituiti in giudizio vari candidati, vincitori dei concorsi e appellanti davanti al Consiglio di Stato contro le decisioni di primo grado, sostenendo l'infondatezza delle censure sollevate. Le stesse parti, se pure brevemente, accennano, in chiusura della memoria, ad una presunta inammissibilità della questione, perchè l'asserita disfunzionalità della commissione giudicatrice non deriverebbe dalla previsione normativa impugnata, ma solo da una sua opinabile applicazione.

La censura sulla carenza della componente tecnica della commissione giudicatrice sarebbe infondata poichè nove componenti su sedici avrebbero una particolare qualificazione tecnica in quanto dirigenti regionali da almeno sei anni, con responsabilità di una direzione regionale. Mentre i sei membri nominati in rappresentanza del personale sarebbero da ricomprendere, come riconosciuto recentemente dal TAR Veneto, fra i membri che hanno specifiche attribuzioni professionali, e non fra quelli con esclusiva qualificazione politica. Si nega, infine, che i principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 453 del 1990 con riferimento ad un concorso pubblico possano essere estesi ad un concorso interno e si conclude sul punto rilevando come, anche nel caso in esame, i membri dotati di titoli di studio o professionali rispetto alle materie delle prove concorsuali sarebbero comunque in prevalenza (nove su sedici).

In relazione al terzo profilo di legittimità costituzionale sollevato dal giudice a quo (manifesta irragionevolezza), la memoria osserva che la disposizione impugnata, nell'affidare al Consiglio di amministrazione la nuova funzione di commissione giudicatrice del concorso, ha inteso far riferimento ad un organo già esistente, le cui regole di funzionamento non sono quelle di un collegio perfetto.

Nè la norma regionale che esclude la natura di collegio perfetto della commissione giudicatrice sarebbe per ciò stesso in contrasto con l'art. 97 della Costituzione o con un qualche principio (dell'ordinamento o di riforma economico-sociale) in grado di prevalere sulla legge regionale.

A conferma dell'interpretazione data, secondo la quale la disposizione impugnata non ha inteso configurare la commissione giudicatrice come collegio perfetto, la memoria osserva che il legislatore regionale non poteva escludere, ed anzi risultava molto probabile, che, in un sistema di avanzamento concernente quasi la metà dei dipendenti regionali, i rappresentanti del personale e i loro sostituti potessero risultare direttamente interessati alla promozione che avrebbe comportato l'obbligo integrale di astensione, cosicchè il mancato funzionamento della commissione come organo perfetto sarebbe stata evenienza prevedibile e, anzi, necessitata.

6.- Si sono costituiti in giudizio anche di versi candidati che avevano ottenuto dal giudice amministrativo di primo grado l'annullamento degli esiti concorsuali, ma fuori termine, come deciso con ordinanza letta in udienza il giorno 9 marzo 1993.

Considerato in diritto

l.- Il Consiglio di Stato, quarta sezione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, quinto comma, della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1983, n. 54 (Modificazioni ed integrazioni alle disposizioni concernenti lo stato giuridico e il trattamento economico del personale regionale), in riferimento agli art.3, 97 e 98 della Costituzione.

Più precisamente, il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 24, quinto comma, della legge regionale impugnata - il quale prevede che la commissione giudicatrice dei concorsi interni previsti dal precedente art. 20 sia costituita dal Consiglio di amministrazione della regione - sotto tre distinti profili:

a) per violazione degli artt. 3 e 39 (rectius: 97) della Costituzione, dal momento che la composizione della commissione giudicatrice sarebbe esclusivamente improntata a logiche di rappresentanza politica, burocratica e di interesse, senza alcuna considerazione dell'esigenza di assicurare uno standard accettabile di competenze tecniche;

b) per violazione degli artt. 97 e 98 della Costituzione, per il fatto che la composizione della stessa commissione, non assicurando una posizione di terzietà dei suoi componenti nei confronti dei candidati e della amministrazione regionale procedente, contrasterebbe con il principio di imparzialità e di buon andamento degli uffici amministrativi, nonchè con quello relativo alla destinazione dei pubblici impiegati al servizio esclusivo della Nazione;

c) per violazione del principio di ragionevolezza, essendo comunque la commissione nell'impossibilità di ben funzionare, nel senso che essa è "costretta" a violare il principio della perfezione del collegio o, alternativamente, a disattendere le regole sulla astensione dei membri della commissione che incorrano in situazioni di incompatibilità.

