SENTENZA N. 32
ANNO 1971
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale
dell'art. 16, in relazione all'art. 12, della legge 27 maggio 1929, n. 847
(disposizioni per l'applicazione del Concordato dell'11 febbraio 1929 tra la
Santa Sede e l'Italia, nella parte relativa al matrimonio), promosso con
ordinanza emessa il 10 aprile 1968 dal tribunale di Milano nel procedimento
civile vertente tra Leporati Marco e Bolza lolanda, iscritta al n. 171 del registro
ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 248
del 28 settembre 1968.
Visti gli atti di costituzione di Leporati
Marco e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito il Giudice relatore Costantino Mortati;
uditi gli avvocati Mario Cassola e
Giambattista Nappi, per il Leporati, ed il sostituto avvocato generale dello
Stato Francesco Agro, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in
fatto
1. - Nel corso del giudizio promosso avanti
il tribunale di Milano da Marco Leporati contro la moglie Iolanda Bolza per
sentir dichiarare nulla, per la propria incapacità d'intendere e di volere al
momento della celebrazione delle nozze, la trascrizione del matrimonio
concordatario contratto a Milano il 1 ottobre 1938, é stata sollevata questione
di legittimità costituzionale dell'art. 16, legge 27 maggio 1929, n. 847, nella
parte in cui, in relazione all'art. 12, stessa legge - stando
all'interpretazione accolta dalla giurisprudenza (Cass. sez. unite, 25 giugno
1949, n. 1593)-, esclude che l'incapacità naturale di uno dei nubenti possa
costituire causa di nullità della trascrizione del matrimonio concordatario, in
riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione.
Nell'ordinanza in data 10 aprile 1968
(pronunciata in parziale accoglimento di un'istanza della parte attrice che
aveva denunciato altresì la violazione degli artt. 7, 24, 25 e 29 della
Costituzione), il tribunale osserva che l'art. 16 suddetto, ove non possa
essere interpretato nel senso di consentire l'impugnazione della trascrizione
del matrimonio concordatario per incapacità naturale dei nubenti, determina una
ingiustificata differenziazione di trattamento tra i cittadini italiani che
contraggano matrimonio concordatario e che sono perciò soggetti a tale
disciplina, ed i cittadini italiani che contraggano matrimonio civile, in
relazione al quale l'azione di nullità per incapacità naturale é consentita
dall'art. 120 del codice civile. Tale disuguaglianza non sarebbe esclusa,
secondo il tribunale, dall'osservazione che chi opta per il matrimonio canonico
sceglie la tutela giuridica e giurisdizionale ecclesiastica, onde la diversità
di situazione giuridica rispetto al cittadino che contrae matrimonio civile
dipende in definitiva da un suo atto di volontà, poiché parlare di scelta
volontaria di chi assume di essere stato incapace d'intendere e di volere é
evidentemente contraddittorio. E, soprattutto, la stessa opzione per una tutela
giuridica e giurisdizionale diversa da quella statuale costituisce un atto di
volontà che come tale non dovrebbe sottrarsi alla disciplina della capacità
naturale dettata dall'ordinamento positivo statuale, risolvendosi in un
antecedente logico rispetto ad ogni intervento operante in una giurisdizione
diversa da quella dello Stato.
Si é costituita avanti la Corte
costituzionale la parte attrice, assistita dagli avvocati Giuseppe Nappi e
Mario Cassola ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato come per legge dall'Avvocatura generale dello Stato.
2. - Nelle sue deduzioni depositate il 26
giugno 1968 la parte privata svolge innanzi tutto alcune considerazioni
tendenti a dimostrare che le norme impugnate consentono un'interpretazione
secondo cui anche la trascrizione del matrimonio concordatario sia impugnabile
per incapacità naturale. A questo scopo essa fa osservare come l'art. 120 del
codice civile del 1942 non avesse riscontro nella normativa vigente nel momento
in cui venne redatta e promulgata la legge 27 maggio 1929, n. 847, e come,
pertanto, il secondo comma dell'art. 16 di detta legge non potesse che
dichiarare applicabili all'impugnativa della trascrizione le norme allora
vigenti, cioé gli artt. 104, 112, 113 e 114 del codice civile del 1865. Con la
conseguenza che tale richiamo deve intendersi oggi riferito anche all'art. 120
del codice del 1942, il cui precetto altro non é che un'estrinsecazione,
particolare al matrimonio, dei principi generali in tema di incapacità di
intendere e di volere anche allora sussistenti (art. 422, cod. civ. 1865).
Anche in relazione alla trascrizione del matrimonio concordatario, dunque,
l'atto compiuto dall'incapace di intendere e di volere sarebbe da lui
impugnabile, ancorché egli non sia interdetto e qualunque possa essere la
causa, anche transitoria, della sua incapacità.
La difesa del Leporati osserva inoltre che
l'art. 12 in questione regola l'attività dell'ufficiale di stato civile, per il
quale - stante l'ambito di poteri riconosciutigli in via generale
dall'ordinamento - il divieto di trascrizione non può scaturire che da una
prova già precostituita (documento o sentenza). L'art. 16, invece, consentendo
di far valere dinanzi all'autorità giudiziaria determinati motivi
d'impugnabilità della trascrizione, si riferisce alle loro "cause"
indipendentemente dalla prova documentale delle stesse, con la conseguenza che
di fronte al giudice ben può venir accertata sia l'esistenza di un precedente
vincolo, ancorché non risultante dagli atti dello stato civile, sia
l'incapacità d'intendere e di volere di una persona, ancorché non interdetta al
momento della celebrazione.
Passando quindi ad esaminare la questione
di costituzionalità, sollevata sul presupposto che debba essere seguita la
interpretazione contraria a quella da essa patrocinata, la parte privata
afferma che, se vi é eguaglianza dinanzi alla legge, nel senso che a parità di
situazioni giuridiche debba corrispondere una medesima normativa, senza
arbitrarie discriminazioni, ogni cittadino, indipendentemente dalla forma con
la quale fu celebrato il matrimonio, dovrebbe essere sottoposto alla medesima
legge, sia per quanto riguarda le condizioni necessarie per contrarlo, sia per
quanto attiene alle cause di nullità, sia per quanto concerne i suoi effetti
giuridici.
Dopo aver osservato che la legge n. 847 del
1929 non fa parte dei Patti lateranensi, e pertanto, quale che sia
l'interpretazione da dare all'art. 7 della Costituzione, non può ritenersi
costituzionalizzata, la difesa del Leporati continua osservando che l'art. 34
del Concordato non impone, neppure ai cattolici, la celebrazione del matrimonio
in forma religiosa, sicché ogni cittadino italiano é libero di scegliere l'una
o l'altra delle forme previste dal diritto positivo e questa scelta non può
essere valida se non sia stata compiuta da una persona capace d'intendere e di
volere secondo le norme generali. La sussistenza della capacità a contrarre
matrimonio, anche concordatario, non può essere perciò accertata dai tribunali
ecclesiastici, poiché in tal modo si darebbe già per dimostrata la capacità di
scegliere l'una o l'altra forma di celebrazione, con evidente petizione di
principio. Risulta invece da una regola affermata anche dalla seconda
Convenzione dell'Aja, resa esecutiva con legge 27 giugno 1909, n. 640, che il
giudizio sulle condizioni di capacità naturale é sempre riservato alla
giurisdizione dello Stato cui il cittadino appartiene.
Sulla base di queste considerazioni essa
conclude quindi perché la Corte affermi che, contrariamente all'interpretazione
della suprema Corte di cassazione, l'incapacità di intendere e di volere é già
prevista dalle norme impugnate come causa di impugnazione della trascrizione
del matrimonio concordatario, ovvero, in alterna ipotesi, perché dichiari
costituzionalmente illegittime tali norme in parte qua, per violazione
dell'art. 3 della Costituzione.
3. - Nell'atto d'intervento depositato il 2
ottobre 1968 l'Avvocatura generale dello Stato conclude invece per
l'infondatezza della questione. Dopo avere ricordato i contrasti verificatisi
in epoca non recente in dottrina ed in giurisprudenza intorno
all'interpretazione da dare alle norme impugnate, essa osserva come in base
all'art. 34 del Concordato ogni matrimonio celebrato nelle forme canoniche
dovrebbe determinare effetti civili senza eccezioni di sorta. L'art. 12 della
legge n. 847 del 1929 ha invece introdotto tre eccezioni (come tali di stretta
interpretazione) che presuppongono tutte la sussistenza di un determinato
status, già definito ed accertato, e comprovato con documenti solenni, che sia
incompatibile con l'attribuzione di tali effetti. É perciò escluso che in tale
sede possa venire in considerazione una situazione di fatto qual'é quella
dell'incapace naturale.
Questa non rappresenta un'autonoma causa di
invalidità della trascrizione, ma del matrimonio, e come tale é riservata
dall'art. 34, quarto comma, del Concordato alla competenza dei tribunali
ecclesiastici. Non vale opporre in contrario la distinzione fra il negozio di
matrimonio ed il negozio concernente la scelta della forma matrimoniale, cui si
é richiamato il tribunale di Milano, poiché tale distinzione non é
evidenziabile, dal momento che la scelta si manifesta esclusivamente all'atto
della partecipazione alla celebrazione del matrimonio.
L'Avvocatura conclude quindi negando che la
disciplina vigente determini qualsiasi discriminazione fra i cittadini che
contraggono matrimonio civile e quelli che contraggono matrimonio
concordatario, poiché gli uni e gli altri possono impugnare tale negozio per
incapacità naturale: solo che, in diretta conseguenza dell'art. 34 del
Concordato, recepito dall'art. 7 della Costituzione, gli uni debbono proporre
la relativa azione dinanzi ai tribunali civili, gli altri dinanzi ai tribunali
ecclesiastici.
4. - Nella memoria depositata l'11 marzo
1970 la parte privata eccepisce innanzi tutto la tardività dell'intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri, perché avvenuto oltre venti giorni dopo
la notifica dell'ordinanza.
Nel merito replica alle considerazioni
dell'Avvocatura osservando che - pur lasciando da parte la questione di
legittimità costituzionale della deroga preventiva di giurisdizione -
sostanziali disuguaglianze sussistono anche ad esaminare la questione sotto
questo profilo.
Infatti, mentre per l'art. 120, secondo
comma, codice civile, "l'azione non può essere proposta se vi é stata
coabitazione per un mese dopo che lo sposo ha recuperato la pienezza delle
facoltà mentali", nessuna decadenza incontrerebbe, invece, chi avesse
celebrato il matrimonio ai sensi dell'art. 5, legge n. 847 del 1929.
Inoltre, colui che per causa transitoria,
volutamente procuratasi, fosse in stato di ebbrezza ed incoscienza al momento
della celebrazione del matrimonio non potrebbe impugnarlo in base al diritto
canonico (can. 1971, par. 1, Codex iuris canonici), mentre per il
diritto civile l'ipotesi non é preclusa dal tenore dell'art. 120, primo comma,
cod. civ., che abilita alla azione quello degli sposi che, quantunque non
interdetto, provi di essere stato incapace d'intendere e di volere per
qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del
matrimonio.
