Sentenza n. 142 del 1982
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SENTENZA N. 142

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 10, lett. f, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'11 aprile 1978 dalla Commissione tributaria di 2 grado di Reggio Calabria sul ricorso proposto da Mannino Fortunato, iscritta al n. 21 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica N. 80 del 21 marzo 1979;

2) ordinanza emessa il 30 aprile 1979 dalla Commissione tributaria di 1 grado di Bassano del Grappa sul ricorso proposto da Todesco Renzo, iscritta al n. 808 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15 del 16 gennaio 1980;

3) ordinanza emessa l'11 maggio 1979 dalla Commissione tributaria di 1 grado di Venezia sul ricorso proposto da Capo Paolo, iscritta al n. 815 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15 del 16 gennaio 1980;

4) ordinanza emessa il 18 maggio 1981 dalla Commissione tributaria di 1 grado di La Spezia sul ricorso proposto da Banelli Giuseppina, iscritta al n. 672 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica N. 26 del 27 gennaio 1982.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 aprile 1982 il Giudice relatore Oronzo Reale;

udito l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con quattro distinte ordinanze la Commissione tributaria di secondo grado di Reggio Calabria (n. 21 del reg. ord. 1979), la Commissione tributaria di primo grado di Bassano del Grappa (n. 808 del reg. ord. 1979), la Commissione tributaria di primo grado di Venezia (n. 815 del reg. ord. 1979) e la Commissione tributaria di primo grado di La Spezia (n. 672 del reg. ord. 1981) sollevavano questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 10, lett. f), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 nella parte in cui detta norma esclude dalla (limitata) detrazione dal reddito delle persone fisiche le spese per cure mediche e chirurgiche e le spese necessarie per l'assistenza specifica di persone colpite da grave e permanente invalidità, compresi gli onorari ed altri compensi corrisposti dal contribuente a persone non residenti nel territorio dello Stato.

In particolare, la norma sopra descritta, contrasterebbe:

- con l'art. 3 della Costituzione in quanto la disciplina ivi prevista creerebbe una diversità di trattamento tra contribuenti a seconda della residenza nello Stato o non di coloro che percepiscono il compenso relativo alle cennate prestazioni sanitarie, e sarebbe ingiustificata perché, ai fini della detrazione, dovrebbe avere rilievo esclusivamente l'effettività dell'esborso (tale presunta violazione é denunciata in tutte le ordinanze sopra elencate);

- con l'art. 32 della Costituzione; si assume al riguardo che la tutela della salute é bene costituzionalmente protetto, a garanzia e del singolo e della collettività, non suscettibile, a differenza di altri diritti pure costituzionalmente garantiti, quali ad esempio quello di proprietà, di "oblazione o mortificazione alcuna". Tale tutela dovrebbe dunque garantire al singolo scelte libere e discrezionali, in presenza delle diverse esigenze che possono presentarsi. Pertanto "ogni interferenza o remora, pur se mediata od indiretta", quale quella di cui all'art. 10, lett. f, della legge citata, sarebbe lesiva del diritto alla salute, costituzionalmente garantito in via assoluta dalla Costituzione (tale presunta violazione é prospettata in tutte le ordinanze);

- con l'art. 77, primo comma, della Costituzione; si assume al riguardo che la norma impugnata confliggerebbe con i principi direttivi della legge delega (art. 2, n. 6, della legge 9 ottobre 1971, n. 825). Infatti, ad avviso dei collegi remittenti, la deduzione delle spese del genere in questione non é correlata, come stabilito dalla legge delegante, al fatto che le stesse incidano o non sulla capacità contributiva del contribuente, ma viene, nella legge delegata, subordinata a fattori del tutto alieni da tale requisito, quali quello che le spese stesse siano state sostenute all'estero, ovvero corrisposte a favore di soggetto che non abbia domicilio nel territorio dello Stato (tale presunta violazione viene prospettata solo nelle ordinanze N. 808 del 1979 e 672 del 1981).

2. - In tutti i suddetti incidenti di costituzionalità spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la proposta questione venisse dichiarata infondata.

Nell'atto di intervento, riguardo alla presunta violazione dell'art. 3 della Costituzione, si rileva che il fatto di curarsi in Italia o all'estero costituisce una diversità di situazioni oggettive che giustifica una diversa disciplina giuridica di esse; ciò in quanto la natura della norma in esame é tributaria ed é derivata dalla necessità che l'onere detraibile sia controllabile anche attraverso l'esame della contabilità del percipiente, il quale a tal fine deve perciò essere domiciliato o residente nel territorio dello Stato. Sarebbe inoltre incongruo porre una questione di disparità di trattamento in danno dei cittadini che "per loro scelta" ricorrono ad assistenza sanitaria all'estero, "quando lo scopo della normativa consiste nella salvaguardia dell'interesse primario dello Stato alla riscossione dei tributi il quale, anche per espressa norma costituzionale, esige e giustifica una tutela particolare e certamente prevalente sulla difesa del singolo".

Con riferimento all'art. 32 della Costituzione si osserva invece che l'impossibilità di usufruire di un beneficio fiscale non può certo violare il diritto dei cittadini alla salute, che é "compiutamente garantito dall'ordinamento sanitario dello Stato italiano nell'ambito del quale agiscono coloro che risiedono nel territorio nazionale".

Infondato sarebbe altresì il dubbio di costituzionalità sollevato con riguardo all'art. 77, primo comma, della Costituzione. L'art. 2, n. 6, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, stabilisce infatti il criterio direttivo della deduzione dal reddito complessivo di oneri e spese rilevanti che incidano sulla situazione personale del soggetto.

Detto principio non appare violato dalla esclusione della deduzione delle spese mediche effettuate all'estero; infatti, il "presupposto insopprimibile" della detrazione delle spese dal reddito complessivo del contribuente é, da un lato, la possibilità del loro controllo, e, dall'altro, la tassazione delle stesse spese quale reddito del percipiente.

Poiché né l'uno né l'altro presupposto ricorrono nel caso de quo, é da escludersi che la norma impugnata sia in contrasto con i principi della legge delega.

Non si aveva costituzione di parti private.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le quattro ordinanze indicate in epigrafe e riassunte in narrativa sollevano questione di legittimità costituzionale della stessa norma di legge: le cause possono quindi essere riunite e decise con unica sentenza.

2. - Le controversie tributarie che hanno dato origine alla questione di legittimità costituzionale in esame sono tutte relative a redditi IRPEF dell'anno 1975 dichiarati nel 1976, ad eccezione di quella della Commissione tributaria di Reggio Calabria relativa (come si desume dal fascicolo di causa) a redditi IRPEF e ILOR dell'anno 1974 dichiarati nel 1975. Sono, quindi, regolate dalle disposizioni originarie del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, e infatti il dubbio di incostituzionalità é stato sollevato da tutte le ordinanze sull'art. 10, lett. f, del detto decreto; e precisamente da tutte le Commissioni in relazione agli artt. 3 e 32 Cost., da quelle di Bassano del Grappa e La Spezia anche in relazione all'art. 77 Cost.

La norma citata dispone (anzi disponeva) la deducibilità dal reddito complessivo delle "spese per cure mediche e chirurgiche e le spese necessarie per l'assistenza specifica di persone colpite da grave e permanente invalidità o menomazione, compresi gli onorari o altri compensi per i quali sia indicato il domicilio o la residenza del percipiente nel territorio dello Stato, per la parte del loro ammontare complessivo che ecceda il 10 o il 5 per cento del reddito complessivo dichiarato secondo che questo sia o non sia superiore a quindici milioni di lire...".

Tutti i giudici a quibus, interpretando la norma come richiedente, per l'ammissione alla detrazione, per tutte le spese medico chirurgiche compresi gli onorari, il domicilio o la residenza dei percipienti nel territorio dello Stato e la loro indicazione da parte del contribuente, hanno dubitato della legittimità costituzionale di essa.

3. - La questione é fondata.

La legge tributaria allorché stabilisce, tanto nella disposizione cui si riferisce la questione che la Corte é chiamata a decidere, quanto in disposizioni successive di ampiezza maggiore, la deducibilità delle spese medico chirurgiche dal reddito imponibile, lo fa certamente in considerazione dell'importanza primaria del bene della salute e dell'obbligo costituzionale della sua tutela (art. 32 Cost.).

É ben vero che la determinazione degli strumenti, dei tempi e dei modi di attuazione di questa tutela spettano al legislatore ordinario. E, infatti, sia per quanto riguarda l'assistenza diretta, sia per quanto riguarda la deducibilità delle spese di cura sostenute in proprio dal contribuente, la legislazione nazionale postcostituzionale offre il quadro di un'evoluzione nel senso della più estesa tutela del bene della salute. Momento fondamentale di attuazione dell'intervento della collettività nella tutela della salute dell'individuo é l'emanazione della legge (n. 833 del 1978) che istituisce il Servizio sanitario nazionale, la cui finalità peculiare é quella di assicurare direttamente a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro capacità economica (che viene in gioco soltanto per la provvista dei mezzi necessari al funzionamento del servizio e, in via di eccezione, nella richiesta di limitati e graduati contributi da parte degli utenti dei singoli servizi), "la diagnosi e la cura degli eventi morbosi, quali che ne siano le cause, la fenomenologia e la durata" e "la riabilitazione degli stati di invalidità terapeutica e psichica".

Senonché, tanto dopo l'istituzione del Servizio sanitario nazionale, quanto prima, quando altre erano le strutture sanitarie alle quali era affidata la tutela della salute di molte, ma non tutte, le categorie, non era e non é interdetto ai cittadini di ricorrere agli interventi medici in case di cura o da parte di professionisti liberamente scelti o in ragione di una maggiore fiducia personale in essi o in ragione della necessità di terapie e di interventi non possibili alle strutture pubbliche.

Ora, sia prima che dopo la riforma sanitaria del 1978, il legislatore tributario ha preso in considerazione le spese erogate dal contribuente per queste cure e, proprio in relazione al precetto dell'art. 32 Cost., le ha ritenute meritevoli di detrazione dal reddito imponibile delle persone fisiche, dapprima (testo unico n. 645 del 1958; d.P.R. n. 597 del 1973) solo in relazione all'entità del reddito imponibile, poi (art. 8 del d.l. n. 693 del 1980 convertito in legge 22 dicembre 1980, n. 891) accordando la integrale deducibilità, fra le dette spese, a quelle chirurgiche, per prestazioni specialistiche e per protesi dentarie e sanitarie in genere.

Dunque non é vero (come sostiene l'Avvocatura dello Stato per negare la validità del richiamo all'art. 32 Cost.) che il diritto dei cittadini alla tutela della salute "é compiutamente garantito dall'ordinamento sanitario dello Stato italiano nell'ambito del quale agiscono coloro che risiedono nel territorio nazionale". Se ciò avesse ritenuto il legislatore, sarebbe venuta meno la giustificazione della deducibilità delle spese mediche sostenute dal cittadino.

Alla stregua della legislazione vigente in esame, non é, quindi, giustificabile, sul piano del principio di eguaglianza, la distinzione che la disposizione investita dal dubbio di costituzionalità opera ai fini della deducibilità dal reddito imponibile, per erogazioni delle quali il percipiente si trovi entro o fuori il territorio dello Stato.

Né qui si tratta - deve essere osservato - di evitare una evasione di imposta da parte del percipiente perché questo, in quanto residente all'estero, non é debitore di imposta verso lo Stato italiano per un reddito non prodotto in Italia.

Se lo scopo della norma fosse stato quello di consentire o favorire l'accertamento di reddito prodotto in Italia (nel qual caso la sua legittimità non sarebbe in discussione), essa avrebbe dovuto prescrivere che la indicazione é necessaria solo quando il percipiente é residente o domiciliato in Italia, secondo l'interpretazione di una Commissione tributaria, che risulta isolata ed é contraddetta da tutti i giudici a quibus.

Ove poi si voglia sottolineare essere preferibile che la spesa sia sostenuta in Italia al fine di poterla tassare in capo ai percipienti, ciò non può costituire un motivo di tale rilievo da eliminare il fondamento della deducibilità che sta, ripetesi, nel riconoscimento accordato, in ossequio al precetto costituzionale, alla esigenza della salvaguardia della salute, e quindi alla libertà di scelta, da parte dell'ammalato, di cure e interventi, a sue spese, al di fuori della struttura sanitaria alla quale potrebbe ricorrere in Italia.

Del resto, basta ammettere, anche in via di ipotesi, suffragata dalla comune esperienza, che possano esserci delle cure e degli interventi per i quali sia necessario ricorrere all'estero, per riconoscere quale iniquità costituirebbe negare, in tali casi, la deducibilità delle spese al contribuente che ha dovuto sostenerle.

Le considerazioni fin qui svolte convincono la Corte che l'art. 10, lett. f, del d.P.R. n. 597 del 1973, laddove limita la deducibilità delle spese e compensi di cui trattasi al caso che sia indicato il domicilio o la residenza del percipiente nel territorio dello Stato, confligga con gli artt. 3 e 32 della Costituzione perché in materia che si riferisce alla protezione della salute individuale discrimina irrazionalmente il trattamento fiscale delle spese sostenute nel territorio nazionale da quelle sostenute all'estero.

Infatti, se le spese cui si riferisce la deducibilità sono riconosciute necessarie per la tutela della salute (e senza alcun rilievo dal fatto che esse avrebbero o no potuto essere evitate rivolgendosi alle strutture sanitarie nazionali), non appare ragionevole un trattamento diverso a seconda che il percipiente sia in Italia o all'estero.

L'Avvocatura eccepisce a tale conclusione la "necessità che l'onere detraibile sia rigorosamente controllabile da parte dell'Ufficio". Senonché in primo luogo il controllo é già assicurato dall'ultimo comma dell'art. 10 del d.P.R. n. 597 del 1973, il quale prescrive che tutte le deduzioni contemplate nell'articolo stesso "sono ammesse nella misura in cui gli oneri risultino da idonea documentazione", che va, naturalmente, controllata dall'Amministrazione. In secondo luogo, sui pagamenti all'estero del cittadino italiano é previsto il controllo dell'Ufficio Cambi che accorda l'esportazione della valuta.

Pertanto l'indubbio rilievo dell'art. 53 Cost., che può essere ritenuto pari ordinato ma non prevalente rispetto all'art. 32 Cost., non può togliere pregio alle considerazioni e conclusioni cui la Corte é pervenuta e che dispensano la Corte dall'esaminare la questione anche in relazione all'art. 77 Cost. indicato quale ulteriore parametro dalle Commissioni di Bassano del Grappa e di La Spezia.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 10, lett. f, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, limitatamente alle parole "nel territorio dello Stato".

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 27 luglio 1982.