Sentenza n.301 del 1987

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SENTENZA N. 301

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 3, 6, 14 e 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili), promossi con due ordinanze emesse il 12 dicembre 1983 dalla Commissione Tributaria di secondo grado di Roma nei ricorsi proposti dall'Ufficio del Registro di Velletri c/ l'Istituto dei Ciechi di S. Alessio, iscritte ai nn. 989 e 990 del registro ordinanze 1984 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13- bis dell'anno 1985;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 26 marzo 1987 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;

Ritenuto in fatto

1. - Con due identiche ordinanze emesse in due procedimenti vertenti tra le stesse parti, in data 12 dicembre 1983, la Commissione tributaria di secondo grado di Roma ha sollevato, su eccezione di parte, questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, 6, 14 e 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.

Adito in entrambi i procedimenti dall'Ufficio del registro di Velletri che aveva interposto appello avverso la decisione della locale Commissione tributaria di primo grado con la quale era stato parzialmente accolto il ricorso proposto dall'opera pia "Istituto dei ciechi di S.Alessio" contro l'avviso di accertamento di valore di taluni immobili che erano stati oggetto di dichiarazione INVIM per decorso decennio, il giudice a quo dubita che per gli enti il cui solo fine sia l'assistenza e la beneficenza la redditività di un bene possa essere considerata fonte di ricchezza e, dunque, sintomo di capacità contributiva, posto che tali enti destinano tutto il loro patrimonio (incluso il ricavato dall'eventuale vendita di immobili) al raggiungimento dei fini istituzionali. Fini che, per la loro diversità rispetto a quelli perseguiti dagli altri enti assoggettati alla stessa imposta, varrebbero a rendere altresì evidente l'illegittimità costituzionale delle norme denunciate per l'uniforme trattamento che esse riservano a situazioni profondamente diverse.

2. - L'Avvocatura dello Stato, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, ha chiesto che la questione sia dichiarata, in via principale, inammissibile per difetto di rilevanza e, in linea subordinata, infondata.

Il difetto di rilevanza viene prospettato in riferimento all'intervenuta formazione di un giudicato interno in ordine all'assoggettabilità degli immobili dell'ente alla INVIM decennale giacché la decisione di primo grado, che riducendo il valore accertato tale implicita statuizione conteneva, non sembrava essere stata oggetto d'appello sul punto; ed alla conseguente ininfluenza dell'emananda decisione della Corte costituzionale.

Nel merito - si osserva sostanzialmente in atto d'intervento - é estremamente discutibile che i redditi in genere, e quelli degli immobili in particolare, non debbano essere assoggettati a tassazione quando siano di pertinenza di un ente non avente fini di lucro. Ed é comunque certo che non esiste un principio generale di esenzione dalla imposizione tributaria per gli enti che si propongono fini di pubblico interesse, come il trattamento fiscale dello Stato vale a dimostrare.

Si nega comunque che il legislatore abbia trascurato la particolare natura di alcuni enti morali e dell'attività da essi svolta, stanti le particolari previsioni di cui all'art. 25 del d.P.R. n. 643 del 1972, del tutto trascurate dal giudice a quo, il quale - conclude l'Avvocatura - nessuna particolare argomentazione ha svolto in ordine agli artt. 6, 14 e 15, la cui legittimità (salvo che per l'art. 14, già dichiarato incostituzionale con sentenza n. 126 del 1979) non può non essere conseguente a quella da riconoscersi all'art. 3.

Considerato in diritto

1. - Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 3, 6, 14 e 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643: tali norme riguardano, rispettivamente, l'ambito di applicazione dell'INVIM per decorso del decennio, nonché la definizione dell'imponibile e delle aliquote; l'art. 14 é stato abrogato dall'articolo 1 del d.-l. 12 novembre 1979, n. 571.

