Sentenza n. 82 del 1976
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SENTENZA N. 82

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 342 e 352 del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 5 ottobre 1973 dal pretore di Verona e l'11 giugno 1974 dal giudice istruttore del tribunale di Ravenna nei procedimenti penali rispettivamente a carico di ignoti e di Giulio Maurizio, iscritte ai nn. 17 e 410 del registro ordinanze 1974 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 69 del 13 marzo 1974 e n. 309 del 27 novembre 1974.

Udito nella camera di consiglio dell'11 dicembre 1975 il Giudice relatore Vezio Crisafulli.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 5 ottobre 1973, nel corso di un procedimento penale contro ignoti, rivolto ad accertare le responsabilità ai sensi dell'art. 659 c.p. per il disturbo alle occupazioni ed al riposo delle persone causato dal noto fenomeno acustico del "bang sonico" prodotto da aerei militari in volo sulla città, il pretore di Verona ha sollevato, in riferimento agli artt. 101 e 104 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 342 e 352 del codice di procedura penale, disciplinanti, rispettivamente, il dovere di esibizione da parte dei pubblici ufficiali e il diritto di astenersi dal testimoniare e il divieto di esame determinati dal segreto di ufficio.

Secondo il giudice a quo, le norme impugnate contrasterebbero con gli artt. 101 e 104 della Costituzione che rispettivamente sottopongono il giudice soltanto alla legge e sanciscono l'indipendenza della magistratura da ogni altro potere, perché, consentendo alla P.A. di valutare discrezionalmente la segretezza o meno di notizie o documenti con efficacia preclusiva nei confronti dell'autorità giudiziaria porrebbero il giudice in una posizione di soggezione rispetto al potere esecutivo fino a paralizzare l'esercizio dell'azione penale.

2. - Con altra ordinanza, emessa l'11 giugno 1974 il giudice istruttore del tribunale di Ravenna, ha sollevato analoga questione di legittimità costituzionale degli artt. 342 e 352, terzo comma, del codice di procedura penale per contrasto con gli artt. 3, 24, 28, 52, terzo comma, 101, 102, 103, 111, 112, e 113 della Costituzione, nel corso di un procedimento penale a carico del colonnello Giulio Maurizio che, in qualità di Presidente della Commissione di inchiesta nominata dall'autorità militare sulla caduta di un aereo G 91, rifiutava di consegnare il relitto del velivolo attestando con dichiarazione scritta che tale materiale costituiva segreto militare.

In particolare, l'art. 342, primo comma, c.p.p., nella parte in cui non distingue, ai fini della opponibilità al giudice penale del segreto militare, atti e documenti che debbono rimanere segreti da quelli che hanno carattere semplicemente riservato, contrasterebbe con gli artt. 24, 101, 112, 113, 102 e 103 della Costituzione che sanciscono l'inviolabilità del diritto di difesa in giudizio, nonché la realizzazione della giustizia attraverso l'esercizio della funzione giurisdizionale. La stessa norma, inoltre, nella parte in cui dispone che la dichiarazione di segreto militare possa essere fatta "anche senza motivazione" impedirebbe qualsiasi sindacato del giudice sulla sua fondatezza e comporterebbe un difetto di motivazione anche nei conseguenti provvedimenti giurisdizionali, in violazione degli artt. 113, 103, terzo comma, e 111 nonché dell'art. 52, ultimo comma, della Costituzione, dal quale si argomenterebbe la soggezione al controllo giurisdizionale dell'ordinamento delle forze armate. L'esenzione dalla motivazione sarebbe altresì in contrasto con l'art. 3 Cost. in considerazione della diversa disciplina dettata in tema di segreto di ufficio e professionale, essendo ammesso, in tali casi, il sindacato del giudice sulla fondatezza della dichiarazione di segreto, sindacato ammesso anche, secondo la giurisprudenza, quando si procede per i reati di spionaggio e simili.

