Sentenza n. 154 del 1967
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SENTENZA N. 154

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso del Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia notificato il 22 maggio 1967, depositato in cancelleria il 1 giugno successivo ed iscritto al n. 18 del Registro ricorsi 1967, per conflitto di attribuzione tra la stessa Regione e lo Stato, sorto per effetto degli atti con i quali il Presidente del Consiglio dei Ministri rinviava a nuovo esame i disegni di legge della Regione 29 settembre 1965, n. 31, e 9 novembre 1966, n. 113.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 1 dicembre 1967 la relazione del Giudice Michele Fragali;

uditi l'avv. Vezio Crisafulli, per la Regione Friuli- Venezia Giulia, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il 15 novembre 1965 e il 9 dicembre 1966 il Commissario del Governo nella Regione Friuli-Venezia Giulia comunicava al Presidente del Consiglio regionale e a quello della Giunta regionale che il Governo rinviava a nuovo esame i disegni di legge della Regione rispettivamente del 29 settembre 1965, n. 31, concernente la disciplina giuridica dell'artigianato e del 9 novembre 1966, n. 113, recante modificazioni alla legge regionale 21 novembre 1964, n. 3, relativa all'indennità di primo impianto al personale della delegazione della Corte dei conti.

Il 6 aprile 1967 la Regione chiedeva di conoscere se il rinvio predetto fosse stato preceduto dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri; il successivo 11 maggio 1967 il Commissario del Governo dava notizia di una lettera del Presidente del Consiglio predetto, datata 3 dello stesso maggio, nella quale si faceva presente che, essendo il rinvio avvenuto in tempo anteriore alla sentenza di questa Corte 1 febbraio 1967, n. 8, e dato l'orientamento fino ad allora pacificamente accolto in materia e la prassi costantemente osservata al riguardo, non era emersa la ragione di far ricorso alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, pur avendo avuto la presidenza sempre cura di acquisire preventivamente il punto di vista dei ministri interessati. Nella nota si faceva riferimento all'art. 1 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327, e all'art. 3 del D.P.R. 30 giugno 1951, n. 579, concernenti norme di attuazione rispettivamente dello statuto speciale della Sardegna e di quello del Trentino-Alto Adige, che riconoscono la competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri a richiedere il riesame dei disegni di legge regionale, in tal senso precisando il termine "Governo" ricorrente uniformemente nei rispettivi statuti; si considerava che diverse norme, pur avendo come destinatario il Governo, non richiedono per le decisioni da adottare nella loro applicazione la deliberazione in Consiglio dei Ministri (artt. 72, 78 e 127 della costituzione; artt. 13 bis, 38, 86 regolamento della Camera dei deputati; artt. 72 e 97 regolamento del Senato; art. 17 del Codice civile in relazione all'art. 1 delle disposizioni di attuazione; art. 5 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 e art. 149 del t.u. 4 febbraio 1915, n. 148); si rilevava che eminentemente rappresentativa dell'atteggiamento dell'intero Governo é poi la posizione del Presidente del Consiglio dei Ministri per i compiti di responsabile direzione della politica generale e di riconduzione ad unitaria espressione dell'indirizzo politico ed amministrativo del Governo (art. 95 della costituzione); si richiamava la giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui, quando la legge conferisce al Governo determinate attribuzioni che vengono poi formalmente esplicate con decreti del Presidente della Repubblica, ciò non determina la competenza del Consiglio dei Ministri, ove non si tratti di questioni e di provvedimenti che possano comunque influire sull'indirizzo generale dell'attività del Governo ed attengono agli interessi primari dello Stato. Il Commissario del Governo avvertiva che la Presidenza del Consiglio predetto, nella lettera citata, non riteneva accettabile la tesi che vorrebbe considerare il rinvio dei disegni di legge in questione tamquam non esset e che pertanto, nell'eventualità che si fosse proceduto alla loro promulgazione, il Governo avrebbe fatto valere innanzi alla Corte costituzionale, insieme con i motivi di impugnativa che avevano determinato il rinvio, anche la radicale illegittimità del procedimento di formazione dei provvedimenti di cui si trattava.

2. - A seguito di ciò il Presidente della Regione, con atto notificato il 22 maggio 1967, proponeva istanza di risoluzione del conflitto di attribuzione che diceva sorto per effetto degli atti di rinvio suddetti e della successiva nota suindicata del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Rilevava la Regione che questa nota pretendeva esplicitamente di trarre, dal rinvio disposto da organo incompetente o comunque dal rinvio invalido per altre ragioni, in tutto e per tutto gli identici effetti di un rinvio validamente disposto; pretendeva inoltre di rivendicare allo Stato il potere di impugnare la legge regionale anche se approvata una sola volta. Osservava altresì la Regione che l'illegittimità del rinvio non preceduto da deliberazioni del Consiglio dei Ministri doveva ritenersi pacifica alla stregua del principio affermato nella suddetta sentenza di questa Corte 1 febbraio 1967, n. 8; cosicché il Consiglio regionale aveva ritenuto di non dover procedere al riesame, considerando definitivamente compiuto l'iter formativo delle leggi in questione. Questa decisione non faceva entrare in giuoco il disposto del secondo comma dell'art. 29 dello statuto mancando, in re ipsa, il fatto costitutivo dell'inizio del termine di quindici giorni, decorso il quale sarebbe sorto il dovere di promulgazione; e, poiché la decisione stessa non implicava annullamento degli atti di rinvio, fin che questi non fossero stati rimossi dalla Corte costituzionale, rimaneva ferma la preclusione alla promulgazione stabilita dal primo comma dell'art. 29 predetto e paralizzato l'esercizio, nel caso concreto, della competenza legislativa regionale. Il quale esercizio veniva formalmente inibito dalla menzionata nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la quale inoltre addosserebbe inammissibilmente all'assemblea l'onere di sanare atti di rinvio invalidi per poter svolgere la propria competenza legislativa.

Concludeva la Regione che gli atti suddetti, per quanto si era detto, costituivano illegittima invasione della sfera di competenza della Regione e andavano annullati perché in violazione dell'art. 29 dello statuto regionale, in relazione ai successivi artt. 24 e 42 lett. b.

3. - La Presidenza del Consiglio, comparendo in giudizio il 10 giugno 1967, opponeva anzitutto l'inammissibilità del ricorso per il decorso del termine di sessanta giorni dalla data degli atti di rinvio, non valendo che l'asserto vizio fu conosciuto successivamente a tale data, perché ciò avrebbe potuto soltanto legittimare la deduzione di motivi aggiunti a quelli contenuti nell'impugnazione tempestiva.

Veniva altresì rilevato che, a prescindere dalla considerazione che con esso si impugnavano due distinti autonomi provvedimenti di rinvio, questi non erano idonei ad invadere la sfera di competenza assegnata alla Regione. Il rinvio della legge può considerarsi un atto di controllo o un atto del procedimento di contratto dello Stato sull'esplicazione in concreto del potere legislativo delle Regioni e non é un atto autonomo perché si inserisce nel procedimento di formazione della legge regionale senza produrre effetti suoi propri, diretti ed immediati: può considerarsi soltanto un presupposto per la proposizione, da parte dello Stato, del ricorso alla Corte costituzionale. É il procedimento di contratto e non il primo atto di esso che sospende l'efficacia del disegno di legge regionale e, d'altra parte, l'atto non agisce direttamente sul potere-dovere di promulgazione spettante al Presidente della Giunta, che ha per oggetto una legge divenuta efficace, non un disegno di legge ancora soggetto al controllo di costituzionalità. Né il ricorso diveniva ammissibile considerandolo proposto in relazione alla nota esplicativa del 3 maggio 1967 perché questa non conteneva un provvedimento di rinvio: la riserva di proporre ricorso alla Corte qualora si fosse proceduto o si procedesse alla promulgazione dei disegni di legge non riapprovati, non era poi suscettibile di invadere la sfera di competenza attribuita alla Regione, la proposizione del ricorso essendo una attività certamente riservata allo Stato.