Il ragionamento seguito nell'ordinanza di rimessione muove dalla premessa che l'imposizione tributaria de qua si basa su di un criterio di redditività dell'immobile, ma agli enti di assistenza e beneficenza, si osserva subito dopo, sarebbe del tutto estraneo il concetto di reddito, poiché tali persone giuridiche perseguono un interesse pubblico e non già un fine di lucro, così che gli incrementi di valore degli immobili in argomento, entrando a far parte del patrimonio degli enti, resterebbero vincolati alla medesima destinazione di quest'ultimo. Da tale asserita circostanza deriverebbe un primo profilo di illegittimità costituzionale delle norme oggetto della censura: l'applicazione dell'INVIM a tali immobili trasformerebbe la medesima in imposta patrimoniale così concretando un contrasto con l'art. 53 Cost.

Resterebbe altresì vulnerato il principio di eguaglianza per essere assoggettati alla stessa normativa enti fra loro del tutto diversi.

L'Avvocatura dello Stato ha richiesto la declaratoria di inammissibilità per difetto di rilevanza, in quanto sulla questione dell'assoggettabilità al tributo degli immobili avrebbe già statuito, con efficacia di giudicato, il giudice di primo grado.

Nel merito, l'Avvocatura, onde sostenere la tesi della infondatezza, rileva come anche lo Stato sia soggetto ad imposta e richiama l'art. 25 del d.P.R. in oggetto, ove vengono previste talune esenzioni e riduzioni di imposta in ragione della qualità di ente morale del proprietario.

2. - Va anzitutto escluso che si sia formato il giudicato interno in punto di assoggettabilità all'INVIM dell'ente morale che ha appellato dinanzi al giudice a quo la decisione di primo grado, chiedendo in via preliminare che fosse sollevata la presente questione. Si tratta infatti del presupposto stesso di applicabilità della imposta (che la parte intende veder ridotta attraverso la diminuzione di un parametro di calcolo), del quale ben può essere prospettata l'illegittimità costituzionale in sede di gravame, a maggior ragione in quanto l'ente ha proposto controricorso in appello ed anche appello incidentale.

3. - Nel merito la questione é infondata.

Tra i presupposti applicativi dell'INVIM decennale non rientra invero la destinazione a fini di lucro del reddito ricavabile dagli immobili appartenenti agli enti assoggettati all'imposta, sì che il fine di pubblico interesse che essi si propongono non può essere efficacemente invocato in senso esonerativo dalla imposizione. Quest'ultima é, appunto, collegata all'incremento dei valori immobiliari, "che di per sé costituisce sicuro indice di capacità contributiva" (sentenza n. 126 del 1979), idonea, come tale, ad esprimere l'esistenza di un reddito, a prescindere dal fatto che il cespite produttivo di ricchezza sia o meno strumentalmente collegato con i fini dell'ente. É se mai la destinazione dell'immobile in rapporto all'esercizio delle attività istituzionali a determinare le esenzioni dall'imposta di cui all'art. 25 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, mentre la diversa ipotesi di riduzione dell'INVIM, di cui al capoverso della norma citata, si realizza in virtù della scelta del legislatore, volta a privilegiare discrezionalmente finalità proprie di taluni enti, e non già perché il reddito espresso dagli immobili di loro proprietà venga ad "incorporarsi" nel patrimonio degli stessi, come apoditticamente affermato dal giudice a quo.

Sono perciò prive di fondamento sia la tesi prospettante l'inesistenza di capacità contributiva in capo alle persone giuridiche private aventi scopi assistenziali e benefici, sia quella - logicamente conseguenziale - secondo la quale la norma irragionevolmente equiparerebbe, ai fini applicativi dell'INVIM decennale, situazioni giuridiche fra loro del tutto diverse in relazione alla ratio del presupposto impositivo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. dalla Commissione tributaria di secondo grado di Roma con due identiche ordinanze del 12 dicembre 1983, (r.o. 989 e 990/1984), degli artt. 3, 6, 14 e 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 ("Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili").

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Relatore: FERRARI

Depositata in cancelleria il 30 settembre 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI