SENTENZA N. 179
ANNO 1976
REPUBBLICA ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori giudici:
Prof. Paolo ROSSI,
Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei
giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt.
131 e 139 del d.P.R. 29 gennaio
1958, n. 645; dell'art. 2 della legge 9 ottobre 1971, n. 825; degli artt. 15, 16, 17, 19, 20 e 30 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636; degli artt.
2, primo comma, e 4 del d.P.R.
29 settembre 1973, n. 597; e degli artt. 1, 46, 56 e 57 del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 600 (cumulo dei redditi familiari), promossi con le seguenti
ordinanze:
1)
ordinanza emessa il 15 aprile 1975 dal pretore di Roma nel procedimento civile
vertente tra Capaccioli Mario e Garzia
Erminia, iscritta al n. 136 del registro ordinanze 1975 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 114 del 30
aprile 1975;
2)
ordinanza emessa il 2 aprile 1975 dal pretore di Voghera nel procedimento
civile vertente tra Odorisio Roberto e Morini
Mirella, iscritta al n. 160 del registro ordinanze 1975 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 140 del 28
maggio 1975;
3)
ordinanza emessa il 29 aprile 1975 dal pretore di Livorno nel procedimento
civile vertente tra Scappatura Giuseppe e Lombardi
Maria, iscritta al n. 253 del registro ordinanze 1975 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 202 del 30 luglio
1975;
4)
ordinanza emessa il 16 aprile 1975 dal pretore di Milano nel procedimento
civile vertente tra Pomarici Ferdinando e Farciglia Maria Rosaria, iscritta al n. 275 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiate della Repubblica n. 202 del 30 luglio 1975;
5)
ordinanza emessa il 26 aprile 1975 dal pretore di Arona
nel procedimento civile vertente tra Aprile Michele e Rossi
Piera, iscritta al n. 289 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 202 del 30 luglio 1975;
6)
ordinanza emessa il 24 aprile 1975 dal pretore di Firenze nel procedimento
civile vertente tra Calefato Claudio e Ottavi Paola, iscritta al n. 314 del registro ordinanze 1975
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 202 del 30 luglio
1975;
7)
ordinanza emessa il 12 giugno 1975 dal pretore di Carrara nel procedimento
civile vertente tra Vaccini Dino e Scappatura
Giovanna, iscritta al n. 425 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiate della Repubblica n. 306 del 19 novembre 1975
8)
ordinanza emessa il 30 luglio 1975 dal pretore di Foggia nel procedimento
civile vertente tra Bassi Angelo Raffaele e Ricotti Luigina,
iscritta al n. 430 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 293 del 5 novembre 1975;
9)
ordinanza emessa il 10 ottobre 1975 dalla Corte costituzionale nel procedimento
civile vertente tra Capaccioli Mario ed altri e Garzia Erminia, Ottavi Paola ed
altri, iscritta al n. 469 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 281 del 22 ottobre 1975;
10)
ordinanza emessa il 7 aprile 1975 dalla Commissione tributaria di primo grado
di Milano sul ricorso di Perelli Augusto contro
l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 528 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 18 del 21 gennaio 1976;
11)
ordinanza emessa il 17 marzo 1975 dalla Commissione tributaria di primo grado
di Milano sul ricorso di Maiocchi Mario contro
l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 569 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 25 del 28 gennaio 1976.
Visti
gli atti di costituzione di Garzia Erminia, di Ottavi Paola e dell'Amministrazione delle finanze dello
Stato, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell'udienza pubblica del 14 giugno 1976 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;
uditi
l'avv. Franco Gaetano Scoca, per Garzia
Erminia, l'avv. Paolo Barile, per Ottavi Paola, ed il vice avvocato generale
dello Stato Giovanni Albisinni, per l'Amministrazione
delle finanze dello Stato e per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.
- Con sei ordinanze dei pretori di Roma, di Voghera, di Livorno, di Milano, di Arona e di Firenze, emesse in vari giorni del mese di
aprile 1975, sono state sollevate varie questioni di legittimità costituzionale
della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (delega legislativa al Governo della
Repubblica per la riforma tributaria), del d.P.R. 26
ottobre 1972, n. 636 (revisione della disciplina del contenzioso tributario),
del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (istituzione e
disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), e del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (disposizioni comuni in
materia di accertamento delle imposte sui redditi).
Dette
ordinanze erano state emesse in procedimenti aventi sostanzialmente lo stesso
oggetto. Nell'ambito di rapporti patrimoniali tra coniugi sottostanti al regime
della separazione dei beni, i mariti, in prossimità della scadenza del termine
previsto per il 1975 per la dichiarazione annuale dei redditi, avevano
richiesto alle rispettive mogli i dati ed i documenti relativi ai redditi dalle stesse conseguiti nel 1974 e di fronte al loro rifiuto
di fornirglieli, si erano rivolti al pretore a sensi dell'art. 700 del codice
di procedura civile, onde ottenerne in via di urgenza la condanna in ordine a
quanto richiesto.
I
pretori, in modo più o meno ampio ed in maniera espressa (ad eccezione dei
pretori di Arona e di Firenze) si sono pronunciati
preliminarmente sull'ammissibilità dell'azione cautelare.
In
particolare, il pretore di Roma ha sollevato la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 4, lett. a), del d.P.R. n. 597 del 1973 per
contrasto con gli artt. 3, 29, 31, 36, 37, 53 e 76
della Costituzione e per quest'ultimo in relazione all'art. 2, comma primo, n.
3, della legge n. 825 del 1971 nonché e conseguentemente, all'art. 1, comma
terzo, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in
cui, richiamando l'art. 4 del d.P.R. n. 597 del 1973,
impone al marito l'obbligo di dichiarare i redditi della moglie, e di entrambe
le norme denunciate nella parte in cui implicitamente impongono alla moglie
l'obbligo di comunicare al marito ai fini della determinazione della base
imponibile i propri redditi.
Con
la seconda ordinanza é stata sollevata la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 4 del d.P.R.
n. 597 del 1973 e 1 del d.P.R. n. 600 del 1973 per la
violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione e
degli artt. 2 della legge n. 825 del 1971, 4 del d.P.R. n. 597 del 1973 e 1 del d.P.R.
n. 600 del 1973 per il contrasto con gli artt. 3, 29,
31, 53, 4 e 35 della Costituzione.
Con
la terza ordinanza (emessa dal pretore di Livorno) risultano sollevate le
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4
del d.P.R. n. 597 del 1973 e 1 del d.P.R. n. 600 del
Con
l'ordinanza del pretore di Milano la questione di legittimità costituzionale é
stata proposta a proposito degli artt. 4, lett. a),
del d.P.R. n. 597 del 1973 e 1, comma terzo, del d.P.R. n. 600 del 1973 per la parte in cui richiama il
precedente art. 4 del d.P.R. n. 597, per violazione
degli artt. 76, 3, 29, 31, comma
primo, 53, comma primo, e 27 della Costituzione.
Con
l'ordinanza del pretore di Arona la questione di
legittimità costituzionale é stata prospettata relativamente agli artt. 1 del d.P.R. n. 600 del
1973 e 4 del d.P.R. n. 597 del 1973, per la parte che
prevede l'obbligo di dichiarazione congiunta ed il cumulo, ai fini fiscali, dei
redditi della moglie con quelli del marito, e per contrasto con gli artt. 76, 3, 13, 15, 24, 29 e 31, 4 e 35, e 53 della
Costituzione.
Ed
infine, con l'ordinanza del pretore di Firenze é stata denunciata
l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 del d .P.R. n. 597 del 1973, nella
parte in cui ai fini della determinazione del reddito complessivo imputa al
soggetto passivo oltre ai redditi propri quelli della moglie, in riferimento agli artt. 2, 3, 4,
13, 15, 24, 27, 29, 31, 35, 37, 53 e 76 della Costituzione.
2.
- Nei sei procedimenti iniziati con le ricordate ordinanze ha spiegato intervento
il Presidente del Consiglio dei ministri, che, a mezzo dell'Avvocato
generale dello Stato, ha chiesto che le questioni siano dichiarate in tutto o
in parte inammissibili e comunque infondate.
Nel
procedimento di cui all'ordinanza del pretore di Roma si é costituita Erminia Garzia a mezzo dell'avv. prof.
Franco Gaetano Scoca che ha concluso per la
dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 4, lett. a), del d.P.R. n. 597 del 1973 anche in relazione all'art. 2, n. 3,
della legge n. 825 del 1971, e conseguentemente dell'art. 1, comma terzo, del d.P.R. n. 600 del 1973 nella parte in cui impone al marito
l'obbligo di dichiarare i redditi della moglie, e di entrambe le norme
denunciate nella parte in cui implicitamente impongono alla moglie l'obbligo di
comunicare al marito i propri redditi ai fini della determinazione della base
imponibile.
Ed
infine, nel procedimento di cui all'ordinanza del pretore di Firenze, si é costituita Paola Ottavi che a mezzo degli avv.ti prof. Paolo Barile ed Elia Clarizia ha chiesto la declaratoria di illegittimià
costituzionale dell'art. 4 del d.P.R. n. 597 del 1973
(ed in memoria, dell'istituto del cumulo dei redditi di cui al detto art. 4
nonché agli artt. 1 e 2
dello stesso decreto).
3.
- Con l'ordinanza emessa il 10 ottobre 1975,
questa Corte, riuniti i sei giudizi di legittimità costituzionale come sopra
promossi ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2,
comma primo, del d.P.R. n. 597 del
Si
é ritenuto da parte di questa Corte che della norma di cui all'art. 1, comma
terzo, del d.P.R. n. 600 del 1973, che rientrava tra
quelle denunciate con le indicate ordinanze e secondo la
quale ogni soggetto passivo deve dichiarare annualmente, ed in unico
contesto, i redditi propri ed a lui imputabili, era stato prospettato, tra
l'altro, il contrasto con il principio di eguaglianza per ciò che nel caso,
come quello di specie, in cui oggetto di imputazione sono i redditi della moglie,
solo il marito, e non anche la moglie, sarebbe soggetto all'obbligo della
dichiarazione; e che la valutazione della dedotta disparità di trattamento e
quindi la decisione in ordine alla questione di legittimità costituzionale, non
si sarebbero potute effettuare se non unitamente e in relazione alla
considerazione del contenuto e della portata dell'art. 2, comma primo, del d.P.R. n. 597 del 1973 e cioé
della soggettività passiva di imposta. E nel contempo si é dubitato circa la
conformità di quest'ultima norma agli artt. 3 e 29, e
24 della Costituzione, "perché, nell'ipotesi in cui soggetto passivo
dell'imposta sia un marito e siano a questo imputati i
redditi della moglie, é previsto un trattameno
differenziato, nonostante la parità morale e giuridica dei coniugi, e senza che
la disparità si presenti razionalmente giustificata, o funzionalizzata
alla garanzia dell'unità familiare, e tale trattamento differenziato si pone o
si risolve anche sul terreno della tutela in giudizio dei diritti e degli
interessi".
A
seguito dell'ordinanza di questa Corte, si é costituita Erminia Garzia (parte nel procedimento civile vertente davanti al
pretore di Roma), a mezzo dell'avv. prof. Franco
Gaetano Scoca, che con l'atto di costituzione ha
chiesto che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale di tutte le norme
denunciate nelle ordinanze di rimessione anzidette oltreché di quella denunciata da questa Corte. Ed ha
spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
dall'Avvocato generale dello Stato, il quale ha concluso per la declaratoria di
non fondatezza della questione di legittimità costituzionale.
4.
- Nella materia del cumulo dei redditi della moglie con quelli del marito, sono
state sollevate questioni di legittimità costituzionale anche da parte dei
pretori di Carrara e di Foggia e della Commissione tributaria di primo grado di
Milano.
Il
pretore di Carrara, in un procedimento promosso a
sensi dell'art. 700 del codice di procedura civile ed avente un oggetto eguale
a quelli degli altri procedimenti pretorili, con
ordinanza del 12 giugno
Il
pretore di Foggia, in un procedimento civile in cui l'attore, premesso che la
di lui moglie si era rifiutata di fornirgli le
informative ed i documenti relativi ai redditi da lei percepiti e che si era
così trovato nell'impossibilità di procedere alla compilazione della denuncia
ai fini del cumulo, aveva chiesto la condanna della moglie al risarcimento dei
danni, ha sollevato con ordinanza del 30 luglio 1975 la questione di
legittimità costituzionale degli artt. 4 del d.P.R. n. 597 del 1973 e 1 del d.P.R.
n. 600 del
Ed
infine la stessa Commissione, in altro procedimento, in cui si controverteva in ordine ad accertamenti relativi agli anni
dal 1965 al 1969 e concernenti anche i redditi della moglie del contribuente ai
fini dell'imposta complementare, con ordinanza del 17 marzo
5.
- Nei giudizi promossi con le quattro ordinanze ora indicate ha spiegato
intervento il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato dall'Avvocato
generale dello Stato.
La difesa dello Stato ha chiesto alla Corte: nel primo giudizio,
di volere, in via preliminare, dichiarare la cessazione della materia del
contendere o, in via subordinata, dichiarare la relativa questione in parte
inammissibile per difetto di rilevanza e in parte infondata o, comunque, in
tutto infondata; nel secondo giudizio, di volere dichiarare la relativa
questione in parte inammissibile per difetto di rilevanza ed in parte infondata
o comunque in tutto infondata; e negli altri due giudizi, di volere dichiarare
cessata la materia del contendere per parte delle relative questioni e
dichiarare le questioni stesse, per l'altra parte, non fondate.
Nel
giudizio promosso dalla Commissione tributaria con ordinanza del 17 marzo 1975,
si é costituito il Ministero delle finanze, rappresentato e difeso
dall'Avvocato generale dello Stato che ha concluso nello stesso senso in cui in
quel giudizio ha concluso il Presidente del Consiglio dei ministri.
6.
- Delle parti costituite e dell'interveniente hanno presentato memoria Erminia Garzia e Paola Ottavi
(parte nel procedimento civile pendente davanti al pretore di Firenze) e brevi
note il Presidente del Consiglio dei ministri.
La difesa della Garzia ha concluso domandando
alla Corte di volere: a) in via principale: 1) dichiarare l'illegittimità
costituzionale di tutte le norme denunciate (art. 2 della legge 9 ottobre 1971,
n. 825; artt. 15, 16, 17, 19, 20 e 30 del d.P.R.
26 ottobre 1972, n. 636; artt. 2,
comma primo, e 4 del d.P.R. 29 settembre 1973,
n. 597; e artt. 1, 46, 56 e 57
del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) per contrasto
con gli artt. 3, 24, 29, 31, 36, 37, 76 e 53 della
Costituzione; 2) dichiarare, ex art. 27 della legge n. 87 del 1953, la
conseguente illegittimità costituzionale degli artt. 1, 5, 6 e 7 della legge 2 dicembre 1975, n. 576; b) in via
subordinata, sollevare, per contrasto con gli indicati precetti costituzionali,
innanzi a sé la questione di legittimità costituzionale dei citati artt. 1, 5, 6 e 7 della legge n.
576 del 1975, ferma la pronuncia di illegittimità chiesta in via principale,
sub 1.
La
difesa della Ottavi, in relazione alla questione di
legittimità costituzionale dell'art. 4, comma primo, del d.P.R.
n. 597 del 1973 ed a quella sollevata da questa Corte, ha escluso, a proposito
della prima, ed a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 576 del 1975,
la necessità di un rinvio degli atti al giudice a quo (pretore di Firenze) per
il riesame della rilevanza, ed ha sostenuto, a proposito della seconda
questione, e sempre a seguito della entrata in vigore della detta legge n. 576,
che taluni dubbi prospettati da questa Corte, restano immutati.
L'Avvocatura
generale dello Stato, con le citate brevi note, per
tutti i giudizi, ha chiesto alla Corte di volere: 1) a seguito dell'entrata in
vigore della legge n. 576 dei 1975 dichiarare cessata la materia del contendere
per tutte le questioni di legittimità costituzionale afferenti la legge di
delega per la riforma tributaria ed i relativi decreti presidenziali delegati;
2) in via subordinata, dichiarare le questioni stesse irrilevanti o infondate;
3) dichiarare cessata la materia del contendere e sempre per la detta ragione
per parte della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla
Commissione tributaria di primo grado di Milano e dichiarare la questione
stessa, per l'altra parte, non fondata.
7.
- All'udienza del 14 giugno 1976 gli avv.ti
prof. Franco Gaetano Scoca per
Considerato in diritto
1.
- Con ordinanza
del 10 ottobre 1975, n. 230
questa Corte ha disposto la riunione di sei procedimenti instaurati con
altrettante ordinanze da parte dei pretori di Roma, di Voghera, di Livorno, di
Milano, di Arona e di Firenze, con cui erano state
sollevate questioni di legittimità costituzionale relative a norme della legge
9 ottobre 1971, n. 825 (delega legislativa al Governo della Repubblica per la
riforma tributaria), del d.P.R. 29 settembre 1973, n.
597 (istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche),
del d.P.R. 29 settembrc
1973, n. 600 (disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui
redditi) e del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636
(revisione della disciplina del contenzioso tributario); e nei procedimcnti riuniti ha sollevato la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 2, comma primo del d.P.R.
n. 597 del
Sono
inoltre sottoposte all'esame di questa Corte questioni
relative a norme del ripetuto d.P.R. n. 597
del 1973 e del citato d.P.R. n. 600 del 1973, con le
ordinanze indicate in epigrafe dei pretori di Carrara é di Foggia, ed a norme
del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (approvazione del
testo unico delle leggi sulle imposte dirette) con le due ordinanze, del pari
indicate in epigrafe, della Commissione tributaria di primo grado di Milano.
Trattasi
di questioni identiche, in tutto o in parte, o strettamente connesse. Appare,
per ciò, opportuno che gli anzidetti procedimenti siano riuniti.
2.
- L'Avvocatura generale dello Stato, per il Presidente del Consiglio dei
ministri, ha eccepito in primo luogo la inammissibilità
di tutte le questioni sollevate dai pretori di Roma, di Voghera, di Livorno, di
Milano, di Arona, e di Firenze, assumendo che i
giudici a quibus, aditi a norma dell'art. 700 del
codice di procedura civile da ricorrenti che avevano dedotto di non aver potuto
ottenere dalle rispettive mogli le indicazioni relative ai redditi dalle stesse
conseguiti nel 1974 e ad essi necessarie ai fini della presentazione nel 1975
della dichiarazione unica dei redditi, e che avevano chiesto la condanna delle
resistenti a fornir loro le dette indicazioni, avrebbero dovuto dichiarare
improponibile o inammissibile l'azione, e comunque si sarebbero potuti o dovuti
limitare a dare atto del rifiuto delle mogli resistenti di aderire alla
richiesta come sopra avanzata a ciascuna di esse dal proprio marito.
Di
codesta eccezione,
Nel
corso del giudizio non sono emerse nuove ragioni a sostegno della tesi della
inammissibilità delle questioni sollevate con le dette ordinanze. E pertanto
l'eccezione de qua deve essere disattesa.
3.
- A proposito delle questioni sollevate con le ordinanze ora dette dei pretori
di Roma, di Voghera, di Livorno, di Milano, di Arona
e di Firenze, nonché con quelle dei pretori di Carrara e di Foggia da parte
della difesa dello Stato si eccepisce, in subordine, l'inammissibilità relativamente
alle questioni afferenti all'art. 4 lett. a) del d.P.R.
n. 597 del 1973.
Si
sostiene che il diritto del marito di avere conoscenza dei redditi della moglie
ai fini della compilazione e presentazione della dichiarazione dei redditi, non
derivi dal principio del cumulo dei redditi ma sia ricollegabile unitamente
alla normativa concernente le modalità mediante le quali il principio stesso é
stato attuato e cioé l'imputazione al marito del
reddito costituito dal coacervo dei redditi di entrambi i coniugi e
l'attribuzione al medesimo della titolarità del rapporto tributario; e che quel
diritto, fatto valere innanzi ai detti pretori, attenga, in altri termini, alla
posizione conferita al marito rispetto al reddito complessivo dei coniugi e
trovi unicamente la sua fonte nelle norme che tali posizioni regolano e negli
obblighi che ne discendono.
E
da ciò si deduce l'irrilevanza, ai fini della decisione della controversia
davanti al singolo giudice a quo, dell'accertamento della legittimità
costituzionale del principio del cumulo dei redditi dei coniugi, in sé
considerato.
In
contrario é possibile, però, osservare quanto segue.
Devesi,
anzitutto, dare atto che circa la rilevanza delle questioni da essi sollevate, i pretori di Roma, di Livorno, di Milano, di
Arona e di Firenze hanno motivato, in modo ampio o sitentico, e solo i pretori di Voghera e di Foggia si sono
limitati a dichiarare in dispositivo rilevanti le questioni, e che il pretore
di Carrara nulla ha sostenuto o dichiarato al riguardo.
Va
poi tenuto presente che a denunciare, per illegittimità costituzionale gli artt. 4 lett. a) del d.P.R. n.
597 del 1973 e 1, comma terzo del d.P.R. n. 600 del
1973, sono, insieme con gli altri, i giudici che nel modo sopraddetto hanno
motivato in ordine alla rilevanza.
Nelle
specie, d'altra parte, non sembra, comunque, sostenibile che il diritto del
marito ad avere le dette indicazioni da parte della moglie ed il correlativo
obbligo di questa di fornirgliele, quali situazioni giuridiche strumentali in
relazione all'obbligo del marito di dichiarare anche i redditi della moglie a
lui imputati, non siano da collegare all'istituto del cumulo dei redditi tra i
coniugi, giacché, prescindendosi dai possibili modi
di attuazione del relativo principio, il sistema attuato con la normativa di
cui si tratta denuncia un'intima coerenza ed una sicura univocità, per cui i precetti relativi alla soggettività dell'imposta,
all'imputazione al soggetto passivo di redditi altrui ed alla dichiarazione si
presentano razionalmente ed inscindibilmente connessi.
L'eccezione
in esame risulta, pertanto, non fondata.
4.
- Da parte dell'Avvocatura generale dello Stato si sostiene ancora che, a
seguito dell'entrata in vigore della legge 2 dicembre 1975, n. 576 (recante disposizioni in materia di imposte sui redditi e
sulle successioni), relativamente alle questioni sollevate dai giudici a quibus si sarebbe
verificata la cessazione della materia del contendere, ed in subordine che
sarebbero divenute irrilevanti le questioni concernenti la legge di delega ed i
decreti delegati.
a)
Poiché l'art. 8, commi primo e secondo, della legge n.
576 avrebbe modificato, e implicitamente abrogato, le norme del testo unico del
1958 relative ai doveri ed alle facoltà spettanti al marito, quale unico
soggetto tributario, nell'ambito della famiglia, della imposta complementare
progressiva sul reddito complessivo, non sarebbero, perciò, chiaramente più
ipotizzabili le violazioni degli artt. 3, 15, 24, 27
e 29 della Costituzione, denunciate dalla Commissione tributaria di primo grado
di Milano con la ordinanza del 7 aprile 1975, e quelle
degli artt. 3 e 29 della Costituzione denunciate
dalla stessa Commissione con l'ordinanza del 17 marzo 1975 per la parte in cui
tali violazioni si riferiscono al profilo procedimentale
che regola la imposizione di detto tributo sul reddito
per i coniugi non legalmente separati.
b)
Le norme della nuova legge avrebbero abrogato quelle denunciate di
illegittimità costituzionale con le ordinanze dei pretori e di questa Corte.
Con l'art. 27, comma secondo, sarebbe stato esplicitamente abrogato l'art. 4
del d.P.R. n. 597 del 1973 e con l'art.
5, commi primo e secondo (parte prima) sarebbero stati modificati
radicalmente, e implicitamente abrogati, sia l'art. 2 comma primo del d.P.R. n. 597 del 1973 nella parte in cui dispone che non
sono soggetti passivi dell'imposta le persone i cui redditi sono imputati ad
altri ai sensi del successivo art. 4, e sia l'art. 1, comma terzo del d.P.R. n. 600 nella parte in cui dispone che la
dichiarazione delle persone fisiche é unica per i redditi propri del soggetto e
per quelli di altre persone a lui imputabili a norma dei
richiamato art. 4.
La
nuova legge, peraltro, conterrebbe disposizioni innovative per quanto si
attiene ai redditi conseguiti nell'anno 1974 e che hanno formato o dovevano
formare oggetto della dichiarazione da presentarsi nell'anno 1975: l'art. 8
della legge n. 576, infatti, - si aggiunge - "contiene disposizioni circa
la parte procedimentale, riguardante le persone a cui incombe l'obbligo di presentare la dichiarazione, disposizioni
che modificano, e quindi implicitamente abrogano, per i redditi conseguiti nel
detto anno 1974, la normativa contenuta nell'art. 2 del d.P.R.
n. 597 del 1973 e nell'art. 1 del d.P.R. n. 600 dello
stesso anno", e "l'art. 26 della stessa legge modifica, sempre per i
redditi conseguiti nel 1974, il trattamento tributario sul "cumulo dei
redditi" fra i coniugi, venendo, in tal modo, ad abrogare implicitamente,
anche per l'anno 1974 le disposizioni contenute nell'art. 4 del d.P.R. n. 597 del 1973".
Con
le ordinanze della Commissione distrettuale di primo grado di Milano si
denuncia il contrasto degli artt. 131 e 139 del testo
unico del 1958 con gli artt. 3, 15, 24, 27, 29, 31 e
53 della Costituzione, in due giudizi in ciascuno dei quali il contribuente
aveva proposto ricorso avverso accertamenti ai fini dell'applicazione
dell'imposta complementare progressiva sul reddito complessivo, relativi ai
vari anni, e cioé al 1969 o dal 1965 al 1969, ed in
cui
La
legge n. 576 del 1975 dispone in ordine all'imposta complementare con i primi
due commi dell'art. 8, richiamati dalla difesa dello Stato, ma al riguardo e
per il passato non abroga, né espressamente né tacitamente o implicitamente, il
cpv. dell'art. 131 o l'art. 139 del T.U. secondo cui rispettivamente "i
redditi della moglie si cumulano con quelli del marito" e l'imposta é applicata
sul reddito (complessivo) imponibile con aliquota progressiva. Con i detti
commi dell'art. 8, infatti, si stabilisce solo che i ruoli dell'imposta
complementare dovuta in base alle dichiarazioni presentate nel 1974 e negli
anni precedenti e comprendenti redditi della moglie, ovvero dovuta per gli anni
1973 e precedenti a seguito di accertamenti in rettifica o di ufficio del
reddito complessivo, comprensivo di redditi della moglie, "costituiscono
titolo per la riscossione dell'imposta anche nei confronti della moglie",
e che "entro sessanta giorni dalla notifica dell'avviso di mora relativo
al pagamento delle imposte dovute in base ai ruoli di cui al precedente comma,
la moglie può, limitatamente ai tributi non assolti, proporre ricorso avverso
il ruolo a norma dell'art. 39 del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973 n. 602, per inesistenza totale o parziale, con riguardo ai
propri redditi, dell'obbligazione tributaria". E ciò significa che,
facendosi con i ripetuti due commi riferimento al ruolo, non si innova la
situazione sostanziale e processuale anteriore alla formazione e pubblicazione
di esso e quindi tra l'altro non si tocca la fase
dell'accertamento e il meccanismo previsto per la formazione del reddito
complessivo assoggettato all'imposta (e di cui al secondo comma dell'art. 131)
e tanto meno la regola circa la progressività per l'applicazione dell'imposta.
Con
le ordinanze degli otto pretori e di questa Corte, complessivamente
considerate, si denuncia, invece, il contrasto degli artt.
2 n. 3 della legge numero 825 del 1971; 2 comma primo e 4 lett. a) del d.P.R. n. 597 del 1973; 1 comma terzo, 46, 56 e 57 del d.P.R. n. 600 del 1973, e 15, 16, 17, 19, 20 e 30 del d.P.R. n. 636 del 1972; in
riferimento agli artt. 2, 3, 4, 13, 15, 24, 27, 29,
31, 35, 36, 37 e 53 della Costituzione.
A
tal proposito - secondo l'Avvocatura generale dello Stato - la cessazione della
materia del contendere si sarebbe verificata nei modi sopraddetti perché
sarebbero state espressamente o implicitamente abrogate le
norme oggetto di denuncia e ne sarebbe ormai esclusa l'applicabilità ai
fini dell'IRPEF ai redditi conseguiti nel 1974.
Senonché, in contrario, é possibile osservare:
-
che il disposto del secondo comma dell'art. 27 della legge n. 576, interpretato
unitamente a quello del precedente comma, comporta l'abrogazione dell'art. 4
del d.P.R. n. 597 del
-
che con l'art. 5, commi primo e secondo (parte prima) della nuova legge, sono
dettate disposizioni destinate ad operare per il futuro ed
inidonee a disciplinare situazioni di fatto che per la loro componente
temporale erano e sono rimaste soggette alla legge allora vigente;
-
che nel caso in esame sono parimenti valide le osservazioni fatte a proposito
delle questioni relative al T.U. del 1958, circa il contenuto e la portata
dell'art. 8 della ripetuta legge n. 576;
-
che ancora nulla di probante può dedursi dall'articolo 26 comma primo della
stessa legge, perché il correttivo apportato al carico dell'imposta dovuta per
il reddito complessivo relativo al 1974 per cui un
credito d'imposta compete a valere su quella dovuta sulla base della
dichiarazione relativa all'anno 1975, non elimina gli obblighi ed oneri
gravanti sul marito e sulla moglie, conseguenti o connessi al cumulo.
Si
può quindi ritenere che neppure per le questioni in considerazione si sia
verificata la eccepita cessazione della materia del
contendere (o sia sopravvenuta la irrilevanza delle questioni).
Daltra parte, e per concludere, a sostegno della fondatezza delle
eccezioni proposte in ordine a tutte le questioni sollevate (per le norme del
T.U. del 1958, della legge di delega e dei decreti delegati) non giocano
neanche i riferimenti che la legge n. 576 compie alla preesistente legislazione
in materia, nei commi terzo, quarto e quinto del cit.
art. 8 da cui si ricava che gli accertamenti di rettifica o di ufficio aventi
per oggetto l'I.C.P. sul R.C. o l'IRPEF per redditi
conseguiti nel 1974 e negli anni precedenti, notificati posteriormente al
novantesimo giorno dalla entrata in vigore della legge, devono essere intestati
anche alla moglie ed a questa notificati se alla formazione della base
imponibile hanno concorso anche redditi della stessa; che qualora alla
formazione del reddito complessivo soggetto all'imposta complementare hanno
concorso redditi della moglie e l'accertamento viene
definito mediante adesione del contribuente, codesto atto, se posto in essere
successivamente all'entrata in vigore della legge, deve essere sottoscritto
anche dalla moglie o da un suo rappresentante; ed infine, che a seguito di
accertamenti in rettifica o di ufficio relativi ai detti tributi (e sempre che
la moglie non abbia sottoscritto la dichiarazione) non si tiene conto dei
redditi della moglie stessa ai fini della omissione, incompletezza e infedeltà
della dichiarazione e delle relative sanzioni penali e amministrative e delle
maggiorazioni di imposta e degli interessi per ritardata iscrizione a ruolo,
limitatamente alle quote non corrisposte.
É
innegabile che con le nuove norme, in relazione ai redditi, alle dichiarazioni
ed agli accertamenti afferenti agli anni 1974 e precedenti, la moglie, da
semplice responsabile solidale per il pagamento dell'imposta (art. 34 del d.P.R. n. 602 del 1973) é divenuta soggetto passivo e
condebitrice solidale, insieme con il marito, dell'imposta dovuta per il loro
complessivo reddito; che é ormai esclusa una responsabilità amministrativa e
penale del marito per fatto e colpa della moglie; e che questa, a proposito dei
redditi che la concernono, ha poteri di difesa in giudizio; ma tutto ciò, in
relazione al T.U. del 1958 ed alla legge di delega e ai decreti delegati,
costituisce un quid novi destinato ad operare a
decorrere al massimo dal 1 gennaio 1975 e non per il passato, e comunque non in
modo tale da eliminare in maniera totale o parziale la vigenza e l'operatività
delle norme denunciate, nell'ambito dei giudizi a quibus ed al fine della
definizione degli stessi.
5.
- La normativa in materia di I.C.P. sul R.C., risultante dal T.U. del 1958
e successive modificazioni e quella in materia di IRPEF, emersa dalla riforma
tributaria (e sino alla legge n. 576 del 1975) trovano il loro riscontro e la
loro base nella disciplina dettata per i rapporti patrimoniali tra coniugi
dagli artt. 159-230 del codice civile del 1942.
Tali
norme non sono influenzate, per le situazioni anteriori al 20 settembre 1975
(ivi comprese quelle relative ai redditi degli anni 1974 e precedenti), dalla
legge 19 maggio 1975 n. 151. Ed infatti, per l'art.
227 "le doti e i patrimoni familiari costituiti prima dell'entrata in
vigore della presente legge continuano ad essere disciplinati dalle norme
anteriori", e per i primi due commi dell'art. 228 "le famiglie già
costituite alla data di entrata in vigore della presente legge, decorso il
termine di due anni dalla detta data, sono assoggettate al regime della comunione
legale per i beni acquistati successivamente alla data medesima a meno che
entro lo stesso termine uno dei due coniugi non manifesti volontà contraria in
un atto ricevuto da notaio o dall'ufficiale dello stato civile del luogo in cui
fu celebrato il matrimonio", "ed entro lo stesso termine i coniugi
possono convenire che i beni acquistati anteriormente alla data indicata nel
primo comma siano assoggettati al regime della comunione, salvi i diritti dei
terzi".
Il
rapporto tra i coniugi (sino all'anzidetta data) per quanto attiene ai redditi,
é, quindi, disciplinato, come si é precisato, dalle norme di cui al capo VI,
titolo VI del libro primo del codice civile, e non da quelle modificative o
innovative di cui alla legge n. 151 del 1975.
6.
- Infine, in sede di esame delle eccezioni preliminari o pregiudiziali
sollevate dalla difesa dello Stato o di controllo circa l'eventuale esistenza
di quelle rilevabili d'ufficio, deve escludersi che la legge n. 576 del 1975 (e
meno che mai quella n. 151 dello stesso anno) contenga norme connesse con
quelle denunciate in modo tale da non poter giudicare di queste senza un
preventivo esame di esse.
La
difesa di Erminia Garzia, con la memoria del 1 giugno
1976, chiede anche se in via del tutto subordinata, a
questa Corte di voler sollevare, innanzi a sé, in base all'art. 23 della legge
11 marzo 1953 n. 87, per contrasto con gli artt. 3,
24, 29, 31, 36, 37, 76 e 53 della Costituzione, la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 1, 5, 6
e 7 della legge n. 576 del 1975.
Questa
Corte, dato che é chiamata a pronunciarsi su questioni di legittimità
costituzionale sollevate in via incidentale, non può prendere in considerazione
la domanda della parte costituita.
Ritiene
peraltro che nella specie non ricorrono i presupposti necessari e sufficienti
perché possa o debba sollevare d'ufficio davanti a sé la questione.
E
ciò in quanto che le norme applicabili nei giudizi pendenti davanti agli otto
pretori e alla commissione tributaria di primo grado di Milano sono quelle a
suo tempo denunciate e solo per le questioni sollevate dai primi sei pretori é
apparsa pregiudiziale la decisione della questione di legittimità
costituzionale dell'art. 2 comma primo del d.P.R.
numero 597 del 1973 (come dalla ordinanza n. 230
del 1975 di questa Corte); ed in quanto che, in relazione a tutte le
questioni in esame, non ha modo di incidere il fatto che la nuova legge abbia
disposto: che l'IRPEF si applica nei confronti dei coniugi non legalmente ed
effettivamente separati sul reddito complessivo formato dai redditi propri di
ciascuno e da quelli, ad entrambi imputati, dei figli minori conviventi (art.
1); che i detti coniugi devono presentare una dichiarazione unica dei propri
redditi e di quelli ad essi imputati (art. 5); che
agli effetti dell'applicazione delle imposte sui redditi, la moglie non
legalmente ed effettivamente separata ha il domicilio fiscale nel comune di
domicilio fiscale del marito (art. 6), e che i coniugi non legalmente ed
effettivamente separati sono solidalmente obbligati al pagamento dell'IRPEF
(art. 7). E d'altra parte non rileva in questa sede accertare la fondatezza o
meno dell'assunto difensivo della Garzia secondo cui
"l'estensione della soggettività tributaria alla moglie, lungi dal fugare
i dubbi sull'illegittimità costituzionale "del cumulo", li ha, di
contro, "aggravati" ed ai coniugi "ai quali si riconosca distinta soggettività tributaria, non può essere
imposto né di presentare una dichiarazione congiunta dei loro redditi, né di
pagare l'imposta sul reddito delle persone fisiche, come se fossero una sola
persona (fisica), senza violare" gli indicati precetti costituzionali.
7.
-
E
ciò nei limiti, nei sensi e per le ragioni che seguono.
Sono
denunciate per contrasto con gli artt. 3, 15, 24, 27,
e 29, 31 e 53 della Costituzione, le norme secondo cui, al fine dell'individuazione
dei soggetti passivi dell'imposta complementare progressiva sul reddito
complessivo, "i redditi della moglie si cumulano con quelli del
marito" (art. 131 comma secondo) e per cui sul
reddito complessivo così formato l'imposta é applicata con aliquota progressiva
(art. 139).
Sulla
legittimità costituzionale o meno dell'art. 131 questa Corte
non ha avuto modo in passato di pronunciarsi specificamente, giacché la
questione che al riguardo era stata sollevata, con l'ordinanza del 10 dicembre
del 1973, dal tribunale di Oristano, é stata dichiarata inammissibile per
difetto di rilevanza. Ma con la relativa sentenza (n. 26 del 1975) ha
incidentalmente ed in ipotesi osservato che il dubbio di costituzionalità si sarebbe potuto ricollegare a varie disposizioni (art. 29, 3,
31 e 53) della Costituzione.
Ora
queste disposizioni e le altre sopra indicate, sono assunte a ragione e misura
dell'asserita illegittimità costituzionale delle citate norme del testo unico.
Con
la prima parte del secondo comma dell'art.
Due
persone fisiche, che nelle norme in esame sono rispettivamente il marito e la
moglie (non separati), risultano in tal modo assoggettate ad un trattamento
differenziato o particolare per cui: in costanza di
rapporto coniugale, il marito e non anche la moglie, é soggetto passivo
dell'imposta; il marito e non anche la moglie é debitore dell'imposta con
riguardo a redditi di cui non ha il possesso, ed il marito, stante la
progressività del tributo, ha un debito di imposta superiore a quello che
avrebbe avuto se l'imposta fosse stata commisurata solo alla somma dei redditi
propri e di quelli altrui di cui abbia la libera disponibilità o
l'amministrazione senza obbligo della resa dei conti.
Le
norme di cui alla denuncia, violano il principio di eguaglianza di tutti i
cittadini davanti alla legge e non sono ordinate sulla eguaglianza giuridica
dei coniugi. A fronte di situazioni eguali si hanno trattamenti differenti: da
un canto, per il possesso di redditi vi é chi é considerato soggetto di imposta
e chi non lo é, e dall'altro, nonostante la mancanza del possesso di redditi,
vi é chi (anche) per questi é considerato soggetto di imposta e chi non lo é.
Ed in entrambi i casi il trattamento differenziato o diverso non ha alcuna
razionale giustificazione né appare finalizzato a garantire o tutelare l'unità
familiare.
Con
l'imposta complementare si tende a colpire il reddito non in sé, all'atto e per
il fatto del suo prodursi, sebbene in quanto riveli una data capacità
contributiva, e cioé una attitudine
concreta a concorrere alle spese pubbliche.
Può
perciò apparire logico che sia tenuta presente la situazione in concreto del
singolo soggetto, ed in rapporto a ciò, ragionevole che ai fini della
determinazione del suo reddito complessivo netto concorrano il criterio
analitico e quello sintetico.
Ma
non si spiega come e perché un soggetto (il marito) possa e debba presentare
una maggiore capacità contributiva per l'esistenza di redditi altrui di cui non
abbia legalmente il possesso, e cioé il godimento o
l'amministrazione senza obbligo della resa dei conti.
D'altra
parte manca la possibilità che alla normativa de qua si riconosca
la funzione di limite (alla eguaglianza giuridica dei coniugi) posto "a
garanzia dell'unità familiare", giacché a costituire e mantenere questa
potrebbe giovare un regime di comunione dei beni e dei redditi relativi, ma non
di certo un sistema tributario basato sopra un fittizio possesso di redditi
comuni.
E
con ciò appare evidente anche il contrasto con l'art. 31 della Costituzione. La
normativa in esame non "agevola con misure economiche ed altre provvidenze
la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi" ed anzi
dà vita per i nuclei familiari legittimi e nei confronti delle unioni libere,
delle famiglie di fatto e di altre convivenze familiari, ad un trattamento
deteriore.
Ricorre,
infine, il mancato rispetto dell'art. 53 della Costituzione, per quanto sopra
detto e per le ragioni che in seguito saranno indicate in occasione dell'esame
delle altre questioni di legittimità costituzionale.
Tali
conclusioni dispensano
8.
- Con le ordinanze dei pretori di Roma, di Voghera, di Livorno, di Milano, di Arona, di Firenze e di Foggia, postosi a raffronto l'art.
2, n. 3 della legge n. 825 del 1971 con gli artt. 4
lett. a) del d.P.R. n. 597 del 1973 e, 1 comma terzo
del d.P.R. n. 600 del 1973, é
denunciata la violazione dell'art. 76 (e da parte dei pretori di
Voghera, di Livorno, di Milano e di Foggia, anche dell'art. 77) della
Costituzione.
Si
assume che il legislatore delegante, nello stabilire i principi e criteri
direttivi a cui si sarebbe dovuta informare la
disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, avrebbe richiesto
non solo che l'imposta avesse carattere personale, ma anche che ci fosse il
concorso alla formazione del reddito complessivo di tutti i redditi propri del
soggetto, dei redditi altrui dei quali egli avesse la libera disponibilità e
"di quelli a lui imputati in ragione dei rapporti familiari". E su
quest'ultimo punto, si precisa da qualche giudice che con la citata norma il
legislatore avesse fatto riferimento ai redditi altrui
di cui il soggetto avesse la libera disponibilità, o ai "redditi già
imputati al soggetto dalla vigente disciplina dei rapporti familiari"
ovvero che il Governo fosse stato autorizzato ad attuare la nuova disciplina
fiscale "con il rispetto della legislazione vigente", e comunque che
dovesse escludersi che "il principio affermato dal legislatore delegante
si potesse riferire indiscriminatamente anche ai redditi propri della
moglie".
E
si deduce da ciò che il Governo, con le citate norme dei decreti delegati, sarebbe incorso in eccessi di delega là dove avrebbe
incluso, in ogni caso o senza discriminare, i redditi della moglie tra quelli
costituenti la base imponibile del marito o li avrebbe addirittura considerati
nella sfera di disponibilità del marito.
Sulla
base di codesta interpretazione della legge delegante (della cui conformità o
meno a Costituzione si dirà in prosieguo), é da ritenere che il Governo, con le
norme di cui agli artt. 4 lett. a) del d.P.R. n. 597 e i comma terzo del d.P.R. n. 600, non sia andato oltre i limiti della delega,
disattendendo i principi e criteri direttivi all'uopo determinati.
Con
tali norme risulta, infatti, rispettato il principio che l'imputazione debba aver luogo solo a fini tributari e non anche sul
terreno ed agli effetti del diritto civile sostanziale.
E
pertanto, non risulta violato l'art. 76 (unitamente all'art. 77) della
Costituzione.
9.
- Gli artt. 2 n. 3 della legge n. 825 del 1971, 2
comma primo e 4 lett. a) del d.P.R. n. 597 del 1973,
e 1 comma terzo del d.P.R. n. 600 del 1973 contengono
norme, relative alla imposta sul reddito delle persone fisiche, che dai giudici
a quibus,
come si é accennato, sono considerate, sotto vari profili, in contrasto con gli
artt. 2, 3, 4, 13, 15, 24, 27, 29, 31, 35, 36, 37 e
53 della Costituzione.
Risulta da tali norme, in modo espresso o implicito: che al
marito sono imputati i redditi della moglie che non sia legalmente ed
effettivamente separata con la conseguenza che i redditi di entrambi sono
cumulati ai fini dell'applicazione dell'imposta; che il marito é soggetto
passivo anche per i redditi della moglie a lui imputati e per codesti redditi
non lo é la moglie; che il marito deve dichiarare annualmente anche i redditi
della moglie a lui imputabili; e che in dipendenza e in funzione di tutto ciò
la moglie é tenuta ad indicare al marito gli elementi, i dati e le notizie
concernenti i propri redditi a lui imputati ed il marito é legittimato a farne
la richiesta.
Strettamente
connesse a quelle indicate sono altre norme, che per ciò, pur non costituendo esse oggetto di specifica denuncia, non possono
non essere tenute presenti. L'imputazione al marito dei redditi della moglie
non legalmente ed effettivamente separata, infatti, influisce, nei confronti
del marito, sulla individuazione della base imponibile (art. 3 del d.P.R. n. 597) e sulla determinazione ed applicazione
dell'imposta sul reddito complessivo (art. 11 dello stesso d.P.R.).
E si hanno conseguenze che variano, tra l'altro, a seconda che il reddito
complessivo del marito, comprensivo dei redditi della moglie
a lui imputati, sia inferiore o meno a cinque milioni di lire, perché
l'imposta gravante sempre sul marito come unico soggetto passivo, nel primo
caso é commisurata separatamente sul reddito proprio del contribuente e su
quello della moglie, e nel secondo é determinata applicando le relative
aliquote crescenti al reddito complessivo, ristante dal cumulo.
I
profili del denunciato contrasto con le disposizioni costituzionali di
raffronto sono molteplici e variamente articolati. Ridotto tale contrasto ai
suoi termini essenziali, secondo i giudici che lo denunciano, esso
consisterebbe in ciò:
a)
per la donna coniugata (e non legalmente ed effettivamente separata), in ordine
alla soggettività passiva circa l'imposta sul reddito delle persone fisiche,
alla determinazione della base imponibile, alla determinazione e applicazione
dell'imposta, alla tutela della riservatezza, a quella del diritto al lavoro ed
alla giusta retribuzione ed infine al concorso alle spese pubbliche, si avrebbe
un trattamento giuridico diverso da quello riservato di regola ad ogni altra
persona fisica ed in particolare al marito di essa
donna coniugata; e non essendo tale disparità di trattamento adeguatamente e
razionalmente giustificata, da un lato, e non rinvenendosi in tale normativa un
plausibile limite all'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi posto a
garanzia della unità familiare, dall'altro, risulterebbero violati gli artt. 2, 3, 4, 13, 15, 29, 31, 35, 36 37 e 53 della
Costituzione;
b)
il marito, tenuto a fare la dichiarazione unica dei redditi, sarebbe soggetto
alle sanzioni penali e accessorie previste per i casi di omissione,
incompletezza e infedeltà della dichiarazione (dagli artt.
46, 56 e 57 del d.P.R. n. 600 del 1973) anche quando
ciò dovesse dipendere dal comportamento della moglie tenuta nei suoi confronti
alle sopraddette indicazioni, ed in tal caso sarebbe violato l'art. 27 della
Costituzione;
c)
le norme dei decreti delegati ricordate all'inizio del paragrafo e gli artt. 15, 16, 17, 19, 20 e 30 del d.P.R.
n. 636 del 1972 non consentirebbero alla moglie, in contrasto con l'art. 24
della Costituzione, di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed
interessi.
L'art.
2 comma primo del d.P.R. n. 597 costituisce, come
questa Corte ha precisato con l'ordinanza n. 230
del 1975, il logico antecedente o correlato del successivo art. 4 lett. a);
e l'obbligo di cui all'art. 1, comma terzo del d.P.R.
n. 600 é una diretta conseguenza dell'attribuzione al marito della posizione di
unico soggetto passivo. Le tre norme sono così strettamente collegate che
debbono essere considerate e valutate assieme. E lo stesso é da farsi per la
norma implicitamente desumibile dal sistema secondo cui grava sulla moglie
l'obbligo di indicare al marito quanto più volte ricordato.
É
indubbio, ad avviso della Corte, che la donna coniugata (che non sia legalmente
ed effettivamente separata) sia sottoposta nella materia de qua ad un
trattamento giuridico diverso da quello previsto di regola per ogni altro
contribuente ed in particolare per il di lei marito.
Ed infatti:
-
pur essendo il possesso di redditi il presupposto della imposta (art. 1 del d.P.R. n. 597) e pur essendo le persone fisiche soggetti passivi
dell'imposta (art. 2 comma primo) la donna coniugata (non legalmente ed
effettivamente separata, la quale abbia il possesso di redditi, non é soggetto
passivo dell'imposta;
-
i redditi della moglie, che si trovi nella ripetuta situazione. sono imputati ai marito nonostante che legalmente la donna
ne abbia la titolarità ed il possesso:
-
il marito (e non anche la moglie non separata) é tenuto a dichiarare
annualmente i redditi propri ed unitamente quelli della moglie a lui
imputabili:
-
il reddito complessivo del soggetto passivo che costituisce la base imponibile,
é formato da tutti i redditi del soggetto stesso e qualora questo sia coniugato
(e non sia coniuge separato), anche dai redditi della moglie:
-
a seguito dell'applicazione dell'imposta sul reddito complessivo del marito
comprensivo dei redditi della moglie (non separata) a lui imputati, l'onere per
debito d'imposta gravante sul marito viene ad essere superiore a quello che sarebbe stato in dipendenza di distinta soggettività e
tassazione: e ciò tanto nel caso di reddito complessivo inferiore a 5 milioni
che in quello opposto.
Esiste,
pertanto, l'asserita disparità di trattamento.
E
tale disparità non é limitata a qualche aspetto o profilo secondario della
materia, né é di scarsa importanza,
A
fronte di tale trattamento differenziato non si hanno posizioni soggettive o
situazioni oggettive diverse o suscettibili d'essere ritenute tali. Sia l'uomo
che la donna come cittadini, come lavoratori autonomi o subordinati, come
coniugi, come contribuenti si trovano nelle medesime condizioni per ciò che
tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge
senza distinzione di sesso, a tutti i cittadini é riconosciuto il diritto al
lavoro, il matrimonio é ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei
coniugi,
La
detta disparità di trattamento, d'altra parte, non si presenta adeguatamente e
razionalmente giustificata né, a proposito del rapporto tra coniugi, le norme
che la caratterizzano si risolvono in limiti posti all'eguaglianza in funzione
della garanzia dell'unità familiare.
Si
sostiene, riportandosi alle disposizioni ed ai principi di cui all'art. 53
della Costituzione, che il legislatore abbia dettato
le norme in questione presupponendo o presumendo: che la capacità contributiva
di due persone, coniugi non separati, sia in concreto superiore a quella delle
stesse due persone che non siano coniugi, a causa della riduzione delle spese
generali, della collaborazione e dell'assistenza reciproca, ecc., e che il
marito, come capo della famiglia abbia la materiale disponibilità dei redditi
della moglie non separata; e ritenendo di dover tutelare l'esigenza che
l'IRPEF, sia applicata sul reddito complessivo del soggetto, tenendosi conto
della concreta attitudine di questo a concorrere alle spese pubbliche, e
l'esigenza che siano impedite evasioni di imposta attraverso fittizie
intestazioni di beni e fittizie attribuzioni di redditi da un coniuge a favore
dell'altro.
Nella
sostanza la tutela di tali esigenze merita di essere approvata. Però non si può
fare a meno di osservare che le due presupposizioni o presunzioni non sono
invocabili perché la convivenza dei coniugi indubbiamente influisce sulla
capacità contributiva di ciascuno di essi, ma non é
dimostrato né dimostrabile, anche per la grande varietà delle possibili ipotesi
e delle situazioni concrete (caratterizzate, tra l'altro, dalla esistenza di
figli), che in ogni caso per tale influenza si abbia un aumento della capacità
contributiva dei due soggetti insieme considerati; e perché, tranne le ipotesi
in cui in fatto sia il marito a poter disporre del reddito di entrambi, e
quelle in cui de iure ciò avviene, di regola i redditi sono prodotti
separatamente e tenuti distinti ed anche quando siano posti in comune, non é
solo il marito a poterne disporre ma lo sono entrambi i coniugi, con un grado
maggiore o minore di autonomia a seconda dei casi; e che, comunque, la
posizione di capo famiglia attribuita al marito può apparire, sotto certi
aspetti, di incerta conformità a Costituzione e ad ogni modo risulta superata
dalla riforma del diritto di famiglia.
E
del pari si deve rilevare che alle esigenze sopraddette con le norme in
questione non é stata data adeguata e razionale tutela perché, a parte il fatto
che all'applicazione dell'imposta sul reddito complessivo di entrambi i coniugi
si perviene attraverso un sistema normativo che va anche contro altre
disposizioni costituzionali, si é posto in essere nei confronti dei coniugi
conviventi un trattamento fiscale più oneroso rispetto a quello previsto per
conviventi non uniti in matrimonio (che vengono
assoggettati separatamente all'imposta, pur beneficiando degli eventuali
vantaggi connessi o conseguenti alla vita in comune).
Ed
infine c'è da considerare che la mancata tutela egualitaria dei coniugi non é
il riflesso o il correlato della esistenza di norme dettate a garanzia
dell'unità familiare. Ché anzi é possibile riscontrare, anche per la normativa
risultante dalla riforma tributaria, una scelta di politica legislativa che
anche a non volerla ritenere in contrasto con gli interessi tutelati dall'art.
31 della Costituzione, di certo non può dirsi dettata in favore della famiglia
legittima.
10.
- in considerazione di quanto sopra, risultano illegittime per contrasto,
soprattutto, con gli artt. 3, 29 e
53 della Costituzione, le norme che prevedono: l'imputazione al marito dei
redditi della moglie non legalmente ed effettivamente separata ed il cumulo dei
redditi di entrambi ai fini dell'applicazione dell'imposta; la soggettività
passiva del marito anche per i detti redditi della moglie e la correlativa
negazione di tale soggettività alla moglie; l'obbligo del marito di dichiarare,
in unico atto, oltre i redditi propri, anche i menzionati redditi della moglie;
l'obbligo della moglie non separata di indicare al marito gli elementi, i dati
e le notizie relativi ai propri redditi a lui imputabili perché egli possa
effettuare la dichiarazione unica dei redditi.
Dalla
dichiarazione dell'illegittimità costituzionale degli artt.
2 n. 3 della legge n. 825 del 1971, 2 comma primo e 4 lett. a) del d.P.R. n. 597 del 1973 e 1 comma terzo del d.P.R n. 600 del
11.
- In ordine alle questioni sollevate dal pretore di Livorno e relative agli artt. 2 della legge n. 825 del 1971, 4 del d.P.R. n. 597 del 1973 e 1, 46, 56 e 57 del d.P.R. n. 600 del 1973, per contrasto con l'art. 27 della
Costituzione, e degli stessi artt. 2 della legge n.
825, 4 dei d.P.R. n. 597, 1
del d.P.R. n. 600 e degli artt.
15, 16,17,19, 20 e 30 del d.P.R. n. 636 del 1972, per
contrasto con l'art. 24 della stessa Carta, va considerato che: a) riconosciuta
l'illegittimità costituzionale delle norme che pongono a carico del marito
l'obbligo di dichiarare, oltre i propri, i redditi della moglie non legalmente
ed effettivamente separata, rimane operativa dei citati articoli del d.P.R. n. 600 solo la parte che si riferisce ad omissione,
incompletezza ed infedeltà della dichiarazione a proposito dei redditi propri
del dichiarante e di quelli a lui imputati (con esclusione dei redditi di cui
all'art. 4 lett. a), e che, comunque, dovrebbe trovare applicazione nel
processo a quo il disposto sopra ricordato dell'art. 8 ultimo comma della legge
n. 576 del 1975; e b) che, riconosciuta alla donna coniugata e non separata la
qualità di soggetto passivo dell'imposta, alla stessa compete e viene del pari riconosciuta la possibilità di far valere in
giudizio i propri diritti ed interessi alla stessa stregua di ogni altro
soggetto passivo, e di conseguenza nessuna pronuncia deve essere adottata a
proposito della seconda delle due sopra indicate questioni, essendo tale
questione assorbita dalla presente pronuncia.
12.
- Vi sarebbero ancora da esaminare, a proposito delle norme denunciate, le
dedotte violazioni delle disposizioni costituzionali diverse da quelle fin qui
considerate, o per le questioni già esaminate, altri profili.
Ma
codeste questioni debbono dirsi implicitamente risolte perché aventi,
nell'ambito della complessiva problematica posizioni accessorie o meramente conseguenziali; e comunque ogni esame a proposito di esse o dei rilevati diversi profili, dovrebbe intendersi
assorbito a seguito delle decisioni adottate.
13.
- Sulla richiesta avanzata dalla difesa di Erminia Garzia,
relativa alla declaratoria, in base all'art. 27 della legge n. 87 del 1953, di
illegittimità costituzionale degli artt. 1, 5, 6 e 7 della legge n. 576 del 1975,
Come
nel precedente paragrafo 6 si é escluso che le norme
di cui agli articoli ora citati costituiscano il logico e necessario
presupposto di quelle oggetto delle varie denunce, così deve escludersi che
dalla adottata decisione di illegittimità costituzionale di queste ultime norme
possa derivare la stessa declaratoria per le prime.
A
proposito del contenuto sopra riportato degli artt. 1, 5, 6 e 7 della citata legge, infatti, deve rilevarsi che
la norma di cui all'art. 1 non coincide con la precedente disciplina così come
adeguata a Costituzione per effetto di questa pronuncia; ma nel contempo e
d'altra parte deve riconoscersi che detta norma (unitamente alle altre
richiamate) appare inserita in un nuovo contesto legislativo della cui
legittimità costituzionale questa Corte potrà conoscere solo sulla base di
eventuale autonoma denuncia.
Pertanto,
non ricorrono gli estremi per l'applicazione del citato art. 27.
14.
- Le pronunce di illegittimità costituzionale relative al testo unico delle
leggi sulle imposte dirette del 1958 ed alle leggi con cui é stata predisposta
e attuata la riforma tributaria, riguardano norme che erano valide ed operanti
per le controversie relativamente alle quali si discuteva e si discute davanti
ai giudici a quibus
e che, però, successivamente sono state abrogate, in modo espresso o tacito, o
sono state in parte modificate.
Con
la prospettazione delle questioni già esaminate si é
segnalata l'esigenza di pervenire alla risoluzione di taluni problemi. A tale
esigenza
Con
la riforma tributaria si é voluto razionalmente
semplificare il precedente sistema dell'imposizione diretta basato su una
pluralità d'imposte a carattere personale e reale e su una imposta
complementare sul reddito complessivo con funzione integratrice e correttiva, e
conseguentemente assoggettare il reddito della persona fisica ad una sola
imposta sulla base dei principi della personalità e della progressività in modo
tale che tutti potessero concorrere alle spese pubbliche secondo la propria
effettiva capacità contributiva.
Si
é voluto ancora eliminare le possibili occasioni di sfiducia o di diffidenza
nei rapporti tra il fisco ed il contribuente ed impostare tali relazioni su
basi diverse e farle vivere in un clima differente, di reciproca fiducia,
comprensione e responsabilità.
Non
spetta alla Corte di dire se di tali orientamenti e tendenze la normativa che
ne é seguita, abbia costituito e costituisca una accettabile
attuazione.
Ma,
essendosi attraverso la presente disamina constatato che relativamente a taluni
punti, non secondari, della disciplina legislativa in oggetto, é mancato il
dovuto rispetto della Costituzione, occorre, a conclusione di questa sentenza,
ribadire l'esigenza che i principi della personalità e della progressività
dell'imposta siano esattamente applicati; che la
soggettività passiva dell'imposta sia riconosciuta ad ogni persona fisica con
riguardo alla sua capacità contributiva; che al concreto atteggiarsi di questa
si ponga mente in sede di accertamento ed in funzione del debito e della
responsabilità d'imposta; e che la materia trovi adeguata disciplina in norme
per le quali il possesso dei redditi si sostanzi nella libera disponibilità di
essi.
Nel
contempo
L'adempimento
del proprio dovere fiscale rimanga cosi, per il singolo coniuge un atto dovuto ma nel contempo sia il logico e conclusivo risultato
di una scelta che giustifichi in chi la compie, il convincimento che anche
nella specifica materia qui considerata, la libertà del singolo e l'eguaglianza
di tutti i cittadini davanti alla legge possono coesistere e concorrere per la
migliore e maggiore tutela degli interessi emergenti nella società.
PER QUESTI MOTIVI
dichiara
l'illegittimità costituzionale:
1)
degli artt. 131 e 139 del d.P.R.
29 gennaio 1958, n. 645 (approvazione del testo unico delle leggi sulle imposte
dirette) nella parte in cui si stabilisce che i redditi della moglie, la quale
non sia legalmente ed effettivamente separata, concorrono insieme con quelli
del marito a formare un reddito complessivo, su cui é applicata con aliquota
progressiva l'imposta complementare;
2)
degli artt. 2 n. 3 della legge 9 ottobre 1971, n. 825
(delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), 2,
comma primo, e 4, lett. a), del d.P.R. 29 settembre
1973, n. 597 (istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone
fisiche), 1, comma terzo, 46, 56 e 57 del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 600 (disposizioni comuni in materia di accertamento delle
imposte sui redditi), e 15, 16, 17, 19, 20 e 30 del d.P.R.
26 ottobre 1972, n. 636 (revisione della disciplina del contenzioso
tributario), nelle parti in cui le relative norme dispongono:
a)
che per la determinazione del reddito complessivo sono imputati al marito,
quale soggetto passivo dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, oltre ai
redditi propri, i redditi della moglie (eccettuati quelli che sono nella libera
disponibilità della moglie legalmente ed effettivamente separata), e che i
redditi dei coniugi sono cumulati al fine dell'applicazione dell'imposta;
b)
che non é soggetto passivo dell'imposta la moglie, i cui redditi siano imputati
al marito ai sensi dell'art. 4, lett. a), del d.P.R.
n. 597 del 1973;
c)
che la dichiarazione delle persone fisiche é unica, oltreché
per i redditi propri del soggetto passivo, per quelli della moglie a lui
imputabili a norma dell'art. 4 del d.P.R. n. 597 del
1973;
d)
che la moglie, la quale non sia legalmente ed effettivamente separata, é tenuta
ad indicare al marito, quale soggetto passivo dell'imposta, gli elementi, i
dati e le notizie a questo occorrenti perché possa
adempiere l'obbligo della dichiarazione dei redditi come sopra a lui imputati.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 14 luglio 1976.
Paolo
ROSSI - Luigi
OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo
Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio
GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE
STEFANO – Leopoldo ELIA.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata
in cancelleria il 15 luglio 1976.