Ordinanza n.490 del 1987

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ORDINANZA N. 490

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Dott. Francesco SAJA , Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 55 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ("Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi"), in relazione all'art. 10 della legge 9 ottobre 1971, n. 825 ("Delega al Governo per la riforma tributaria"), promossi con ordinanze emesse il 20 maggio 1986 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Udine, il 15 gennaio 1987 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Imperia e il 22 dicembre 1986 dalla Commissione tributaria di primo grado di Salerno, iscritte rispettivamente ai nn. 196, 246 e 268 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 23, 27 e 29 dell'anno 1987;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 14 ottobre 1987 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

Ritenuto che con ordinanza emessa il 22 dicembre 1986 (reg. ord. n. 268 del 1987), la Commissione tributaria di primo grado di Salerno ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost.;

che identica questione unitamente ad altra concernente l'art. 55 dello stesso decreto delegato, entrambe già sollevate in relazione agli artt. 3, 76 e 77 Cost. dalla Commissione tributaria di secondo grado di Imperia con ordinanza del 25 giugno 1981, (reg. ord. n. 690 del 1981) sono state dallo stesso organo - in seguito alla sentenza n. 128 del 1986 che disponeva la restituzione degli atti al giudice a quo al fine di accertare la permanenza del requisito della rilevanza - nuovamente sottoposte al vaglio di legittimità costituzionale con ordinanza in data 15 gennaio 1987 (reg. ord. n. 246 del 1987);

che la norma contenuta nell'ultimo comma del medesimo art. 47 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, é stata impugnata, con ordinanza in data 20 maggio 1986 (reg. ord. n. 196 del 1987), anche dalla Commissione tributaria di secondo grado di Udine, in riferimento agli artt. 3, 76 e 77 Cost.;

che i giudizi a quibus vertono tutti sull'irrogazione delle sanzioni previste per l'omessa e tardiva presentazione della dichiarazione del sostituto d'imposta;

che nel primo e nel secondo dei citati atti di rimessione si assume che l'art. 47 d.P.R. n. 600 del 1973, comminando la stessa severa sanzione pecuniaria senza distinguere tra omessa dichiarazione pura e semplice ed omessa dichiarazione accompagnata da mancato versamento all'Erario delle ritenute d'acconto, parifica situazioni diverse, ossia equipara una violazione puramente formale ad una sostanziale, così ledendo il principio d'eguaglianza;

che, la violazione dell'art. 3 Cost. é resa evidente anche dall'art. 46 dello stesso d.P.R., il quale, comminando sanzioni per violazioni commesse, sempre in sede di dichiarazione, dai soggetti passivi d'imposta, distingue tra illeciti formali e illeciti sostanziali;

che la disposizione impugnata viola altresì l'art. 76 Cost., in quanto sembra contrastare con l'art. 10 n. 11 della l. di delega 9 ottobre 1971, n. 825, ossia col dovere, imposto al legislatore delegato, di commisurare le sanzioni all'effettiva entità, soggettiva ed oggettiva, delle violazioni;

che nel terzo dei citati atti di rimessione il giudice a quo ritiene l'ultimo comma dello stesso art. 47 d.P.R. n. 600 del 1973 lesivo del principio di eguaglianza nella parte in cui pone a carico del sostituto d'imposta, per l'ipotesi di tardiva presentazione della dichiarazione seguita dal versamento dell'ammontare dovuto, una sanzione più severa di quella prevista a carico degli altri contribuenti nella medesima ipotesi (art. 46 comma 1), così realizzando una ingiustificata disparità di trattamento in relazione alla diversa qualità dell'autore (contribuente ovvero sostituto d'imposta);

che lo stesso collegio remittente ravvisa nella disposizione impugnata un'ulteriore violazione del principio di eguaglianza nella parte in cui il meccanismo sanzionatorio consentirebbe di irrogare al sostituto di imposta nel caso di dichiarazione tardiva una pena pecuniaria di entità superiore nel minimo edittale a quella che potrebbe in concreto risultare applicabile alla più grave ipotesi di infedele dichiarazione, con conseguente violazione anche del principio contenuto nella legge delega 9 ottobre 1971, n. 825, che tende ad una "migliore commisurazione delle sanzioni all'effettiva entità oggettiva delle violazioni";

Ritenuto infine che la Commissione tributaria di secondo grado di Imperia impugna il terzo comma dell'art. 55 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui, limitando la possibilità della conciliazione amministrativa alle sole violazioni tributarie constatate in occasione di accessi ispezioni e verifiche e conseguentemente escludendola, per le violazioni accertate in modo diverso, pone in essere un'ingiustificata disparità di trattamento in relazione al luogo in cui viene rilevata la violazione;

che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, intervenuta nei presenti giudizi, ha chiesto dichiararsi la non fondatezza delle questioni;

