Sentenza n.1150 del 1988

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SENTENZA N.1150

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso della Corte d'appello di Roma-Sez. I civile-notificato il 25 febbraio 1988, pervenuto in Cancelleria a mezzo raccomandata n. 1702 del 15 marzo 1988 ed iscritto al n. 6 del registro ricorsi 1988, per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica, in data 5 marzo 1986, di insindacabilita ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.

Visto l'atto di costituzione del Senato della Repubblica;

udito nell'udienza del 22 novembre 1988 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

udito l'avv. Paolo Barile per il Senato della Repubblica

Considerato in diritto

1. - L'ordinanza del 9 giugno 1987, con cui la Corte d'appello di Roma ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato, in riferimento alla delibera 5 marzo 1986 del Senato della Repubblica sopra riprodotta in narrativa, imposta la questione in termini che devono essere rettificati.

Nella motivazione la ricorrente contesta che il Senato abbia <il potere di esercitare, in questa materia, la funzione giurisdizionale che, istituzionalmente, spetta invece all'autorità giudiziaria ordinaria>, quasi che il Senato, nel valutare i fatti oggetto della domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il sen. Marchio, si fosse ritenuto investito delle funzioni di foro speciale in tema di prerogative parlamentari. In realtà, come si arguisce dal seguito dell'argomentazione, dove si istituisce un confronto tra il primo e il secondo comma dell'art. 68 Cost., la Corte d'appello intende dire che, mentre il secondo comma concede a ciascuna Camera il potere di sottrarre i propri membri alla giurisdizione penale per fatti ad essi imputabili a titolo di reato, <il primo comma, invece, in ordine alla garanzia sostanziale, nessuna competenza attribuisce al Parlamento>. Ne deduce che, se la Camera di appartenenza afferma che i fatti addebitati a un proprio membro sono coperti dall'irresponsabilità ex art. 68, primo comma, e quindi ordina la restituzione degli atti al Ministro, tale delibera impedisce il proseguimento dell'azione penale in quanto implica rifiuto dell'autorizzazione a procedere, ma non può avere l'effetto preteso dal Senato di impedire anche l'accertamento dei fatti da parte del giudice civile, al quale sia stata proposta una domanda di risarcimento dei danni.

2. - Tra la premessa (esatta) che l'art. 68, primo comma, non attribuisce alle Camere un potere del tipo di quello previsto dal secondo comma e la conclusione, tratta dalla ricorrente, che in materia di irresponsabilità dei parlamentari nessuna competenza, in assoluto, spetta al Parlamento, v'e un salto logico evidente.

Le prerogative parlamentari non possono non implicare un potere dell'organo a tutela del quale sono disposte; ma la logica diversa che presiede alle due prerogative sancite dall'art. 68 Cost. si riflette in poteri di natura diversa.

La prerogativa del primo comma (c.d. insindacabilità) attribuisce alla Camera di appartenenza il potere di valutare la condotta addebitata a un proprio membro, con l'effetto, qualora sia qualificata come esercizio delle funzioni parlamentari, di inibire in ordine ad essa una difforme pronuncia giudiziale di responsabilità, sempre che, come sarà precisato appresso, il potere sia stato correttamente esercitato.

In questo significato va intesa la frase <non possono essere perseguiti>, conformemente alla ratio delle immunità parlamentari, riconducibile al principio più generale dell'indipendenza e dell'autonomia delle Camere verso gli altri organi e poteri dello Stato.

3. - In quanto è attribuito nei limiti della fattispecie indicata dall'art. 68, primo comma, e solo entro questi limiti legittimamente esercitato, il potere valutativo delle Camere non è arbitrario o soggetto soltanto a una regola interna di self-restraint. Nella nostra Costituzione, che riconosce i diritti inviolabili dell'uomo (fra cui il diritto all'onore e alla reputazione) come valori fondamentali dell'ordinamento giuridico e prevede un organo giurisdizionale di garanzia costituzionale, il detto potere è soggetto a un controllo di legittimità, operante con lo strumento del conflitto di attribuzione, a norma degli artt. 134 Cost: e 37 della legge n. 87 del 1953, e perciò circoscritto ai vizi che incidono, comprimendola, sulla sfera di attribuzioni dell'autorità giudiziaria.

