Sentenza n. 175 del 1982
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SENTENZA N. 175

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

ha pronunciato la seguente  

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 43, lett. d, della legge 12 febbraio 1968, n. 132 (Enti ospedalieri e assistenza ospedaliera) e 133 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 (Stato giuridico dei dipendenti degli enti ospedalieri) promosso con ordinanza emessa il 16 novembre 1976 dal pretore di Torino, nel procedimento civile vertente tra Borsari Osanna e Calderini Paolo, iscritta al n. 764 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51 del 23 febbraio 1977.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1982 il Giudice relatore Antonino De Stefano;

udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il pretore di Torino, nel procedimento civile vertente tra Borsari Osanna e Calderini Paolo, in data 16 novembre 1976 ha pronunziato un'ordinanza con la quale, ritenuta l'eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dal convenuto rilevante e non manifestamente infondata, ha disposto la trasmissione degli atti a questa Corte per la decisione in ordine alla legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 4 e 32 della Costituzione, degli artt. 133 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 (Stato giuridico dei dipendenti degli enti ospedalieri), e 43, lett. d. della legge 12 febbraio 1968, n. 132 (Enti ospedalieri e assistenza ospedaliera).

Nella motivazione del provvedimento, riguardo ai fatti oggetto del giudizio a quo, il pretore riferisce che, a quanto affermato dall'attrice Borsari, ella, sofferente di tumore, aveva chiesto di venire operata dall'aiuto chirurgo prof. Calderini presso l'ospedale San Giovanni Battista in Torino; ma l'operazione, data la gravità del male e l'urgenza dell'intervento, fu poi eseguita, non in ospedale (dove al momento, per il gran numero di ricoverati in attesa, le si era obiettato che non sarebbe stato possibile) ma in una clinica privata. Secondo l'attrice, tuttavia, il " dirottamento dall'ospedale pubblico alla clinica privata" era stato abusivo da parte del professionista, ed illegittimo, "perché impostole in chiaro contrasto con le disposizioni che disciplinano l'attività a tempo definito dei medici". E poiché tutto ciò le aveva causato un notevole aggravio di spese, oltre a un ritardo pericoloso per la sua salute, chiedeva la condanna del Calderini al risarcimento dei danni. Dal canto suo, il convenuto, pur ammettendo la realtà dei fatti lamentati dall'attrice, replicava che, prestando servizio a tempo definito presso l'ospedale San Giovanni Battista, e non offrendo questo la disponibilità di appositi ambienti idonei per il libero esercizio, presso lo stesso ospedale, dell'attività libero - professionale, egli veniva a subire, per effetto delle denunciate norme, delle limitazioni contrastanti con i precetti degli artt. 3, 4 e 32 della Costituzione.

Ciò premesso il giudice a quo osserva che le questioni di legittimità costituzionale sono pregiudiziali e rilevanti, in quanto il comportamento del Calderini ha sortito conseguenze economicamente gravose per l'attrice, che ne fu vittima, e se riconosciuto illecito darebbe diritto alla stessa di pretendere il risarcimento del danno, mentre la presunta illiceità cadrebbe, e il convenuto andrebbe esente da ogni responsabilità, se venisse dichiarata la illegittimità costituzionale delle norme che si ritengono da lui violate.

In punto di non manifesta infondatezza delle questioni, il pretore osserva, poi, riguardo agli artt. 43, lett. d. della legge 12 febbraio 1968, n. 132, e 133 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, che mentre il primo di tali articoli sembra da interpretarsi nel senso che a decorrere dal 1 gennaio 1976, una volta che siano state messe in opera, nell'ambito dell'ospedale, le previste apposite attrezzature, necessarie per l'esercizio dell'attività professionale "intramurale", alla regola della libera attività nelle case di cura private dovrebbe subentrare per i sanitari ospedalieri a tempo definito, quella, opposta, dell'incompatibilità, il secondo, almeno se inteso alla lettera, sembra statuire che, scaduto il termine del 31 dicembre 1975, l'attività libera, siano o meno apprestati gli "ambienti idonei", sarà in ogni caso preclusa. A giudizio del pretore, perciò, l'art. 133 del d.P.R. n. 130 del 1969, "unitamente alla particolare interpretazione dell'art. 43, lett. d. della legge n. 132 del 1968" contrasta:

a) con l'art. 3 della Costituzione, poiché i medici che esercitano specialità per cui sono indispensabili attrezzature particolari (negli ospedali in cui esercitano, mancanti), vedrebbero paralizzato per metà l'esercizio della professione, in situazione di disparità rispetto agli altri medici ospedalieri, ai quali (poiché negli ospedali, in cui essi lavorano, le suddette attrezzature invece esistono) l'esercizio di specialità condizionate all'uso di quelle attrezzature é invece consentito, e rispetto altresì agli altri medici che, non dovendo servirsi, per la natura della loro attività, di speciali attrezzature, possono svolgere interamente la loro libera attività nei propri studi professionali;

b) con l'art. 4 della Costituzione, giacché i medici ospedalieri a tempo definito, che non abbiano di fatto la possibilità di svolgere all'interno dell'ospedale l'attività cui hanno diritto, verrebbero a subire una ingiustificata limitazione del loro diritto al lavoro;

c) con l'art. 32 della Costituzione, non essendoci dubbio che, nei casi suddetti, il diritto alla salute da esso garantito rimarrebbe compresso in una delle sue estrinsecazioni più importanti, quella di farsi curare dal medico di propria fiducia; ciò che avverrebbe inevitabilmente ogni qual volta il medico prescelto fosse medico ospedaliero e l'ospedale (cosa non infrequente) non disponesse delle strutture prescritte.

2. - Trasmessi a questa Corte gli atti del giudice a quo e adempiute le formalità di rito, con atto depositato il 7 marzo 1977 é intervenuta, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale proposte dal pretore di Torino siano dichiarate infondate.

Riportandosi, per quanto riguarda la questione proposta in riferimento all'art. 3 della Costituzione (identica a quella già prospettata con altre ordinanze), alle deduzioni svolte negli atti d'intervento presentati nei giudizi relativi (risoltisi poi con la sentenza di questa Corte n. 103 del 1977), riguardo alle questioni formulate in riferimento agli artt. 4 e 32 della Costituzione, l'Avvocatura osserva, anzitutto, che il senso della norma dell'art. 4 della Costituzione esclude che l'efficacia di essa si estenda fino a coprire situazioni del tipo di quella che é oggetto di esame nell'ordinanza di rinvio. Quanto poi al richiamo dell'art. 32 della Costituzione, all'Avvocatura non sembra possa affermarsi che il diritto alla salute da esso sancito comprenda anche il diritto di scelta del medico di propria fiducia. In tal modo, infatti, si verrebbe ad escludere che il diritto proclamato dall'art. 32 della Costituzione trovi tutela negli ospedali pubblici, cui tutti possono accedere, ma nei quali la scelta del medico é ben raramente consentita al paziente, senza che con ciò possa dirsi che il diritto alla salute non riceva in tal caso per il paziente stesso congrua tutela.

3. - Inclusa, in un primo tempo, fra le cause da esaminare, in camera di consiglio, il 28 febbraio 1980, la causa, con ordinanza n. 145 dello stesso anno

, é stata rinviata a nuovo ruolo. All'udienza pubblica del 12 gennaio 1982, successivamente fissata per la discussione, il giudice Antonino De Stefano ha svolto la relazione e l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti ha insistito per la dichiarazione di non fondatezza.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il pretore di Torino, con l'ordinanza indicata in epigrafe, prospetta questione di legittimità costituzionale degli artt. 43, lett. d. della legge 12 febbraio 1968, n. 132, e 133 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, interpretati nel senso che il divieto, da essi disposto per i sanitari ospedalieri con rapporto di lavoro a tempo definito, di esercitare attività libero - professionale presso case di cura private, abbia carattere perentorio ed operi comunque, dopo il 31 dicembre 1975, anche se l'amministrazione ospedaliera non abbia assicurato la disponibilità di appositi ambienti qualitativamente idonei per l'esercizio dell'attività professionale all'interno dell'ospedale.

Le denunciate norme contrasterebbero con vari principi costituzionali. Innanzitutto con il principio dell'uguaglianza, sancito dall'art. 3 della Costituzione, sotto un duplice profilo. Ad avviso del pretore, infatti, una prima disparità di trattamento per i sanitari che, in ragione della propria specializzazione, abbiano bisogno per l'esercizio della professione di particolari attrezzature, scaturirebbe dalle norme in questione, avendo il divieto una diversa incidenza, a seconda che essi dipendano da enti ospedalieri che abbiano apprestato ambienti idonei all'esercizio dell'attività libero - professionale o da enti che, invece, tali ambienti non abbiano potuto o voluto attrezzare. Una seconda disparità di trattamento si concreterebbe, per gli stessi sanitari, rispetto ai loro colleghi, egualmente dipendenti ospedalieri a tempo definito, che, non avendo bisogno di particolari attrezzature, possono esercitare la libera professione nei propri studi privati, per i quali ultimi il divieto non opera, vigendo soltanto per le case di cura.

Le norme impugnate sarebbero, poi, in contrasto anche con il principio enunciato dall'art. 4 della Costituzione, in quanto i sanitari ospedalieri a tempo definito, non avendo la possibilità, per le ragioni sopra esposte, di svolgere all'interno dell'ospedale l'attività libero - professionale cui hanno diritto, verrebbero a subire una ingiustificata limitazione del loro diritto al lavoro.

Infine, il giudice a quo denuncia il contrasto delle anzidette norme con l'art. 32 della Costituzione, atteso che il diritto alla salute, da questo garantito, rimarrebbe compresso in una delle sue più importanti estrinsecazioni, quella di farsi curare dal medico di propria fiducia, "ogni qual volta il medico prescelto fosse medico ospedaliero e l'ospedale... non disponesse delle strutture prescritte".

2. - La sollevata questione, nei cennati profili con riferimento agli invocati parametri degli artt. 3 e 4 della Costituzione, é stata già dichiarata non fondata da questa Corte con la sentenza n. 103 del 1977; e manifestamente infondata, in relazione al solo art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza n. 7 del 1979. Pertanto, non essendo addotti argomenti atti ad indurre la Corte a modificare la propria giurisprudenza, la questione, come prospettata con riferimento ai menzionati artt. 3 e 4 della Costituzione, va dichiarata manifestamente infondata.

3. - Del pari non fondata é la questione, come prospettata in relazione all'art. 32 della Costituzione.

Nella richiamata sentenza n. 103 del 1977 questa Corte ebbe ad affermare che "in attuazione del principio del supremo interesse della collettività alla tutela della salute, consacrata come fondamentale diritto dell'individuo dall'art. 32 della Costituzione (sentenze n. 21 del 1964 e n. 149 del 1969), l'infermo assurge, nella novella concezione dell'assistenza ospedaliera, alla dignità di legittimo utente di un pubblico servizio, cui ha pieno e incondizionato diritto, e che gli viene reso, in adempimento di un inderogabile dovere di solidarietà umana e sociale, da apparati di personale e di attrezzature a ciò strumentalmente preordinati e che in ciò trovano la loro stessa ragion d'essere". E nella successiva sentenza n. 88 del 1979 la Corte ribadì che il bene afferente alla salute va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione.

In siffatta prospettiva non v'ha dubbio che razionalmente si colloca il diritto del cittadino alla libera scelta del medico e del luogo di cura. Ovvio, peraltro, che la tutela di siffatto diritto vada assicurata "nei limiti oggettivi dell'organizzazione dei servizi sanitari", come appunto sancisce l'art. 19, comma secondo, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale.

Per quanto in particolare concerne l'assistenza ospedaliera, l'art. 25 della citata legge n. 833 del 1978 si richiama al "principio della libera scelta del cittadino al ricovero presso gli ospedali pubblici e gli altri istituti convenzionati", contemplando, peraltro, ai commi ottavo e nono, apposita disciplina, a seconda che i nosocomi siano ubicati nel territorio della regione di residenza dell'utente o fuori di esso. In tale ambito la scelta del medico di fiducia può essere realizzata anche facendo ricorso all'attività libero- professionale consentita ai sanitari ospedalieri dalle denunciate norme e da quelle successive (art. 12 della legge 29 giugno 1977, n. 349; art. 47, comma terzo, n. 4 della citata legge n. 833 del 1978; art. 35 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761), che fanno riferimento anche a modalità e limiti previsti da leggi regionali. Ma la disciplina di tale rapporto resta pur sempre subordinata, come ben rileva l'Avvocatura dello Stato, alle preminenti esigenze organizzative e funzionali delle strutture ospedaliere. I limiti posti al riguardo dalle impugnate norme - limiti la cui fondamentale ratio é stata da questa Corte, con la più volte richiamata sentenza n. 103 del 1977, ravvisata nella tutela degli stessi principi posti, soprattutto nell'interesse del malato, a base della riforma ospedaliera non appaiono perciò lesivi del principio sancito dall'invocato art. 32 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 4 della Costituzione, con l'ordinanza emessa in data 16 novembre 1976 dal pretore di Torino (R.O. n. 764 del 1976) degli artt. 43, lett. d. della legge 12 febbraio 1968, n. 132 (Enti ospedalieri e assistenza ospedaliera) e 133 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 (Stato giuridico dei dipendenti degli enti ospedalieri): questione già dichiarata non fondata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 103 del 1977;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento all'art. 32 della Costituzione, con l'ordinanza emessa in data 16 novembre 1976 dal pretore di Torino (R.O. n. 764 del 1976), degli artt. 43, lett. d. della legge 12 febbraio 1968, n. 132 (Enti ospedalieri, e assistenza ospedaliera) e 133 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 (Stato giuridico dei dipendenti degli enti ospedalieri).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE . Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 10 novembre 1982.