Dopo avere confutato l'affermazione secondo
la quale la legge n. 847 del 1929 sarebbe stata costituzionalizzata dall'art. 7
della Costituzione, la difesa del Leporati rileva che, in realtà, é l'interpretazione
fornita dalla suprema Corte di cassazione (sent. 25 giugno 1949, n. 1593) agli
artt. 12 e 16, legge suddetta, a determinare una disparità di trattamento:
d'altronde, posto che il non aver concesso a tutti indistintamente i matrimoni
contratti secondo il diritto canonico gli effetti civili (come ha fatto l'art.
12 medesimo) non costituisce violazione dell'art. 34 del Concordato, non si
vede come potrebbe costituire violazione dello stesso l'interpretazione delle
norme che ne evitassero il contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
A sostegno di questa interpretazione, la
parte privata svolge ulteriormente gli argomenti già accennati nell'atto di
costituzione.
5. - Nella memoria depositata in pari data,
l'Avvocatura richiama, a sostegno della tesi svolta nell'atto d'intervento,
l'argomento che sarebbe ricavabile dall'art. 13 della legge n. 847 del 1929, il
quale, nel disciplinare l'opposizione al matrimonio già celebrato, rinvia alle
circostanze previste dall'art. 12.
La trascrizione del matrimonio canonico,
essa afferma, é un atto integrativo di esso, che dà luogo ad una fattispecie
complessa risultante dal consenso dei coniugi e da un accertamento
amministrativo i cui effetti non potranno venir meno altro che in seguito ad
una pronuncia della giurisdizione ecclesiastica.
Ritornando quindi sulla questione della
scelta della forma della celebrazione, l'Avvocatura riafferma le deduzioni
svolte nell'atto di intervento.
6. - La causa, già discussa il 24 marzo
1970, con ordinanza
18 giugno 1970, n. 120, fu riunita a quelle iscritte ai nn. 34 e 190 del
registro ordinanze 1969 e 105 del registro ordinanze 1970. Venne nuovamente
trattata all'udienza pubblica dell'11 novembre 1970 su unica relazione;
l'Avvocatura dello Stato e la difesa del Leporati svolsero le rispettive tesi
ed insistettero nelle conclusioni già prese.
Successivamente la causa ritornò a
decisione separata, avendo la Corte rinviato ai giudici di merito la causa iscritta
al n. 105 del registro ordinanze 1970 per un nuovo esame della rilevanza delle
questioni proposte, come da ordinanza in data odierna.
Considerato
in diritto
1. - In ordine all'eccezione di tardività
dell'intervento del Presidente del Consiglio, sollevata nella memoria della
parte privata perché avvenuta oltre venti giorni dalla notifica, é da osservare
come la Corte, già con la sentenza n. 47 del
1957, ebbe a ritenere che, alla stregua di quanto dispone l'art. 3 Norme
integrative, non debbono essere computati nel termine in questione i giorni
compresi fra l'ultima notificazione e la pubblicazione dell'ordinanza nella
Gazzetta Ufficiale. E pertanto l'intervento deve ritenersi avvenuto in termine.
2. - La questione di merito sollevata
dall'ordinanza del tribunale di Milano investe l'art. 16 legge 27 maggio 1929
n. 847 pel fatto che questo, se messo in relazione con il precedente art. 12,
violerebbe il comma primo dell'art. 3 della Costituzione poiché può condurre a
far escludere la possibilità di impugnativa della avvenuta trascrizione del
matrimonio concordatario che sia stato contratto da chi, pur versando in stato
di infermità mentale, non risulti tuttavia dichiarato interdetto.
Deve essere preliminarmente presa in esame
la tesi prospettata dalla difesa del Leporati, secondo la quale si renderebbe
possibile procedere ad un'interpretazione sistematica della norma denunciata,
la quale, portando ad includere nella previsione del matrimonio contratto
dall'interdetto anche quella del naturalmente incapace, farebbe cadere, se
accolta, l'eccezione di incostituzionalità.
A contestare l'esattezza di tale
interpretazione (ed a fare invece ritenere che il legislatore abbia considerato
tassative le ipotesi indicate dall'art. 12 per le quali non si fa luogo a
trascrizione), é da osservare che il riferimento contenuto nell'art. 16 alle
"cause" di impedimento alla trascrizione non può intendersi, secondo
ritenuto dalla difesa, come se volesse riguardare i fattori determinanti i
"casi" previsti dal precedente art. 12, così da consentire di
comprendervi anche la semplice incapacità naturale, considerata quale
presupposto dell'interdizione. Basta osservare che mentre il rinvio contenuto nell'art.
16, per la sua formulazione generica, dovrebbe riguardare tutte le fattispecie
prima enunciate, appare in realtà applicabile solo alla terza, non già alle
prime due che si limitano a prevedere la esistenza di precedenti matrimoni
"in qualunque forma celebrati". Chiaro invece appare che la
differenza di dizione fra i due articoli corrisponde al diverso concetto voluto
esprimere: il primo, riferendosi al divieto della trascrizione, é elencativo
delle ipotesi in cui esso ricorre; il secondo, avendo riguardo alla impugnativa,
fa riferimento alle causae petendi su cui si rende possibile fondarla.
3. - La censura d'incostituzionalità
dell'art. 16 appare fondata se venga valutata nei termini in cui risulta
prospettata dall'ordinanza di rimessione, nel senso cioè che la questione sia
da esaminare con riferimento non già alla fase della celebrazione, bensì a
quella dell'opzione effettuata in ordine alla forma del rito matrimoniale.
Non é dubitabile che l'art. 34 del
Concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede e la legge di attuazione 27
maggio 1929, n. 847, impegnando lo Stato a conferire effetti civili ai
matrimoni disciplinati dal diritto canonico e riservando ai tribunali
ecclesiastici il giudizio sulle cause concernenti la nullità dei matrimoni,
abbia introdotto una differenziazione di trattamento giuridico per motivi di
religione, in quanto ha permesso che la scelta fra i due riti sia consentita
solo ai cittadini legittimati dal diritto canonico a procedere a matrimonio
religioso. Tuttavia tale discriminazione non configura una violazione del
principio di eguaglianza di cui al primo comma dell'art. 3 perché la
discriminazione stessa risulta, nei sensi indicati con la sentenza di pari data
n. 30, espressamente consentita da altra norma costituzionale, e cioè dall'art.
7, secondo comma, che, per la disciplina dei rapporti fra Stato e Chiesa,
rinvia ai Patti lateranensi dei quali il Concordato é parte integrante.
É però da aggiungere che condizione
necessaria per poter affermare la validità della rilevata eccezione al
principio di eguaglianza deve considerarsi il possesso della piena capacità da
parte di chi procede alla scelta del rito. L'esame da compiere si accentra
pertanto nello stabilire i criteri in base ai quali siano da valutare i
requisiti di validità della scelta medesima: criteri che non possono non
desumersi, secondo i principi consacrati nell'art. 17 delle preleggi, dal
diritto statale dell'aspirante alle nozze.
É canone indiscusso che l'assoggettamento
di un cittadino ad un ordinamento diverso, in virtù del rinvio a questo
effettuato dalla legge statale, deve essere contenuto negli stretti ed
invalicabili limiti del fatto o rapporto oggetto del rinvio. E poiché nel caso
presente l'elemento che funziona come criterio di collegamento pel rinvio al
diritto canonico, ai sensi dell'art. 5 legge n. 847 cui si richiama l'art. 82
del codice civile, é l'atto della celebrazione del matrimonio, appare chiaro
che ogni altro atto diverso da questo esorbita dall'ambito di applicazione del
diritto canonico, ricadendo nel diritto dello Stato.
Sicché, ove si riesca a dimostrare che una
persona, nel momento della scelta fosse incapace di intendere o di volere, per
qualsiasi causa anche se transitoria, verrebbe a mancare il fondamento della
validità della scelta del matrimonio canonico da lei contratto, con le
necessarie conseguenze circa la trascrivibilità di questo.
4. - Le osservazioni che precedono
condurrebbero a far ritenere che, a stretto rigore, l'art. 16, come l'intera
legge n. 847, essendo indirizzato alla finalità specifica sua propria di
regolare esclusivamente gli effetti civili del matrimonio canonico, in
attuazione dell'art. 34 del Concordato, non ha affatto disciplinato, né
l'avrebbe potuto, le situazioni preesistenti al matrimonio stesso, la cui
regolamentazione sarebbe dovuta avvenire secondo i principi generali
dell'ordinamento statale. Tuttavia é da prendere atto che la giurisprudenza
dominante ed una parte della dottrina hanno interpretato l'articolo in esame
nel senso che esso precluda ogni indagine sulle condizioni di capacità del
nubente prima della celebrazione, ed é a tale significato, assunto nella
vivente realtà giuridica, dall'articolo stesso, che occorre aver riguardo per
la soluzione della questione in esame.
L'argomento che si fa valere a fondamento
della interpretazione dominante, del quale si é fatta eco l'Avvocatura dello
Stato, si fonda sulla asserita impossibilità di attribuire autonomia alla
scelta del rito, in quanto tale momento non sarebbe isolabile da quello
successivo della dichiarazione negoziale di volontà rivolta alla formazione del
vincolo.
A tale argomentazione la replica é facile.
Infatti é vero che a volte l'atto di decisione a dar vita ad un negozio a
preferenza di un altro non assume rilievo esterno, risolvendosi nell'adesione
prestata a quello posto effettivamente in essere, e rimanendo perciò
irrilevante quanto si era svolto in precedenza, nel foro interno della
coscienza, allorché si dibatteva il dubbio circa la scelta da effettuare fra
quel negozio o un altro in alternativa al primo; tuttavia é anche vero che
nella specie l'atto di scelta del rito, mentre assume un'autonomia non solo
concettuale ma anche temporale ed obiettivamente accertabile in quanto si
concreta in propri atti o comportamenti, viene a rivestire anche uno specifico
rilievo giuridico allorché come nella specie, i requisiti di capacità richiesti
per tali atti e comportamenti appaiono regolati secondo criteri propri di un
dato ordinamento, divergenti da quelli invocabili per la validità del negozio
successivamente stipulato.
Ne deriva che la norma impugnata - che non
trova giustificazione nell'art. 7 della Costituzione, giacché disciplina un
atto di scelta logicamente anteriore alla celebrazione del matrimonio
concordatario - é illegittima in base all'art. 3 della Costituzione in quanto
consente che la persona naturalmente incapace subisca le conseguenze di una
scelta non liberamente e coscientemente da lei adottata e sia assoggettata ad
una disciplina che, per le cose innanzi dette, trova giustificazione solo nella
libera opzione fra matrimonio religioso trascrivibile e matrimonio civile.
5. - Si conclude pertanto che, per effetto
della dichiarazione di incostituzionalità, i requisiti di capacità da
richiedere per la validità della scelta del rito sono da valutare alla stregua
del diritto dello Stato e che la prova eventualmente fornita dell'incapacità di
intendere o di volere di chi l'abbia effettuata non può non rendere inoperante
l'efficacia della stessa, e conseguentemente giustificare l'impugnativa della
trascrizione che fosse stata disposta.
PER QUESTI
MOTIVI
LA CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale
dell'art. 16 della legge 27 maggio 1929, n. 847, recante disposizioni per
l'applicazione del Concordato fra la Santa Sede e l'Italia, relativamente al
matrimonio, nella parte in cui stabilisce che la trascrizione del matrimonio
può essere impugnata solo per una delle cause menzionate nell'art. 12 e non
anche perché uno degli sposi fosse, al momento in cui si é determinato a
contrarre il matrimonio in forma concordataria, in stato di incapacità
naturale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 1971.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria l'1 marzo 1971.