Si osservava infine che gli atti di rinvio avevano esaurito il loro effetto dal momento che i due disegni di legge rinviati erano stati nuovamente portati all'esame del Consiglio regionale, che non aveva ritenuto di riapprovarli, né é rilevante, a questi effetti, il motivo che aveva indotto il Consiglio a non adottare una nuova deliberazione.

4. - Nella memoria depositata il 18 novembre 1967 la Regione contesta anzitutto che il ricorso possa ritenersi inammissibile perché impugna due distinti e autonomi provvedimenti di rinvio. Non si può riferire al conflitto di attribuzione la non pacifica e la non univoca giurisprudenza del Consiglio di Stato sul cumulo oggettivo di domande nel procedimento amministrativo: ad essa la dottrina ha reagito negando fondamento così all'asserto divieto di cumulo come alle deroghe che, in determinate ipotesi, vi aveva apportato la giurisprudenza amministrativa. Uno dei motivi addotti per giustificare la tesi del divieto é di carattere fiscale; ma nel giudizio costituzionale vige il principio dell'assoluta gratuità degli atti, e peraltro, risultando da una consuetudine interpretativa riguardante il giudizio innanzi al Consiglio di Stato, il divieto non avrebbe valore per il giudizio costituzionale, e particolarmente per quello sui conflitti di attribuzione fra Stato e Regioni, essendo l'atto denunciato un presupposto necessaria per l'instaurazione del giudizio, non l'oggetto primario di esso, e non avendo questo giudizio l'oggetto dell'annullamento dell'atto anche se conduce a tale risultato.

Quanto al decorso del termine, la Regione rileva che, anche a voler ammettere la validità del richiamo alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, questa ha ritenuto che il termine non decorre fin quando l'interessato non sia informato di un profilo dell'atto che ne riveli una incidenza ritenuta illegittima nella propria sfera giuridica. I telegrammi di rinvio menzionano il Governo come organo rinviante, e la Regione non poteva proporre ricorso per il solo fatto che essi non facevano espresso riferimento ad una deliberazione del Consiglio dei Ministri: il vizio fu conosciuto attraverso la nota del Commissario del Governo 11 maggio 1967, e da questa data poteva cominciare a decorrere il termine statutario. La nota 3 maggio 1967 della Presidenza del Consiglio non é esplicativa, ma concreta una illegittima menomazione della sfera di attribuzione della Regione, perché é diretta ad impedire l'esercizio di un potere-dovere del Presidente regionale.

Viene contestata la tesi che il rinvio non sia autonomamente impugnabile sulla base della sentenza della Corte 1 febbraio 1967, n. 8, nella quale si dice che il vizio dell'atto di rinvio non veniva in giuoco ai fini della decisione, perché l'atto aveva esaurito i suoi effetti con la riapprovazione della legge, e che il potere di impugnativa sorgeva nel Governo a seguito di tale approvazione, indipendentemente dalle vicende del procedimento. La Regione non può essere tenuta a sanare il vizio dell'atto, né può essere tenuta a promulgare la legge rinviata non ostante il vizio stesso; in modo che non rimane se non ritenere che l'atto, pur viziato, é causa di un impedimento permanente ed assoluto di promulgazione, che non poteva essere denunciato per conflitto se non dopo la conoscenza del vizio da parte della Giunta.

Secondo la Regione, la nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri é idonea a dar luogo a conflitto di attribuzione fra lo Stato e la Regione: la giurisprudenza della Corte ha dato, dello atto invasivo, una accezione vasta ed atecnica, essendo oggetto del conflitto la determinazione delle competenze, in modo che basta una univoca manifestazione di volontà con cui si afferma di potere esercitare una competenza in violazione di quella spettante all'altro ente. La Presidenza del Consiglio dei Ministri disattende nella sostanza il principio affermato nella sentenza 1 febbraio 1967, n. 8, circa l'organo competente a disporre il rinvio, quando rivendica addirittura allo Stato il potere di far valere la pretesa illegittimità di una eventuale promulgazione delle leggi in precedenza invalidamente rinviate insieme con i motivi del rinvio.

Ma non esiste traccia, nel nostro ordinamento costituzionale, di un potere governativo di impugnare le leggi regionali promulgate, nascendo questo potere solo dopo che, a seguito di regolare rinvio, le leggi siano state riapprovate dal Consiglio a maggioranza assoluta.

5. - Nella memoria depositata il 14 novembre 1967 la Presidenza del Consiglio, ribadito il proprio punto di vista, ha tuttavia premesso che, già fin dal 1 settembre 1965, rispondendo ad una interrogazione presentata dall'on. Lizzero, a proposito del disegno di legge 28 maggio 1965, n. 10, relativo agli organi e alle procedure per la programmazione regionale, aveva espresso l'avviso che la richiesta di nuovo esame poteva essere avanzata dal Presidente del Consiglio, che rappresenta il Governo, sulla base di ciò che disponevano le norme di attuazione degli statuti speciali della Sardegna e del Trentino-Alto Adige. La risposta a tale interrogazione era stata inviata per conoscenza anche al Presidente della Giunta regionale, cosicché doveva escludersi che avesse carattere di novità la nota 3 maggio 1967; la quale peraltro, oltre a non contenere in sé invasione nella sfera di competenza della Regione, é confermativa dei precedenti provvedimenti di rinvio: la riserva d'impugnativa non impediva al Presidente della Regione di promulgare le leggi rinviate e non riapprovate, ma intendeva affermare che l'atto di rinvio, ancorché proveniente da organo incompetente, non poteva considerarsi inesistente, e conseguentemente non poteva considerarsi legittima la promulgazione dei disegni di legge senza che fossero riapprovati dal Consiglio e senza che l'illegittimità costituzionale degli atti di rinvio fosse stata dichiarata dalla Corte costituzionale. L'annullamento della nota 3 maggio 1967 lascerebbe peraltro del tutto inalterata la situazione di fatto e di diritto esistente; peraltro i telegrammi di rinvio non contenevano alcun accenno ad una precedente deliberazione del Consiglio dei Ministri, la cui esistenza anzi risultava esclusa dalla circostanza che essi erano stati inviati per conoscenza ai ministeri interessati. In via di estremo subordine la Presidenza chiede che la Corte, attesa la scusabilità dell'errore che aveva fatto ritenere la competenza della Presidenza del Consiglio, voglia rimettere in termine il Governo per un eventuale nuovo rinvio dei due disegni di legge regionale.

6. - All'udienza del 1 dicembre 1967 le parti hanno insistito nelle conclusioni prese con gli atti processuali.

 

Considerato in diritto

 

1. - Va anzitutto disatteso il dubbio prospettato circa l'ammissibilità del ricorso in quanto ha per oggetto due distinti atti di rinvio alla Regione di due disegni di legge del tutto indipendenti l'uno dall'altro. Identica é la ragione di impugnazione per entrambi gli atti: l'invasione da parte dello Stato della sfera di attribuzioni della Regione a seguito di una richiesta di riesame di due leggi regionali fatta dal Presidente del Consiglio dei Ministri senza la previa deliberazione del Consiglio stesso. Cosicché é uno solo il potere che per entrambi gli atti viene in discussione; e pertanto, nel caso in ispecie, il cumulo é senz'altro possibile. Nemmeno ragioni fiscali si oppongono al cumulo proposto, data la gratuità dei giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

Non é poi senza valore tener presente che, in fattispecie simili a quella in discussione, la Corte ha sempre disposto la riunione delle cause per la loro decisione con unica sentenza.

2. - A ragione invece il Presidente del Consiglio dei Ministri ha dedotto l'inammissibilità del ricorso, perché notificato oltre il termine di cui all'art. 39, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Come si rileva dall'esposizione del fatto, le richieste di riesame delle leggi di cui si discute sono rispettivamente del 15 novembre 1965 e del 9 dicembre 1966; il ricorso di conflitto é stato notificato il successivo 22 maggio 1967, quando cioè il termine legale era abbondantemente decorso.

