Sentenza n. 68 del 1978
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SENTENZA N. 68

ANNO 1978

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leonetto AMADEI, Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, promosso con ordinanza emessa l'11 aprile 1978 dalla Corte costituzionale nel corso del giudizio per conflitto di attribuzione tra Pietroletti Glauco ed altri (in nome e per conto del Comitato promotore del referendum abrogativo della legge 22 maggio 1975, n. 152) e l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, iscritta al n. 260 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 105 del 15 aprile 1978.

 

Visto l'atto di costituzione di Pietroletti Glauco ed altri;

 

udito nell'udienza pubblica del 15 maggio 1978 il Giudice relatore Livio Paladin;

 

udito l'avv. Franco Casamassima, per Pietroletti Glauco ed altri.

 

Ritenuto in fatto

 

Il Comitato promotore del referendum per l'abrogazione della legge 22 maggio 1975, n. 152, ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti dell'Ufficio centrale per il referendum: impugnando l'ordinanza 6 dicembre 1977, con cui l'Ufficio stesso ha dichiarato legittima la relativa richiesta, ad eccezione dell'art. 5 della legge predetta, in quanto sostituito dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533.

In via di prima delibazione - mediante l'ordinanza n. 17 di quest'anno - la Corte ha ritenuto l'ammissibilità del conflitto; e nel corso del conseguente giudizio ha sollevato d'ufficio - mediante l'ordinanza n. 44 - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, in riferimento all'art. 75 della Costituzione. Nell'articolo impugnato si dispone infatti, senza distinguere fra le diverse ipotesi di abrogazione, che se "la legge, o l'atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati, l'Ufficio centrale per il referendum dichiara che le operazioni relative non hanno più corso". Con ciò stesso possono però determinarsi - come la Corte ha notato - "applicazioni lesive delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute ai firmatari delle richieste di referendum": quanto meno nella parte in cui l'art. 39 "prevede che il blocco delle operazioni referendarie si produca anche quando la sopravvenuta norma abrogativa sia accompagnata dalla emanazione di altra normativa che regoli la stessa materia apportando solo innovazioni formali o di dettaglio, senza modificare né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, né i principi ispiratori della complessiva disciplina sottoposta a referendum".

Nell'attuale giudizio si é costituito il solo Comitato promotore interessato, sostenendo la fondatezza della questione. Più precisamente, i promotori assumono che "il legislatore non possa sottrarsi alla verifica popolare se non abrogando la legge o l'atto avente forza di legge, secondo l'intenzione dei richiedenti la consultazione": vale a dire, attraverso una "eliminazione pura e semplice della legge o dell'atto avente forza di legge dall'ordinamento giuridico". Del resto, ogni altra interpretazione dell'art. 39 conferirebbe all'Ufficio centrale poteri di gran lunga eccedenti le previsioni della legge n. 352 del 1970, facendo dipendere dalle sue decisioni - emesse senza alcun contraddittorio - l'indizione del referendum abrogativo e la stessa modificazione del quesito referendario.

Quanto invece al rapporto tra il potere legislativo, i richiedenti il referendum e l'intero corpo elettorale, il Comitato promotore ha rilevato che l'intervento del legislatore, una volta indetta la consultazione popolare, verrebbe a stravolgere la dinamica dell'istituto previsto dall'art. 75 Cost.: donde la necessità di concludere che, al di là di un certo termine, lo stesso Parlamento non debba attivarsi o comunque non possa dare luogo ad un blocco delle operazioni referendarie.

 

Considerato in diritto

 

1. - Per valutare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 39 delle "norme sui referendum previsti dalla Costituzione", occorre stabilire in quali rapporti si trovino - ai sensi dell'art. 75 Cost. - le richieste di referendum abrogativo e gli atti legislativi che producano, prima dell'effettuazione dei referendum, l'abrogazione delle leggi, degli atti aventi forza di legge ovvero dei singoli disposti, inizialmente indicati dai promotori delle richieste medesime. Più specificamente, deve essere accertato se la legislazione ordinaria sia paralizzata od altrimenti limitata, nel corso dei procedimenti per il referendum, quanto agli oggetti delle richieste referendarie; e reciprocamente deve essere accertato se con tali richieste possano validamente interferire, e con quali conseguenze, gli eventuali atti di esercizio della funzione legislativa conferita alle Camere dall'art. 70 della Costituzione.

Sotto il primo profilo, i promotori del referendum per l'abrogazione della legge 22 maggio 1975, n. 152, hanno sostenuto - già in vista del giudizio sul conflitto di attribuzione instaurato nei confronti dell'Ufficio centrale presso la Corte di cassazione - che la presentazione delle richieste di referendum abrogativo determinerebbe un effetto di "prevenzione", preclusivo di ogni intervento perturbatore del potere legislativo.

Ma la tesi é infondata. In base all'art. 70 Cost., la funzione legislativa ordinaria é potenzialmente inesauribile: prestandosi a venire esercitata per un indefinito numero di volte, senza limiti di tempo, in tutte le materie di sua competenza che il legislatore ritenga opportuno disciplinare nuovamente. Né si può dire che l'esercizio di tale funzione debba essere bloccato per l'intero corso del procedimento referendario, in quanto gli oggetti delle richieste di referendum sarebbero attratti nell'esclusiva disponibilità del corpo elettorale. Al contrario, l'assunto non corrisponde al testo costituzionale, che non introduce in tal senso nessuna eccezione al principio di continuità della funzione e del potere legislativo; né corrisponde alla stessa ragion d'essere dell'istituto del referendum abrogativo.

Da un lato, infatti, gli stessi promotori costituitisi nel presente giudizio riconoscono che l'art. 75 Cost. non esclude la sopravvenienza di leggi di abrogazione totale degli atti o dei disposti per i quali sia stato richiesto il referendum: dal momento che esso ne risulta privato del suo oggetto, con esiti identici a quelli producibili da un voto popolare abrogativo. E d'altro lato non può nemmeno escludersi una legislazione abrogativa accompagnata da una nuova disciplina della materia in questione: sia perché il referendum può bene mirare (se non altro nelle ipotesi in cui vengano in considerazione le cosiddette leggi costituzionalmente necessarie) ad una mutazione della disciplina preesistente, piuttosto che ad una integrale e definitiva caducazione di essa; sia soprattutto perché, una volta promosse le richieste referendarie, potrebbero insorgere nuovi bisogni e problemi, di fronte ai quali sarebbe assurdo che al potere legislativo venisse impedito d'intervenire tempestivamente.

Occorre dunque concludere che le Camere conservano la propria permanente potestà legislativa, sia nella fase dell'iniziativa e della raccolta delle sottoscrizioni, sia nel corso degli accertamenti sulla legittimità e sull'ammissibilità delle richieste, sia successivamente alla stessa indizione del referendum abrogativo.

Di conseguenza, il rispetto delle esigenze che i promotori ritengono lese non pone problemi di legittimità delle leggi, di cui questa Corte possa darsi carico, ma resta demandato alla sensibilità politica del Parlamento; tanto più che le indagini sui pretesi vizi delle leggi sopraggiunte ad innovare la disciplina sottoposta al voto popolare, dopo che la consultazione fosse stata indetta, eccedono i limiti dell'attuale giudizio, quali sono stati definiti dall'ordinanza di rinvio.

2. - Sotto il secondo profilo, s'intende per altro che gli effetti abrogativi, in quanto incidenti sull'oggetto del quesito referendario, non possono non ripercuotersi sulla corrispondente richiesta. Per definizione, infatti, non é dato proporre al corpo elettorale l'abrogazione di leggi formali o di atti equiparati o di singoli disposti legislativi, che già siano stati abrogati: poiché, se così fosse, il voto popolare verrebbe in partenza privato di entrambi i suoi tipici effetti, abrogativo e preclusivo, alternativamente previsti dall'art. 37 e dall'art. 38 della legge n. 352 del 1970. Ed é qui che trova fondamento quell'art. 39 della legge medesima, per cui "l'Ufficio centrale per il referendum dichiara" - in questi casi - "che le operazioni relative non hanno più corso".

Fin dalle prime applicazioni della legge n. 352 gli interpreti hanno però rilevato che la formulazione dell'art. 39 é così ampia ed indiscriminante, da consentire che vengano frustrati gli intendimenti dei promotori e dei sottoscrittori delle richieste di referendum abrogativo: prestandosi in tal modo ad eludere o paralizzare le stesse disposizioni dell'art. 75 Cost.

Effettivamente, con la previsione e con la garanzia costituzionale del potere referendario non é conciliabile il fatto che questo tipico mezzo di esercizio diretto della sovranità popolare finisca per esser sottoposto - contraddittoriamente - a vicende risolutive che rimangono affidate alla piena ed insindacabile disponibilità del legislatore ordinario: cui verrebbe consentito di bloccare il referendum, adottando una qualsiasi disciplina sostitutiva delle disposizioni assoggettate al voto del corpo elettorale.

In dottrina é stato perciò suggerito d'intendere e di applicare l'art. 39 - per conformarlo alla Costituzione - con esclusivo riferimento alle ipotesi di abrogazione totale ed espressa, non accompagnata da una nuova disciplina della materia, e quindi equivalente ad un voto popolare abrogativo. Ma simili interpretazioni adeguatrici (che oltre tutto rischierebbero di non essere nemmeno producenti allo scopo) non trovano alcun riscontro nel testo legislativo in esame. Prescrivendo che le operazioni referendarie non hanno più corso, "se prima della data di svolgimento del referendum, la legge, o l'atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati", l'art. 39 non introduce distinzioni o precisazioni di alcun genere; ma é letteralmente riferibile - ed é stato riferito nella prassi - all'abrogazione totale come a quella parziale, alla abrogazione dissociata come a quella accompagnata da una nuova regolamentazione della materia, mediante innovazioni di sostanza o di forma, di principio o di dettaglio.

3. - Così interpretato, l'art. 39 della legge n. 352 del 1970 dev'essere allora considerato illegittimo, per contrasto con l'art. 75 Cost., nella parte in cui non predispone adeguati mezzi di tutela dei firmatari delle richieste di referendum abrogativo.

La sostanza del quesito che i promotori ed i sottoscrittori di tali richieste propongono al corpo elettorale non é infatti costituita da un atto legislativo oppure da certi suoi singoli disposti; e l'abrogazione di essi non impone di concludere che le rispettive operazioni debbano essere comunque bloccate. É vero che alle leggi, agli atti aventi forza di legge od alle loro singole disposizioni si riferiscono - per identificare i temi del referendum abrogativo - tanto l'art. 75 primo comma Cost. quanto l'art. 27 della legge n. 352 del 1970. Ma é manifesto, perché in ciò consiste il valore politico delle decisioni demandate al popolo, che gli atti o i disposti legislativi indicati in ciascuna richiesta non sono altro che il mezzo per individuare una data normativa, sulle sorti della quale gli elettori vengono in effetti chiamati a pronunciarsi. Se così non fosse, la stessa riproduzione integrale dei contenuti di una legge preesistente, operata da una legge nuova, basterebbe a precludere l'effettuazione del referendum già promosso per l'abrogazione della prima di queste due fonti. Ma una conseguenza così paradossale concorre a far capire quanto poco sia fondata la premessa.

Nella sentenza n. 16 di quest'anno, giudicando sull'ammissibilità della richiesta per l'abrogazione dell'ordinamento giudiziario militare, la Corte ha viceversa precisato che "il tema del quesito sottoposto agli elettori non é tanto formato... dalla serie delle singole disposizioni da abrogare, quanto dal comune principio che se ne ricava"; ed in questi termini ha coerentemente valutato se alla base delle varie richieste assoggettate al suo giudizio fosse o meno riscontrabile quella "matrice razionalmente unitaria", in vista della quale dev'essere accertata l'omogeneità dei corrispondenti quesiti. Con analoghi criteri va ora risolto il problema dei limiti in cui può verificarsi - legittimamente - il blocco delle operazioni per il referendum, a causa degli effetti abrogativi previsti dall'art. 39 della legge n. 352 del 1970. Se l'"intenzione del legislatore" - obiettivatasi nelle disposizioni legislative sopraggiunte - si dimostra fondamentalmente diversa e peculiare, nel senso che i relativi principi ispiratori sono mutati rispetto alla previa disciplina della materia, la nuova legislazione non é più ricollegabile alla precedente iniziativa referendaria: in quanto non si può presumere che i sottoscrittori, firmando la richiesta mirante all'abrogazione della normativa già in vigore, abbiano implicitamente inteso coinvolgere nel referendum quella stessa ulteriore disciplina. Se invece l'"intenzione del legislatore" rimane fondamentalmente identica, malgrado le innovazioni formali o di dettaglio che siano state apportate dalle Camere, la corrispondente richiesta non può essere bloccata, perché diversamente la sovranità del popolo (attivata da quella iniziativa) verrebbe ridotta ad una mera apparenza.

In quest'ultima ipotesi, la nuova disciplina della materia realizza per intero i suoi normali effetti abrogativi, impedendo che il referendum assuma tuttora ad oggetto le disposizioni già abrogate. Ma la consultazione popolare deve svolgersi pur sempre, a pena di violare l'art. 75 Cost. E, di conseguenza, l'unica soluzione possibile consiste nel riconoscere che il referendum si trasferisce dalla legislazione precedente alla legislazione così sopravvenuta (oppure che la richiesta referendaria si estende alle successive modificazioni di legge, qualora si riscontri che esse s'inseriscono nella previa regolamentazione, senza sostituirla integralmente).