Qualora il giudice di una causa civile di risarcimento dei danni, promossa da una persona lesa da dichiarazioni diffamatorie fatte da un deputato o senatore in sede extraparlamentare, reputi che la delibera della Camera di appartenenza, affermante l'irresponsabilità del proprio membro convenuto in giudizio, sia il risultato di un esercizio illegittimo (o, come altri si esprime, di <cattivo uso>) del potere di valutazione, può provocare il controllo della Corte costituzionale sollevando davanti a questa conflitto di attribuzione.

Il conflitto non si configura nei termini di una vindicatio potestatis (il potere di valutazione del Parlamento non e in astratto contestabile), bensi come contestazione dell'altrui potere in concreto, per vizi del procedimento oppure per omessa o erronea valutazione dei presupposti di volta in volta richiesti per il valido esercizio di esso.

In questi termini deve essere letto il dispositivo dell'ordinanza della Corte d'appello, cioè come istanza alla Corte costituzionale affinché dica se <nel caso concreto> il potere di valutazione del Senato, ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost. e all'effetto indicato nel secondo capo della deliberazione 5 marzo 1986, sia stato legittimamente esercitato. E in questi termini sussiste un attuale interesse al ricorso, onde deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità avanzata dalla difesa del resistente.

4. - Nel caso in esame non e necessario procedere al controllo della valutazione, da parte del Senato, dei presupposti di esercizio del proprio potere richiesti dall'art. 68, primo comma, essendo in limine riscontrabile nella deliberazione 5 marzo 1986 un vizio in procedendo, determinato dal divario tra i fatti esaminati dalla Giunta per le elezioni e le autorizzazioni a procedere e i fatti in relazione ai quali la Giunta ha formulato la proposta, approvata dall'Assemblea, di affermazione dell'insindacabilità ex art. 68, primo comma, e della conseguente improseguibilità del giudizio pendente davanti alla Corte d'appello. Il Senato e stato investito soltanto della cognizione dei fatti sottoposti al suo esame dalla domanda di autorizzazione a proseguire l'azione penale, cioè delle dichiarazioni del sen. Marchio pubblicate nell'articolo del 16 aprile 1981, mentre il giudizio di responsabilità civile pendente davanti alla Corte d'appello di Roma, sul quale si e spostata la valutazione conclusiva del procedimento parlamentare, concerne inscindibilmente tutti e tre gli articoli pubblicati su <Il Secolo d'Italia> tra il 6 dicembre 1980 e il 16 aprile 1981.

L'inscindibilità dei fatti dedotti come causa petendi rende insostenibile la tesi, affacciata in subordine dal patrocinio del Senato, secondo la quale niente impediva alla Corte d'appello <di sindacare i fatti relativi agli articoli del 16 (recte: 6) e 18 dicembre 1980>.

Correttamente la Corte d'appello di Roma si e sentita spogliata del potere di ius dicere in ordine a tutti i fatti dedotti in giudizio, e a ragione essa lamenta che, nei termini in cui si e svolto il procedimento parlamentare, la citata deliberazione del Senato non era giustificata, e pertanto non poteva determinare l'<assorbimento> del processo civile in corso.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spetta al Senato valutare le condizioni dell'insindacabilità ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost.; che, nella specie, il modo di esercizio di tale potere non legittimava la statuizione che <il procedimento civile pendente, nel quale il senatore Marchio è convenuto per il risarcimento del danno, è necessariamente assorbito nella suddetta deliberazione di insindacabilità>.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Luigi MENGONI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 29 Dicembre 1988.