Sentenza n. 184 del 1986

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SENTENZA N. 184

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente 

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 2059 del codice civile promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'8 ottobre 1979 dal Tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Repetto Giuseppe e Azienda Municipalizzata Trasporti iscritta al n. 929 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 dell'anno 1980;

2) ordinanza emessa il 4 dicembre 1981 dal Tribunale di Salerno nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Saporito Luigi ed altro e Manzi Giuseppe ed altri iscritta al n. 322 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 283 dell'anno 1982.

Visti gli atti di costituzione dell'Azienda Municipalizzata Trasporti di Genova;

udito nell'udienza pubblica del 4 marzo 1986 il Giudice relatore Renato Dell'Andro.

Ritenuto in fatto

  1. - Il Tribunale di Genova, nel corso di un giudizio civile vertente tra Repetto Giuseppe e l'Azienda Municipalizzata Trasporti di Genova, ed avente ad oggetto il risarcimento dei danni subiti dal primo a seguito di un incidente stradale, con ordinanza 8 ottobre 1979, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost., dell'art. 2059 cod. civ., nella parte in cui prevede che il c.d. danno biologico (inteso come danno non patrimoniale derivante dalla lesione del diritto, costituzionalmente garantito, alla tutela della salute) sia risarcibile soltanto in conseguenza di un reato.

Premette il Tribunale di Genova che esso da tempo procedeva alla liquidazione del danno alla persona per invalidità temporanea e permanente, quale danno di rilevanza patrimoniale risarcibile ex art. 2043 cod. civ., anche se non incidente sul reddito del danneggiato, e ciò sul presupposto che ogni lesione dell'integrità fisio - psichica della persona determina di per sé, ed indipendentemente dagli effetti sul reddito, un danno risarcibile per lesione del diritto alla salute, sancito dall'art. 32 Cost.

Ricorda quindi il Tribunale che la sentenza n. 88 del 1979 di questa Corte configurò il diritto alla salute "come un diritto primario ed assoluto... da ricomprendere tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione"; precisò poi che, in caso di violazione dello stesso, "la indennizzabilità non può essere limitata alle conseguenze della violazione incidente sull'attitudine a produrre reddito, ma deve comprendere anche gli effetti della lesione al diritto considerato come posizione soggettiva autonoma indipendentemente da ogni altra circostanza e conseguenza"; ed infine comprese i danni costituiti dalla menomazione dell'integrità fisica in sé considerata tra i pregiudizi non patrimoniali risarcibili ex art. 2059 cod. civ.

Ricorda ancora il Tribunale che la precedente sentenza n. 87 del 1979 dichiarò che l'art. 2059 c.c. non pone limitazioni all'esercizio di un diritto, prevedendo invece che il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale sorge solo nei casi espressamente previsti dalla legge; e quindi affermò sì che l'art. 2059 c.c. non contrasta col principio di eguaglianza, essendo lecito al legislatore operare trattamenti diversificati di situazioni non identiche per presupposti e gravità, ma indicò espressamente, tuttavia, come limite alla facoltà discrezionale del legislatore, l'ipotesi in cui vengano in considerazione situazioni soggettive costituzionalmente garantite.

Orbene, conclude il giudice a quo, coordinando le motivazioni di queste due sentenze, appare evidente l'illegittimità costituzionale dell'art. 2059 cod. civ., nella parte in cui prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla lesione del diritto, costituzionalmente tutelato, alla salute soltanto in conseguenza di reato, sia per la violazione dell'art. 32 Cost. (mancata tutela negli altri casi del diritto alla salute) e sia per la violazione dell'art. 3 Cost. (tutela differenziata del diritto alla salute a seconda che le lesioni derivino da un reato o da illecito civile).

  1. - Analoga questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 cod. civ., in riferimento agli artt. 2,24, primo comma, e 32, primo comma, Cost., é stata proposta dal Tribunale di Salerno, con ordinanza del 4 dicembre 1981.

Osserva il Tribunale di Salerno che, dopo la ricordata sentenza n. 88 del 1979, l'indirizzo giurisprudenziale oggi prevalente, ed accolto anche dalla Cassazione, é nel senso del riconoscimento del danno c.d. biologico quale danno che, prescindendo dalle ripercussioni reddituali o patrimoniali, deriva direttamente dalla lesione psico - fisica subita dal soggetto, in sé autonomamente considerata. Non sembra peraltro dubitabile che tale danno, appunto perché svincolato dalla effettiva incidenza reddituale o patrimoniale, é da ricomprendere nella categoria dei danni non patrimoniali, i quali però, ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., sono risarcibili soltanto nei casi espressamente determinati dalla legge, e cioé sostanzialmente nel caso di cui all'art. 185 cod. pen. (danni derivanti da reato) ed in quello di cui all'art. 89, comma secondo, cod. proc. civ.

Senonché, continua il giudice a quo, é anche evidente che, trattandosi di danno incidente sul diritto fondamentale alla salute, non può bastare la previsione di risarcibilità del danno derivante da fatto - reato, perché ne resterebbero ingiustificatamente escluse l'ipotesi di danno derivante da mero illecito civile e quella di applicazione dei criteri di colpa presunta. Pertanto l'art. 2059 cod. civ. può ritenersi in contrasto sia con l'art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, tra cui quelli all'integrità fisica e, in genere, alla salute, sia con l'art. 24, comma primo, Cost., che riconosce a tutti il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, fra i quali, evidentemente, anche quelli "biologici" anzidetti, e sia, infine, con l'art. 32, primo comma, Cost., essendo il fondamentale ed inalienabile dintto alla salute, sotto l'aspetto del danno biologico, inammissibilmente conculcato dalla disposizione in esame.

  1. - Entrambe le ordinanze sono state regolarmente comunicate, notificate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.

Nel primo giudizio si é costituita l'Azienda Municipalizzata Trasporti di Genova, rappresentata e difesa dagli avvocati Ermanno Carbone, Mario Pogliani ed Angelo De Santis, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata ed osservando che l'art. 2059 cod. civ. costituisce semplicemente una norma di rinvio, la quale fa richiamo ad altre norme (ad esempio: artt. 185 cod. pen., 89 cod. proc. civ., 598 cod. pen.) per stabilire i termini e le condizioni di risarcimento del danno non patrimoniale, anche in ipotesi che non costituiscono reato (ad esempio: art. 598 cod. pen.). In primo luogo, quindi, non sussiste violazione dell'art. 32 Cost., in quanto non é esatta l'affermazione del giudice a quo, secondo il quale sarebbe l'art. 2059 cod. civ. a limitare il risarcimento per la lesione del diritto alla salute soltanto ai casi di reato. Si tratta infatti di mera norma di rinvio, da combinarsi, in ogni ipotesi di sua applicazione, con altra norma che direttamente disponga la risarcibilità del danno non patrimoniale, per cui é su quest'ultima norma che, se mai, dovrebbe appuntarsi l'attenzione, senza peraltro dimenticare che la determinazione delle figure di danno comportanti tale tipo di risarcimento resta demandata alla discrezionalità del legislatore, non sindacabile in sede di legittimità. E nemmeno sussiste la violazione dell'art. 3 Cost., avendo già la sentenza n. 87 del 1979 sottolineato la differenziazione sostanziale esistente tra il danno cagionato da reato e quello riconducibile ad un mero illecito civile.

In una successiva memoria illustrativa l'Azienda Municipalizzata Trasporti di Genova rileva poi che, nella più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, il danno alla salute viene ormai considerato come un tertium genus rispetto alle altre due categorie del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale, e la sua risarcibilità viene fatta derivare direttamente dall'art. 2043 cod. civ., senza quindi che operino le limitazioni di cui all'art. 2059 cod. civ. La sollevata questione di legittimità costituzionale non ha pertanto ragion d'essere, poiché la tutela del diritto alla salute si pone attualmente in ogni ipotesi di danno, sia derivante da reato sia da mero illecito civile. In ogni caso, l'eventuale accoglimento della questione produrrebbe una situazione "sconcertante", perché le limitazioni al risarcimento poste dall'art. 2059 cod. civ. sarebbero eliminate soltanto per i danni derivanti dalla violazione del diritto alla salute, ma non anche per quei danni non patrimoniali derivanti dalla violazione di altri diritti della personalità, inviolabili al pari del diritto alla salute, come il diritto all'onore, alla riservatezza, all'individualità, al nome, alla paternità intellettuale.

Considerato in diritto

  1. - I procedimenti proposti con le ordinanze in epigrafe, simili nel petitum e parzialmente coincidenti in ordine ai parametri di riferimento (entrambe si richiamano all'art. 32, primo comma, Cost.; l'ordinanza del Tribunale di Genova aggiunge il riferimento all'art. 3, primo comma, Cost.; l'ordinanza del Tribunale di Salerno invoca anche gli artt. 2 e 24, primo comma, Cost.) possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
  2. - Poiché le predette ordinanze chiedono la dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c., nella parte in cui prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla lesione d'un diritto costituzionalmente tutelato (salute) soltanto in conseguenza di reato, é doveroso qui esaminare quale nozione di danno non patrimoniale il diritto vivente trae dall'interpretazione dell'art. 2059 c.c. Soltanto precisando l'ambito di comprensione della predetta nozione, secondo l'esperienza della sua applicazione, é dato chiarire se, ed in quali limiti, al danno biologico sia applicabile l'art. 2059 c.c.

L'esame della legislazione e dei relativi lavori preparatori nonché della giurisprudenza e della dottrina, precedenti e successive all'emanazione del vigente codice civile, induce a ritenere che nella nozione di danno non patrimoniale, di cui all'art. 2059 c.c., vadano compresi soltanto i danni morali subiettivi.

A queste conclusioni si giunge (tenuto conto che il più rilevante dei "casi determinati dalla legge", ex art. 2059 c.c., é costituito dall'art. 185, secondo comma, c.p. e che l'espressione "danno non patrimoniale" é stata impiegata appunto in quest'ultimo articolo, prima che nell'art. 2059 c.c.) sottolineando anzitutto i "precedenti legislativi" del risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 185 c.p. e la più che esplicita dichiarazione, contenuta nella relazione ministeriale al codice penale del 1930, in ordine al mutamento della locuzione "danno morale" in quella di "danno non patrimoniale".

La prima sottolineatura va fatta ricordando che l'immediato "precedente" legislativo del risarcimento del danno non patrimoniale ex secondo comma dell'art. 185 c.p. é da rintracciarsi negli artt. 38 del codice penale del 1889 e 7 del codice di procedura penale del 1913. Questi ultimi articoli, nel prevedere la riparazione pecuniaria per alcuni reati, prescindono dalla causazione del danno (da intendersi: patrimoniale). L'art. 38 del codice penale Zanardelli recita: "Oltre alle restituzioni e al risarcimento dei danni, il giudice, per ogni delitto che offenda l'onore della persona e della famiglia, ancorché non abbia cagionato danno, può assegnare alla parte offesa, che ne faccia domanda, una somma determinata a titolo di riparazione" E l'art. 7 del codice di procedura penale del 1913, allargando l'ambito dei delitti per i quali é consentita la riparazione pecuniaria a sua volta recita: "Il reato può produrre azione civile per il risarcimento del danno e per le restituzioni. I delitti contro la persona e quelli che offendono la libertà individuale, l'onore della persona o della famiglia, l'inviolabilità del domicilio o dei segreti, anche se non abbiano cagionato danno, possono produrre azione civile per riparazione pecuniaria".

L'art. 185 c.p., al secondo comma, seguendo l'orientamento, già accolto dal codice di procedura penale del 1913, teso all'allargamento delle ipotesi di riparazione pecuniaria, estende a tutti i reati (e non soltanto ad alcuni delitti) la precitata riparazione, includendola nella generale nozione di risarcimento e definendo "non patrimoniale" il danno morale subiettivo.

La seconda sottolineatura é relativa, appunto, alle ragioni del cambiamento dell'espressione "danno morale" con quella di "danno non patrimoniale": tali ragioni vengono chiarite, in maniera inequivocabile, dalla stessa relazione ministeriale al progetto definitivo del codice penale del 1930, ove si fa riferimento, anzitutto, alla scelta operata in sede di risarcimento di danni morali ("Il carattere generale di tale principio, incompatibile con una enunciazione di casi tassativi di applicabilità, mi ha indotto a non limitare la risarcibilità del danno morale a casi particolari, come taluno aveva suggerito") e si offre, successivamente, la ragione della nuova locuzione usata per indicare il danno morale subiettivo: "Quanto alla designazione del concetto, ho creduto che la locuzione "danno non patrimoniale" sia preferibile a quella di "danno morale", tenuto conto che spesso nella terminologia corrente la locuzione di "danno morale" ha un valore equivoco e non riesce a differenziare il danno morale puro da quei danni che, sebbene abbiano radice in offese alla personalità morale, direttamente od indirettamente menomano il patrimonio".

Da ciò s'evince che, almeno nelle intenzioni del legislatore penale del 1930, il danno non patrimoniale, di cui al secondo comma dell'art. 185 c.p., costituisce l'equivalente del danno morale subiettivo e che i danni direttamente od indirettamente incidenti sul patrimonio non possono essere compresi nei danni non patrimoniali ex art. 185 c.p.

Se a tutto ciò s'aggiunge che già la dottrina precedente al 1930, contraria alla risarcibilità dei danni morali, era partita da una nozione ristretta dei medesimi ed aveva sottolineato che l'ansia, l'angoscia, le sofferenze fisiche o psichiche ecc., appunto perché effimere e non durature, non sono compensabili con equivalenti monetari e non possono, pertanto, costituire oggetto di risarcimento; se si aggiunge ancora che la giurisprudenza precedente al 1930, sensibile alle già citate critiche di una parte della dottrina, aveva finito con il ritenere esclusa, in via di principio, la risarcibilità dei danni morali subiettivi, sempre partendo da una nozione ristretta di questi ultimi, s'intende appieno l'ambito di comprensione della nozione di "danno non patrimoniale" ex art. 185 c.p.

I lavori preparatori del vigente codice civile confermano quanto ora precisato: la relazione della commissione reale al progetto del libro "Obbligazioni e contratti" definisce il danno morale "quello che in nessun modo tocca il patrimonio ma arreca solo un dolore morale alla vittima" e la relazione ministeriale al vigente codice civile così si esprime: "Circa il risarcimento dei danni cosiddetti morali, ossia circa la riparazione o compensazione indiretta di quegli effetti dell'illecito che non hanno natura patrimoniale, si é ritenuto di non estendere a tutti la risarcibilità o la compensabilità che l'art. 185 del codice penale pone soltanto per i reati". Il legislatore chiarisce, poi, le ragioni della scelta contraria all'ulteriore (rispetto a quella già operata dal codice penale del 1930) estensione della risarcibilità dei danni morali, con queste parole: "La resistenza della giurisprudenza a tale estensione può considerarsi limpida espressione della nostra coscienza giuridica. Questa avverte che soltanto nel caso di reato é più intensa l'offesa all'ordine giuridico e maggiormente sentito il bisogno di una più energica repressione con carattere anche preventivo". Dalle quali dichiarazioni si detrae che il danno non patrimoniale é un altro effetto dell'illecito (é, cioé, danno - conseguenza, al pari di quello patrimoniale) e che il risarcimento dei danni non patrimoniali persegue scopi di più intensa repressione e prevenzione, certamente estranei al risarcimento degli altri tipi di danno.

Ed é da ricordare altresì da un canto che la giurisprudenza successiva all'emanazione del vigente codice civile identifica quasi sempre il danno morale (o non patrimoniale) con l'ingiusto perturbamento dello stato d'animo del soggetto offeso e dall'altro che ancor oggi la prevalente dottrina riduce il danno non patrimoniale alla sofferenza fisica (sensazione dolorosa) o psichica.

Se, dunque, secondo il diritto vivente, l'art. 2059 c.c., che, peraltro, pone soltanto una riserva di legge, fa riferimento, con l'espressione "danno non patrimoniale", al solo danno morale subiettivo, lo stesso articolo si applica soltanto quando all'illecito civile, costituente anche reato, consegue un danno morale subiettivo.

  1. - La scelta legislativa operata con l'emanazione dell'art. 2059 c.c. (tra le opposte tesi della totale irrisarcibilità del danno morale subiettivo e della risarcibilità, in ogni caso, del medesimo) discende dall'opportunità di sanzionare in modo adeguato chi si é comportato in maniera vietata dalla legge.

Certo, ritenere che la responsabilità civile abbia carattere esclusivamente o prevalentemente sanzionatorio sarebbe oggi infondato oltreché antistorico. Ma dopo l'attenta lettura della precitata relazione ministeriale al codice civile é impossibile negare o ritenere irrazionale che la responsabilità civile da atto illecito sia in grado di provvedere non soltanto alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato ma fra l'altro, a volte, anche ed almeno in parte, ad ulteriormente prevenire e sanzionare l'illecito, come avviene appunto per la riparazione dei danni non patrimoniali da reato. Accanto alla responsabilità penale (anzi, forse meglio, insieme ed "ulteriormente" alla pena pubblica) la responsabilità civile ben può assumere compiti preventivi e sanzionatori. Né può essere vietato al legislatore ordinario, ai fini ora indicati, prescrivere, anche a parità di effetto dannoso (danno morale subiettivo) il risarcimento soltanto in relazione a fatti illeciti particolarmente qualificati e, più di altri, da prevenire ed ulteriormente sanzionare.

E per giungere a queste conclusioni non é neppur necessario aderire alla tesi che sostiene la natura di pena privata del risarcimento del danno non patrimoniale, essendo sufficiente sottolineare la non arbitrarietà d'una scelta discrezionalmente operata, nei casi più gravi, d'un particolare rafforzamento, attraverso la riparazione dei danni non patrimoniali, del carattere preventivo e sanzionatorio della responsabilità penale.

  1. - Per poter distinguere il danno biologico dai danni morali subiettivi, come dai danni patrimoniali in senso stretto, occorre chiarire la struttura del fatto realizzativo della menomazione dell'integrità bio - psichica del soggetto offeso.

Ed a tal fine va premessa la distinzione tra evento dannoso o pericoloso, al quale appartiene il danno biologico, e danno - conseguenza, al quale appartengono il danno morale subiettivo ed il danno patrimoniale.

Vale, infatti, distinguere da un canto il fatto costitutivo dell'illecito civile extracontrattuale e dall'altro le conseguenze, in senso proprio, dannose del fatto stesso. Quest'ultimo si compone, oltrecché del comportamento (l'illecito é, anzitutto, atto) anche dell'evento e del nesso di causalità che lega il comportamento all'evento. Ogni danno é, in senso ampio, conseguenza: anche l'evento dannoso o pericoloso é, infatti, conseguenza dell'atto, del comportamento illecito. Tuttavia, vale distinguere, anche in diritto privato (specie a seguito del riconoscimento di diritti, inviolabili costituzionalmente, validi anche nei rapporti tra privati) l'evento materiale, naturalistico, che, pur essendo conseguenza del comportamento, é momento od aspetto costitutivo del fatto, dalle conseguenze dannose, in senso proprio, di quest'ultimo, legate all'intero fatto illecito (e quindi anche all'evento) da un ulteriore nesso di causalità. Non esiste comportamento senza evento: il primo é momento dinamico ed il secondo momento statico del fatto costitutivo dell'illecito. Da quest'ultimo vanno nettamente distinte le conseguenze, in senso proprio, del fatto, dell'intero fatto illecito, causalmente connesse al medesimo da un secondo nesso di causalità.

Il danno biologico costituisce l'evento del fatto lesivo della salute mentre il danno morale subiettivo (ed il danno patrimoniale) appartengono alla categoria del danno - conseguenza in senso stretto.

La menomazione dell'integrità psico - fisica dell'offeso, che trasforma in patologica la stessa fisiologica integrità (e che non é per nulla equiparabile al momentaneo, tendenzialmente transeunte, turbamento psicologico del danno morale subiettivo) costituisce l'evento (da provare in ogni caso) interno al fatto illecito, legato da un canto all'altra componente interna del fatto, il comportamento, da un nesso di causalità e dall'altro, alla (eventuale) componente esterna, danno morale subiettivo (o danno patrimoniale) da altro, diverso, ulteriore rapporto di causalità materiale. In senso largo, dunque, anche l'evento - menomazione dell'integrità fisio - psichica del soggetto offeso, é conseguenza ma tale é rispetto al comportamento mentre a sua volta é causa (ove in concreto esistano) delle ulteriori conseguenze, in senso proprio, dell'intero fatto illecito, conseguenze morali subiettive o patrimoniali.

Il danno morale subiettivo, che si sostanzia nel transeunte turbamento psicologico del soggetto offeso, é danno - conseguenza, in senso proprio, del fatto illecito lesivo della salute e costituisce, quando esiste, condizione di risarcibilità del medesimo; il danno biologico é, invece, l'evento, interno al fatto lesivo della salute, deve necessariamente esistere ed essere provato, non potendosi avere rilevanza delle eventuali conseguenze esterne all'intero fatto (morali o patrimoniali) senza la completa realizzazione di quest'ultimo, ivi compreso, ovviamente, l'evento della menomazione dell'integrità psico - fisica del soggetto offeso.

Il danno - biologico (o fisiologico) é danno specifico, é un tipo di danno, identificandosi con un tipo di evento. Il danno morale subiettivo é, invece, un genere di danno - conseguenza, che può derivare da una serie numerosa di tipi di evento; così come genere di danno - conseguenza, condizione obiettiva di risarcibilità, é il danno patrimoniale, che, a sua volta, può derivare da diversi eventi tipici.

  1. - Nel distinguere il danno biologico dal danno morale subiettivo sono state poste anche le premesse per un'individuazione precisa dei contenuti semantici delle varie espressioni usate in materia dalla giurisprudenza e dalla dottrina.

Per la precisione: possono essere indifferentemente usate (come fa la giurisprudenza) le espressioni "danno biologico" e "danno fisiologico", giacché entrambe pongono l'accento sull'evento, naturalistico, interno alla struttura del fatto lesivo della salute. Certo, ove s'intenda anche quest'ultima come naturalistica condizione d'integrità psico - fisica del soggetto offeso, la locuzione "danno alla salute" é equivalente alle precedenti espressioni.

Senonché, come é stato già osservato, il termine salute evoca, in questa sede, primieramente il bene giuridico, costituzionalmente tutelato dall'art. 32 Cost., ed offeso dal fatto realizzativo della menomazione dell'integrità psico - fisica del soggetto passivo. In questo senso, la lesione della salute, del bene - giuridico salute, é l'intrinseca antigiuridicità obiettiva del danno biologico o fisiologico: essa appartiene ad una dimensione valutativa, distinta da quella naturalistica, alla quale invece fanno riferimento le locuzioni "danno biologico" e "danno fisiologico". D'altra parte, la menomazione dell'integrità psico - fisica del soggetto é, come si é innanzi precisato, evento, naturalistico, effettivo, da provare in ogni caso; la lesione giuridica al bene salute si concreta, invece, nel momento stesso in cui si realizza, in interezza, il fatto costitutivo dell'illecito; e non va provato, come la giurisprudenza insegna, che la menomazione bio - psichica del soggetto offeso in concreto abbia impedito le manifestazioni, le attività extralavorative non retribuite, ordinarie che, accanto alle attività lavorative retribuite, esprimono, realizzandola, la salute in senso fisio - psichico.

L, pertanto, innanzi tutto, più corretto parlare di "lesione della salute" (e cioé del bene giuridico - salute, costituzionalmente garantito) e non di "danno alla salute", lasciando al termine "danno" l'accezione naturalistica che di regola, assume in sede privatistica. Tale lesione, come si é detto, é l'essenza antigiuridica dell'intero fatto realizzativo del danno biologico. Se, peraltro, si desideri continuare a parlare di "danno alla salute" occorre, per evitare equivoci, precisare che, con tale locuzione, o si usa il termine salute nel significato naturalistico d'integrità fisio - psichica del soggetto offeso (ed in questo caso danno alla salute é il perfetto equivalente di "danno biologico" o di "danno fisiologico") oppure si usa il termine salute nella dimensione giuridico - costituzionale innanzi indicata, di bene giuridico, ed in tal caso il "danno alla salute" é un danno giuridicamente valutato, costituente l'essenza antigiuridica dell'intero fatto illecito, danno presunto, se é vero che non va provato alcun effettivo impedimento delle attività realizzative del soggetto offeso.

  1. - Tenuto conto di quanto ora precisato, mentre il danno biologico risulta nettamente distinto dal danno morale subiettivo, ben può applicarsi l'art. 2059 c.c., ove dal primo (e cioé dalla lesione alla salute) derivi, come conseguenza ulteriore (rispetto all'evento della menomazione delle condizioni psico - fisiche del soggetto offeso) un danno morale subiettivo.

Ciò sempreché il fatto realizzativo del danno biologico costituisca anche reato.

  1. - Se nell'ordinamento non esistessero altre norme o non fossero rinvenibili altri principi relativi al danno biologico e, pertanto, quest'ultimo fosse risarcibile solo ai sensi dell'art. 2059 c.c. e cioé, salve pochissime altre ipotesi, soltanto nel caso che il fatto costituisca (anche) reato e relativamente ai soli (conseguenti) danni morali subiettivi, si porrebbe certamente il problema della costituzionalità dell'art. 2059 c.c. Come lo stesso problema si porrebbe ove, allargando l'ambito di comprensione della nozione di danno non patrimoniale, fino ad includere nella medesima ogni tipo di lesione d'un bene non patrimoniale, si ritenesse che il risarcimento del danno alla salute fosse riconducibile esclusivamente al combinato disposto degli artt. 2059 c.c. e 185, secondo comma, c.p. L'art.32 Cost., come si preciserà meglio oltre, verrebbe vanificato da una normativa ordinaria che riconducesse il danno alla salute ai soli artt. 2059 c.c. e 185 c.p.
  2. - Esiste, tuttavia, certamente, altra strada per adeguatamente soddisfare le esigenze poste dalla giurisprudenza in ordine al danno biologico.

Va, tuttavia, in particolare, rilevato che gravi problemi nascono, nel momento in cui le prevalenti giurisprudenza e dottrina riconducono il danno biologico all'art. 2043 c.c. La scelta legislativa di cui all'art. 2059 c.c. getta luce (od ombre) sull'art. 2043 c.c.: non ci si può, infatti, senza necessari approfondimenti, sbarazzare della scelta legislativa chiaramente espressa dall'art. 2059 c.c. e ricondurre senz'altro all'art. 2043 c.c. il risarcimento del danno biologico.

  1. - Il problema dei rapporti, in tema di responsabilità civile extracontrattuale, tra una norma generale ed una particolare, relativa (quest'ultima) al danno morale subiettivo, si pose, in tempi anteriori al vigente codice civile e, pertanto, prima dell'emanazione dell'art. 2059 c.c., tra l'art. 1151 dell'abrogato codice civile e la riparazione pecuniaria, di cui ai già citati artt. 38 del codice penale del 1889 e 7 del codice di procedura penale del 1913. Si pose, dopo il 1930 e prima del 1942, il quesito se l'obbligo di risarcire i danni morali (e non patrimoniali) trovasse la sua ragion d'essere nel principio generale stabilito dall'art. 1151 dell'allora vigente codice civile o soltanto nell'art. 185, secondo comma, c.p. Si chiarì, da autorevole dottrina, che, essendo il principio generale del risarcimento del danno sancito dal precitato art. 1151 c.c. e, comprendendo concettualmente tale danno sia il danno patrimoniale sia quello non patrimoniale, il risarcimento di quest'ultimo discendeva appunto dall'art. 1151 c.c. Si aggiunse essere stata la riparazione pecuniaria (immediato precedente dell'art. 2059 c.c.) di cui agli artt. 38 del codice penale del 1889 e 7 del codice di procedura penale del 1913 (provvedendo essa alla riparazione dei danni morali) a sottrarre questi ultimi dalla comprensione dell'art. 1151 c.c. e, pertanto, a ridurre l'applicabilità dello stesso articolo al solo risarcimento del danno patrimoniale; con l'emanazione del vigente codice penale, riferendosi l'art. 185 c.p. a tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, ed essendo stata abrogata la riparazione pecuniaria, il più volte citato art. 1151 c.c., secondo la ricordata dottrina, aveva ripreso l'estensibilità di cui era capace, riferendosi a tutte le specie di danni.

