Sentenza n. 36 del 1958
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SENTENZA N. 36

ANNO 1958

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 19 gennaio 1942, n. 86, promosso con ordinanza 13 maggio 1957 del Pretore di Firenze nel procedimento penale a carico di Ferro Girolamo, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 174 del 13 luglio 1957 ed iscritta al n. 68 del Registro ordinanze 1957.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 26 febbraio 1958 la relazione del Giudice Aldo Sanduli;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Elio Vitucci.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza 13 maggio 1957 il Pretore di Firenze sospendeva il giudizio di opposizione promosso dal dr. Ferro Girolamo, avverso il decreto penale 31 dicembre 1956 che lo aveva condannato pel reato previsto dall'art. 4, commi primo e terzo, legge 19 gennaio 1942, n. 86 (gestione di istituto scolastico non autorizzato), e ordinava la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione se l'art. 3 della citata legge - il quale disciplina le condizioni per l'autorizzazione all'esercizio di istituti scolastici privati dell'ordine medio e superiore - sia in contrasto con l'art. 33 Cost., "trattandosi di interpretare la volontà della norma costituzionale per quanto riguarda l'esistenza di limiti al diritto di aprire scuole e istituti di educazione, la loro estensione, e la natura e la portata dei controlli amministrativi cui debba essere sottoposta la scuola privata (se, ad es., preventivi, come l'autorizzazione di cui é causa, o successivi)".

É da premettere che il Ferro con decreto del Ministro della pubblica istruzione 29 novembre 1950 era stato ammesso a sottentrare nella gestione dell'istituto privato "A. Manzoni" di Firenze, ottenendo la conferma dell'autorizzazione definitiva allo svolgimento dei corsi di preparazione ad esami di scuole secondarie già concessa al precedente gestore con D. M. 30 ottobre 1949. L'autorizzazione riguardava dunque non l'esercizio di una vera e propria "scuola", bensì di "corsi" previsti dal secondo comma dell'art. 1 legge citata.

Con decreto 25 novembre 1955, il Ministero, "considerato che da una ispezione compiuta nel corso dell'anno scolastico 1954 - 55 all'istituto predetto é stato accertato che i locali non presentano i requisiti di idoneità prescritti dall'art. 3, comma primo, della legge 19 gennaio 1942, n. 86, e mancano le attrezzature e il materiale scientifico necessari; considerato che hanno funzionato abusivamente corsi di preparazione agli esami con orario pomeridiano e serale in violazione delle disposizioni di cui al comma primo dell'art. 4 della legge citata; considerato che non é stato organizzato l'ufficio di segreteria e mancano i registri annuali prescritti dal R.D. 30 aprile 1924, n. 965; considerato che il corpo insegnante, del quale non sono stati rintracciati i fascicoli personali e i titoli di studio, é apparso di livello culturale eccessivamente modesto e la scuola non assolve in alcun modo apprezzabile ai compiti per i quali fu istituita"; ritenuto tra l'altro "che l'istituto predetto non é più in condizioni di svolgere i compiti di istruzione e di educazione per i quali aveva ottenuto la sopraccitata autorizzazione ministeriale"; "considerato che sono venuti meno i requisiti obiettivi richiesti dall'art. 3 legge 19 gennaio 1942, n. 86; considerato che ricorrono gli estremi di cui ai commi primo e quarto dell'articolo 4 della legge sopra citata"; disponeva che l'istituto "A. Manzoni" fosse "definitivamente soppresso con effetto dall'anno scolastico 1954 - 55".

Il dr. Ferro impugnò il decreto ministeriale innanzi al Consiglio di Stato, chiedendone la sospensione. Ma il Consiglio di Stato con ordinanza 29 febbraio 1956, n. 27, rigettava la domanda di sospensione.

Siccome l'istituto continuava nondimeno a funzionare, con nota 22 marzo 1956 la Questura di Firenze denunciava al locale Pretore, unitamente agli insegnanti della scuola, il dr. Ferro: quest'ultimo per i reati di "esercizio abusivo di professione ed esercizio abusivo di corso scolastico, di cui all'art. 348 Cod. pen. e art. 4 legge 19 gennaio 1942, n. 86", aggiungendo che "il medesimo dovrà anche rispondere del reato di cui all'art. 650 Cod. pen."; gli altri soltanto per i primi due reati.

Il Pretore di Firenze, esclusa l'applicabilità degli artt. 348 e 650 Cod. pen., e ritenuto che il fatto di aver mantenuto in vita l'istituto scolastico rappresentasse soltanto un illecito amministrativo. e non un illecito penale, "perché il legislatore non ha ritenuto opportuno irrogare una sanzione criminale, limitandosi a disporre la chiusura immediata, da parte dell'autorità di p.s., dei locali sede di istituti privati, l'autorizzazione per l'apertura dei quali fosse stata revocata", con decreto 14 aprile 1956 decise "di non doversi promuovere l'azione penale".

