Sentenza n.139 del 1984

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SENTENZA N. 139

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 8, 9, 10, 13, 15 e 45 della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari) e art. 1, comma terzo, della legge 10 maggio 1978, n. 176 (Norme provvisorie in materia di affitto di fondi rustici), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 25 giugno 1982 dal Tribunale di Arezzo nel procedimento civile vertente tra Bargellini Pietro ed altro e Bresciani Roberto, iscritta al n. 653 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 60 del 1983;

2) ordinanza emessa il 26 ottobre 1982 dal Tribunale di Mantova nel procedimento civile vertente tra Cimarosti Paolo ed altri e Algisi Giuseppe ed altri, iscritta al n. 872 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 149 del 1983;

3) ordinanza emessa il 26 ottobre 1982 dal Tribunale di Ancona nel procedimento civile vertente tra Albanesi Annina ed altro e Staffolani Mario, iscritta al n. 191 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 225 del 1983;

4) ordinanza emessa il 17 febbraio 1983 dalla Corte d'appello di Napoli nel procedimento civile vertente tra Di Domenico Lucia e Ronca Bartolomeo, iscritta al n. 267 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 219 del 1983;

5) ordinanza emessa il 22 febbraio 1983 dalla Corte d'appello di Cagliari nel procedimento civile vertente tra il Comune di Siliqua e la s.p.a. Boscosarda, iscritta al n. 524 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 329 del 1983;

6) ordinanza emessa il 19 aprile 1983 dal Tribunale di Padova nel procedimento civile vertente tra Frigo Licia e Carraretto Giancarlo, iscritta al n. 873 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18 del 1984;

7) ordinanza emessa l'11 ottobre 1983 dal Tribunale di Nicosia nel procedimento civile vertente tra Gallina Antonio e Gravina Giacomo ed altra, iscritta al n. 996 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32 del 1984.

Visti gli atti di costituzione di Cimarosti Paola ed altri nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 27 marzo 1984 il Giudice relatore Francesco Saja;

uditi gli avvocati Marco Comporti e Alberto Scalori per Cimarosti Paola ed altri e l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento civile vertente tra Bargellini Pietro e Giannetto, affittuari di un fondo rustico, e Bresciani Roberto, locatore, il Tribunale di Arezzo con ordinanza del 25 giugno 1982 (reg. ord. n. 653 del 1982) sollevava questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8, 9, 10 e 13 l. n. 203 del 1982, in riferimento agli artt. 3, 42, 44 Cost.

Il Tribunale osservava che con sentenza n. 153 del 1977 la Corte aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 3 l. n. 814 del 1973, nella parte riguardante i coefficienti di moltiplicazione del reddito dominicale ai fini della determinazione del canone, avendo ritenuto gli stessi inadeguati alla svalutazione monetaria; aggiungeva il Tribunale che i nuovi coefficienti, stabiliti nelle norme impugnate, apparivano tuttora insufficienti, tenuto conto della perdita di valore della moneta verificatasi tra il 1973 e il 1982, ciò che comportava una lesione del diritto di proprietà agraria ed una sperequazione nelle posizioni del locatore e dell'affittuario.

2. - Analoghe questioni venivano sollevate dal Tribunale di Mantova con ordinanze 26 ottobre 1982

(reg. ord. n. 872 del 1982) in causa Cimarosti c. Algisi, in cui venivano impugnati gli artt. 9 e 15 l. cit. in riferimento agli artt. 3, 42, 44 Cost.; di Ancona in pari data (reg. ord. n. 191 del 1983) in causa Albanesi e Piccolotti c. Staffolani, in cui venivano impugnati gli artt. 9 e 15 l. cit. in riferimento agli artt. 42 e 44 Cost.; di Padova con ordinanza 19 aprile 1983 (reg. ord. n. 873 del 1983) in causa Frigo c. Carraretto, in cui veniva impugnato l'art. 9 in riferimento agli artt. 42 e 44 Cost.; di Nicosia con ordinanza 11 ottobre 1983 (reg. ord. n. 996 del 1983) in cui venivano impugnati gli artt. 9 e 15 l. cit. in riferimento agli artt. 3, 42 e 44 Cost.; dalla Corte di appello di Cagliari con ordinanza del 22 febbraio 1983 (reg. ord. n. 524 del 1983), in causa Comune di Siliqua c. s.p.a. Boscosarda, in cui venivano impugnate le stesse norme in relazione ai medesimi parametri costituzionali.

In alcune di queste ordinanze viene impugnato, come si é detto, anche l'art. 15 l. cit., concernente la determinazione dei canoni delle annate agrarie dal 1970 al 1982, e più precisamente il conguaglio dovuto a seguito delle dichiarazioni di illegittimità costituzionale della normativa precedente, contenute nelle sentenze n. 155 del 1972 e n. 153 del 1977.

3. - Il Tribunale di Arezzo con la citata ordinanza n. 653 del 1982 solleva anche questione di legittimità costituzionale dell'art. 9 cit. in riferimento all'art. 24 Cost., osservando che l'impossibilità, per il giudice, di determinare il canone definitivo fino alla compilazione delle tabelle da parte di una commissione tecnica provinciale comporta "una sorta di sospensione della giurisdizione", nonché dell'art. 45 l. cit. in riferimento all'art. 3 Cost., rilevando che la possibilità di stipulare contratti agrari "in deroga" comporta una ingiustificata disparità di trattamento tra "i contraenti dei nuovi contratti di affitto che... finiscono col recuperare la loro autonomia contrattuale, ed i vecchi contraenti ai quali - di fatto - la stessa continua ad essere negata, in assenza di reali occasioni di rinegoziare i patti".

4. - La Corte d'appello di Cagliari, con la citata ordinanza n. 524 del 1983, impugna ancora le seguenti norme della citata legge, in riferimento ai sopra detti parametri costituzionali: a) art. 9, quarto comma, che prevede un canone provvisorio ottenuto moltiplicando per settanta il reddito dominicale; b) art. 15, secondo comma, che dispone doversi applicare, per le annate agrarie da quella 1977 - 1978 a quella in corso all'entrata in vigore della l. n. 203, i coefficienti stabiliti dagli artt. 9, 10, 13 e 14 st. 1., diminuiti del trenta per cento; c) art. 15, quarto comma, secondo cui le somme dovute a titolo di conguaglio per alcune annate agrarie precedenti quella in corso alla data di entrata in vigore della legge non producono interessi per i diciotto mesi successivi alla stessa data. La disposizione riserverebbe all'affittuario un ingiustificato trattamento di favore rispetto al locatore.

5. - Nel corso di un procedimento promosso da Ronca Bartolomeo, affittuario, contro la proprietaria Di Domenico Lucia, la Corte d'appello di Napoli con ordinanza del 17 febbraio 1983 (reg. ord. n. 267 del 1983) sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, terzo comma, l. 10 maggio 1978, n. 176, richiamato dall'art. 15, primo comma, l. n. 203 del 1982, in riferimento all'art. 3 Cost.

La Corte interpreta la norma impugnata - secondo cui sono definitivi i pagamenti dei canoni effettuati, in data anteriore al 29 dicembre 1977, senza contestazione del locatore - nel senso che, in mancanza di contestazioni giudiziarie di entrambe le parti, il locatore non può chiedere integrazioni dei canoni già percepiti mentre l'affittuario può ripetere quanto pagato in eccedenza. Ciò configurerebbe una ingiustificata disparità di trattamento.

6. - La Presidenza del Consiglio dei ministri interviene nella causa relativa all'ordinanza n. 653 del 1983, osservando che il canone da determinare secondo i criteri della legge n. 203 del 1982 non può non considerarsi equo, poiché il meccanismo connesso alla rendita catastale trova numerosi correttivi. Né, secondo l'interveniente, può farsi riferimento ai soli indici di svalutazione della moneta, senza tenere conto delle variazioni del costo di produzione e del prezzo dei prodotti agricoli. L'art. 18 l. cit., per di più, permette di tener conto dei miglioramenti eseguiti dal proprietario.

L'interveniente osserva ancora, quanto all'impugnazione dell'art. 45, l. cit., che questo non pone alcuna discriminazione fra contratti stipulati prima e contratti stipulati dopo l'entrata in vigore della legge stessa.

Quanto al preteso contrasto tra gli artt. 8 e segg. l. cit. l'art. 24 Cost., é da escludere, secondo la parte, che l'inevitabile periodo di vigenza di un canone provvisorio comporti la cosiddetta "sospensione della giurisdizione".

Nella causa n. 872 del 1982 la Presidenza del Consiglio difende le scelte del legislatore ordinario sostenendone l'insindacabile discrezionalità: in particolare, per quanto riguarda i coefficienti di conguaglio (art. 15 l. cit.), nulla impediva al legislatore di considerare unitariamente alcuni gruppi di annate agrarie.

A queste considerazioni l'interveniente si riporta anche nelle cause nn. 191, 524 e 879 del 1983.

7. - Le parti locatrici Rocca e Cimarosti (n. 872/82) depositano due memorie onde dimostrare l'illegittimità delle norme concernenti la misura del canone. Esse sostengono l'inadeguatezza di questo, sia in relazione all'aumento del costo della vita, che dal 1939 al 1982 risulterebbe aumentato di cinquecento volte, sia in relazione al carico fiscale, notevolmente aumentato per effetto del d.l. n. 953 del 1982

(convertito dalla l. n. 53 del 1983).

E l'irrazionalità del sistema é destinata, secondo le parti, a perdurare, poiché l'art. 62 l. n. 203 del 1982 stabilisce la sua sopravvivenza anche alla revisione degli estimi catastali.

Considerato in diritto

1. - Le sette ordinanze in epigrafe, oltre a sollevare alcune questioni specifiche, muovono tutte dubbi sulla legittimità costituzionale della normativa concernente la determinazione del canone nel contratto di affitto dei fondi rustici, disciplinato dalla vigente legge 3 maggio 1982 n. 203; data la comunanza della questione fondamentale, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - E bene premettere, tralasciando di ricordare precedenti provvedimenti normativi, i quali pure avevano inciso notevolmente sulla autonomia negoziale in ordine al canone di affitto dei fondi rustici, che la l. 12 giugno 1962 n. 567, a cui comunemente viene collegata l'istituzione dell'equo canone, disponeva nell'art. 3: "Per ciascuna provincia la Commissione tecnica determina ogni due anni, almeno nove mesi prima dell'inizio dell'annata agraria e per il biennio successivo, la tabella dei canoni di affitto, nella misura minima e massima, da considerarsi equi per zone agrarie omogenee, per qualità e classi di terreni e per tipi aziendali, tenuto conto dello stato di produttività dei fondi, dell'esistenza e delle condizioni dei fabbricati rurali, delle attrezzature aziendali, degli oneri a carico dei proprietari locatori, degli apporti dell'affittuario, dei costi e degli oneri gravanti sull'impresa, al fine di assicurare una equa remunerazione per il lavoro dell'affittuario e della sua famiglia e la buona conduzione dei fondi".

Successivamente il legislatore ritenne la disciplina ora ricordata non soddisfacente in quanto le commissioni provinciali e quella centrale, di cui al successivo art. 5, seguendo di norma i corrispettivi del libero mercato, venivano sostanzialmente ad eludere la precipua finalità economico-sociale della disciplina stessa.

Pertanto con la l. 11 febbraio 1971 n. 11 venne abbandonato il criterio della produttività del fondo per ancorare il canone a quello convenzionale del reddito dominicale determinato in base al r.d.l. 4 aprile 1939 n. 589, convertito nella legge 29 giugno 1939 n. 976; reddito dominicale che, dato il notevole periodo di tempo trascorso dal momento del suo accertamento

(oltre trenta anni), andava opportunamente adeguato: al che si ritenne di provvedere conferendo alla commissione tecnica provinciale il potere di applicare coefficienti di moltiplicazione compresi tra un minimo di 12 ed un massimo di 45 volte (art. 3 l. cit.).

Tale disposizione venne dichiarata costituzionalmente illegittima da questa Corte con sentenza 14 luglio 1972 n. 155, la quale considerò il canone come sopra stabilito talmente basso da annullare sostanzialmente il diritto di proprietà, con conseguente violazione dagli artt. 42 e 44 Cost. Il legislatore ritenne di conformarsi alla predetta decisione con la l. 10 dicembre 1973 n. 814, elevando nell'art. 3 i coefficienti di moltiplicazione da un minimo di 24 a un massimo di 55 volte e introducendone alcuni aggiuntivi, i quali consentivano un aumento complessivo di quindici punti; ma questa Corte, con sentenza 19 dicembre 1977 n. 153, dichiarò l'illegittimità costituzionale anche di tale disposizione sostanzialmente per il medesimo motivo della pronuncia precedente.

É sopravvenuta infine la l. 3 maggio 1982 n. 203, che ha riordinato la materia dei contratti agrari anche per quanto riguarda il canone: ed appunto contro quest'ultima normativa si rivolgono le critiche dei giudici a quibus, i quali denunciano specificamente gli artt. 8, 9, 10 e 13, in sostanza ripetendo la medesima censura delle ordinanze che hanno dato luogo alle decisioni di questa Corte nn. 155/72 e 153/77, e così affermando che la nuova legge sarebbe incorsa in difetti analoghi a quelli delle leggi precedenti, con la conseguente violazione degli artt. 3, 42 e 44 Cost.

3. - Ciò posto, osserva la Corte che da un'attenta comparazione emerge come le disposizioni impugnate presentino caratteri marcatamente eterogenei rispetto a quelle precedentemente dichiarate incostituzionali.

Anzitutto l'art. 9 ha aumentato i coefficienti di moltiplicazione elevandoli, rispetto alla disciplina precedente (24 volte nel minimo e 55 nel massimo), da un minimo di cinquanta ad un massimo di centocinquanta volte; la stessa norma ha altresì quadruplicato quegli aggiuntivi da quindici a sessanta punti, mentre l'art. 13 ha delegato alle Regioni il potere di determinare altri coefficienti aggiuntivi fino ad un massimo di trenta punti.

In tal modo gli elementi moltiplicatori a disposizione delle commissioni possono arrivare sino a 240 volte in luogo delle 70 consentite dalla legge precedente.

Inoltre la nuova legge (art. 10, primo comma) ha ridotto ad un anno la periodicità dell'adeguamento del canone, che in quella anteriore (l. n. 814 del 1973) era biennale, così dimostrando maggiore aderenza alla mutevole realtà economica.

Essa ha previsto, ancora, i miglioramenti, addizioni e trasformazioni eseguiti dal locatore, prevedendo in tal caso un congruo aumento del canone, diversamente determinato a seconda che sia intervenuta o no una nuova classificazione del fondo (art. 17, primo comma, e art. 18).

Merita, infine, di essere ricordato che l'art. 8 l. cit. consente, nell'ultimo comma, alle commissioni provinciali di applicare, fino a quando non si sia provveduto alla revisione di ufficio dei dati catastali, in relazione alla produzione media della zona, coefficienti di moltiplicazione diversi (e quindi ovviamente anche maggiori) rispetto a quelli previsti dall'art. 9 oppure, addirittura, criteri differenti (e perciò anche più favorevoli al locatore) da quelli indicati dalla stessa legge. Tale norma, com'è evidente, dà una certa elasticità al sistema, consentendo di impedire gravi incongruenze e sperequazioni che, altrimenti, potrebbero verificarsi.

Al riguardo non é superfluo aggiungere che in un corretto procedimento ermeneutico non é consentito sopravvalutare la formula letterale ("Fino a quando non sia stato provveduto alla revisione d'ufficio dei dati catastali..."), dovendosi invece ritenere, in base a quanto imprescindibilmente impone l'elemento logico, che il ricordato potere cesserà non già per il semplice fatto che entrino in vigore ai fini tributari le nuove tariffe di estimo (ciò avverrà, come si dirà in prosieguo, il 1 gennaio 1985), ma soltanto quando tali dati saranno utilizzati anche dal legislatore ai fini della determinazione dell'equo canone, sicché soltanto allora, cessato il suo fondamento, risulterà esaurita la previsione normativa.

4. - In conseguenza dei dati e rilievi ora esposti, la Corte non può concludere che la situazione normativa é rimasta immutata (ovvero é addirittura peggiorata, come si pretende in qualche scritto difensivo dei locatori) rispetto a quella presa in considerazione dalle due ricordate sentenze.

A parte quanto sarà osservato in prosieguo sul perdurante riferimento al reddito dominicale (vedasi il n. 9), é invece indubitabile che il legislatore, come chiaramente e ripetutamente risulta anche dai lavori preparatori, ha inteso, almeno in linea di tendenza, accogliere i rilievi formulati da questa Corte con le due sentenze suddette e attenersi così al disposto costituzionale e, in particolare, all'art. 44 Cost. secondo cui, relativamente alla proprietà terriera, la legge deve tendere all'obiettivo "di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali".

Tale norma contiene, com'è evidente, una "riserva di legge rinforzata" in quanto indica al legislatore ordinario determinati scopi (che vanno altresì strettamente e teleologicamente collegati e non considerati tra loro indipendenti), sicché questi é obbligato ad operare rigorosamente nel senso da essa indicato. Pertanto la legge ordinaria deve anche regolare secondo equità i rapporti suddetti, disciplinandoli, cioé, in base ad un principio di superiore giustizia economico-sociale, e stabilire così un effettivo equilibrio tra le varie categorie interessate, nell'armonica tutela dei valori costituzionalmente protetti: tra i quali viene in rilievo anzitutto, come dispone anche l'art. 9 quinto comma l. cit., la tutela del lavoro dell'affittuario, dovendosi escludere altresì che possa esistere nel nostro ordinamento un settore, comunque definito secondo qualificazioni giuridico-formali, in cui possano non trovare applicazione i principi solennemente proclamati anzitutto nell'art. 1 e poi negli artt. 35 e 36 della Costituzione.

In presenza di una "riserva rinforzata di legge", che perdi più fa riferimento a un criterio equitativo, la linea di demarcazione tra il compito del legislatore ordinario e quello della Corte risulta estremamente tenue, ma ciò non può indurre a negarne la sussistenza. Invero, per quanto penetrante possa (e debba) essere il controllo del giudice delle leggi per accertare che la normazione ordinaria si sia effettivamente conformata al precetto costituzionale, un limite pur tuttavia sussiste, non essendo consentito alla Corte procedere a scelte economico-sociali e politiche e sostituire in tal modo quelle effettuate dal Parlamento.

5. - Da ciò discende come la Corte non possa oltrepassare la sua funzione di controllo e non possa quindi invadere, come invece con varietà di argomentazioni si sollecita in alcuni atti di parte, l'ambito di competenza riservato al legislatore.

Non possono pertanto trovare ingresso in questa sede critiche e censure relative all'entità del canone, che si fondano su valutazioni intrinsecamente e largamente opinabili e su conseguenti scelte riservate nel nostro sistema costituzionale al potere legislativo.

Il giudizio deve essere invece correttamente circoscritto a stabilire se il canone sia talmente basso, non solo da svuotare ovvero comprimere enormemente e irrazionalmente il diritto di proprietà, ma anche da impedire l'instaurazione di equi rapporti sociali, in modo che risultino violate le norme, indicate quale parametro, degli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione

In proposito, sia le ordinanze di rimessione sia gli scritti difensivi dei locatori deducono sostanzialmente un solo argomento, consistente nel riferimento alla svalutazione monetaria (a conferma del quale ne aggiungono un altro di natura tributaria, di cui la Corte si occuperà più oltre). Si sostiene precisamente che il reddito dominicale, cui é collegata la determinazione del canone fissato in relazione ai valori del 1939, dovrebbe essere rivalutato in proporzione alla perdita di valore della moneta verificatasi successivamente a quella data: risulterebbero così enormemente e irrazionalmente modesti i coefficienti di moltiplicazione stabiliti dalle disposizioni impugnate, che, per rispondere a criteri di equità, avrebbero dovuto aumentare di cinquecento volte il predetto reddito dominicale.

6. - Tale tesi non può essere condivisa.

Al riguardo va anzitutto precisato, in linea di principio, che non é possibile, come invece qualche volta é avvenuto, riferire il canone al solo reddito dominicale, il quale per contro fornisce esclusivamente l'elemento base per la sua determinazione. Invero secondo la legge impugnata (come anche per quelle precedenti) il canone é dato dalla risultante di vari fattori ed appunto, come dispone il già citato art. 9 quinto comma, le commissioni tecniche provinciali debbono aver presente nella determinazione dei coefficienti di moltiplicazione del reddito dominicale - entro l'ambito del minimo e del massimo stabilito dalla legge - "la necessità di assicurare in primo luogo un'equa remunerazione del lavoro dell'affittuario e della sua famiglia" e devono tenere anche conto "degli apporti di capitali dell'affittuario, dei costi di produzione, della esigenza di riconoscere un compenso ai capitali investiti e degli altri apporti del locatore".

Vero é che l'art. 10, primo comma, per l'adeguamento del canone negli anni successivi a quello di inizio del rapporto, richiama, oltre i ricordati elementi previsti nel precedente art. 9, anche il "mutamento di valore della lira secondo gli indici Istat per i prezzi alla produzione dei prodotti agricoli". Ma, nell'indispensabile coordinamento logico-giuridico delle due disposizioni e nell'intero quadro disegnato dal sistema, la formula va necessariamente riferita ai prezzi "al netto" (e non già "al lordo") in modo che vengano in considerazione anche i "costi di produzione" espressamente indicati nel cit. art. 9. Se così non fosse, la disciplina normativa risulterebbe viziata da una gravissima frattura logica in quanto introdurrebbe, ai fini dell'adeguamento periodico, un elemento addirittura sconvolgente del fondamentale criterio accolto, ponendo l'intero onere della svalutazione monetaria a carico dell'affittuario: il quale dovrebbe corrispondere un canone sempre maggiore in proporzione al costante aumento del prezzo "al lordo" dei prodotti agricoli, senza che si debba tener conto del notevole, e anch'esso costante, aggravamento dei costi di produzione. Il che potrebbe sensibilmente ridurre e, al limite, perfino annullare la remunerazione del lavoro dell'affittuario e della sua famiglia, alla quale, invece, il più volte ricordato art. 9 della legge, in applicazione dell'art. 36 Cost., dà la maggiore tutela.

7. - Peraltro, tanto le ordinanze di rimessione quanto la difesa dei locatori non espongono precise argomentazioni a favore della tesi suddetta, ma sostanzialmente affidano le censure alle precedenti decisioni di questa Corte n. 155 del 1972 e n. 153 del 1977, il cui contenuto intendono - come si é già detto - nel senso che il canone dovrebbe corrispondere al reddito dominicale aumentato in proporzione alla svalutazione monetaria.

Ma tale interpretazione non é accettabile, in quanto la Corte in dette sentenze ha fatto sì riferimento alla svalutazione monetaria, ma non per dare ad essa quel rilievo meccanico ed unilaterale che si pretenderebbe, bensì, al di là di qualche espressione letterale, per richiamare gli effetti indotti dalle oscillazioni del valore della moneta sull'intero settore dell'agricoltura e quindi sia sui prezzi di prodotti, sia sui costi di produzione. E va ricordato come parte della dottrina abbia correttamente interpretato il contenuto delle sentenze ora citate, rilevando che la Corte aveva inteso soltanto correggere gli "eccessi" delle leggi precedenti ma non aveva alterato la validità dei nuovi orientamenti legislativi e neppure aveva inteso restaurare una ormai superata tutela del contenuto del diritto di proprietà privata della terra. In conclusione, deve perciò escludersi che la svalutazione monetaria possa agire direttamente nel senso preteso dai locatori: ciò importerebbe l'aperta violazione delle norme relative alla tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.) in applicazione delle quali, nei rapporti d'affitto di fondi rustici, viene privilegiata - giova ripetere ancora - l'equa remunerazione dell'affittuario e della sua famiglia.

8. - Né ha consistenza l'argomento secondo cui l'irragionevolezza della disciplina discenderebbe dalle circostanze che i coefficienti di moltiplicazione del reddito dominicale dei terreni, previsti dall'art. 24 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 ai fini tributari e ogni biennio rivalutati, sarebbero superiori a quelli stabiliti per l'affitto dei fondi rustici, sicché l'imposta avrebbe una base imponibile maggiore del canone percepito dal locatore.

Se pur l'affermazione fosse esatta, il vizio di costituzionalità dovrebbe colpire non già la norma relativa alla determinazione del canone, bensì quella tributaria che, in violazione dell'art. 53 Cost., non terrebbe conto della capacità contributiva. Risulta però assorbente e decisivo osservare, come già rilevato in dottrina in base a quanto é lecito ermeneuticamente ricavare dagli artt. 24 e 25 d.P.R. ult. cit., che nel caso di canone coattivamente imposto perché relativo a fondi dati in affitto, il reddito imponibile é correlato al canone fissato dalla legge: il che é stato accettato espressamente anche dall'Amministrazione finanziaria, la quale ha avuto cura di formulare in proposito un'esplicita avvertenza nelle istruzioni allegate al modello per la denuncia dei redditi ai fini dell'irpef.

9. - La infondatezza della questione ora esaminata non impedisce alla Corte di riconoscere che nel sistema possano riscontrarsi insufficienze e disarmonie le quali, se non sono idonee, allo stato, a far dichiarare l'illegittimità costituzionale delle norme impugnate, devono pur sempre essere eliminate dall'ordinamento.

Esse discendono principalmente dal fatto che, a base della determinazione del canone, sono ancora presi in considerazione i dati catastali del 1939, i quali, per il lungo periodo trascorso, perdono sempre più la idoneità a rappresentare le effettive caratteristiche dei terreni agricoli. Questa Corte con le due sentenze più volte ricordate ha consentito l'utilizzazione provvisoria di tali dati in mancanza di altri elementi a cui ricorrere. Ma, adesso che i nuovi dati catastali sono stati elaborati e stanno per entrare in vigore (il che avverrà il 1 gennaio 1985, come disposto dal decreto del Ministro delle finanze 7 febbraio 1984 sulle nuove tariffe di estimo), non può essere più razionalmente giustificabile l'ulteriore protrarsi del ricorso ad un catasto vecchio di circa un cinquantennio e la mancata utilizzazione di elementi che sono invece idonei a rappresentare la realtà attuale e quindi a porre i rapporti tra concedente e affittuario su un piano ad essa più rispondente. Il mancato impiego dei nuovi dati catastali ai fini dell'equo canone porrebbe un problema ben diverso da quello deciso con questa sentenza: quello cioé della intrinseca razionalità di una norma fondata su elementi ormai superati da altri ufficialmente acquisiti che, essendo rispondenti a la situazione agricola attuale, risultano idonei, essi soltanto, alla corretta determinazione del canone di affitto.

10. - Esaurito così l'esame della prima questione, la Corte deve occuparsi dell'impugnativa dell'art. 9 l. cit., disposizione che é censurata sotto diverso profilo dal Tribunale di Arezzo e dalla Corte di appello di Cagliari.

A) Il primo deduce che l'attribuzione della compilazione della tabella alle commissioni tecniche provinciali violerebbe l'art. 24 Cost. in quanto impedirebbe l'intervento del giudice anteriormente alla compilazione stessa. In proposito é sufficiente ricordare che, secondo costante giurisprudenza, il diritto di difesa non può considerarsi limitato dal potere attribuito alla pubblica amministrazione - così come generalmente avviene in materia tecnica - di emettere atti amministrativi relativi alla costituzione o modificazione di posizioni giuridiche soggettive, quando contro tali atti amministrativi la tutela é assicurata secondo la regola generale dell'art. 113 Cost. Illegittime debbono ritenersi soltanto le norme, di incidenza processuale, che stabiliscano preclusioni, decadenze o altre ingiustificate limitazioni alla impugnazione degli atti amministrativi in sede giurisdizionale: il che non ricorre certo nella specie, in cui la legge correttamente prevede un atto amministrativo di natura sostanziale soggetto, come tale, alla comune garanzia giurisdizionale.

B) La Cortedi appello di Cagliari impugna il quarto comma dello stesso art. 9, che prevede un canone provvisorio, ottenuto moltiplicando per settanta volte il reddito dominicale, nel caso di ritardo, annullamento o sospensione delle tabelle; detta norma, secondo il giudice a quo contrasterebbe con l'art. 3 Cost. per violazione del principio di eguaglianza e per intrinseca irragionevolezza, in quanto: a) il successivo art. 15, primo comma, lett. b, prevede il coefficiente settantacinque per il lontano triennio 1971- 1974; b) non c'è differenza di trattamento, come in altre parti della legge n. 203, tra coltivatore diretto e coltivatore non diretto; c) non v'è nesso tra il criterio di determinazione del canone provvisorio ed il canone pagato in precedenza; d) non v'è alcun riferimento alle condizioni economiche del creditore; e) la durata del canone provvisorio dipende da elementi variabili e accidentali, quali l'efficienza e la solerzia delle commissioni provinciali. Al riguardo va però osservato che le norme della legge n. 203/1982 indicate come tertium comparationis riguardano situazioni assai diverse, come inequivocabilmente si evince dal loro contenuto sopra richiamato, sicché non torna applicabile l'invocato principio di eguaglianza di cui all'art. 3, che ha per presupposto indefettibile l'identità o, quanto meno, l'omogeneità delle situazioni giuridiche comparate. E deve ancora dirsi che, trattandosi di un acconto, e quindi di una misura provvisoria, peraltro contenuta mediamente tra il minimo e il massimo previsti dal secondo comma dell'art. 9 (e notevolmente aumentata rispetto alla normativa del 1973, che la limitava a 42 volte) deve escludersi che il potere discrezionale spettante al legislatore sia stato esercitato al di là dei limiti di ragionevolezza.

11. - La Cortedi appello di Cagliari e i Tribunali di Mantova, Ancona e Nicosia impugnano il primo comma dell'art. 15, che concerne il conguaglio relativamente alle annate agrarie dal 1970-1971 al 1976-1977, per contrasto con gli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione, in quanto i coefficienti ivi stabiliti risulterebbero ingiustificatamente bassi, per motivi sostanzialmente analoghi a quelli addotti a sostegno della prima questione.

Pertanto é sufficiente qui richiamare i rilievi in base ai quali la Corte é pervenuta alla dichiarazione di non fondatezza della questione medesima. Ad essi può aggiungersi che la situazione di incertezza per effetto del ritardo del legislatore nel provvedere a seguito delle ricordate pronunce di illegittimità costituzionale si é protratta per tempo così notevole (oltre dieci anni), che non sarebbero stati intuitivamente più possibili, da parte delle Commissioni tecniche provinciali, specifici e dettagliati accertamenti sulle caratteristiche dei fondi in epoca tanto remota. Da ciò discende come non possa essere censurato il legislatore per avere scelto un mezzo semplice e spedito, fondato sulla considerazione unitaria di alcuni gruppi di annate agrarie al fine di regolare una situazione rispetto alla quale era ben difficile intervenire in concreto con criteri diversi.

12. - Fondata é invece la denuncia - mossa dalla stessa Corte di appello di Cagliari in riferimento all'art. 3 Cost. - dell'art. 15, secondo comma, il quale dispone che per le annate agrarie 1977-1978 e per quelle in corso all'entrata in vigore della l. n. 203 in esame si applicano i coefficienti stabiliti negli artt. 9, 10, 13 e 14, diminuiti del trenta per cento.

Esattamente invero il giudice a quo osserva che per le annate 1977-1978 e successive é possibile il determinarsi di una situazione in cui il canone risulta in concreto inferiore a quello delle annate precedenti: così, a titolo esemplificativo, per l'annata agraria 1980-1981 si potrebbe - in base alla nuova legge - avere il coefficiente di cinquanta volte il reddito dominicale, mentre per la remota annata 1970- 1971 il coefficiente sarebbe addirittura maggiore perché corrispondente a 55 voltelo stesso reddito dominicale.

Senza indugiare in altri esempi, che risulterebbero altrettanto macroscopici, osserva questa Corte che ciò evidenzia l'intrinseca irrazionalità della disposizione limitatamente alla previsione della ricordata riduzione. Eliminata la quale, la parte principale della disposizione conserva la sua validità: infatti essa ha una propria autonomia poiché si riferisce ai coefficienti già presi in considerazione dal Parlamento nel corso dell'ottava legislatura e poi lasciati sostanzialmente inalterati durante tutto l'iter di approvazione della legge in questione, essendosi rivelate stazionarie, quando non addirittura peggiorate, le condizioni dell'agricoltura italiana.

In tal modo la previsione relativa alla ricordata riduzione del trenta per cento risulta estrinsecamente giustapposta a una disposizione (quella principale) già in sé conclusa e indipendente, sicché la dichiarazione di illegittimità costituzionale della prima non incide sulla validità della seconda.

13. - La Corte d'appello di Cagliari ha denunciato anche l'art. 15, quarto comma, l. cit., il quale, a suo dire, contrasterebbe con l'art. 3 Cost. per disparità di trattamento, in quanto dispone la non produttività di interessi sulla somma dovuta a titolo di conguaglio, limitatamente al periodo di diciotto mesi, concesso all'affittuario dal comma precedente per effettuare il pagamento.

La questione non é fondata.

Infatti la norma impugnata s'inserisce armonicamente nel sistema dettato, in via generale, dal codice civile.

Invero, il locatore-creditore non potrebbe, prima della scadenza del termine d'adempimento, pretendere interessi, né corrispettivi, trattandosi di credito non esigibile, né moratori, non potendo ravvisarsi un inadempinento colpevole prima della scadenza del termine, né compensativi, giacché il capoverso dell'art. 1282 cod. civile esclude la produzione di interessi su fitti e pigioni, prima che vi sia stata la costituzione in mora del debitore.

14. - L'art. 45 della legge in esame é stato denunciato dal Tribunale di Arezzo sul rilievo che esso contrasterebbe con l'art. 3 Cost. perché la possibilità di stipulare contratti in deroga alle norme vigenti in materia agraria, con l'assistenza delle organizzazioni di categoria, comporterebbe un'ingiustificata disparità di trattamento fra i soggetti dei nuovi rapporti, che ricupererebbero la loro autonomia contrattuale, e quelli dei rapporti già in corso, rispetto ai quali la stessa continua ad essere negata, stante l'assenza della possibilità di reali occasioni a rinegoziare i patti.

La proposta questione risulta però inammissibile, in quanto nel giudizio a quo non si fa questione della validità di un contratto stipulato in deroga alle norme vigenti ma é in discussione soltanto l'ammontare del canone, sicché la norma denunciata risulta del tutto estranea all'oggetto del giudizio: essa viene richiamata nell'ordinanza di rimessione in relazione ad una ipotesi astratta, difettando così il nesso di pregiudizialità e conseguentemente la rilevanza, che costituisce requisito indispensabile per l'ammissibilità della questione.

15. - Infine, la Cortedi appello di Napoli ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3 Cost., dell'art. 1, terzo comma, l. 10 maggio 1978 n. 176, richiamato dall'art. 15, primo comma, l. n. 203/82, il quale dispone che sono definitivi i pagamenti dei canoni effettuati, senza contestazione del locatore, prima del 29 dicembre 1977 e quindi esclude detti pagamenti dal conguaglio disposto dalla legge in dipendenza delle ricordate pronunzie di incostituzionalità di questa Corte.

La questione é fondata.

Le sentenze di accoglimento, in base al disposto dell'art. 136 Cost. confermato dall'art. 30 l. 11 marzo 1953 n. 87, operano ex tunc perché producono i loro effetti anche sui rapporti sorti anteriormente alla pronuncia di illegittimità sicché, dal giorno successivo alla loro pubblicazione, le norme dichiarate incostituzionali non possono più trovare applicazione

(salvo quanto discende dall'art. 25 Cost. per la materia penale).

Il principio, che suole essere enunciato con il ricorso alla formula della c.d. "retroattività" di dette sentenze, vale però soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida. Per rapporti esauriti debbono certamente intendersi tutti quelli che sul piano processuale hanno trovato la loro definitiva e irretrattabile conclusione mediante sentenza passata in giudicato, i cui effetti non vengono intaccati dalla successiva pronuncia di incostituzionalità (salvo quanto disposto per la materia penale dal cit. art. 30). Secondo l'orientamento talvolta emerso nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. sent. n. 58 del 1967) e il prevalente indirizzo dottrinale, vanno considerati esauriti anche i rapporti rispetto ai quali sia decorso il termine di prescrizione o di decadenza previsto dalla legge per l'esercizio di diritti ad essi relativi. Ma quando, come nell'ipotesi considerata dalla normativa denunciata, detto termine é pendente e quindi il creditore, secondo i principi generali, può pretendere quanto ancora gli é dovuto, non é consentito al legislatore ordinario limitare la portata dell'art. 136 Cost., sia pure ricorrendo, come nella specie, all'espediente di introdurre un nuovo onere, non previsto al momento dell'avvenuto pagamento parziale, e di escludere perciò l'acquisto del diritto successivamente riconosciuto dalla legge che ha sostituito quella dichiarata invalida. Così operando, il legislatore, in realtà, fa in modo che il rapporto oggetto del giudizio principale e non ancora esaurito rimanga illegittimamente regolato dalla norma annullata, riducendo indebitamente l'operatività dell'art. 136 della Costituzione.

Né potrebbe sorgere dubbio, nella specie, sulle possibilità della pronuncia di annullamento della disposizione denunciata per il fatto che il giudice a quo ha invocato quale parametro soltanto l'art. 3 della Costituzione: invero il principio di eguaglianza sancito da tale articolo risulta certamente violato dalla disposizione denunciata, la quale arbitrariamente esclude nei confronti di alcuni soggetti, titolari, come gli altri, di rapporti non esauriti, l'applicazione dell'art. 136 Cost. (che qui viene in rilievo anche come tertium comparationis, ben potendo avere anche le norme costituzionali, secondo le circostanze, tale qualificazione, come ritenuto da autorevole dottrina).

Vada sé che la pronuncia di illegittimità costituzionale fa venire meno la diseguaglianza tra locatore e affittuario, dedotta dal giudice a quo sul rilievo che la preclusione suddetta era posta dalla norma impugnata soltanto nei confronti del primo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8, 9, 10 e 13 della legge 3 maggio 1982 n. 203, sollevate dai Tribunali di Arezzo, Mantova, Ancona, Padova, Nicosia nonché dalla Corte di appello di Cagliari in riferimento agli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9 della stessa legge, sollevata dalla Corte di appello di Cagliari in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15 primo comma della stessa legge, sollevata dai Tribunali di Mantova, Ancona, Nicosia e dalla Corte di appello di Cagliari in riferimento agli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione;

4) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. l, terzo comma, l. 10 maggio 1978 n. 176, richiamato dall'art. 15, primo comma, l. n. 203 del 1982 cit., limitatamente alle parole: "senza contestazione giudiziaria da parte del locatore, o";

5) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, secondo comma, l. n. 203 del 1982 cit., limitatamente alle parole: "diminuiti del trenta per cento";

6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, quarto comma, della medesima legge n. 203 del 1982, sollevata dalla Corte d'appello di Cagliari in riferimento agli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione;

7) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 45 della stessa legge n. 203 del 1982, sollevata dal Tribunale di Arezzo in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 maggio 1984.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE  -Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  -Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 7 maggio 1984.