Considerato che le ordinanze in epigrafe sollevano, in relazione all'art. 47 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, questioni analoghe, sicché si appalesa opportuna la riunione dei giudizi ai fini di un'unica pronuncia;

che per quanto attiene all'eguale trattamento riservato dal legislatore alle ipotesi di omessa dichiarazione con o senza versamento delle ritenute d'acconto, la Corte, con sentenza n. 128 del 1986, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale della norma impugnata in relazione agli artt. 76 e 77 Cost., ha osservato che la dichiarazione de qua non mira soltanto ad assicurare all'Erario la quota che il sostituto trattiene al sostituito, ma ha altresì una funzione di controllo, in quanto consente agli uffici di apprendere che il sostituito possiede fonti di reddito, mettendoli conseguentemente in grado di verificare l'esistenza e l'entità delle dichiarazioni che egli a sua volta é obbligato a rendere ed eventualmente a procedere agli accertamenti del caso;

che pertanto sotto questo riguardo non si tratta di mere violazioni formali, ché anzi esse rivestono un notevole rilievo sostanziale, posto che qualsiasi omissione della prescritta dichiarazione, o qualsiasi infedeltà, rende impossibile, o almeno intralcia gravemente, la suddetta attività di controllo, così ledendo o mettendo in pericolo interessi materiali dell'Erario;

che peraltro, il giudice tributario ben può tenere conto, nella determinazione delle pene in concreto, anche dei principi dettati dall'art. 54 dello stesso decreto, che fa riferimento alla gravità del danno o del pericolo e alla personalità dell'autore;

che, non trattandosi dunque di violazioni meramente formali, cade ogni doglianza di ingiusta equiparazione e di contrasto con la direttiva impartita dal legislatore delegante, tanto più che quest'ultimo (art. 10 n. 11 l. n. 825 del 1971) ha imposto di avere "particolare riguardo alle violazioni degli obblighi di comunicazione all'Amministrazione finanziaria dei dati e notizie aventi rilievo ai fini dell'accertamento dei redditi altrui";

che, per di più, ai sensi dell'art. 2 ultimo comma d.l. n. 429 del 1982 conv. in l. n. 516 del 1982, l'omesso versamento all'Erario delle ritenute effettivamente operate é punito con più gravi sanzioni penali;

che, a parte quest'ultima, le considerazioni che precedono inducono a ritenere infondata anche la questione concernente il diverso trattamento sanzionatorio che, rispetto agli altri contribuenti, é stato riservato al sostituto nell'ipotesi di dichiarazione tardiva accompagnata dal versamento dell'imposta;

che pertanto le suddette questioni in applicazione dei principi già enunciati nella sentenza n. 128 del 1986 vanno dichiarate manifestamente infondate;

che in relazione all'altra questione, sollevata dalla Commissione di secondo grado di Udine concernente la più severa sanzione che risulterebbe in concreto applicabile al sostituto di imposta nell'ipotesi di tardiva dichiarazione rispetto all'ipotesi di dichiarazione infedele, non può non rilevarsi l'impossibilità di ricondurre le due violazioni ad un denominatore comune che consenta di porre sullo stesso piano le fattispecie ad esse attinenti al fine di confrontarne e valutarne la gravità;

che pertanto, in assenza di un preciso parametro di comparazione, non é possibile in questa sede incidere sulla norma denunciata al fine di conformare il sistema ad una maggiore razionalità;

che peraltro i trattamenti sanzionatori denunciati dal giudice a quo, pur non essendo fra loro assimilabili, sembrano tuttavia necessitare di un riequilibrio normativo che tenga maggiormente conto del disvalore sociale inerente alla diversa gravità oggettiva delle varie ipotesi di tardiva ed infedele dichiarazione;

che tale operazione, implicando una pluralità di possibili opzioni, non rientra fra i compiti della Corte attenendo alla discrezionalità del legislatore di cui deve dunque auspicarsi l'intervento (sent. n. 230 del 1987);

che per quanto attiene alla questione relativa all'impugnazione dell'art. 55 d.P.R. n. 600 del 1973, il giudice tributario non ne ha minimamente motivato la rilevanza in ordine al caso di specie, né ha spiegato in che modo i benefici contemplati dal terzo comma dell'art. 55, qualora la Corte li ritenesse estensibili oltre l'ipotesi ivi prevista, risulterebbero applicabili alla fattispecie oggetto del giudizio a quo;

Visti gli artt. 26 l. 11 marzo 1953, n. 87 e 9 delle Norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale;

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) Dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 47 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ("Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi"), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 76 e 77 Cost., dalla Commissione tributaria di primo grado di Salerno con ordinanza n. 265 del 1987 e dalla Commissione tributaria di secondo grado di Imperia con ordinanza n. 246 del 1987, nonché dalla Commissione tributaria di secondo grado di Udine, con ordinanza n. 196 del 1987, per l'asserita disparità di trattamento sanzionatorio esistente fra il sostituto di imposta e gli altri soggetti passivi nell'ipotesi di tardiva dichiarazione accompagnata dal versamento dell'imposta dovuta;

2) Dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 55 comma 3ø, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ("Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi"), sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dalla Commissione tributaria di secondo grado di Imperia con ordinanza n. 246 del 1987;

3) Dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 ultimo comma d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ("Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi"), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost., dalla Commissione Tributaria di secondo grado di Udine, con ordinanza n. 196 del 1987, sotto il profilo della disparità di trattamento sanzionatorio che si determinerebbe fra l'ipotesi di tardiva ed infedele dichiarazione del sostituto di imposta.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 novembre 1987.

 

Il Presidente: SAJA

Il Redattore: CAIANIELLO

Depositata in cancelleria il 10 dicembre 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI