Sentenza n. 179 del 1976

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SENTENZA N. 179

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 131 e 139 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645; dell'art. 2 della legge 9 ottobre 1971, n. 825; degli artt. 15, 16, 17, 19, 20 e 30 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636; degli artt. 2, primo comma, e 4 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597; e degli artt. 1, 46, 56 e 57 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (cumulo dei redditi familiari), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 15 aprile 1975 dal pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Capaccioli Mario e Garzia Erminia, iscritta al n. 136 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 114 del 30 aprile 1975;

2) ordinanza emessa il 2 aprile 1975 dal pretore di Voghera nel procedimento civile vertente tra Odorisio Roberto e Morini Mirella, iscritta al n. 160 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 140 del 28 maggio 1975;

3) ordinanza emessa il 29 aprile 1975 dal pretore di Livorno nel procedimento civile vertente tra Scappatura Giuseppe e Lombardi Maria, iscritta al n. 253 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 202 del 30 luglio 1975;

4) ordinanza emessa il 16 aprile 1975 dal pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Pomarici Ferdinando e Farciglia Maria Rosaria, iscritta al n. 275 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiate della Repubblica n. 202 del 30 luglio 1975;

5) ordinanza emessa il 26 aprile 1975 dal pretore di Arona nel procedimento civile vertente tra Aprile Michele e Rossi Piera, iscritta al n. 289 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 202 del 30 luglio 1975;

6) ordinanza emessa il 24 aprile 1975 dal pretore di Firenze nel procedimento civile vertente tra Calefato Claudio e Ottavi Paola, iscritta al n. 314 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 202 del 30 luglio 1975;

7) ordinanza emessa il 12 giugno 1975 dal pretore di Carrara nel procedimento civile vertente tra Vaccini Dino e Scappatura Giovanna, iscritta al n. 425 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiate della Repubblica n. 306 del 19 novembre 1975

8) ordinanza emessa il 30 luglio 1975 dal pretore di Foggia nel procedimento civile vertente tra Bassi Angelo Raffaele e Ricotti Luigina, iscritta al n. 430 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 293 del 5 novembre 1975;

9) ordinanza emessa il 10 ottobre 1975 dalla Corte costituzionale nel procedimento civile vertente tra Capaccioli Mario ed altri e Garzia Erminia, Ottavi Paola ed altri, iscritta al n. 469 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 281 del 22 ottobre 1975;

10) ordinanza emessa il 7 aprile 1975 dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano sul ricorso di Perelli Augusto contro l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 528 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18 del 21 gennaio 1976;

11) ordinanza emessa il 17 marzo 1975 dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano sul ricorso di Maiocchi Mario contro l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 569 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 28 gennaio 1976.

Visti gli atti di costituzione di Garzia Erminia, di Ottavi Paola e dell'Amministrazione delle finanze dello Stato, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 giugno 1976 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

uditi l'avv. Franco Gaetano Scoca, per Garzia Erminia, l'avv. Paolo Barile, per Ottavi Paola, ed il vice avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per l'Amministrazione delle finanze dello Stato e per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. - Con sei ordinanze dei pretori di Roma, di Voghera, di Livorno, di Milano, di Arona e di Firenze, emesse in vari giorni del mese di aprile 1975, sono state sollevate varie questioni di legittimità costituzionale della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (revisione della disciplina del contenzioso tributario), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), e del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi).

Dette ordinanze erano state emesse in procedimenti aventi sostanzialmente lo stesso oggetto. Nell'ambito di rapporti patrimoniali tra coniugi sottostanti al regime della separazione dei beni, i mariti, in prossimità della scadenza del termine previsto per il 1975 per la dichiarazione annuale dei redditi, avevano richiesto alle rispettive mogli i dati ed i documenti relativi ai redditi dalle stesse conseguiti nel 1974 e di fronte al loro rifiuto di fornirglieli, si erano rivolti al pretore a sensi dell'art. 700 del codice di procedura civile, onde ottenerne in via di urgenza la condanna in ordine a quanto richiesto.

I pretori, in modo più o meno ampio ed in maniera espressa (ad eccezione dei pretori di Arona e di Firenze) si sono pronunciati preliminarmente sull'ammissibilità dell'azione cautelare.

In particolare, il pretore di Roma ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, lett. a), del d.P.R. n. 597 del 1973 per contrasto con gli artt. 3, 29, 31, 36, 37, 53 e 76 della Costituzione e per quest'ultimo in relazione all'art. 2, comma primo, n. 3, della legge n. 825 del 1971 nonché e conseguentemente, all'art. 1, comma terzo, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui, richiamando l'art. 4 del d.P.R. n. 597 del 1973, impone al marito l'obbligo di dichiarare i redditi della moglie, e di entrambe le norme denunciate nella parte in cui implicitamente impongono alla moglie l'obbligo di comunicare al marito ai fini della determinazione della base imponibile i propri redditi.

Con la seconda ordinanza é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 del d.P.R. n. 597 del 1973 e 1 del d.P.R. n. 600 del 1973 per la violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione e degli artt. 2 della legge n. 825 del 1971, 4 del d.P.R. n. 597 del 1973 e 1 del d.P.R. n. 600 del 1973 per il contrasto con gli artt. 3, 29, 31, 53, 4 e 35 della Costituzione.

Con la terza ordinanza (emessa dal pretore di Livorno) risultano sollevate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4 del d.P.R. n. 597 del 1973 e 1 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione agli artt. 76 e 77 della Costituzione; degli artt. 2 della legge n. 825 del 1971, 4 del d.P.R. n. 597 del 1973 e 1 del d.P.R. n. 600 del 1973 per la violazione degli artt. 3, 4, 29, 31, 35, 37 e 53 della Costituzione; degli artt. 2 della legge n. 825 del 1971, 4 del d.P.R. n. 597 del 1973 e 1, 46, 56 e 57 del d.P.R. n. 600 del 1973 per il contrasto con l'art. 27 della Costituzione; e degli artt. 2 della legge n. 825 del 1971, 4 del d.P.R. n. 597 del 1973, 1 dei d.P.R. n. 600 del 1973 e 15, 16, 17, 19, 20 e 30 del d.P.R. n. 636 del 1972 per violazione dell'art. 24 della Costituzione.

Con l'ordinanza del pretore di Milano la questione di legittimità costituzionale é stata proposta a proposito degli artt. 4, lett. a), del d.P.R. n. 597 del 1973 e 1, comma terzo, del d.P.R. n. 600 del 1973 per la parte in cui richiama il precedente art. 4 del d.P.R. n. 597, per violazione degli artt. 76, 3, 29, 31, comma primo, 53, comma primo, e 27 della Costituzione.

Con l'ordinanza del pretore di Arona la questione di legittimità costituzionale é stata prospettata relativamente agli artt. 1 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 4 del d.P.R. n. 597 del 1973, per la parte che prevede l'obbligo di dichiarazione congiunta ed il cumulo, ai fini fiscali, dei redditi della moglie con quelli del marito, e per contrasto con gli artt. 76, 3, 13, 15, 24, 29 e 31, 4 e 35, e 53 della Costituzione.

Ed infine, con l'ordinanza del pretore di Firenze é stata denunciata l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 del d .P.R. n. 597 del 1973, nella parte in cui ai fini della determinazione del reddito complessivo imputa al soggetto passivo oltre ai redditi propri quelli della moglie, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 13, 15, 24, 27, 29, 31, 35, 37, 53 e 76 della Costituzione.

  1. - Nei sei procedimenti iniziati con le ricordate ordinanze ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, che, a mezzo dell'Avvocato generale dello Stato, ha chiesto che le questioni siano dichiarate in tutto o in parte inammissibili e comunque infondate.

Nel procedimento di cui all'ordinanza del pretore di Roma si é costituita Erminia Garzia a mezzo dell'avv. prof. Franco Gaetano Scoca che ha concluso per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 4, lett. a), del d.P.R. n. 597 del 1973 anche in relazione all'art. 2, n. 3, della legge n. 825 del 1971, e conseguentemente dell'art. 1, comma terzo, del d.P.R. n. 600 del 1973 nella parte in cui impone al marito l'obbligo di dichiarare i redditi della moglie, e di entrambe le norme denunciate nella parte in cui implicitamente impongono alla moglie l'obbligo di comunicare al marito i propri redditi ai fini della determinazione della base imponibile.

Ed infine, nel procedimento di cui all'ordinanza del pretore di Firenze, si é costituita Paola Ottavi che a mezzo degli avv.ti prof. Paolo Barile ed Elia Clarizia ha chiesto la declaratoria di illegittimià costituzionale dell'art. 4 del d.P.R. n. 597 del 1973 (ed in memoria, dell'istituto del cumulo dei redditi di cui al detto art. 4 nonché agli artt. 1 e 2 dello stesso decreto).

  1. - Con l'ordinanza emessa il 10 ottobre 1975, questa Corte, riuniti i sei giudizi di legittimità costituzionale come sopra promossi ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma primo, del d.P.R. n. 597 del 1973, in riferimento agli artt. 3, 29 e 24 della Costituzione.

Si é ritenuto da parte di questa Corte che della norma di cui all'art. 1, comma terzo, del d.P.R. n. 600 del 1973, che rientrava tra quelle denunciate con le indicate ordinanze e secondo la quale ogni soggetto passivo deve dichiarare annualmente, ed in unico contesto, i redditi propri ed a lui imputabili, era stato prospettato, tra l'altro, il contrasto con il principio di eguaglianza per ciò che nel caso, come quello di specie, in cui oggetto di imputazione sono i redditi della moglie, solo il marito, e non anche la moglie, sarebbe soggetto all'obbligo della dichiarazione; e che la valutazione della dedotta disparità di trattamento e quindi la decisione in ordine alla questione di legittimità costituzionale, non si sarebbero potute effettuare se non unitamente e in relazione alla considerazione del contenuto e della portata dell'art. 2, comma primo, del d.P.R. n. 597 del 1973 e cioé della soggettività passiva di imposta. E nel contempo si é dubitato circa la conformità di quest'ultima norma agli artt. 3 e 29, e 24 della Costituzione, "perché, nell'ipotesi in cui soggetto passivo dell'imposta sia un marito e siano a questo imputati i redditi della moglie, é previsto un trattameno differenziato, nonostante la parità morale e giuridica dei coniugi, e senza che la disparità si presenti razionalmente giustificata, o funzionalizzata alla garanzia dell'unità familiare, e tale trattamento differenziato si pone o si risolve anche sul terreno della tutela in giudizio dei diritti e degli interessi".

A seguito dell'ordinanza di questa Corte, si é costituita Erminia Garzia (parte nel procedimento civile vertente davanti al pretore di Roma), a mezzo dell'avv. prof. Franco Gaetano Scoca, che con l'atto di costituzione ha chiesto che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale di tutte le norme denunciate nelle ordinanze di rimessione anzidette oltreché di quella denunciata da questa Corte. Ed ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocato generale dello Stato, il quale ha concluso per la declaratoria di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale.

  1. - Nella materia del cumulo dei redditi della moglie con quelli del marito, sono state sollevate questioni di legittimità costituzionale anche da parte dei pretori di Carrara e di Foggia e della Commissione tributaria di primo grado di Milano.

Il pretore di Carrara, in un procedimento promosso a sensi dell'art. 700 del codice di procedura civile ed avente un oggetto eguale a quelli degli altri procedimenti pretorili, con ordinanza del 12 giugno 1975, ha ritenuto che fossero in contrasto con gli artt. 53, 29 e 27 della Costituzione, gli artt. 4, lett. a), del d.P.R. n. 597 del 1973 e 1 del d.P.R. n. 600 del 1973, laddove richiama l'art. 4 citato.

Il pretore di Foggia, in un procedimento civile in cui l'attore, premesso che la di lui moglie si era rifiutata di fornirgli le informative ed i documenti relativi ai redditi da lei percepiti e che si era così trovato nell'impossibilità di procedere alla compilazione della denuncia ai fini del cumulo, aveva chiesto la condanna della moglie al risarcimento dei danni, ha sollevato con ordinanza del 30 luglio 1975 la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 del d.P.R. n. 597 del 1973 e 1 del d.P.R. n. 600 del 1973 in riferimento agli artt. 3, 53, 76 e 77 della Costituzione.

La Commissione tributaria di primo grado di Milano, chiamata a pronunciarsi tra l'altro, sulla legittimità dell'accertamento del reddito complessivo per l'anno 1969, operato dall'Amministrazione finanziaria a carico del ricorrente e concernente anche il reddito della di lui moglie, ai fini della imposta complementare progressiva di cui all'art. 130 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico delle leggi sulle imposte dirette), con ordinanza del 7 aprile 1975 ha considerato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 131 del testo unico in riferimento agli artt. 3, 15, 24, 27, 29, 31 e 53 della Costituzione.

Ed infine la stessa Commissione, in altro procedimento, in cui si controverteva in ordine ad accertamenti relativi agli anni dal 1965 al 1969 e concernenti anche i redditi della moglie del contribuente ai fini dell'imposta complementare, con ordinanza del 17 marzo 1975, ha ritenuto che il detto art. 131 del testo unico ed il successivo art. 139 violassero gli artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione.

  1. - Nei giudizi promossi con le quattro ordinanze ora indicate ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato dall'Avvocato generale dello Stato.

La difesa dello Stato ha chiesto alla Corte: nel primo giudizio, di volere, in via preliminare, dichiarare la cessazione della materia del contendere o, in via subordinata, dichiarare la relativa questione in parte inammissibile per difetto di rilevanza e in parte infondata o, comunque, in tutto infondata; nel secondo giudizio, di volere dichiarare la relativa questione in parte inammissibile per difetto di rilevanza ed in parte infondata o comunque in tutto infondata; e negli altri due giudizi, di volere dichiarare cessata la materia del contendere per parte delle relative questioni e dichiarare le questioni stesse, per l'altra parte, non fondate.

Nel giudizio promosso dalla Commissione tributaria con ordinanza del 17 marzo 1975, si é costituito il Ministero delle finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato che ha concluso nello stesso senso in cui in quel giudizio ha concluso il Presidente del Consiglio dei ministri.

  1. - Delle parti costituite e dell'interveniente hanno presentato memoria Erminia Garzia e Paola Ottavi (parte nel procedimento civile pendente davanti al pretore di Firenze) e brevi note il Presidente del Consiglio dei ministri.

La difesa della Garzia ha concluso domandando alla Corte di volere: a) in via principale: 1) dichiarare l'illegittimità costituzionale di tutte le norme denunciate (art. 2 della legge 9 ottobre 1971, n. 825; artt. 15, 16, 17, 19, 20 e 30 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636; artt. 2, comma primo, e 4 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597; e artt. 1, 46, 56 e 57 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) per contrasto con gli artt. 3, 24, 29, 31, 36, 37, 76 e 53 della Costituzione; 2) dichiarare, ex art. 27 della legge n. 87 del 1953, la conseguente illegittimità costituzionale degli artt. 1, 5, 6 e 7 della legge 2 dicembre 1975, n. 576; b) in via subordinata, sollevare, per contrasto con gli indicati precetti costituzionali, innanzi a sé la questione di legittimità costituzionale dei citati artt. 1, 5, 6 e 7 della legge n. 576 del 1975, ferma la pronuncia di illegittimità chiesta in via principale, sub 1.

La difesa della Ottavi, in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma primo, del d.P.R. n. 597 del 1973 ed a quella sollevata da questa Corte, ha escluso, a proposito della prima, ed a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 576 del 1975, la necessità di un rinvio degli atti al giudice a quo (pretore di Firenze) per il riesame della rilevanza, ed ha sostenuto, a proposito della seconda questione, e sempre a seguito della entrata in vigore della detta legge n. 576, che taluni dubbi prospettati da questa Corte, restano immutati.

L'Avvocatura generale dello Stato, con le citate brevi note, per tutti i giudizi, ha chiesto alla Corte di volere: 1) a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 576 dei 1975 dichiarare cessata la materia del contendere per tutte le questioni di legittimità costituzionale afferenti la legge di delega per la riforma tributaria ed i relativi decreti presidenziali delegati; 2) in via subordinata, dichiarare le questioni stesse irrilevanti o infondate; 3) dichiarare cessata la materia del contendere e sempre per la detta ragione per parte della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano e dichiarare la questione stessa, per l'altra parte, non fondata.

  1. - All'udienza del 14 giugno 1976 gli avv.ti prof. Franco Gaetano Scoca per la Garzia, prof. Paolo Barile per la Ottavi ed il vice avv.to generale dello Stato Giovanni Albi sinni, per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'Amministrazione delle finanze dello Stato hanno svolto le rispettive ragioni ed insistito nelle precedenti conclusioni.

Considerato in diritto

  1. - Con ordinanza del 10 ottobre 1975, n. 230 questa Corte ha disposto la riunione di sei procedimenti instaurati con altrettante ordinanze da parte dei pretori di Roma, di Voghera, di Livorno, di Milano, di Arona e di Firenze, con cui erano state sollevate questioni di legittimità costituzionale relative a norme della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), del d.P.R. 29 settembrc 1973, n. 600 (disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) e del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (revisione della disciplina del contenzioso tributario); e nei procedimcnti riuniti ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma primo del d.P.R. n. 597 del 1973, in riferimento agli artt. 3 e 29, e 24 della Costituzione.

Sono inoltre sottoposte all'esame di questa Corte questioni relative a norme del ripetuto d.P.R. n. 597 del 1973 e del citato d.P.R. n. 600 del 1973, con le ordinanze indicate in epigrafe dei pretori di Carrara é di Foggia, ed a norme del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (approvazione del testo unico delle leggi sulle imposte dirette) con le due ordinanze, del pari indicate in epigrafe, della Commissione tributaria di primo grado di Milano.

Trattasi di questioni identiche, in tutto o in parte, o strettamente connesse. Appare, per ciò, opportuno che gli anzidetti procedimenti siano riuniti.

La Corte dispone in conseguenza e le relative cause vanno decise con unica sentenza.

  1. - L'Avvocatura generale dello Stato, per il Presidente del Consiglio dei ministri, ha eccepito in primo luogo la inammissibilità di tutte le questioni sollevate dai pretori di Roma, di Voghera, di Livorno, di Milano, di Arona, e di Firenze, assumendo che i giudici a quibus, aditi a norma dell'art. 700 del codice di procedura civile da ricorrenti che avevano dedotto di non aver potuto ottenere dalle rispettive mogli le indicazioni relative ai redditi dalle stesse conseguiti nel 1974 e ad essi necessarie ai fini della presentazione nel 1975 della dichiarazione unica dei redditi, e che avevano chiesto la condanna delle resistenti a fornir loro le dette indicazioni, avrebbero dovuto dichiarare improponibile o inammissibile l'azione, e comunque si sarebbero potuti o dovuti limitare a dare atto del rifiuto delle mogli resistenti di aderire alla richiesta come sopra avanzata a ciascuna di esse dal proprio marito.

Di codesta eccezione, la Corte, con l'ordinanza n. 230 del 1975, ha ritenuto la non fondatezza, osservando come ogni valutazione in ordine all'azione fatta valere spettasse al singolo giudice a quo e come in ciascuno dei detti giudizi il ricorrente avesse chiesto, oltre l'accertamento del ricordato rifiuto da parte della di lui moglie, la condanna di questa a provvedere nel senso invocato dal ricorrente.

Nel corso del giudizio non sono emerse nuove ragioni a sostegno della tesi della inammissibilità delle questioni sollevate con le dette ordinanze. E pertanto l'eccezione de qua deve essere disattesa.

  1. - A proposito delle questioni sollevate con le ordinanze ora dette dei pretori di Roma, di Voghera, di Livorno, di Milano, di Arona e di Firenze, nonché con quelle dei pretori di Carrara e di Foggia da parte della difesa dello Stato si eccepisce, in subordine, l'inammissibilità relativamente alle questioni afferenti all'art. 4 lett. a) del d.P.R. n. 597 del 1973.

Si sostiene che il diritto del marito di avere conoscenza dei redditi della moglie ai fini della compilazione e presentazione della dichiarazione dei redditi, non derivi dal principio del cumulo dei redditi ma sia ricollegabile unitamente alla normativa concernente le modalità mediante le quali il principio stesso é stato attuato e cioé l'imputazione al marito del reddito costituito dal coacervo dei redditi di entrambi i coniugi e l'attribuzione al medesimo della titolarità del rapporto tributario; e che quel diritto, fatto valere innanzi ai detti pretori, attenga, in altri termini, alla posizione conferita al marito rispetto al reddito complessivo dei coniugi e trovi unicamente la sua fonte nelle norme che tali posizioni regolano e negli obblighi che ne discendono.

E da ciò si deduce l'irrilevanza, ai fini della decisione della controversia davanti al singolo giudice a quo, dell'accertamento della legittimità costituzionale del principio del cumulo dei redditi dei coniugi, in sé considerato.

In contrario é possibile, però, osservare quanto segue.

Devesi, anzitutto, dare atto che circa la rilevanza delle questioni da essi sollevate, i pretori di Roma, di Livorno, di Milano, di Arona e di Firenze hanno motivato, in modo ampio o sitentico, e solo i pretori di Voghera e di Foggia si sono limitati a dichiarare in dispositivo rilevanti le questioni, e che il pretore di Carrara nulla ha sostenuto o dichiarato al riguardo.

Va poi tenuto presente che a denunciare, per illegittimità costituzionale gli artt. 4 lett. a) del d.P.R. n. 597 del 1973 e 1, comma terzo del d.P.R. n. 600 del 1973, sono, insieme con gli altri, i giudici che nel modo sopraddetto hanno motivato in ordine alla rilevanza.

Nelle specie, d'altra parte, non sembra, comunque, sostenibile che il diritto del marito ad avere le dette indicazioni da parte della moglie ed il correlativo obbligo di questa di fornirgliele, quali situazioni giuridiche strumentali in relazione all'obbligo del marito di dichiarare anche i redditi della moglie a lui imputati, non siano da collegare all'istituto del cumulo dei redditi tra i coniugi, giacché, prescindendosi dai possibili modi di attuazione del relativo principio, il sistema attuato con la normativa di cui si tratta denuncia un'intima coerenza ed una sicura univocità, per cui i precetti relativi alla soggettività dell'imposta, all'imputazione al soggetto passivo di redditi altrui ed alla dichiarazione si presentano razionalmente ed inscindibilmente connessi.

L'eccezione in esame risulta, pertanto, non fondata.

  1. - Da parte dell'Avvocatura generale dello Stato si sostiene ancora che, a seguito dell'entrata in vigore della legge 2 dicembre 1975, n. 576 (recante disposizioni in materia di imposte sui redditi e sulle successioni), relativamente alle questioni sollevate dai giudici a quibus si sarebbe verificata la cessazione della materia del contendere, ed in subordine che sarebbero divenute irrilevanti le questioni concernenti la legge di delega ed i decreti delegati.
  2. a) Poiché l'art. 8, commi primo e secondo, della legge n. 576 avrebbe modificato, e implicitamente abrogato, le norme del testo unico del 1958 relative ai doveri ed alle facoltà spettanti al marito, quale unico soggetto tributario, nell'ambito della famiglia, della imposta complementare progressiva sul reddito complessivo, non sarebbero, perciò, chiaramente più ipotizzabili le violazioni degli artt. 3, 15, 24, 27 e 29 della Costituzione, denunciate dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano con la ordinanza del 7 aprile 1975, e quelle degli artt. 3 e 29 della Costituzione denunciate dalla stessa Commissione con l'ordinanza del 17 marzo 1975 per la parte in cui tali violazioni si riferiscono al profilo procedimentale che regola la imposizione di detto tributo sul reddito per i coniugi non legalmente separati.
  3. b) Le norme della nuova legge avrebbero abrogato quelle denunciate di illegittimità costituzionale con le ordinanze dei pretori e di questa Corte. Con l'art. 27, comma secondo, sarebbe stato esplicitamente abrogato l'art. 4 del d.P.R. n. 597 del 1973 e con l'art. 5, commi primo e secondo (parte prima) sarebbero stati modificati radicalmente, e implicitamente abrogati, sia l'art. 2 comma primo del d.P.R. n. 597 del 1973 nella parte in cui dispone che non sono soggetti passivi dell'imposta le persone i cui redditi sono imputati ad altri ai sensi del successivo art. 4, e sia l'art. 1, comma terzo del d.P.R. n. 600 nella parte in cui dispone che la dichiarazione delle persone fisiche é unica per i redditi propri del soggetto e per quelli di altre persone a lui imputabili a norma dei richiamato art. 4.

La nuova legge, peraltro, conterrebbe disposizioni innovative per quanto si attiene ai redditi conseguiti nell'anno 1974 e che hanno formato o dovevano formare oggetto della dichiarazione da presentarsi nell'anno 1975: l'art. 8 della legge n. 576, infatti, - si aggiunge - "contiene disposizioni circa la parte procedimentale, riguardante le persone a cui incombe l'obbligo di presentare la dichiarazione, disposizioni che modificano, e quindi implicitamente abrogano, per i redditi conseguiti nel detto anno 1974, la normativa contenuta nell'art. 2 del d.P.R. n. 597 del 1973 e nell'art. 1 del d.P.R. n. 600 dello stesso anno", e "l'art. 26 della stessa legge modifica, sempre per i redditi conseguiti nel 1974, il trattamento tributario sul "cumulo dei redditi" fra i coniugi, venendo, in tal modo, ad abrogare implicitamente, anche per l'anno 1974 le disposizioni contenute nell'art. 4 del d.P.R. n. 597 del 1973".

La Corte, prescindendo dalla configurazione dell'eccezione, é dell'avviso che il fatto della sopravvenuta normativa, nei termini e limiti di cui sopra, non sia in grado di incidere sui problemi dibattuti in causa, nel senso di eliminarli per intero o in parte.

Con le ordinanze della Commissione distrettuale di primo grado di Milano si denuncia il contrasto degli artt. 131 e 139 del testo unico del 1958 con gli artt. 3, 15, 24, 27, 29, 31 e 53 della Costituzione, in due giudizi in ciascuno dei quali il contribuente aveva proposto ricorso avverso accertamenti ai fini dell'applicazione dell'imposta complementare progressiva sul reddito complessivo, relativi ai vari anni, e cioé al 1969 o dal 1965 al 1969, ed in cui la Commissione si sarebbe dovuta pronunciare anche sull'esistenza ed ammontare di redditi della moglie del ricorrente in quanto cumulati con i redditi di questo.

La legge n. 576 del 1975 dispone in ordine all'imposta complementare con i primi due commi dell'art. 8, richiamati dalla difesa dello Stato, ma al riguardo e per il passato non abroga, né espressamente né tacitamente o implicitamente, il cpv. dell'art. 131 o l'art. 139 del T.U. secondo cui rispettivamente "i redditi della moglie si cumulano con quelli del marito" e l'imposta é applicata sul reddito (complessivo) imponibile con aliquota progressiva. Con i detti commi dell'art. 8, infatti, si stabilisce solo che i ruoli dell'imposta complementare dovuta in base alle dichiarazioni presentate nel 1974 e negli anni precedenti e comprendenti redditi della moglie, ovvero dovuta per gli anni 1973 e precedenti a seguito di accertamenti in rettifica o di ufficio del reddito complessivo, comprensivo di redditi della moglie, "costituiscono titolo per la riscossione dell'imposta anche nei confronti della moglie", e che "entro sessanta giorni dalla notifica dell'avviso di mora relativo al pagamento delle imposte dovute in base ai ruoli di cui al precedente comma, la moglie può, limitatamente ai tributi non assolti, proporre ricorso avverso il ruolo a norma dell'art. 39 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 602, per inesistenza totale o parziale, con riguardo ai propri redditi, dell'obbligazione tributaria". E ciò significa che, facendosi con i ripetuti due commi riferimento al ruolo, non si innova la situazione sostanziale e processuale anteriore alla formazione e pubblicazione di esso e quindi tra l'altro non si tocca la fase dell'accertamento e il meccanismo previsto per la formazione del reddito complessivo assoggettato all'imposta (e di cui al secondo comma dell'art. 131) e tanto meno la regola circa la progressività per l'applicazione dell'imposta.

Con le ordinanze degli otto pretori e di questa Corte, complessivamente considerate, si denuncia, invece, il contrasto degli artt. 2 n. 3 della legge numero 825 del 1971; 2 comma primo e 4 lett. a) del d.P.R. n. 597 del 1973; 1 comma terzo, 46, 56 e 57 del d.P.R. n. 600 del 1973, e 15, 16, 17, 19, 20 e 30 del d.P.R. n. 636 del 1972; in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 13, 15, 24, 27, 29, 31, 35, 36, 37 e 53 della Costituzione.

A tal proposito - secondo l'Avvocatura generale dello Stato - la cessazione della materia del contendere si sarebbe verificata nei modi sopraddetti perché sarebbero state espressamente o implicitamente abrogate le norme oggetto di denuncia e ne sarebbe ormai esclusa l'applicabilità ai fini dell'IRPEF ai redditi conseguiti nel 1974.

Senonché, in contrario, é possibile osservare:

- che il disposto del secondo comma dell'art. 27 della legge n. 576, interpretato unitamente a quello del precedente comma, comporta l'abrogazione dell'art. 4 del d.P.R. n. 597 del 1973 a decorrere dal 1 gennaio 1975 ma solo per i redditi posseduti da quella data, e quindi la norma dell'art. 4 cit. continua ad essere la regola da applicare ai redditi conseguiti nel 1974;

- che con l'art. 5, commi primo e secondo (parte prima) della nuova legge, sono dettate disposizioni destinate ad operare per il futuro ed inidonee a disciplinare situazioni di fatto che per la loro componente temporale erano e sono rimaste soggette alla legge allora vigente;

- che nel caso in esame sono parimenti valide le osservazioni fatte a proposito delle questioni relative al T.U. del 1958, circa il contenuto e la portata dell'art. 8 della ripetuta legge n. 576;

- che ancora nulla di probante può dedursi dall'articolo 26 comma primo della stessa legge, perché il correttivo apportato al carico dell'imposta dovuta per il reddito complessivo relativo al 1974 per cui un credito d'imposta compete a valere su quella dovuta sulla base della dichiarazione relativa all'anno 1975, non elimina gli obblighi ed oneri gravanti sul marito e sulla moglie, conseguenti o connessi al cumulo.

Si può quindi ritenere che neppure per le questioni in considerazione si sia verificata la eccepita cessazione della materia del contendere (o sia sopravvenuta la irrilevanza delle questioni).

Daltra parte, e per concludere, a sostegno della fondatezza delle eccezioni proposte in ordine a tutte le questioni sollevate (per le norme del T.U. del 1958, della legge di delega e dei decreti delegati) non giocano neanche i riferimenti che la legge n. 576 compie alla preesistente legislazione in materia, nei commi terzo, quarto e quinto del cit. art. 8 da cui si ricava che gli accertamenti di rettifica o di ufficio aventi per oggetto l'I.C.P. sul R.C. o l'IRPEF per redditi conseguiti nel 1974 e negli anni precedenti, notificati posteriormente al novantesimo giorno dalla entrata in vigore della legge, devono essere intestati anche alla moglie ed a questa notificati se alla formazione della base imponibile hanno concorso anche redditi della stessa; che qualora alla formazione del reddito complessivo soggetto all'imposta complementare hanno concorso redditi della moglie e l'accertamento viene definito mediante adesione del contribuente, codesto atto, se posto in essere successivamente all'entrata in vigore della legge, deve essere sottoscritto anche dalla moglie o da un suo rappresentante; ed infine, che a seguito di accertamenti in rettifica o di ufficio relativi ai detti tributi (e sempre che la moglie non abbia sottoscritto la dichiarazione) non si tiene conto dei redditi della moglie stessa ai fini della omissione, incompletezza e infedeltà della dichiarazione e delle relative sanzioni penali e amministrative e delle maggiorazioni di imposta e degli interessi per ritardata iscrizione a ruolo, limitatamente alle quote non corrisposte.

É innegabile che con le nuove norme, in relazione ai redditi, alle dichiarazioni ed agli accertamenti afferenti agli anni 1974 e precedenti, la moglie, da semplice responsabile solidale per il pagamento dell'imposta (art. 34 del d.P.R. n. 602 del 1973) é divenuta soggetto passivo e condebitrice solidale, insieme con il marito, dell'imposta dovuta per il loro complessivo reddito; che é ormai esclusa una responsabilità amministrativa e penale del marito per fatto e colpa della moglie; e che questa, a proposito dei redditi che la concernono, ha poteri di difesa in giudizio; ma tutto ciò, in relazione al T.U. del 1958 ed alla legge di delega e ai decreti delegati, costituisce un quid novi destinato ad operare a decorrere al massimo dal 1 gennaio 1975 e non per il passato, e comunque non in modo tale da eliminare in maniera totale o parziale la vigenza e l'operatività delle norme denunciate, nell'ambito dei giudizi a quibus ed al fine della definizione degli stessi.

  1. - La normativa in materia di I.C.P. sul R.C., risultante dal T.U. del 1958 e successive modificazioni e quella in materia di IRPEF, emersa dalla riforma tributaria (e sino alla legge n. 576 del 1975) trovano il loro riscontro e la loro base nella disciplina dettata per i rapporti patrimoniali tra coniugi dagli artt. 159-230 del codice civile del 1942.

Tali norme non sono influenzate, per le situazioni anteriori al 20 settembre 1975 (ivi comprese quelle relative ai redditi degli anni 1974 e precedenti), dalla legge 19 maggio 1975 n. 151. Ed infatti, per l'art. 227 "le doti e i patrimoni familiari costituiti prima dell'entrata in vigore della presente legge continuano ad essere disciplinati dalle norme anteriori", e per i primi due commi dell'art. 228 "le famiglie già costituite alla data di entrata in vigore della presente legge, decorso il termine di due anni dalla detta data, sono assoggettate al regime della comunione legale per i beni acquistati successivamente alla data medesima a meno che entro lo stesso termine uno dei due coniugi non manifesti volontà contraria in un atto ricevuto da notaio o dall'ufficiale dello stato civile del luogo in cui fu celebrato il matrimonio", "ed entro lo stesso termine i coniugi possono convenire che i beni acquistati anteriormente alla data indicata nel primo comma siano assoggettati al regime della comunione, salvi i diritti dei terzi".

Il rapporto tra i coniugi (sino all'anzidetta data) per quanto attiene ai redditi, é, quindi, disciplinato, come si é precisato, dalle norme di cui al capo VI, titolo VI del libro primo del codice civile, e non da quelle modificative o innovative di cui alla legge n. 151 del 1975.

  1. - Infine, in sede di esame delle eccezioni preliminari o pregiudiziali sollevate dalla difesa dello Stato o di controllo circa l'eventuale esistenza di quelle rilevabili d'ufficio, deve escludersi che la legge n. 576 del 1975 (e meno che mai quella n. 151 dello stesso anno) contenga norme connesse con quelle denunciate in modo tale da non poter giudicare di queste senza un preventivo esame di esse.

La difesa di Erminia Garzia, con la memoria del 1 giugno 1976, chiede anche se in via del tutto subordinata, a questa Corte di voler sollevare, innanzi a sé, in base all'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, per contrasto con gli artt. 3, 24, 29, 31, 36, 37, 76 e 53 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 5, 6 e 7 della legge n. 576 del 1975.

Questa Corte, dato che é chiamata a pronunciarsi su questioni di legittimità costituzionale sollevate in via incidentale, non può prendere in considerazione la domanda della parte costituita.

Ritiene peraltro che nella specie non ricorrono i presupposti necessari e sufficienti perché possa o debba sollevare d'ufficio davanti a sé la questione.

E ciò in quanto che le norme applicabili nei giudizi pendenti davanti agli otto pretori e alla commissione tributaria di primo grado di Milano sono quelle a suo tempo denunciate e solo per le questioni sollevate dai primi sei pretori é apparsa pregiudiziale la decisione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 comma primo del d.P.R. numero 597 del 1973 (come dalla ordinanza n. 230 del 1975 di questa Corte); ed in quanto che, in relazione a tutte le questioni in esame, non ha modo di incidere il fatto che la nuova legge abbia disposto: che l'IRPEF si applica nei confronti dei coniugi non legalmente ed effettivamente separati sul reddito complessivo formato dai redditi propri di ciascuno e da quelli, ad entrambi imputati, dei figli minori conviventi (art. 1); che i detti coniugi devono presentare una dichiarazione unica dei propri redditi e di quelli ad essi imputati (art. 5); che agli effetti dell'applicazione delle imposte sui redditi, la moglie non legalmente ed effettivamente separata ha il domicilio fiscale nel comune di domicilio fiscale del marito (art. 6), e che i coniugi non legalmente ed effettivamente separati sono solidalmente obbligati al pagamento dell'IRPEF (art. 7). E d'altra parte non rileva in questa sede accertare la fondatezza o meno dell'assunto difensivo della Garzia secondo cui "l'estensione della soggettività tributaria alla moglie, lungi dal fugare i dubbi sull'illegittimità costituzionale "del cumulo", li ha, di contro, "aggravati" ed ai coniugi "ai quali si riconosca distinta soggettività tributaria, non può essere imposto né di presentare una dichiarazione congiunta dei loro redditi, né di pagare l'imposta sul reddito delle persone fisiche, come se fossero una sola persona (fisica), senza violare" gli indicati precetti costituzionali.

  1. - La Corte, passando all'esame del merito delle questioni di legittimità costituzionale ad essa sottoposte, ritiene, anzitutto, fondate quelle sollevate dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano.

E ciò nei limiti, nei sensi e per le ragioni che seguono.

Sono denunciate per contrasto con gli artt. 3, 15, 24, 27, e 29, 31 e 53 della Costituzione, le norme secondo cui, al fine dell'individuazione dei soggetti passivi dell'imposta complementare progressiva sul reddito complessivo, "i redditi della moglie si cumulano con quelli del marito" (art. 131 comma secondo) e per cui sul reddito complessivo così formato l'imposta é applicata con aliquota progressiva (art. 139).

Sulla legittimità costituzionale o meno dell'art. 131 questa Corte non ha avuto modo in passato di pronunciarsi specificamente, giacché la questione che al riguardo era stata sollevata, con l'ordinanza del 10 dicembre del 1973, dal tribunale di Oristano, é stata dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza. Ma con la relativa sentenza (n. 26 del 1975) ha incidentalmente ed in ipotesi osservato che il dubbio di costituzionalità si sarebbe potuto ricollegare a varie disposizioni (art. 29, 3, 31 e 53) della Costituzione.

Ora queste disposizioni e le altre sopra indicate, sono assunte a ragione e misura dell'asserita illegittimità costituzionale delle citate norme del testo unico.

Con la prima parte del secondo comma dell'art. 131, in relazione alle altre norme dello stesso articolo, sono evidenziati due profili o momenti: l'imputazione al marito dei redditi della moglie che non sia legalmente ed effettivamente separata e cioé il riferimento ex lege del reddito di un dato soggetto pienamente capace ad un soggetto diverso, ed il concorso dei redditi della moglie trovantesi in quella situazione, alla formazione del reddito complessivo del marito. E si ha così, che il marito é soggetto passivo dell'imposta (anche) per i redditi della moglie che non sia legalmente ed effettivamente separata, e che il debito di imposta é determinato in rapporto al reddito complessivo del marito, ancorché a costituirlo abbiano concorso i redditi della moglie.

Due persone fisiche, che nelle norme in esame sono rispettivamente il marito e la moglie (non separati), risultano in tal modo assoggettate ad un trattamento differenziato o particolare per cui: in costanza di rapporto coniugale, il marito e non anche la moglie, é soggetto passivo dell'imposta; il marito e non anche la moglie é debitore dell'imposta con riguardo a redditi di cui non ha il possesso, ed il marito, stante la progressività del tributo, ha un debito di imposta superiore a quello che avrebbe avuto se l'imposta fosse stata commisurata solo alla somma dei redditi propri e di quelli altrui di cui abbia la libera disponibilità o l'amministrazione senza obbligo della resa dei conti.

Le norme di cui alla denuncia, violano il principio di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e non sono ordinate sulla eguaglianza giuridica dei coniugi. A fronte di situazioni eguali si hanno trattamenti differenti: da un canto, per il possesso di redditi vi é chi é considerato soggetto di imposta e chi non lo é, e dall'altro, nonostante la mancanza del possesso di redditi, vi é chi (anche) per questi é considerato soggetto di imposta e chi non lo é. Ed in entrambi i casi il trattamento differenziato o diverso non ha alcuna razionale giustificazione né appare finalizzato a garantire o tutelare l'unità familiare.

Con l'imposta complementare si tende a colpire il reddito non in sé, all'atto e per il fatto del suo prodursi, sebbene in quanto riveli una data capacità contributiva, e cioé una attitudine concreta a concorrere alle spese pubbliche.

Può perciò apparire logico che sia tenuta presente la situazione in concreto del singolo soggetto, ed in rapporto a ciò, ragionevole che ai fini della determinazione del suo reddito complessivo netto concorrano il criterio analitico e quello sintetico.

Ma non si spiega come e perché un soggetto (il marito) possa e debba presentare una maggiore capacità contributiva per l'esistenza di redditi altrui di cui non abbia legalmente il possesso, e cioé il godimento o l'amministrazione senza obbligo della resa dei conti.

D'altra parte manca la possibilità che alla normativa de qua si riconosca la funzione di limite (alla eguaglianza giuridica dei coniugi) posto "a garanzia dell'unità familiare", giacché a costituire e mantenere questa potrebbe giovare un regime di comunione dei beni e dei redditi relativi, ma non di certo un sistema tributario basato sopra un fittizio possesso di redditi comuni.

E con ciò appare evidente anche il contrasto con l'art. 31 della Costituzione. La normativa in esame non "agevola con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi" ed anzi dà vita per i nuclei familiari legittimi e nei confronti delle unioni libere, delle famiglie di fatto e di altre convivenze familiari, ad un trattamento deteriore.

Ricorre, infine, il mancato rispetto dell'art. 53 della Costituzione, per quanto sopra detto e per le ragioni che in seguito saranno indicate in occasione dell'esame delle altre questioni di legittimità costituzionale.

La Corte, stante ciò, é dell'avviso che gli artt. 131 e 139 del testo unico del 1958 siano costituzionalmente illegittimi limitatamente all'inciso "i redditi della moglie si cumulano con quelli del marito" (contenuto nel secondo comma dell'art. 131) e cioé nella parte in cui in detti articoli si stabilisce che i redditi della moglie, la quale non sia legalmente ed effettivamente separata dal marito, concorrono, insieme con quelli del marito, a formare un reddito complessivo su cui é applicata con aliquota progressiva l'imposta complementare.

Tali conclusioni dispensano la Corte dal valutare le ulteriori denunce nei confronti delle stesse norme e in rapporto agli artt. 15, 24 e 27 della Costituzione, giacché il loro esame é da ritenere assorbito se anche esse sono - in effetti debbono essere - intese come rivolte alle parti sopra precisate dei ripetuti articoli.

  1. - Con le ordinanze dei pretori di Roma, di Voghera, di Livorno, di Milano, di Arona, di Firenze e di Foggia, postosi a raffronto l'art. 2, n. 3 della legge n. 825 del 1971 con gli artt. 4 lett. a) del d.P.R. n. 597 del 1973 e, 1 comma terzo del d.P.R. n. 600 del 1973, é denunciata la violazione dell'art. 76 (e da parte dei pretori di Voghera, di Livorno, di Milano e di Foggia, anche dell'art. 77) della Costituzione.

Si assume che il legislatore delegante, nello stabilire i principi e criteri direttivi a cui si sarebbe dovuta informare la disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, avrebbe richiesto non solo che l'imposta avesse carattere personale, ma anche che ci fosse il concorso alla formazione del reddito complessivo di tutti i redditi propri del soggetto, dei redditi altrui dei quali egli avesse la libera disponibilità e "di quelli a lui imputati in ragione dei rapporti familiari". E su quest'ultimo punto, si precisa da qualche giudice che con la citata norma il legislatore avesse fatto riferimento ai redditi altrui di cui il soggetto avesse la libera disponibilità, o ai "redditi già imputati al soggetto dalla vigente disciplina dei rapporti familiari" ovvero che il Governo fosse stato autorizzato ad attuare la nuova disciplina fiscale "con il rispetto della legislazione vigente", e comunque che dovesse escludersi che "il principio affermato dal legislatore delegante si potesse riferire indiscriminatamente anche ai redditi propri della moglie".

E si deduce da ciò che il Governo, con le citate norme dei decreti delegati, sarebbe incorso in eccessi di delega là dove avrebbe incluso, in ogni caso o senza discriminare, i redditi della moglie tra quelli costituenti la base imponibile del marito o li avrebbe addirittura considerati nella sfera di disponibilità del marito.

La Corte é dell'avviso che il legislatore delegante abbia voluto assoggettare all'imposta, avente carattere personale e destinata a gravare sul soggetto, oltre i redditi propri di questo e quelli altrui di cui egli abbia la libera disponibilità, i redditi "a lui imputati in ragione dei rapporti familiari", ma non abbia inteso innovare in ordine al regime patrimoniale della famiglia. L'art. 2 n. 3 della legge di delega, in effetti, non conferisce al Governo alcun potere in ordine ad una disciplina privatistica della materia, in senso puramente confermativo o innovativo di quella vigente; e quindi non é da pensare che con essa norma, tra l'altro, si sia voluto ammettere la possibilità che i redditi della moglie, in ogni caso, fossero nella libera disponibilità del marito. Quell'articolo é, invece, rivolto ad incidere sulla normativa tributaria: al Governo é rimesso di stabilire se e quali "redditi familiari debbano essere imputati al soggetto ai fini della determinazione del reddito complessivo o della tassazione separata, e però é negato di poter prevedere il computo cumulativo dei detti redditi complessivamente inferiori a lire quattro milioni annue.

Sulla base di codesta interpretazione della legge delegante (della cui conformità o meno a Costituzione si dirà in prosieguo), é da ritenere che il Governo, con le norme di cui agli artt. 4 lett. a) del d.P.R. n. 597 e i comma terzo del d.P.R. n. 600, non sia andato oltre i limiti della delega, disattendendo i principi e criteri direttivi all'uopo determinati.

Con tali norme risulta, infatti, rispettato il principio che l'imputazione debba aver luogo solo a fini tributari e non anche sul terreno ed agli effetti del diritto civile sostanziale.

E pertanto, non risulta violato l'art. 76 (unitamente all'art. 77) della Costituzione.

  1. - Gli artt. 2 n. 3 della legge n. 825 del 1971, 2 comma primo e 4 lett. a) del d.P.R. n. 597 del 1973, e 1 comma terzo del d.P.R. n. 600 del 1973 contengono norme, relative alla imposta sul reddito delle persone fisiche, che dai giudici a quibus, come si é accennato, sono considerate, sotto vari profili, in contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 13, 15, 24, 27, 29, 31, 35, 36, 37 e 53 della Costituzione.

Risulta da tali norme, in modo espresso o implicito: che al marito sono imputati i redditi della moglie che non sia legalmente ed effettivamente separata con la conseguenza che i redditi di entrambi sono cumulati ai fini dell'applicazione dell'imposta; che il marito é soggetto passivo anche per i redditi della moglie a lui imputati e per codesti redditi non lo é la moglie; che il marito deve dichiarare annualmente anche i redditi della moglie a lui imputabili; e che in dipendenza e in funzione di tutto ciò la moglie é tenuta ad indicare al marito gli elementi, i dati e le notizie concernenti i propri redditi a lui imputati ed il marito é legittimato a farne la richiesta.

Strettamente connesse a quelle indicate sono altre norme, che per ciò, pur non costituendo esse oggetto di specifica denuncia, non possono non essere tenute presenti. L'imputazione al marito dei redditi della moglie non legalmente ed effettivamente separata, infatti, influisce, nei confronti del marito, sulla individuazione della base imponibile (art. 3 del d.P.R. n. 597) e sulla determinazione ed applicazione dell'imposta sul reddito complessivo (art. 11 dello stesso d.P.R.). E si hanno conseguenze che variano, tra l'altro, a seconda che il reddito complessivo del marito, comprensivo dei redditi della moglie a lui imputati, sia inferiore o meno a cinque milioni di lire, perché l'imposta gravante sempre sul marito come unico soggetto passivo, nel primo caso é commisurata separatamente sul reddito proprio del contribuente e su quello della moglie, e nel secondo é determinata applicando le relative aliquote crescenti al reddito complessivo, ristante dal cumulo.

I profili del denunciato contrasto con le disposizioni costituzionali di raffronto sono molteplici e variamente articolati. Ridotto tale contrasto ai suoi termini essenziali, secondo i giudici che lo denunciano, esso consisterebbe in ciò:

  1. a) per la donna coniugata (e non legalmente ed effettivamente separata), in ordine alla soggettività passiva circa l'imposta sul reddito delle persone fisiche, alla determinazione della base imponibile, alla determinazione e applicazione dell'imposta, alla tutela della riservatezza, a quella del diritto al lavoro ed alla giusta retribuzione ed infine al concorso alle spese pubbliche, si avrebbe un trattamento giuridico diverso da quello riservato di regola ad ogni altra persona fisica ed in particolare al marito di essa donna coniugata; e non essendo tale disparità di trattamento adeguatamente e razionalmente giustificata, da un lato, e non rinvenendosi in tale normativa un plausibile limite all'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi posto a garanzia della unità familiare, dall'altro, risulterebbero violati gli artt. 2, 3, 4, 13, 15, 29, 31, 35, 36 37 e 53 della Costituzione;
  2. b) il marito, tenuto a fare la dichiarazione unica dei redditi, sarebbe soggetto alle sanzioni penali e accessorie previste per i casi di omissione, incompletezza e infedeltà della dichiarazione (dagli artt. 46, 56 e 57 del d.P.R. n. 600 del 1973) anche quando ciò dovesse dipendere dal comportamento della moglie tenuta nei suoi confronti alle sopraddette indicazioni, ed in tal caso sarebbe violato l'art. 27 della Costituzione;
  3. c) le norme dei decreti delegati ricordate all'inizio del paragrafo e gli artt. 15, 16, 17, 19, 20 e 30 del d.P.R. n. 636 del 1972 non consentirebbero alla moglie, in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi.

L'art. 2 comma primo del d.P.R. n. 597 costituisce, come questa Corte ha precisato con l'ordinanza n. 230 del 1975, il logico antecedente o correlato del successivo art. 4 lett. a); e l'obbligo di cui all'art. 1, comma terzo del d.P.R. n. 600 é una diretta conseguenza dell'attribuzione al marito della posizione di unico soggetto passivo. Le tre norme sono così strettamente collegate che debbono essere considerate e valutate assieme. E lo stesso é da farsi per la norma implicitamente desumibile dal sistema secondo cui grava sulla moglie l'obbligo di indicare al marito quanto più volte ricordato.

É indubbio, ad avviso della Corte, che la donna coniugata (che non sia legalmente ed effettivamente separata) sia sottoposta nella materia de qua ad un trattamento giuridico diverso da quello previsto di regola per ogni altro contribuente ed in particolare per il di lei marito.

Ed infatti:

- pur essendo il possesso di redditi il presupposto della imposta (art. 1 del d.P.R. n. 597) e pur essendo le persone fisiche soggetti passivi dell'imposta (art. 2 comma primo) la donna coniugata (non legalmente ed effettivamente separata, la quale abbia il possesso di redditi, non é soggetto passivo dell'imposta;

- i redditi della moglie, che si trovi nella ripetuta situazione. sono imputati ai marito nonostante che legalmente la donna ne abbia la titolarità ed il possesso:

- il marito (e non anche la moglie non separata) é tenuto a dichiarare annualmente i redditi propri ed unitamente quelli della moglie a lui imputabili:

- il reddito complessivo del soggetto passivo che costituisce la base imponibile, é formato da tutti i redditi del soggetto stesso e qualora questo sia coniugato (e non sia coniuge separato), anche dai redditi della moglie:

- a seguito dell'applicazione dell'imposta sul reddito complessivo del marito comprensivo dei redditi della moglie (non separata) a lui imputati, l'onere per debito d'imposta gravante sul marito viene ad essere superiore a quello che sarebbe stato in dipendenza di distinta soggettività e tassazione: e ciò tanto nel caso di reddito complessivo inferiore a 5 milioni che in quello opposto.

Esiste, pertanto, l'asserita disparità di trattamento.

E tale disparità non é limitata a qualche aspetto o profilo secondario della materia, né é di scarsa importanza,

A fronte di tale trattamento differenziato non si hanno posizioni soggettive o situazioni oggettive diverse o suscettibili d'essere ritenute tali. Sia l'uomo che la donna come cittadini, come lavoratori autonomi o subordinati, come coniugi, come contribuenti si trovano nelle medesime condizioni per ciò che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, a tutti i cittadini é riconosciuto il diritto al lavoro, il matrimonio é ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, il lavoratore ha diritto alla giusta retribuzione, la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore, e tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro personale capacità contributiva. E nelle normative e negli istituti afferenti a ciascuna delle ora dette materie trovano piena applicazione quelle disposizioni o quei principi, o quanto meno si hanno a riguardo di tali disposizioni o principi univoche ed avanzate affermazioni di tendenze.

La detta disparità di trattamento, d'altra parte, non si presenta adeguatamente e razionalmente giustificata né, a proposito del rapporto tra coniugi, le norme che la caratterizzano si risolvono in limiti posti all'eguaglianza in funzione della garanzia dell'unità familiare.

Si sostiene, riportandosi alle disposizioni ed ai principi di cui all'art. 53 della Costituzione, che il legislatore abbia dettato le norme in questione presupponendo o presumendo: che la capacità contributiva di due persone, coniugi non separati, sia in concreto superiore a quella delle stesse due persone che non siano coniugi, a causa della riduzione delle spese generali, della collaborazione e dell'assistenza reciproca, ecc., e che il marito, come capo della famiglia abbia la materiale disponibilità dei redditi della moglie non separata; e ritenendo di dover tutelare l'esigenza che l'IRPEF, sia applicata sul reddito complessivo del soggetto, tenendosi conto della concreta attitudine di questo a concorrere alle spese pubbliche, e l'esigenza che siano impedite evasioni di imposta attraverso fittizie intestazioni di beni e fittizie attribuzioni di redditi da un coniuge a favore dell'altro.

Nella sostanza la tutela di tali esigenze merita di essere approvata. Però non si può fare a meno di osservare che le due presupposizioni o presunzioni non sono invocabili perché la convivenza dei coniugi indubbiamente influisce sulla capacità contributiva di ciascuno di essi, ma non é dimostrato né dimostrabile, anche per la grande varietà delle possibili ipotesi e delle situazioni concrete (caratterizzate, tra l'altro, dalla esistenza di figli), che in ogni caso per tale influenza si abbia un aumento della capacità contributiva dei due soggetti insieme considerati; e perché, tranne le ipotesi in cui in fatto sia il marito a poter disporre del reddito di entrambi, e quelle in cui de iure ciò avviene, di regola i redditi sono prodotti separatamente e tenuti distinti ed anche quando siano posti in comune, non é solo il marito a poterne disporre ma lo sono entrambi i coniugi, con un grado maggiore o minore di autonomia a seconda dei casi; e che, comunque, la posizione di capo famiglia attribuita al marito può apparire, sotto certi aspetti, di incerta conformità a Costituzione e ad ogni modo risulta superata dalla riforma del diritto di famiglia.

E del pari si deve rilevare che alle esigenze sopraddette con le norme in questione non é stata data adeguata e razionale tutela perché, a parte il fatto che all'applicazione dell'imposta sul reddito complessivo di entrambi i coniugi si perviene attraverso un sistema normativo che va anche contro altre disposizioni costituzionali, si é posto in essere nei confronti dei coniugi conviventi un trattamento fiscale più oneroso rispetto a quello previsto per conviventi non uniti in matrimonio (che vengono assoggettati separatamente all'imposta, pur beneficiando degli eventuali vantaggi connessi o conseguenti alla vita in comune).

Ed infine c'è da considerare che la mancata tutela egualitaria dei coniugi non é il riflesso o il correlato della esistenza di norme dettate a garanzia dell'unità familiare. Ché anzi é possibile riscontrare, anche per la normativa risultante dalla riforma tributaria, una scelta di politica legislativa che anche a non volerla ritenere in contrasto con gli interessi tutelati dall'art. 31 della Costituzione, di certo non può dirsi dettata in favore della famiglia legittima.

  1. - in considerazione di quanto sopra, risultano illegittime per contrasto, soprattutto, con gli artt. 3, 29 e 53 della Costituzione, le norme che prevedono: l'imputazione al marito dei redditi della moglie non legalmente ed effettivamente separata ed il cumulo dei redditi di entrambi ai fini dell'applicazione dell'imposta; la soggettività passiva del marito anche per i detti redditi della moglie e la correlativa negazione di tale soggettività alla moglie; l'obbligo del marito di dichiarare, in unico atto, oltre i redditi propri, anche i menzionati redditi della moglie; l'obbligo della moglie non separata di indicare al marito gli elementi, i dati e le notizie relativi ai propri redditi a lui imputabili perché egli possa effettuare la dichiarazione unica dei redditi.

Dalla dichiarazione dell'illegittimità costituzionale degli artt. 2 n. 3 della legge n. 825 del 1971, 2 comma primo e 4 lett. a) del d.P.R. n. 597 del 1973 e 1 comma terzo del d.P.R n. 600 del 1973 in parte qua consegue che per altre norme alle quali i giudici che hanno sollevato le questioni, hanno fatto implicito riferimento, e delle quali questa Corte ha dovuto valutare l'importanza e la portata, debba essere constatata la loro sopravvenuta parziale inoperatività.

