Sentenza n.311 del 1988

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SENTENZA N.311

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 184, primo e secondo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 14 gennaio 1987 dal Tribunale di Bari nel procedimento civile vertente tra Bitetto Giuseppe e Zenzola Isabella, iscritta al n. 271 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30/1a s.s. dell'anno 1987;

visto l'atto di costituzione di Zenzola Isabella;

udito nell'udienza pubblica del 9 febbraio 1988 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

udito l'avv. Benito Marrone per Zenzola Isabella.

Considerato in diritto

l. - La questione di legittimità costituzionale, sollevata d'ufficio dal Tribunale di Bari in ordine al primo comma dell'art. 184 cod. civ., é infondata.

Il Tribunale muove dalla premessa che la disciplina della comunione legale dei beni tra coniugi debba essere ricostruita e valutata confrontandola con l'istituto generale della comproprietà regolato dagli artt. 1100 segg. cod. civ. (c.d. comunione ordinaria), cioé applicando lo schema logico regola eccezione. A questa stregua il primo comma dell'art. 184 e giudicato una norma derogatoria alla regola di inefficacia dell'atto di disposizione a non domino, e in particolare dell'atto di disposizione della cosa comune posto in essere da un comproprietario senza la partecipazione (diretta o per procura) degli altri. L'incidente di costituzionalità é stato così impostato come questione di legittimità dell'affievolimento che la supposta deroga al principio nemo plus iuris ecc., <ispirata soltanto alla tutela dei terzi>, arreca al diritto di proprietà del coniuge pretermesso e insieme all'interesse della famiglia, tutelati rispettivamente dagli artt. 42 e 29 Cost., nonchè come questione di giustificatezza della norma secondo i parametri degli artt. 3 e 24 Cost.

Ma la corretta metodologia insegna che la <regola> (nel senso di dottrina) dogmatica di un istituto giuridico deve essere tratta non da categorie precostituite, ma ex iure quod est, cioé dalle norme positive che sostanziano l'istituto medesimo. Dalla disciplina della comunione legale risulta una struttura normativa difficilmente riconducibile alla comunione ordinaria. Questa é una comunione per quote, quella é una comunione senza quote; nell'una le quote sono oggetto di un diritto individuale dei singoli partecipanti (arg. ex art. 2825 cod. civ.) e delimitano il potere di disposizione di ciascuno sulla cosa comune (art. 1103); nell'altra i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, bensì solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente per oggetto i beni della comunione (arg. ex art. 189, secondo comma). Nella comunione legale la quota non é un elemento strutturale, ma ha soltanto la funzione di stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori particolari (art. 189), la misura della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione (art. 190), e infine la proporzione in cui, sciolta la comunione, l'attivo e il passivo saranno ripartiti tra i coniugi o i loro eredi (art. 194).

Ne consegue che, nei rapporti coi terzi, ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni della comunione. Il consenso dell'altro, richiesto dal modulo dell'amministrazione congiuntiva adottato dall'art. 180, secondo comma, per gli atti di straordinaria amministrazione, non e un negozio (unilaterale) autorizzativo nel senso di atto attributivo di un potere, ma piuttosto nel senso di atto che rimuove un limite all'esercizio di un potere. Esso e un requisito di regolarità del procedimento di formazione dell'atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio.

2.-Assodato che l'art. 184, primo comma, non é tecnicamente un caso di acquisto da un alienante non legittimato, bensì un caso di acquisto a domino in base a un titolo viziato, il principio di inefficacia delle alienazioni a non domino non può fornire il tertium comparationis rispetto al quale possa prospettarsi una violazione dell'art. 3 Cost. in danno del coniuge pretermesso.

Anzi, se si pone mente che nel diritto privato i vizi del procedimento di formazione di un atto negoziale sono rilevanti come causa di invalidità solo nei casi espressamente previsti dalla legge, non per regola generale, la norma in esame appare-tutt'al contrario- disposta a maggiore tutela dell'altro coniuge, non gia in eccessivo favore dei terzi. Senza di essa il coniuge pretermesso dovrebbe, come nel caso regolato nel terzo comma dell'art. 184, accontentarsi del diritto obbligatorio alla riparazione del danno.