2.- La questione va accolta, poichè la disposizione contestata viola il principio di imparzialità della pubblica amministrazione stabilito dall'art. 97 della Costituzione.

L'art. 24, quinto comma, della legge regionale impugnata, il quale prevede che la commissione giudicatrice è costituita dal Consiglio di amministrazione della regione, si colloca entro un contesto normativo ove l'art. 20, dopo aver fissato l'organico di ciascuna qualifica (ad eccezione della prima) e aver previsto che siano messi a concorso per titoli vari posti di funzionario, consigliere, segretario e coadiutore (per un totale di 700 posti), dispone che ai concorsi possono partecipare i dipendenti regionali appartenenti alla qualifica funzionale immediatamente inferiore a quella per la quale si bandisce il concorso, purchè abbiano un'anzianità di servizio di almeno cinque anni.

In relazione a tali concorsi interni, l'art. 24 della stessa legge, mentre rinvia a un successivo regolamento di esecuzione la disciplina dei titoli valutabili per la partecipazione al concorso, nonchè dei criteri per la valutazione dei titoli stessi e delle modalità per la formazione della graduatoria, contiene esso stesso alcune disposizioni direttamente applicabili ai predetti concorsi. In particolare, tale articolo prescrive che fra i vari titoli valutabili, alcuni dei quali sono espressamente richiamati, deve essere compresa anche una relazione analitica redatta dal superiore del candidato considerato, riferentesi alla durata, alla quantità e alla qualità del servizio prestato dallo stesso candidato, relazione che deve essere sottoposta alla commissione giudicatrice, costituita, ai sensi della disposizione impugnata, dal Consiglio di amministrazione della regione.

Quest'ultimo, a norma dell'art. 168 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 31 agosto 1981, n. 53 (Stato giuridico e trattamento economico del personale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia) è composto da:

a) il Presidente della Giunta, o da un assessore da questi delegato, che lo presiede;

b) il segretario generale della Presidenza della Giunta regionale;

c) il segretario generale del Consiglio regionale;

d) il ragioniere generale;

e) sei direttori regionali scelti, per la durata di un biennio, dalla Giunta, in modo da garantirne la rotazione;

f) sei rappresentanti del personale, di cui almeno uno degli uffici periferici, designati, per la durata di un biennio, dalle rappresentanze sindacali.

É utile ricordare che, a norma dell'art. 24 della legge regionale n. 53 del 1981 i segretari generali, il ragioniere generale e i direttori sono nominati per quattro anni dalla Giunta regionale, che può revocarli e rinnovarli. Inoltre, le regole di sostituzione in caso di assenza, impedimento o vacanza di posti nel Consiglio di amministrazione (art. 168, secondo comma, della legge appena citata) prevedono che i membri di cui alle lettere b), c), d) ed e) sono sostituiti da coloro che ne fanno le veci, mentre i rappresentanti sindacali sono suppliti da altri designati allo stesso modo.

3.- Questa Corte ha costantemente sottolineato che il principio di imparzialità stabilito dall'art. 97 della Costituzione - unito quasi in endiadi con quelli della legalità e del buon andamento dell'azione amministrativa - costituisce un valore essenziale cui deve informarsi, in tutte le sue diverse articolazioni, l'organizzazione dei pubblici uffici. La stessa Corte, riprendendo peraltro la chiara volontà espressa nel medesimo senso dai Costituenti, ha affermato come il principio di imparzialità, enunciato solennemente nel ricordato art. 97, si riflette immediatamente in altre norme costituzionali, quali l'art. 51 (tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge) e 98 (i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione) della Costituzione, attraverso cui si mira a garantire l'amministrazione pubblica e i suoi dipendenti da influenze politiche o, comunque, di parte, in relazione al complesso delle fasi concernenti l'impiego pubblico (accesso all'ufficio e svolgimento della carriera).