Sotto il profilo della disparità di trattamento di situazioni ritenute analoghe viene anche impugnato autonomamente l'art. 342, u.c., c.p.p. che conferisce al giudice il potere di indagare sulla fondatezza della dichiarazione nei casi di segreto professionale o d'ufficio.

Un'ultima censura investe l'art. 342, in relazione all'articolo 352, terzo comma, c.p.p., nella parte in cui subordina all'autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia l'esercizio dell'azione penale per il caso che la dichiarazione di segreto sia ritenuta non fondata, autorizzazione non richiesta per il segreto di ufficio e professionale, in quanto darebbe luogo ad una disparità di trattamento di fattispecie analoghe in violazione dell'art. 3 della Costituzione, tenuto anche conto che non é prescritta alcuna autorizzazione per il promuovimento dell'azione penale in ordine ai reati di violazione di segreti politici o militari.

La norma sarebbe anche in contrasto con gli artt. 24 e 28 Cost., per l'ostacolo che ne deriverebbe all'esercizio del diritto di difesa ed all'attuazione del principio della responsabilità penale dei funzionari dello Stato.

Considerato in diritto

1. - Le ordinanze del pretore di Verona e del giudice istruttore del tribunale di Ravenna sollevano questioni tra loro strettamente connesse, aventi ad oggetto le medesime disposizioni di legge (gli artt. 342 e 352 cod. proc. pen., la prima; l'art. 342, in relazione all'art. 352, ultimo comma, la seconda). I relativi giudizi possono perciò riunirsi per essere decisi congiuntamente.

2. - L'ordinanza del pretore di Verona é stata emessa nel corso di un procedimento penale contro ignoti, diretto ad accertare eventuali responsabilità ai sensi dell'art. 659 cod. pen. per i disagi arrecati alla popolazione della città dal fenomeno del "bang" provocato da aerei supersonici nel corso di esercitazioni interessanti la zona. Poiché lo stato maggiore aeronautico, richiesto di notizie in proposito, aveva rifiutato di indicare le unità impiegate nelle dette esercitazioni, in quanto coperte da "segreto militare", rendendo così impossibile identificare i piloti ai quali attribuire la responsabilità per i fatti testé accennati, il pretore sospendeva il giudizio, denunciando a questa Corte gli artt. 342 e 352 cod. proc. pen., ritenuti applicabili alla specie "per analogia", in riferimento agli artt. 102 e 104 Cost., che garantiscono l'indipendenza dei giudici e l'autonomia dell'ordine giudiziario.

Ma la questione é manifestamente irrilevante, perché una "richiesta di informazioni" (come lo stesso pretore la definisce) rivolta dall'autorità giudiziaria all'autorità militare non rientra né nell'una né nell'altra delle disposizioni del codice di rito censurate nell'ordinanza.

Nel caso in oggetto, infatti, il segreto non fu opposto al pretore procedente da un teste sottoposto ad interrogatorio (come esige l'art. 352) né dallo stato maggiore aeronautico, cui fosse stato formalmente ordinato di consegnare cose od atti in suo possesso (come previsto dall'art. 342), ma semplicemente nel corso di una corrispondenza ufficiosa con il pretore. Né in siffatte condizioni sarebbe stato possibile procedere a norma dell'ultimo comma dell'art. 352, richiamato dal secondo comma dell'art. 342, ovvero, in ipotesi, a norma del successivo comma finale di quest'ultimo, in relazione all'articolo 372 del codice penale.

3. - Fa altresì difetto la rilevanza di alcune tra le questioni sollevate dal giudice istruttore del tribunale di Ravenna con l'ordinanza in oggetto, nel testo della quale, d'altronde, non si rinviene in proposito neppure un cenno di motivazione.

L'ordinanza, infatti, é stata emessa nel corso del procedimento penale promosso (per falso ideologico) contro l'ufficiale che, quale presidente della commissione d'inchiesta nominata dall'autorità militare a seguito di un incidente aviatorio, aveva opposto il "segreto militare" all'ordine di sequestro del relitto disposto dal giudice, nel corso ed ai fini di altro procedimento penale contro ignoti (cronologicamente e logicamente antecedente) per il reato di cui all'art. 428 cod. pen. (disastro aviatorio). Sono in essa contestualmente accolti e prospettati due ordini di censure, cui avevano distinto riferimento due diverse richieste del P.M.: avanzata, l'una nel procedimento contro ignoti (per l'asserita illegittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 342 cod. proc. pen., nella parte in cui sottrarrebbe all'obbligo di esibizione anche atti, documenti e cose concernenti notizie militari diverse da quelle che, nell'interesse della sicurezza dello Stato, devono rimanere segrete, consentendo altresì che la dichiarazione di segreto possa farsi "anche senza motivazione"; nonché del successivo ultimo comma, che, a differenza da quanto disposto per altre specie di segreti, preclude all'autorità giudiziaria qualsiasi sindacato sulla dichiarazione medesima); avanzata, l'altra, nel procedimento aperto a carico dell'ufficiale autore della dichiarazione (per l'asserita illegittimità costituzionale dello stesso art. 342, terzo comma, nella parte in cui, attraverso il rinvio all'ultimo comma dell'art. 352, subordina il proseguimento dell'azione penale alla autorizzazione a procedere del Ministro di grazia e giustizia).

Dal che risulta evidente che quest'ultima é l'unica questione direttamente rilevante nel giudizio a quo (che é quello contro l'autore della dichiarazione), poiché la sola norma incidente su tale giudizio, e di cui devesi in esso fare applicazione, é quella prescrivente l'autorizzazione a procedere, rimanendo, invece, a monte le altre questioni, concernenti norme delle quali già é stata fatta applicazione nel giudizio diretto ad accertare le responsabilità del disastro aviatorio, che di quello a quo costituisce il presupposto.

4. - Secondo l'assunto dell'ordinanza, la norma anzidetta contrasterebbe con l'art. 3 Cost., per il diverso trattamento riservato all'ipotesi del segreto militare rispetto a quella di segreto d'ufficio e professionale, come pure ai casi di procedimento penale per i delitti di rivelazione di segreti militari, previsti dagli artt. 256 e segg. cod. pen., poiché nella prima soltanto, a differenza dalle altre, l'azione penale nei confronti del soggetto che, in altro processo, aveva opposto il segreto viene subordinata alla autorizzazione ministeriale.

Si deduce altresì violazione degli artt. 24 e 28 Cost., ma il richiamo a queste due disposizioni, non sorretto né comunque chiarito nell'ordinanza da argomentazione alcuna, si rivela agevolmente inconferente. Non si vede, infatti, quale menomazione, e per quale soggetto, possa derivare al diritto di difesa "in ogni stato e grado del giudizio" dall'istituto dell'autorizzazione a procedere che, impedendo il proseguimento dell'azione penale, condiziona lo stesso ulteriore svolgimento di un processo; né sarebbe configurabile un interesse giuridicamente rilevante di chi sia indiziato di un reato ad essere sottoposto a giudizio (sent. nn. 17 e 142 del 1973). Dal canto suo, l'art. 28, affermando che i pubblici dipendenti sono responsabili "degli atti compiuti in violazione dei diritti secondo le leggi penali, civili ed amministrative", si riferisce a tutt'altre ipotesi e comunque non vieta alle leggi, cui rinvia, di disciplinare variamente questa triplice responsabilità, in funzione delle diverse situazioni oggettive e degli interessi che vi si riconnettono. E per l'appunto, l'esigenza che contro colui che abbia opposto il segreto militare non si proceda senza autorizzazione non attiene alla qualità dei soggetti indicati negli artt. 342 e 352, ma alla materia alla quale il segreto si riferisce.

5. - La questione torna così ad accentrarsi sul punto se la normativa in oggetto contrasti con l'art. 3 Cost., sotto l'uno o l'altro degli specifici profili prospettati nell'ordinanza e poc'anzi riassunti.