La Corte intende riferirsi agli artt. 3 comma primo e 11 comma secondo (come modificato con l'art. 4 del decreto legge 6 luglio 1974, n. 259, sostituito dall'articolo unico della legge 17 agosto 1974, n. 384) del d.P.R n. 597 dei 1973, nelle parti in cui con le relative norme rispettivamente si dispone che l'imposta si applica sul reddito complessivo netto formato da tutti i redditi del soggetto passivo compresi quelli a lui imputati dall'art. 4 lett. a), e che se il reddito complessivo lordo comprensivo di redditi imputati al contribuente a norma della lettera a) dell'art. 4, é inferiore a 5 milioni di lire, l'imposta é commisurata separatamente sul reddito complessivo proprio del contribuente e su quello della moglie, al netto degli oneri di cui all'art. 10 riferibili a ciascuno di essi, e le detrazioni di cui agli artt. 15 e 16 si operano sull'imposta complessiva

  1. - In ordine alle questioni sollevate dal pretore di Livorno e relative agli artt. 2 della legge n. 825 del 1971, 4 del d.P.R. n. 597 del 1973 e 1, 46, 56 e 57 del d.P.R. n. 600 del 1973, per contrasto con l'art. 27 della Costituzione, e degli stessi artt. 2 della legge n. 825, 4 dei d.P.R. n. 597, 1 del d.P.R. n. 600 e degli artt. 15, 16,17,19, 20 e 30 del d.P.R. n. 636 del 1972, per contrasto con l'art. 24 della stessa Carta, va considerato che: a) riconosciuta l'illegittimità costituzionale delle norme che pongono a carico del marito l'obbligo di dichiarare, oltre i propri, i redditi della moglie non legalmente ed effettivamente separata, rimane operativa dei citati articoli del d.P.R. n. 600 solo la parte che si riferisce ad omissione, incompletezza ed infedeltà della dichiarazione a proposito dei redditi propri del dichiarante e di quelli a lui imputati (con esclusione dei redditi di cui all'art. 4 lett. a), e che, comunque, dovrebbe trovare applicazione nel processo a quo il disposto sopra ricordato dell'art. 8 ultimo comma della legge n. 576 del 1975; e b) che, riconosciuta alla donna coniugata e non separata la qualità di soggetto passivo dell'imposta, alla stessa compete e viene del pari riconosciuta la possibilità di far valere in giudizio i propri diritti ed interessi alla stessa stregua di ogni altro soggetto passivo, e di conseguenza nessuna pronuncia deve essere adottata a proposito della seconda delle due sopra indicate questioni, essendo tale questione assorbita dalla presente pronuncia.
  2. - Vi sarebbero ancora da esaminare, a proposito delle norme denunciate, le dedotte violazioni delle disposizioni costituzionali diverse da quelle fin qui considerate, o per le questioni già esaminate, altri profili.

Ma codeste questioni debbono dirsi implicitamente risolte perché aventi, nell'ambito della complessiva problematica posizioni accessorie o meramente conseguenziali; e comunque ogni esame a proposito di esse o dei rilevati diversi profili, dovrebbe intendersi assorbito a seguito delle decisioni adottate.

  1. - Sulla richiesta avanzata dalla difesa di Erminia Garzia, relativa alla declaratoria, in base all'art. 27 della legge n. 87 del 1953, di illegittimità costituzionale degli artt. 1, 5, 6 e 7 della legge n. 576 del 1975, la Corte procede autonomamente e d'ufficio all'esame del punto.

Come nel precedente paragrafo 6 si é escluso che le norme di cui agli articoli ora citati costituiscano il logico e necessario presupposto di quelle oggetto delle varie denunce, così deve escludersi che dalla adottata decisione di illegittimità costituzionale di queste ultime norme possa derivare la stessa declaratoria per le prime.

A proposito del contenuto sopra riportato degli artt. 1, 5, 6 e 7 della citata legge, infatti, deve rilevarsi che la norma di cui all'art. 1 non coincide con la precedente disciplina così come adeguata a Costituzione per effetto di questa pronuncia; ma nel contempo e d'altra parte deve riconoscersi che detta norma (unitamente alle altre richiamate) appare inserita in un nuovo contesto legislativo della cui legittimità costituzionale questa Corte potrà conoscere solo sulla base di eventuale autonoma denuncia.

Pertanto, non ricorrono gli estremi per l'applicazione del citato art. 27.

  1. - Le pronunce di illegittimità costituzionale relative al testo unico delle leggi sulle imposte dirette del 1958 ed alle leggi con cui é stata predisposta e attuata la riforma tributaria, riguardano norme che erano valide ed operanti per le controversie relativamente alle quali si discuteva e si discute davanti ai giudici a quibus e che, però, successivamente sono state abrogate, in modo espresso o tacito, o sono state in parte modificate.

Con la prospettazione delle questioni già esaminate si é segnalata l'esigenza di pervenire alla risoluzione di taluni problemi. A tale esigenza la Corte ritiene di fare compiutamente fronte con la presente decisione. Ma, per una corretta interpretazione della pronuncia, non può essere ignorato che essa, a proposito delle questioni relative alla disciplina dell'IRPEF, é destinata a valere per i redditi conseguiti nel 1974 e per le dichiarazioni fatte o che si sarebbero dovute fare nel 1975, e deve essere espressamente confermato che la stessa pronuncia non ha ad oggetto la normativa ora vigente in quella materia.

La Corte, per altro, ritiene opportuno di fermare l'attenzione sopra alcuni aspetti o profili della disciplina dell'IRPEF, perché questa, tenendosi anche conto della riforma del diritto di famiglia, sia conforme alle disposizioni ed ai principi di cui all'art. 53 della Costituzione e sempre nel rispetto delle altre disposizioni e degli altri principi costituzionali.

Con la riforma tributaria si é voluto razionalmente semplificare il precedente sistema dell'imposizione diretta basato su una pluralità d'imposte a carattere personale e reale e su una imposta complementare sul reddito complessivo con funzione integratrice e correttiva, e conseguentemente assoggettare il reddito della persona fisica ad una sola imposta sulla base dei principi della personalità e della progressività in modo tale che tutti potessero concorrere alle spese pubbliche secondo la propria effettiva capacità contributiva.

Si é voluto ancora eliminare le possibili occasioni di sfiducia o di diffidenza nei rapporti tra il fisco ed il contribuente ed impostare tali relazioni su basi diverse e farle vivere in un clima differente, di reciproca fiducia, comprensione e responsabilità.

Non spetta alla Corte di dire se di tali orientamenti e tendenze la normativa che ne é seguita, abbia costituito e costituisca una accettabile attuazione.

Ma, essendosi attraverso la presente disamina constatato che relativamente a taluni punti, non secondari, della disciplina legislativa in oggetto, é mancato il dovuto rispetto della Costituzione, occorre, a conclusione di questa sentenza, ribadire l'esigenza che i principi della personalità e della progressività dell'imposta siano esattamente applicati; che la soggettività passiva dell'imposta sia riconosciuta ad ogni persona fisica con riguardo alla sua capacità contributiva; che al concreto atteggiarsi di questa si ponga mente in sede di accertamento ed in funzione del debito e della responsabilità d'imposta; e che la materia trovi adeguata disciplina in norme per le quali il possesso dei redditi si sostanzi nella libera disponibilità di essi.

Nel contempo la Corte esprime l'auspicio che sulla base delle dichiarazioni dei propri redditi fatte dai coniugi, ed in un sistema ordinato sulla tassazione separata dei rispettivi redditi complessivi, possa essere data ai coniugi la facoltà di optare per un differente sistema di tassazione (espresso in un solo senso o articolato in più modi) che agevoli la formazione e lo sviluppo della famiglia e consideri la posizione della donna casalinga e lavoratrice.

L'adempimento del proprio dovere fiscale rimanga cosi, per il singolo coniuge un atto dovuto ma nel contempo sia il logico e conclusivo risultato di una scelta che giustifichi in chi la compie, il convincimento che anche nella specifica materia qui considerata, la libertà del singolo e l'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge possono coesistere e concorrere per la migliore e maggiore tutela degli interessi emergenti nella società.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale:

1) degli artt. 131 e 139 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (approvazione del testo unico delle leggi sulle imposte dirette) nella parte in cui si stabilisce che i redditi della moglie, la quale non sia legalmente ed effettivamente separata, concorrono insieme con quelli del marito a formare un reddito complessivo, su cui é applicata con aliquota progressiva l'imposta complementare;

2) degli artt. 2 n. 3 della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), 2, comma primo, e 4, lett. a), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), 1, comma terzo, 46, 56 e 57 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), e 15, 16, 17, 19, 20 e 30 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (revisione della disciplina del contenzioso tributario), nelle parti in cui le relative norme dispongono:

  1. a) che per la determinazione del reddito complessivo sono imputati al marito, quale soggetto passivo dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, oltre ai redditi propri, i redditi della moglie (eccettuati quelli che sono nella libera disponibilità della moglie legalmente ed effettivamente separata), e che i redditi dei coniugi sono cumulati al fine dell'applicazione dell'imposta;
  2. b) che non é soggetto passivo dell'imposta la moglie, i cui redditi siano imputati al marito ai sensi dell'art. 4, lett. a), del d.P.R. n. 597 del 1973;
  3. c) che la dichiarazione delle persone fisiche é unica, oltreché per i redditi propri del soggetto passivo, per quelli della moglie a lui imputabili a norma dell'art. 4 del d.P.R. n. 597 del 1973;
  4. d) che la moglie, la quale non sia legalmente ed effettivamente separata, é tenuta ad indicare al marito, quale soggetto passivo dell'imposta, gli elementi, i dati e le notizie a questo occorrenti perché possa adempiere l'obbligo della dichiarazione dei redditi come sopra a lui imputati.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO – Leopoldo ELIA.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 15 luglio 1976.