Più precisamente, nella sentenza n. 453 del 1990, che rappresenta il precedente più specifico rispetto al caso in esame, questa Corte ha affermato che nell'insieme delle predette norme costituzionali "viene ad esprimersi la distinzione più profonda tra politica e amministrazione, tra l'azione del "governo" - che, nelle democrazie parlamentari, è normalmente legata agli interessi di una parte politica, espressione delle forze di maggioranza - e l'azione della "amministrazione" - che, nell'attuazione dell'indirizzo politico della maggioranza, è vincolata invece ad agire senza distinzione di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate dall'ordinamento. Si spiega, dunque, come in questa prospettiva, collegata allo stesso impianto costituzionale del potere amministrativo nel quadro di una democrazia pluralista, il concorso pubblico, quale meccanismo di selezione tecnica e neutrale dei più capaci, resti il metodo migliore per la provvista di organi chiamati a esercitare le proprie funzioni in condizioni di imparzialità ed al servizio esclusivo della Nazione", semprechè questo metodo sia ispirato "al rispetto rigoroso del principio di imparzialità".

In altri termini, riferito al concorso pubblico, il principio stabilito dall'art. 97 della Costituzione ha un duplice significato: uno "negativo" e uno "positivo". Sotto il primo profilo, esso garantisce che l'esame del merito sia indipendente da ogni considerazione connessa a orientamenti politici o a particolari condizioni personali e sociali; sotto il profilo "positivo", invece, esso comporta l'adozione di un metodo, di cautele e di regole attinenti alla formazione delle commissioni giudicatrici tali da assicurare il perseguimento del solo interesse connesso alla scelta delle persone più meritevoli e più idonee all'esercizio della funzione pubblica considerata. Ebbene, sotto l'uno e l'altro profilo, la disposizione, che per i concorsi sopra menzionati determina la formazione della commissione giudicatrice identificando quest'ultima con il Consiglio di amministrazione della regione, presenta incongruenze tali che non può non essere riconosciuta contrastante con il principio costituzionale di imparzialità dell'azione amministrativa.

4.- Una prima importante ingerenza di carattere politico nello svolgimento del concorso è resa possibile dalla disposizione impugnata in relazione alla necessaria presenza del capo dell'esecutivo regionale o, in sua vece, di altro membro della Giunta come Presidente del Consiglio di amministrazione e, quindi, come presidente della commissione giudicatrice.

La riserva di tale posizione, cui si collegano delicati poteri di direzione, a favore di un'autorità politica non ha alcuna giustificazione al fine di assicurare l'esclusivo perseguimento dell'interesse pubblico volto alla selezione dei candidati più meritevoli e più capaci. A questo principio - che, come s'è visto, costituisce il contenuto essenziale delle norme costituzionali sull'accesso ai pubblici uffici - l'ordinamento legislativo statale si è gradualmente adeguato con norme di principio, sino al raggiungimento della sua piena attuazione con la legge 8 giugno 1990, n. 142 (art. 51, terzo comma) e il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (art.8).

Per analoghi motivi, ingiustificata è la presenza come membri di commissione di ben sei rappresentanti del personale designati dalle rappresentanze sindacali, i quali sono per definizione espressione di interessi non riconducibili a valori di carattere neutrale e distaccato.

Questa componente, la cui esclusione dalle commissioni giudicatrici dei concorsi pubblici è stata gradualmente attuata nell'ordinamento legislativo statale fino ad essere totalmente applicata con il decreto legislativo ricordato poco sopra, si pone in stridente contrasto con il principio di imparzialità ove si consideri che la designazione dei singoli rappresentanti può riguardare dipendenti appartenenti a qualsiasi livello, così che può accadere che facciano parte della commissione giudicatrice persone appartenenti a livelli inferiori rispetto a quelli dei candidati o, addirittura, soggetti direttamente interessati al passaggio di livello di cui si tratta. La vicenda del concorso esaminato nel giudizio a quo, dove un numero cospicuo di commissari hanno dovuto abbandonare la seduta per ragioni di incompatibilità, è esemplare della carente garanzia dell'imparzialità assicurata da una norma come quella impugnata.