La questione non é fondata. Per quanto riguarda anzitutto il diverso trattamento del segreto militare rispetto al segreto d'ufficio e professionale, é preliminarmente da rilevare che la necessità della autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia per procedere contro il soggetto dal quale proviene la dichiarazione di segreto militare, ove l'autorità giudiziaria non la ritenga fondata, risponde alla medesima ratio di tutela dello stesso segreto, che giustifica l'esclusione assoluta delle prove, reali e testimoniali, stabilita nelle restanti parti degli artt. 342 e 352 in ragione del carattere proprio del thema probandi. Giacché, contrariamente a quanto mostra di ritenere il giudice a quo, anche il procedimento penale contro l'autore della dichiarazione, come già il rapporto al Ministro della giustizia che lo precede, sono preordinati a consentire l'acquisizione delle prove, se ed in quanto le circostanze cui si riferiscono non siano legittimamente coperte dal segreto. Ed infatti, se l'autorizzazione é data, vuoi dire che il segreto non sussiste ed in tal caso il giudice non incontra più limiti nell'esercizio dei suoi poteri di accertamento della verità; ma la situazione sarebbe identica, ove il filtro rappresentato dalla autorizzazione a procedere non ci fosse, e perciò la tutela del segreto ne risulterebbe compromessa.

Ciò precisato, non può considerarsi irrazionale che il modo e l'intensità della protezione - penale e processuale - delle varie specie di segreti riconosciuti nella vigente legislazione siano diversificati, in funzione della rilevanza degli interessi cui ineriscono, toccando il grado più alto quando sia in giuoco il segreto militare vero e proprio, che, come si legge nell'art. 86 cod. pen. mil. di pace, assiste le notizie concernenti "la forza, la preparazione o la difesa militare dello Stato", involgendo pertanto il supremo interesse della sicurezza dello Stato nella sua personalità internazionale, e cioè l'interesse dello Stato - comunità alla propria integrità territoriale, indipendenza e - al limite - alla stessa sua sopravvivenza. Interesse presente e preminente su ogni altro in tutti gli ordinamenti statali, quale ne sia il regime politico, che trova espressione, nel nostro testo costituzionale, nella formula solenne dell'art. 52, che proclama la difesa della Patria "sacro dovere del cittadino".

6. - Quanto poi all'altro profilo di illegittimità sempre in relazione all'art. 3 Cost., dedotto nell'ordinanza, per non essere richiesta l'autorizzazione "nei procedimenti relativi alla violazione dei segreti politici e militari", a differenza che nell'ipotesi in oggetto, é agevole rilevare che le situazioni che, così argomentando, si vorrebbe mettere a raffronto non sono, come si assume, analoghe, ma per contro qualitativamente diverse.

Giacché, quando si procede per uno dei delitti di cui agli artt. 256, 257, 259 e 261 cod. pen., il segreto é già stato violato, ed il giudizio é rivolto alla punizione del colpevole; ed anche nel caso di tentativo, il segreto non é più tale, perché la stessa contestazione dell'accusa implica che i fatti, cui il segreto si riferiva, siano noti. Laddove, quando si procede a norma del combinato disposto degli artt. 342, secondo comma, e 352, terzo comma, cod. proc. pen., il presupposto é che la dichiarazione o l'esibizione della cosa o del documento siano state rifiutate, adducendo il segreto: il quale, perciò, é ancora intatto. Di qui, secondo il già detto, l'esigenza che non si proceda senza l'autorizzazione del Ministro, dalla quale, invece, é logico si prescinda nei casi sopra menzionati di rivelazione e spionaggio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili:

a) la questione di legittimità costituzionale degli artt. 342 e 352 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 102 e 104 della Costituzione, dal pretore di Verona, con l'ordinanza in epigrafe;

b) la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 342, primo e secondo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 24, 101, 102, 103 112 e 113 della Costituzione, dal giudice istruttore presso il tribunale di Ravenna;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 342, secondo comma, in relazione all'art. 352, terzo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 28 della Costituzione, dal giudice istruttore predetto con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 aprile 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 14 aprile 1976.