Per meglio chiarire a quali condizioni il referendum debba essere effettuato sulla nuova disciplina legislativa, al di fuori delle attuali prescrizioni dell'art. 39 della legge n. 352 del 1970, conviene però mantenere distinta l'ipotesi in cui la richiesta riguardasse nella loro interezza una legge od un atto equiparato (od anche un organico insieme di disposizioni, altrimenti individuate dal legislatore) da quella in cui fosse stata proposta soltanto l'abrogazione di disposizioni specifiche. Nel primo caso, questa Corte ritiene che l'indagine non possa limitarsi alle affinità od alle divergenze riscontrabili fra le singole previsioni della precedente e della nuova legislazione, ma si debba estendere ai raffronti fra i principi cui s'informino nel loro complesso l'una o l'altra disciplina; sicché il mutamento dei principi stessi può dare adito al blocco delle relative operazioni referendarie, quand'anche sopravvivano - entro il nuovo ordinamento dell'intera materia - contenuti normativi già presenti nell'ordinamento precedente; mentre la modificazione di singole previsioni legislative giustifica l'interruzione del procedimento nella parte concernente le previsioni medesime, solo quando si possa riscontrare che i loro principi informatori non sono più riconducibili a quelli della complessiva disciplina originaria. Nel secondo caso, invece, decisivo é il confronto fra i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, senza che occorra aver riguardo ai principi dell'intero ordinamento in cui questi si ritrovino inseriti: appunto perché i promotori ed i sottoscrittori delle richieste di referendum non avevano di mira l'abrogazione di quell'ordinamento considerato nella sua interezza.

Con tali criteri, comunque, non si può certo sostenere che gli elettori vengano chiamati a votare su un quesito affatto diverso da quello per cui erano state operate la presentazione e la sottoscrizione della richiesta di referendum abrogativo. La sottoposizione della nuova legge al voto popolare, qualora essa introduca modificazioni formali o di dettaglio, corrisponde alla sostanza dell'iniziativa assunta dai promotori e dai sottoscrittori; e rappresenta la strada costituzionalmente obbligata per conciliare - nell'ambito del procedimento referendario - la permanente potestà legislativa delle Camere con la garanzia dell'istituto del referendum abrogativo.

In questi termini, l'Ufficio centrale per il referendum é dunque chiamato a valutare - sentiti i promotori della corrispondente richiesta - se la nuova disciplina legislativa, sopraggiunta nel corso del procedimento, abbia o meno introdotto modificazioni tali da precludere la consultazione popolare, già promossa sulla disciplina preesistente: trasferendo od estendendo la richiesta, nel caso di una conclusione negativa dell'indagine, alla legislazione successiva. Corrispondentemente, alla Corte costituzionale compete pur sempre di verificare se non sussistano eventuali ragioni d'inammissibilità, quanto ai nuovi atti o disposti legislativi, così assoggettati al voto popolare abrogativo.

4. - All'atto di dichiarare l'illegittimità dell'art. 39 della legge n. 352 del 1970, nella parte in cui lascia insoddisfatta l'esigenza di non frustrare il ricorso al referendum, la Corte é pienamente consapevole che da questa decisione potranno derivare inconvenienti e difficoltà applicative. Ma i poteri dei quali essa dispone non le consentono altro che di accertare e sanzionare le violazioni delle norme costituzionali, adottando le soluzioni a ciò conseguenti nei soli limiti in cui queste risultino univoche ed indispensabili per assicurare l'osservanza della Costituzione stessa. Le ulteriori modificazioni del procedimento per il referendum abrogativo, di cui le recenti esperienze stanno dimostrando l'opportunità - come la Corte ha già rilevato nella sentenza n. 16 di quest'anno - competono invece al Parlamento (anche mediante il ricorso - qualora necessario - alla legislazione prevista dall'art. 138 Cost.).

In particolar modo, al legislatore spetterà di precisare o di riconsiderare i ruoli e le funzioni degli organi competenti ad intervenire nel corso delle procedure referendarie. Inoltre, attraverso una riforma della legge n. 352 del 1970 potranno essere altrimenti regolati i tempi delle relative operazioni: specialmente allo scopo di permettere l'effettuazione del referendum abrogativo oltre il termine finale del 15 giugno, allorché le leggi o le disposizioni sottoposte al voto popolare vengano abrogate all'ultima ora, imponendo nuove formulazioni degli originari quesiti ed intralciando gli adempimenti che precedono la data di convocazione degli elettori.

 

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, limitatamente alla parte in cui non prevede che se l'abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il referendum venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il referendum si effettui sulle nuove disposizioni legislative.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 maggio 1978.

 

 

Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI -  Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE

 

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 17 maggio 1978.