3.-Quanto alle altre norme costituzionali evocate nell'ordinanza di rimessione, le censure di costituzionalità sono manifestamente inconsistenti. La disposizione denunziata contiene una norma di diritto sostanziale, e come tale non incide sul diritto di difesa garantito dall'art. 24; non tocca l'eguaglianza dei coniugi garantita dall'art. 29, perchè tratta allo stesso modo sia l'atto di disposizione compiuto dal marito senza il consenso della moglie, sia l'atto di disposizione compiuto dalla moglie senza il consenso del marito; non mortifica il diritto di proprietà del coniuge pretermesso, nè l'interesse della famiglia cui sono destinati i beni della comunione (destinazione che non va confusa con la funzione sociale della proprietà), ma anzi li protegge appunto con la sanzione di invalidità dell'alienazione stipulata dall'altro coniuge.

4.-In via autonoma, subordinatamente al non accoglimento dell'incidente sollevato in merito al primo comma, il Tribunale di Bari, su istanza di parte, impugna il secondo comma dell'art. 184, sul riflesso che <il legislatore, stabilendo che l'azione di annullamento spettante al coniuge il cui consenso sia stato pretermesso debba essere esercitata in ogni caso nel breve termine (di prescrizione) di un anno dalla data della trascrizione dell'atto, ha-senza giustificato motivo-mortificato il diritto di difesa del coniuge> in violazione dell'art. 24 Cost.

Nemmeno tale questione é fondata.

Occorre premettere che l'alienazione di un bene immobile della comunione, da parte di un coniuge senza il consenso dell'altro, é praticamente possibile solo se nei registri immobiliari il fondo risulti intestato esclusivamente al nome dell'alienante. In questo caso il sistema di <pubblicità negativa>- introdotto dalla riforma del diritto di famiglia per la comunione legale dei beni tra coniugi, nel senso che essa e opponibile ai terzi quando i registri dello stato civile non indichino un regime (convenzionale) diverso-produce un grave intralcio alla speditezza del commercio immobiliare. Per appurare la reale situazione giuridica dell'immobile i terzi non possono limitarsi a ispezionare i registri immobiliari, ma devono estendere le loro ricerche ai registri dello stato civile, meno facilmente accessibili e anche meno affidabili. Nel caso di specie il coniuge alienante aveva acquistato l'immobile dichiarando falsamente nel rogito di essere separato dalla moglie, e così riuscendo a procurarsi un titolo che gli consenti di trascrivere l'acquisto soltanto a suo nome: tutto ciò grazie anche a una lacuna della legge sull'ordinamento dello stato civile, la quale non prevede l'annotazione, a margine dell'atto di matrimonio, del decreto di omologazione della separazione consensuale dei coniugi, qualificata dall'art. 190 cod. civ. come causa di scioglimento della comunione dei beni.

Rendendosi conto di questo aspetto del sistema pregiudizievole alla certezza dei rapporti giuridici (al quale ha parzialmente posto riparo la nuova disciplina della nota di trascrizione dettata nell'art. 2659 dalla legge 27 febbraio 1985, n. 52), il legislatore, nel secondo comma dell'art. 184, ha sostituito la prescrizione breve di un anno alla prescrizione quinquennale cui, per regola generale (art. 1442, primo comma, cod. civ.), e soggetta l'azione di annullamento dei contratti. Il bilanciamento degli opposti interessi-del coniuge pretermesso alla conservazione del suo diritto, dei terzi alla sicurezza del traffico giuridico -non appare lesivo del diritto di difesa del primo, restandogli pur sempre un lasso di tempo sufficientemente ampio per impugnare l'alienazione.

E' vero, come osserva l'ordinanza di rimessione, che il coniuge non intestatario dell'immobile <avrà la necessita, per evitare che eventuali atti di alienazione divengano a lui opponibili nel breve termine stabilito, di eseguire periodiche ravvicinate ispezioni dei registri immobiliari>. Ma é un onere che, pur fastidioso, non può dirsi eccessivamente gravoso al punto di offendere l'art. 24 Cost. Comunque, a parte il rilievo che nella normalità dei casi difficilmente l'alienazione dell'immobile potrà passare inosservata per oltre un anno al coniuge il cui consenso e stato pretermesso, quest'ultimo-una volta accertata, in esito a una ispezione dei registri immobiliari, la trascrizione di un acquisto separato al nome dell'altro- ha sempre la possibilità di ottenere una sentenza che accerti l'appartenenza dell'immobile alla comunione, e quindi un titolo per domandare l'integrazione della trascrizione anche al proprio nome.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 184, primo comma, cod. civ. sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 29, secondo comma e 42, secondo comma, Cost., dal Tribunale di Bari con l'ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 184, secondo comma, cod. civ., sollevata dalla stessa ordinanza in riferimento all 'art. 24, primo comma, Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/03/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Luigi MENGONI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 17 Marzo 1988.