Certo, anche il vigente art. 2043 c.c. (che corrisponde all'art. 1151 dell'abrogato c.c.) ove non esistesse altra disposizione relativa ai danni non patrimoniali (a parte, per un momento, il sistema di cui al titolo IX del libro IV del c.c.) potrebbe ritenersi estensibile a tutte le specie di danni: ma l'art. 2059 c.c., operando una precisa scelta, sancendo che i danni non patrimoniali, corrispondenti ai soli danni morali subiettivi, vanno risarciti in ben precisati limiti e cioé solo nei casi determinati dalla legge, non soltanto esclude, almeno nelle intenzioni del legislatore del 1942, la risarcibilità di altri danni non patrimoniali ma sottrae questi ultimi alla comprensione dell'art. 2043 c.c. Se a ciò s'aggiunge il sistema del titolo IX del libro IV del codice civile, s'intende appieno che l'interpretazione letterale del solo art. 2043 c.c. non può, senza approfondite considerazioni, tranquillizzare in ordine al riferimento al danno biologico, che lede pur sempre un bene immateriale, dell'articolo in discussione.

  1. - Gli sforzi della dottrina e della giurisprudenza, ai fini d'inquadramento sistematico del danno biologico, si sono infatti, coerentemente orientati verso una lettura dell'art. 2043 c.c. diversa da quella tradizionale: il problema del danno biologico si é, in definitiva, risolto nel problema d'una particolare lettura dell'art. 2043 c.c. Soltanto la tesi (oggi, peraltro, quasi del tutto respinta) secondo la quale, poiché l'integrità psico - fisica dell'uomo é sempre impiegata per realizzare attività volte all'acquisizione od alla conservazione di beni patrimoniali, la stessa integrità costituisce bene patrimoniale e, conseguentemente, ogni riduzione della medesima realizza un deficit patrimoniale, lascia inalterata la lettura tradizionale dell'art. 2043 c.c. Allorché, invece, si é sostenuto rientrare il danno biologico nella categoria dei danni economici (questi sarebbero caratterizzati dall'obiettiva e diretta valutabilità in danaro) ed allorché si é assunto che lo stesso danno consiste nell'effetto dannoso della lesione dell'integrità psico - fisica del soggetto offeso, che rende il medesimo incapace, anche solo in parte, di ricevere utilità dalla propria attività o dal mondo esterno, si é offerta, in definitiva, nel sottoporre a revisione la nozione di danno, una lettura dell'art. 2043 c.c. diversa da quella tradizionale.
  2. - Sennonché, soltanto il collegamento tra l'art. 32 Cost. e l'art. 2043 c.c., come si dirà meglio oltre, imponendo una lettura "costituzionale" di quest'ultimo articolo, consente di interpretarlo come comprendente il risarcimento, in ogni caso, del danno biologico: é la lettura "costituzionale" dello stesso articolo, correlato con l'art. 32 Cost., che soddisfa le esigenze sottostanti a tutte le tesi proposte in materia.

Va, intanto, precisato che in questo giudizio é stato invocato l'art. 32, primo comma, Cost., quale parametro di riferimento delle questioni di costituzionalità relative all'art. 2059 c.c. (nell'ordinanza del Tribunale di Padova, promotrice del procedimento concluso con sentenza di questa Corte n. 87 del 26 luglio 1979, erano stati invocati, invece, quale fondamento della richiesta dichiarazione d'incostituzionalità dello stesso art. 2059 c.c., gli artt. 3 e 24 Cost.) e che, conseguentemente, soltanto in questo giudizio, e non in quello concluso con la predetta sentenza, é consentito (e doveroso) rivolgere particolare attenzione all'art. 32, primo comma, Cost.

D'altra parte, da un canto la sentenza ora citata, nel dichiarare rientrante nella discrezionalità del legislatore adottare trattamenti differenziati in relazione alle differenti situazioni, per presupposti e gravità, del fatto costituente reato e del fatto dannoso integrante esclusivamente illecito civile, esclude dalla predetta discrezionalità le "situazioni soggettive costituzionalmente garantite", dall'altro, la sentenza di questa Corte n. 88 del 1979, nel riaffermare che il bene afferente alla salute é tutelato, come diritto fondamentale della persona, direttamente dalla Costituzione, dichiara che la violazione di tal diritto, nel costituire illecito civile, determina, per sé, il sorgere dell'obbligazione riparatoria.

La lettera del primo comma dell'art. 32 Cost., che non a caso fa precedere il fondamentale diritto della persona umana alla salute all'interesse della collettività alla medesima, ed i precedenti giurisprudenziali, inducono a ritenere sicuramente superata l'originaria lettura in chiave esclusivamente pubblicistica del dettato costituzionale in materia.

  1. - Il riconoscimento del diritto alla salute come diritto pienamente operante anche nei rapporti di diritto privato, non é senza conseguenza in ordine ai collegamenti tra lo stesso art. 32, primo comma, Cost. e l'art. 2043 c.c.

L'art. 2043 c.c. é una sorta di "norma in bianco": mentre nello stesso articolo é espressamente e chiaramente indicata l'obbligazione risarcitoria, che consegue al fatto doloso o colposo, non sono individuati i beni giuridici la cui lesione é vietata: l'illiceità oggettiva del fatto, che condiziona il sorgere dell'obbligazione risarcitoria, viene indicata unicamente attraverso l'"ingiustizia" del danno prodotto dall'illecito. É stato affermato, quasi all'inizio di questo secolo (l'osservazione era riferita all'art. 1151 dell'abrogato codice civile ma vale, ovviamente, anche per il vigente art. 2043 c.c.) che l'articolo in esame "contiene una norma giuridica secondaria, la cui applicazione suppone l'esistenza d'una norma giuridica primaria, perché non fa che statuire le conseguenze dell'iniuria, dell'atto contra ius, cioé della violazione della norma di diritto obiettivo".

Il riconoscimento del diritto alla salute, come fondamentale diritto della persona umana, comporta il riconoscimento che l'art. 32 Cost. integra l'art. 2043 c.c., completandone il precetto primario.

É il collegamento tra gli artt. 32 Cost. e 2043 c.c. che ha permesso a questa Corte d'affermare che, dovendosi il diritto alla salute certamente ricomprendere tra le posizioni subiettive tutelate dalla Costituzione, "non sembra dubbia la sussistenza dell'illecito, con conseguente obbligo della riparazione, in caso di violazione del diritto stesso". L'ingiustizia del danno biologico e la conseguente sua risarcibilità discendono direttamente dal collegamento tra gli artt. 32, primo comma, Cost. e 2043 c.c.; più precisamente dall'integrazione di quest'ultima disposizione con la prima.

  1. - Senonché, leggendo l'art. 2043 c.c. nel sistema dell'intero titolo IX del libro IV del codice civile, il danno biologico dovrebbe ritenersi risarcibile soltanto quando il medesimo produca danni patrimoniali, comunque intesi.

É ben vero che l'interpretazione letterale del solo art. 2043 c.c., che non menziona la patrimonialità delle conseguenze dannose risarcibili ma fa espresso riferimento esclusivamente all'ingiustizia del danno, potrebbe condurre, come ha sostenuto una parte della giurisprudenza, a ritenere il danno biologico rientrante, quale species, nel genus "danno ingiusto": l'interpretazione letterale del solo art. 2043 c.c. non può, tuttavia, prevalere sull'interpretazione sistematica dello stesso articolo, nel quadro dell'intero titolo IX del libro IV del codice civile.

Ed é per queste ragioni che ad altra parte della dottrina e della giurisprudenza non é restato che allargare la nozione di danno ex art. 2043 c.c., fino a comprendere tutte le menomazioni direttamente ed obiettivamente valutabili in danaro (e quindi anche il danno biologico) oppure assumere quest'ultimo come comprensivo di tutti i pregiudizi che riducono la capacità del soggetto a produrre e ricevere utilità derivanti dalla sua attività o dal mondo esterno.

Tuttavia, il danno biologico, come s'è già avvertito, é, in ogni caso, un tipo di fatto (menomazione dell'integrità psico - fisica del soggetto) ed un tipo di lesione della salute, sempre presente, nel doloso o colposo illecito realizzativo della predetta menomazione. Tale tipo di fatto e di lesione non vanno in alcun modo confusi con l'eventuale presenza, in concreto, di danni patrimoniali od economici, conseguenti al fatto ed alla lesione ora specificati. Basterebbe, ancora una volta, ribadire che uno speciale tipo di danno ed uno specifico bene tutelato, leso da un fatto tipico (la predetta menomazione) non possono confondersi con una categoria generale di danni che conseguono, eventualmente (ed in ogni caso devono esser provati) al danno biologico, sempre presente, invece, nella predetta menomazione e sempre lesivo, senza bisogno di alcuna prova, del bene - giuridico salute.

Certo, la lesione della salute non coincide con la lesione di un arto o, in generale, dell'integrità fisio - psichica, per sé considerata (si é già avvertito che tale lesione é l'evento naturalistico del fatto offensivo del bene giuridicamente tutelato - salute: e l'evento naturalistico, per sé, avulso dal significato giuridico dell'intero fatto, del quale é elemento, non ha significato). Ma non é neppur vero che la lesione dell'arto o della generale integrità bio - psichica venga perseguita, attraverso il risarcimento ex art. 2043 c.c., solo se e nei limiti in cui rende, in concreto, il soggetto passivo dell'illecito incapace, in tutto od in parte, di produrre o ricevere le utilità derivanti dal mondo esterno o dalla sua attività. E l'ingiustizia (lesione del diritto alla salute) insita nel fatto menomativo dell'integrità bio - psichica, il fondamento giuridico del risarcimento del danno biologico ed eventualmente, ove esistano, anche di altre conseguenze dannose. Non é, l'esistenza, in concreto, di conseguenze dannose (quali che siano) a costituire il fondamento dell'ingiustizia del fatto illecito e, pertanto, anche della menomazione bio - psichica. In tanto le ulteriori (oltre l'evento) conseguenze dannose sono rilevanti e risarcibili in quanto, prima, già esiste un'ingiustizia dell'illecito (determinata dalla violazione della norma primaria desunta dal combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c.) ed una lesione, presunta, del bene - giuridico salute.

  1. - Né vale sostenere che, allorché s'identifichi il danno con l'illecito, il risarcimento perde la sua funzione risarcitoria per assumere la natura di pena privata. Anzitutto, il danno non s'identifica con l'illecito; questo (che, peraltro naturalisticamente considerato, non ha il benché minimo significato) intanto sostanzia e concreta la lesione al bene giuridico - salute in quanto é oggettivamente antigiuridico, é in contrasto con il divieto primario (di cui al combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c.) che lo investe d'un autonomo disvalore giuridico.

Precipuo compito della norma di diritto privato é, appunto, la tutela di tipici beni, di specifici interessi, costituenti l'oggetto garantito dal predetto divieto primario. Si osservi: antiche, consolidate indagini di teoria generale, nel distinguere l'illecito civile extracontrattuale dagli illeciti di diritto pubblico, hanno sostenuto che, violando sempre il fatto antigiuridico un duplice ordine di interessi, immediati (diretti) e mediati (indiretti), l'illecito civile extracontrattuale viene considerato dall'ordinamento soprattutto in funzione della lesione di interessi immediati (oggetto sostanziale specifico: ad esempio, nel nostro caso, la salute, come bene del privato) a differenza dell'illecito di diritto pubblico, riguardato dallo stesso ordinamento precipuamente in funzione della lesione di interessi mediati (danno o pericolo sociali ecc.). Ed allorché il fatto oggettivamente antigiuridico costituisce anche reato, la doppia conseguenza giuridica é il più evidente segno del diverso profilo dal quale viene considerato il medesimo illecito: come precipuamente lesivo dell'interesse specifico immediato o come principalmente lesivo di interessi sociali indiretti. Il risarcimento del danno, sanzione riparatoria (appartenente alla categoria delle sanzioni esecutive del precetto primario) tendendo a ripristinare l'equilibrio tra gli interessi privati in gioco, segue alla violazione della norma di diritto privato e, pertanto, soprattutto alla lesione dell'oggetto specifico, immediatamente garantito dalla stessa norma; la pena (appartenente alla categoria delle sanzioni punitive, nettamente distinte dalle esecutive), tendendo, invece, a principalmente rieducare il reo od a riaffermare l'autorità statale ed a prevenire i pericoli sociali indiretti (recidiva, vendetta privata ecc.) consegue alla violazione della norma di diritto penale e, pertanto, soprattutto, alla lesione degli oggetti giuridici mediati, garantiti precipuamente dalla norma penale.

É si ripete, prevalente scopo del divieto primario, in sede di responsabilità civile extracontrattuale, garantire i beni immediati, specifici, tipicamente individuati dal medesimo: nella specie, la salute come bene individuale del privato, a parte i conseguenti, eventuali danni patrimoniali.

Certo, la strada per rileggere tutto il sistema del codice civile alla luce della Costituzione e per ricondurre l'illecito civile, pur nelle innegabili specificità, ai principi generali dell'illecito giuridico é, forse, ancora lunga: le teorie e la giurisprudenza che allargano l'ambito di operatività dell'art. 2043 c.c. ai danni economici (misurabili direttamente ed obiettivamente in moneta) che comprendono ma non esauriscono i danni patrimoniali in senso stretto o che si riferiscono all'incidenza del danno biologico sulle attività extralavorative non retributive, meritano, nella previsione di tale strada, particolare attenzione.

