Sentenza n.228 del 1985

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SENTENZA N. 228

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 159, primo comma, 313 codice penale e 3 r.d.l. 9 dicembre 1941, n. 1386 promosso con ordinanza emessa il 1 marzo 1977 dal Giudice Istruttore presso il Tribunale militare territoriale di Padova nel procedimento penale a carico di Besenzoni Gianfranco iscritta al n. 181 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 148 dell'anno 1977.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di Consiglio del 14 maggio 1985 il Giudice relatore Ettore Gallo.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza 1 marzo 1977, il Giudice Istruttore presso il Tribunale militare di Padova, nel processo penale contro il soldato Besenzoni Gianfranco, imputato del delitto di vilipendio alle Forze Armate (art. 81 secondo comma, c.p.m.p.), sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 159, primo comma, e 313 cod. pen., nonché dell'art. 3 r.d.l. 9 dicembre 1941 n. 1386 per contrasto con l'art. 3 Cost.

Secondo l'ordinanza, la denunziata incompatibilità dipende dalla mancata previsione di un termine all'esercizio del potere di autorizzazione a procedere attribuito al Ministro della Giustizia che, nella specie, dal 21 luglio 1975 alla data dell'ordinanza non si era ancora pronunziato. Ad avviso del Giudice militare, tale mancata previsione, combinata al precetto di cui all'art. 159 cod. pen. (che al primo comma dispone la sospensione del corso della prescrizione nei casi di autorizzazione a procedere), veniva a determinare grave situazione di disparità, sia nei confronti di chi fosse sottoposto ad azioni penali soggette ad analoghi istituti (come l'istanza, la querela, la richiesta) per i quali é invece previsto un termine, sia nei confronti di imputati che, pur nella stessa situazione, vedevano però risolversi la vicenda processuale per l'intervento del provvedimento ministeriale, mentre per altri, non intervenendo alcun provvedimento, il processo poteva restare teoricamente pendente fino alla loro morte, a libito dell'Esecutivo, dato che il decorso della prescrizione restava sospeso.

Interveniva nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale chiedeva che gli atti fossero restituiti al Primo Giudice affinché rinnovasse il giudizio di rilevanza, atteso l'intervento del Decreto ministeriale 15 aprile 1977 che, a pochi giorni dalla notifica della denunziata questione e prima della sua pubblicazione, ha negato l'autorizzazione a procedere nei confronti del Besenzoni in ordine al reato di vilipendio.

 

Considerato in diritto

 

Al momento della sollevata questione, il giudizio di rilevanza espresso dal Giudice militare era corretto, nonostante che egli poi debba comunque necessariamente tenere conto, alla ripresa del processo sospeso, del decreto ministeriale intervenuto prima della decisione di questa Corte.

Non corretto, invece, appare il riferimento della questione all'art. 313 cod. pen. (e quindi all'art. 3 del r.d.l. 9 dicembre 1941 n. 1386 che ne estende la disciplina a taluni reati militari), in quanto si tratta di disposizione del codice sostanziale che si limita a prevedere l'autorizzazione ministeriale come imprescindibile condizione del procedere. In realtà, poi, tutti gli aspetti concernenti l'effettivo procedere, e i relativi comportamenti processuali, sono contemplati nell'art. 15 cod. proc. pen., sì che, in ipotesi, era questa la disposizione che doveva essere denunziata, in quanto in essa, e verosimilmente al quarto comma, é rilevabile la carenza della previsione di un termine, scaduto il quale il giudice potrebbe presumere il diniego cogli stessi effetti ivi comminati.

D'altra parte, l'impugnazione dell'art. 159, primo comma, cod. pen. se dà significato alla lamentata carenza del termine per l'esercizio del potere di autorizzazione, di per se stessa comporta, invece, qualche difficoltà nell'individuazione del "petitum", in quanto, una volta che fosse accolta la questione del termine, la sospensione del corso della prescrizione acquisterebbe una sua precisa razionalità e dovrebbe perciò rimanere in vigore mentre, se quella fosse respinta, l'eventuale accoglimento limitato all'art. 159, primo comma, cod. pen., non risolverebbe le lamentate difficoltà.

Infatti un termine rappresentato esclusivamente da quello del tempo necessario a prescrivere sarebbe del tutto inadeguato, giacché l'autorizzazione a procedere, essendo prevista per reati di particolare gravità, come quello di specie, ha un tempo di prescrizione che, al minimo, si consuma fra i dieci e i quindici anni, a seconda che ci siano stati o non atti interruttivi.

Tutte le indicate ragioni comportano, pertanto, la manifesta inammissibilità della sollevata questione, anche se deve riconoscersi l'opportunità che il legislatore intervenga a regolare una situazione così anomala.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 159, primo comma, 313 cod. pen., e 3 r.d.l. 9 dicembre 1941 n. 1386, sollevata con ordinanza 1 marzo 1977 dal Giudice Istruttore presso il Tribunale militare territoriale di Padova per contrasto con l'art. 3 Cost.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 ottobre 1985.

Guglielmo ROEHRSSEN - Ettore GALLO

Depositata in cancelleria il 17 ottobre 1985.