Infine, la presenza di nove direttori generali, fra i quali devono essere inclusi anche i due segretari generali (della Giunta e del Consiglio) e il ragioniere generale, è fonte di incongruenze in riferimento al valore dell'imparzialità amministrativa. Innanzitutto, poichè, come questa Corte ha precisato nella già ricordata sentenza n. 453 del 1990, è necessario che gli esperti chiamati a far parte della commissione giudicatrice siano competenti rispetto alle materie oggetto delle prove concorsuali, ne consegue che con il tipo di nomina contestato non è garantita un'adeguata valutazione dei più svariati profili professionali, profili che possono concernere settori nei quali i più elevati dipendenti dell'amministrazione regionale di quel dato momento potrebbero non avere sufficienti conoscenze per poter essere qualificati come esperti. In secondo luogo, a norma dell'art. 25 della legge regionale n. 53 del 1981, i direttori regionali sono nominati dalla Giunta regionale per quattro anni e sono revocabili e rinnovabili. É evidente che siffatta posizione non può essere ritenuta una sufficiente garanzia rispetto al principio dell'imparzialità amministrativa, considerato come assenza di possibilità di ingerenza politica nello svolgimento dei concorsi. Infine, la presenza, in posizione maggioritaria, dei direttori generali non rappresenta un'adeguata garanzia della terzietà che deve caratterizzare i membri delle commissioni di concorso, tanto che è effettivo il rischio che gli stessi soggetti siano gli autori della relazione analitica sulla quantità e qualità del servizio prestato dal candidato - relazione che, a norma dell'impugnato art. 24, costituisce un titolo valutabile, necessariamente portato a conoscenza della commissione - e, nello stesso tempo, siano i commissari incaricati di procedere alla valutazione, ai fini della selezione concorsuale, delle relazioni medesime.

5.- In definitiva, una norma, come quella impugnata, rivela palesi incongruenze in riferimento al principio di imparzialità dell'amministrazione pubblica, quale richiesto in sede di selezione concorsuale. La permanenza di norme del tipo di quella considerata si collega indubbiamente al farraginoso adeguamento dell'ordinamento legislativo regionale a un modello di amministrazione pubblica che non si conforma più al sistema delle carriere e al conseguente collegamento di aumenti di stipendio con la promozione e con la connessa valutazione comparati va dei meriti dell'impiegato.

La abnorme diffusione del concorso interno per titoli nel passaggio da un livello all'altro, produce un effetto distorcente sul nuovo modello di pubblica amministrazione regionale, basata, riguardo al rapporto di pubblico impiego, sulla qualifica funzionale e sui profili professionali. Questa distorsione, oltre a reintrodurre surrettiziamente il modello delle carriere in una nuova disciplina che ne presuppone invece il superamento, si riflette negativamente anche sul principio costituzionale del buon andamento della amministrazione regionale (art. 97 della Costituzione), in quanto facilita l'ingolfamento delle qualifiche più elevate e rende problematico il rapporto tra attitudini professionali e svolgimento effettivo delle mansioni.

Ma, poichè la piena attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento dell'amministrazione pubblica è riservata, in conformità con le rispettive competenze, alle scelte discrezionali del legislatore statale e di quello regionale, questa Corte, nel dichiarare costituzionalmente illegittima una disposizione palesemente incongruente con i suddetti principi, auspica che il legislatore provveda a riesaminare e a ridisciplinare gli aspetti precedentemente segnalati, ai fini della piena e positiva attuazione dei valori costituzionali dell'imparzialità e del buon andamento dell'amministrazione pubblica.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 24, quinto comma, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1983, n. 54 (Modificazioni e integrazioni alle disposizioni concernenti lo stato giuridico e il trattamento economico del personale regionale).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/06/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Antonio BALDASSARRE, Redattore

Depositata in cancelleria il 23/07/93.