  1. - Va, infatti, riconosciuto che, pur essendo, come s'è detto, il danno biologico nettamente distinto dal danno patrimoniale od economico; pur assumendo un ruolo autonomo sia in relazione al lucro cessante da invalidità lavorativa (temporanea o permanente) in concreto incidente sulla capacità di guadagno del danneggiato sia nei confronti del danno morale in senso stretto; pur essendo sempre presente nell'avvenuta menomazione psico - fisica, e sempre risarcito, a differenza delle due voci (eventuali) del (predetto) lucro cessante e del danno morale subiettivo; da una parte il risarcimento del danno biologico costituisce un primo, essenziale, prioritario risarcimento, che ne condiziona ogni altro e, pertanto, anche quello del preindicato lucro cessante (non vi può esser risarcimento di danni patrimoniali derivanti da fatto illecito lesivo della salute senza il necessariamente preliminare risarcimento del danno biologico); e dall'altra parte, la ragione per la quale é vietato causare menomazioni dell'integrità psico - fisica (ossia la tutela delle manifestazioni della vita ordinaria, del soggetto passivo del fatto, sia lavorativa che extralavorativa) é quella stessa che fonda la risarcibilità del danno patrimoniale Una sola é, invero, la ratio del combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c.
  2. - Va a questo punto, tuttavia, sottolineato che l'attenzione al solo art. 2043 c.c., anche in una lettura aggiornata, secondo nuove nozioni di danno economico e di patrimonio, non sembra sufficiente a rendere piena efficacia all'art. 32 Cost. ed ai nuovi valori prospettati dalla Costituzione. Il combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c. importa una rilettura costituzionale di tutto il sistema codicistico dell'illecito civile.

L'interpretazione giudiziaria ha già iniziato la revisione di alcune nozioni tradizionali; dall'esperienza giudiziaria sono nati il danno alla vita di relazione, il danno alla sfera sessuale, il danno estetico non concretamente incidente sulla capacità di guadagno, ecc. e sono state prese in considerazione, ad esempio, le ipotesi di piccole invalidità permanenti non influenti sul reddito del soggetto nonché quelle relative a periodi di malattia temporanea durante la quale il lavoratore ha continuato a percepire l'intera retribuzione. Tutto ciò ha costituito l'immediato "precedente" giurisprudenziale del danno biologico.

Il fatto che le esigenze innovatrici siano partite dall'esperienza, ispirata ai valori, personali, esplicitamente garantiti dalla Carta costituzionale, é garanzia di verità delle medesime, anche se lasciano ancora la dottrina incerta in ordine alla strada da intraprendere per raggiungere l'esatta risposta alle stesse esigenze.

  1. - Ed é appunto il clima creato dalla Costituzione che rende necessario ricondurre l'illecito civile ai principi ed alle regole della teoria generale dell'illecito.

In tempi nei quali non erano prospettate ipotesi di specifici interessi garantiti anche nei rapporti tra privati, ritenendosi il danno ex art. 2043 c.c. limitato al danno emergente ed al lucro cessante (e cioé alla lesione direttamente od indirettamente incidente sul patrimonio del danneggiato) si é individuato un principio, valido in sede di responsabilità extracontrattuale, secondo il quale il danno si sostanzia esclusivamente nelle conseguenze patrimoniali (e non) dell'illecito. Gli interessi sostanziali, a tutela dei quali s'impone l'obbligazione risarcitoria, passavano in secondo piano: nessuno avvertiva il bisogno d'esplicitarli; e, data, da un canto, la conclamata atipicità dell'illecito civile e dall'altro la facilità della prova del danno emergente e del lucro cessante, ogni indagine s'incentrava sull'obbligazione risarcitoria d'un danno patrimoniale (o non) comunque da provare, di volta in volta, conseguente all'illecito.

Venute, invece, in rilievo esigenze di tutela, anche in sede di diritto privato, di specifici valori, determinati soprattutto dalla vigente Costituzione, valori personali, prioritari, non tutelabili, neppure in sede di diritto privato, soltanto in funzione dei danni patrimoniali (e non) conseguenti all'illecito, occorre fare un passo ulteriore, rompere lo schema dell'esistenza, in tema di responsabilità civile extracontrattuale, soltanto di danni - conseguenze, in senso stretto, e incentrando l'attenzione sul divieto primario violato dall'illecito extracontrattuale (e in particolare sui valori tutelati, lesi da quest'ultimo) chiarire gli effetti che il bene tutelato dal divieto primario opera sul precetto secondario del risarcimento del danno. É la natura (il valore, il significato giuridico) del bene garantito che, riverberandosi sul precetto secondario, lo condiziona, sottraendolo, ove del caso, ad arbitrarie determinazioni del legislatore ordinario.

  1. - Va dato atto ad una parte autorevole della dottrina d'aver intuito che, anche se l'art. 32 Cost. non contempla espressamente il risarcimento, in ogni caso, del danno biologico, é dallo stesso articolo che può desumersi, in considerazione dell'importanza dell'enunciazione costituzionale del diritto alla salute come diritto fondamentale del privato, la difesa giuridica che tuteli nella forma risarcitoria il bene della salute personale.

Ciò non é, tuttavia, riferibile alla norma di cui all'art. 2059 c.c. (stante l'interpretazione limitativa che, come si é ricordato, il diritto vivente dà di quest'ultimo articolo) ma va ricondotto alla norma risultante dal combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c., giacché lo stesso diritto vivente quest'ultimo articolo ritiene, direttamente od indirettamente, applicabile al risarcimento del danno biologico.

V'é da sottolineare che, mentre chi ritiene direttamente applicabile al danno biologico l'art. 2043 c.c., non affronta la problematica relativa all'interpretazione dello stesso articolo alla luce del sistema di cui al titolo IX del libro IV del codice civile, e, fermandosi, alla sola interpretazione letterale dell'articolo in esame, riconduce, come s'é rilevato, al genere "danno ingiusto" anche la specie "danno biologico", chi, invece, é dell'avviso che né l'art. 2059 c.c. né l'art. 2043 c.c. siano direttamente applicabili al risarcimento del danno biologico, ravvisa nel sistema della legislazione civile un principio generale costituito dalla previsione d'una sanzione risarcitoria come conseguenza della lesione d'una situazione giuridica subiettiva e, pertanto, applica l'art. 2043 c.c., espressione anch'esso di tal principio, al danno biologico per analogia iuris.

Va qui, a parte ogni altra considerazione, in ogni caso rimarcato che é l'art. 32 Cost. che, collegato all'art. 2043 c.c., fa sì che quest'ultimo non possa essere interpretato come applicantesi esclusivamente al danno patrimoniale od al danno economico derivanti dalla menomazione psico - fisica: questi danni, come si é notato, sono soltanto ulteriori ed eventuali conseguenze della lesione del bene - giuridico salute, prodotta dall'intero fatto lesivo, compreso, ovviamente, l'evento della menomazione bio - psichica.

Poiché, come si é già notato, l'art. 2043 c.c., a parte l'indicazione della iniuria, attiene a conseguenze sanzionatorie di un illecito e poiché la sanzione deve esser adeguata a quest'ultimo ed idonea a validamente compensare l'offesa al bene tutelato, realizzata dall'illecito stesso, l'articolo in esame va correlato alla disposizione che prevede il bene giuridico tutelato attraverso la posizione del divieto primario.

L'art. 2043 c.c., correlato ad articoli che garantiscono beni patrimoniali, non può che esser letto come tendente a disporre il solo risarcimento dei danni patrimoniali (in senso stretto): é per questi motivi che, essendo il diritto privato orientato per il passato, almeno prevalentemente, alla tutela di beni patrimoniali, lo stesso articolo é stato dal legislatore volto alla tutela di soli beni patrimoniali e dalla dottrina letto nel senso voluto dal legislatore del 1942.