Non vale obiettare, come fa la Regione, che i telegrammi con i quali vennero comunicate le decisioni di rinvio non rivelavano il vizio dell'atto, perché indicavano il "governo" come organo rinviante. Fin dal 1 settembre 1965, quindi assai prima delle richieste di riesame e addirittura assai prima dell'approvazione delle leggi rinviate, la Regione sapeva che, secondo il punto di vista del Presidente del Consiglio dei Ministri, il rinvio governativo delle leggi regionali non esigeva la previa deliberazione del Consiglio stesso: in tale data infatti, la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva comunicato al Presidente della Regione il testo della risposta scritta ad una interrogazione parlamentare, di cui fanno cenno entrambe le parti, nella quale si faceva riferimento ad una costante prassi che, ai fini quel rinvio, identificava il Governo nel Presidente del Consiglio dei Ministri. Non poteva esistere dubbio sul tenore della comunicazione, come invece la Regione ha sostenuto nella difesa di udienza. La Presidenza del Consiglio dei Ministri vi sosteneva che per la richiesta di riesame delle leggi regionali non era "necessaria" la preventiva deliberazione del Consiglio dei Ministri, non perché di essa "poteva" farsi a meno, così da consentire scelte e quindi da non dare certezza sul procedimento seguito in ciascuna ipotesi, ma perché non era richiesta dal sistema: infatti vi si sosteneva il carattere interlocutorio dell'atto, per il quale si diceva eccessiva una deliberazione governativa collegiale, vi si faceva richiamo alle norme di attuazione degli statuti della Sardegna e del Trentino- Alto Adige, che si assumeva dessero, in argomento, legittimazione piena ed esclusiva al Presidente del Consiglio dei Ministri e vi si soggiungeva che, secondo lo statuto valdostano, il rinvio era disposto dal rappresentante del Ministero dell'interno.

Ma, pur prescindendo dalla ricordata comunicazione, e pur volendo fare riferimento solamente ai due atti di rinvio dai quali ha preso le mosse il ricorso in esame, quest'ultimo risulta nondimeno tardivo. La Corte non ritiene che sia il caso, in questa causa, di decidere se veramente il vizio degli atti suddetti conduceva ad un conflitto di attribuzione, come le parti hanno finito col convenire. Ma essa giudica che sia da disattendere l'assunto, profilato in udienza, in base al quale il termine di cui al succitato art. 39, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, non poteva decorrere fino a quando il Consiglio regionale non avesse deliberato sulla richiesta di riesame.

Il termine predetto é sicuramente perentorio, e la sua decorrenza non può quindi essere ritardata né dal Presidente né dal Consiglio regionale, differendosi l'inizio del procedimento che deve essere svolto a seguito della richiesta di riesame. L'organo esterno che rappresenta la Regione é il Presidente di questa, al quale appunto erano stati indirizzati ed erano pervenuti i due menzionati telegrammi; dei provvedimenti di rinvio, nessuna delle parti con testa l'esistenza giuridica, per quanto la Regione ne impugna la legittimità a causa dell'incompetenza del Presidente del Consiglio dei Ministri; da essi derivava l'obbligo del Presidente di sottomettere nuovamente la legge al Consiglio regionale in tempo anche per le eventuali determinazioni inerenti all'autorizzazione a promuovere il giudizio di conflitto.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Friuli-Venezia Giulia il 22 maggio 1967, avverso il rinvio comunicato il 15 novembre 1965 e il 9 dicembre 1966, relativamente ai disegni di legge 29 settembre 1965, n. 31, concernente la disciplina giuridica dell'artigianato e 9 novembre 1966, n. 113, recante modificazioni alla legge regionale 21 novembre 1964, n. 3, relativa all'indennità di primo impianto al personale della delegazione della Corte dei conti.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1967.

 

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI

 

 

 

 

Depositata in cancelleria il 15 dicembre 1967.