La vigente Costituzione, garantendo principalmente valori personali, svela che l'art. 2043 c.c. va posto soprattutto in correlazione agli articoli dalla Carta fondamentale (che tutelano i predetti valori) e che, pertanto, va letto in modo idealmente idoneo a compensare il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa dell'illecito. L'art. 2043 c.c., correlato all'art. 32 Cost., va, necessariamente esteso fino a comprendere il risarcimento, non solo dei danni in senso stretto patrimoniali ma (esclusi, per le ragioni già indicate, i danni morali subiettivi) tutti i danni che, almeno potenzialmente, ostacolano le attività realizzatrici della persona umana. Ed é questo il profondo significato innovativo della richiesta di autonomo risarcimento, in ogni caso, del danno biologico: tale richiesta contiene un implicito, ma ineludibile, invito ad una particolare attenzione alla norma primaria, la cui violazione fonda il risarcimento ex art. 2043 c.c., al contenuto dell'iniuria, di cui allo stesso articolo, ed alla comprensione (non più limitata, quindi, alla garanzia di soli beni patrimoniali) del risarcimento della lesione di beni e valori personali.

  1. - Se é vero che l'art. 32 Cost. tutela la salute come diritto fondamentale del privato, e se é vero che tale diritto é primario e pienamente operante anche nei rapporti tra privati, allo stesso modo come non sono configurabili limiti alla risarcibilità del danno biologico, quali quelli posti dall'art. 2059 c.c., non é ipotizzabile limite alla risarcibilità dello stesso danno, per sé considerato, ex art. 2043 c.c.

Il risarcimento del danno ex art. 2043 é sanzione esecutiva del precetto primario: ed é la minima (a parte il risarcimento ex art. 2058 c.c.) delle sanzioni che l'ordinamento appresta per la tutela d'un interesse

Quand'anche si sostenesse che il riconoscimento, in un determinato ramo dell'ordinamento, d'un diritto subiettivo non esclude che siano posti limiti alla sua tutela risarcitoria (disponendosi ad esempio che non la lesione di quel diritto, per sé, sia risarcibile ma la medesima purché conseguano danni di un certo genere) va energicamente sottolineato che ciò, in ogni caso, non può accadere per i diritti e gli interessi dalla Costituzione dichiarati fondamentali. Il legislatore ordinario, rifiutando la tutela risarcitoria (minima) a seguito della violazione del diritto costituzionalmente dichiarato fondamentale, non lo tutelerebbe affatto, almeno nei casi esclusi dalla predetta tutela. La solenne dichiarazione della Costituzione si ridurrebbe ad una lustra, nelle ipotesi escluse dalla tutela risarcitoria: il legislatore ordinario rimarrebbe arbitro dell'effettività della predetta dichiarazione costituzionale. Con l'aggravante che, mentre il combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c. porrebbe il divieto primario, generale, di ledere la salute, il fatto lesivo della medesima, per il quale non é previsto dalla legge ordinaria il risarcimento del danno, o, assurdamente, impedirebbe al precetto primario d'applicarsi (il risarcimento del danno rientra, infatti, nelle sanzioni che la dottrina definisce esecutive) o dovrebbe ritenersi giuridicamente del tutto irrilevante.

Dalla correlazione tra gli artt. 32 Cost. e 2043 c.c., é posta, dunque, una norma che, per volontà della Costituzione, non può limitare in alcun modo il risarcimento del danno biologico.

  1. - Un'ultima osservazione: alle conclusioni ora indicate si può opporre il timore d'un'eccessiva uniformità di determinazione e liquidazione del danno biologico.

Va precisato che non si é inteso qui proporre un'assolutamente indifferenziata, per identiche lesioni, determinazione e liquidazione di danni: ed in proposito é da ricordare la recente giurisprudenza di merito che assume il predetto criterio liquidativo dover risultare rispondente da un lato ad un'uniformità pecuniaria di base (lo stesso tipo di lesione non può essere valutato in maniera del tutto diversa da soggetto a soggetto: é, infatti, la lesione, in sé e per sé considerata, che rileva, in quanto pregna del disvalore giuridico attribuito alla medesima dal divieto primario ex artt. 32 Cost. e 2043 c.c.) e dall'altro ad elasticità e flessibilità, per adeguare la liquidazione del caso di specie all'effettiva incidenza dell'accertata menomazione sulle attività della vita quotidiana, attraverso le quali, in concreto, si manifesta l'efficienza psico - fisica del soggetto danneggiato.

  1. - La precedente disamina conduce a ribadire conclusivamente che, oltre alla voce relativa al risarcimento, per sé, del danno biologico, ove si verifichino, a seguito del fatto lesivo della salute, anche danni - conseguenze di carattere patrimoniale (esempio lucro cessante) anch'essi vanno risarciti, con altra autonoma voce, ex artt. 32 Cost. e 2043 c.c. Così, ove dal fatto in discussione derivino danni morali, subiettivi, i medesimi, in presenza, nel fatto, anche dei caratteri del reato, vanno risarciti ex art. 2059 c.c.

Il cumulo tra le tre voci di danno, pur generando pericoli di sperequazioni (i soggetti che percepiscono un attuale reddito lavorativo hanno diritto a richiedere una voce di danno in più) dovrebbe consigliare cautela nella liquidazione dei danni in esame, onde evitare da un canto duplicazioni risarcitorie e dall'altro gravi sperequazioni nei casi concreti.

  1. - Tutto quanto innanzi rilevato chiarisce, che, pur partendo da diverse interpretazioni dell'art. 2043 c.c., la giurisprudenza e la dottrina, nella assoluta maggioranza, non soltanto ritengono il danno biologico compreso e disciplinato dal predetto articolo ma indicano in quest'ultimo la disposizione, di carattere generale, che consente la risarcibilità, senza alcuna limitazione, del precitato danno. Non v'é dubbio, pertanto, che i risultati ai quali pervengono le prevalenti giurisprudenza e dottrina, dalle pur diverse interpretazioni dell'art. 2043 c.c., coincidono; e non v'é dubbio, pertanto, che esiste, in materia, un diritto vivente al quale questa Corte si richiama.

Le precisazioni qui offerte in ordine alle norme, primaria e secondaria, che si ricavano, nel vigente sistema desunto anche dalle disposizioni costituzionali, dal combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c. conducono agli stessi risultati.

Poiché le ordinanze di rimessione chiedono la dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c., nella parte in cui prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla lesione del diritto alla salute soltanto in conseguenza di reato; poiché qui si é preso atto del diritto vivente, per il quale l'art. 2059 c.c. attiene esclusivamente ai danni morali subiettivi e non esclude che altre disposizioni prevedano la risarcibilità, in ogni caso, del danno biologico, per sé considerato; poiché lo stesso diritto vivente individua nell'art. 2043 c.c., in relazione all'art. 32 Cost., la disposizione che disciplina la risarcibilità, per sé, in ogni caso, del danno biologico; mentre va dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale, così come prospettata, dell'art. 2059 c.c., va dato atto che il combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c., consente la risarcibilità, in ogni caso, del danno biologico.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi proposti con le ordinanze dell'8 ottobre 1979 del Tribunale di Genova e del 4 dicembre 1981 del Tribunale di Salerno;

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c., sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 24, primo comma e 32, primo comma, Cost., dalle predette ordinanze.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 1986.

 

Livio PALADIN - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA

 

Depositata in cancelleria il 14 luglio 1986.