In data 24 ottobre 1956 il Procuratore generale della Repubblica di Firenze, ricevuta notizia dell'intervenuta archiviazione, invitava però il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze a rendersi promotore presso il Pretore dell'azione penale a carico del Ferro pel fatto di "avere gestito un istituto scolastico malgrado la disposta revoca della concessa autorizzazione, cioé, per gli effetti giuridici, senza essere munito di autorizzazione, e quindi in contravvenzione al disposto dell'art. 4, comma primo, della legge 19 gennaio 1942, n. 86". E a seguito di ciò, il Pretore, procedendo per disposizione ricevuta il 25 ottobre 1956 dal Procuratore della Repubblica, emetteva, nei confronti del Ferro, in data 31 dicembre 1956, decreto di condanna "per la contravvenzione di cui all'art. 4, commi primo e terzo, legge 19 gennaio 1942, n. 86, perché in Firenze dal 20 dicembre 1955 al 22 marzo 1956 gestiva un istituto scolastico senza essere munito della prescritta autorizzazione".

In sede di giudizio di opposizione, poi, il Pretore sospendeva il procedimento e rimetteva gli atti alla Corte costituzionale, con l'ordinanza di cui si é detto, la quale venne regolarmente notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri il 6 giugno 1957 e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento.

Per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, l'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 13 luglio 1957, n. 174.

Nel procedimento instaurato innanzi a questa Corte si é costituito soltanto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocato gen. dello Stato, con atto d'intervento depositato il 26 giugno 1957.

In questo si afferma che l'art. 33 Cost., rettamente inteso, legittimerebbe pienamente "l'intervento del legislatore ordinario affinché l'educazione e l'istruzione della gioventù, fondamentale interesse dello Stato, non vengano impartite senza un minimo di garanzie ritenute indispensabili nell'interesse pubblico".

In particolare si fa presente che il riconoscimento costituzionale di un diritto soggettivo non esclude la possibilità che l'esercizio di esso venga assoggettato ad autorizzazioni: al riguardo si osserva che, allorquando la Costituzione ha inteso "precludere alle leggi ordinarie la possibilità di intervenire in ordine a diritti ritenuti degni di particolare tutela", lo ha fatto con norme espresse (per. es., artt. 17, 18, 21). Nel caso che interessa, invece, in base al secondo comma dell'art. 33, al legislatore ordinario sarebbe stato riconosciuto espressamente un potere in nessun modo circoscritto di limitare l'esercizio dei diritti previsti dalle disposizioni dell'articolo stesso. A1 legislatore ordinario non potrebbe quindi esser negata la possibilità di esigere per la scuola privata particolari condizioni inerenti all'idoneità dei locali e del personale e alla capacità finanziaria, come pure di imporre limitazioni per ragioni di moralità e di ordine pubblico. Appunto nell'ambito di tali imprescindibili limitazioni si sarebbe contenuta, da un decennio a questa parte, la prassi amministrativa, trasformando sostanzialmente la valutazione delle condizioni prescritte dall'art. 3 della legge del 1942 in una semplice attività di accertamento, e abdicando sostanzialmente a qualsiasi discrezionalità. Nei quali sensi le disposizioni del citato articolo sarebbero, oltre che pienamente conformi alla Costituzione, anche in piena armonia con la tradizione degli ordinamenti scolastici dello Stato democratico, a partire dalla legge Boncompagni del 1848 e dalla legge Casati del 1859.

 

Considerato in diritto

 

Il Pretore di Firenze, dovendo applicare l'art. 4 della legge 19 gennaio 1942, n. 86, che prevede il reato di esercizio di istituti d'istruzione privata sprovvisti dell'autorizzazione richiesta dall'art. 3 della stessa legge, ha rimesso a questa Corte la questione della compatibilità di quest'ultimo articolo - e cioè dell'autorizzazione da esso prevista - con l'art. 33 della Costituzione.

L'art. 33 si propone di garantire, oltre alla libertà dell'arte e della scienza, la libertà della istruzione e dell'educazione. Per quanto riguarda specificatamente l'istruzione, esso assicura, da un lato, la libertà d'insegnamento (comma primo), e, dall'altro, la libertà di istituzione e gestione di istituti d'istruzione (c. d. libertà della scuola) (comma terzo).

Quest'ultima libertà - che é quella che interessa nella presente controversia - é, per espressa enunciazione della Carta costituzionale, un diritto, riconosciuto alle persone fisiche e giuridiche.

Riconoscimento di un diritto da parte di una norma costituzionale non significa peraltro esclusione dell'ammissibilità di qualsiasi disciplina dell'esercizio di esso da parte del legislatore ordinario. Questa Corte ha avuto occasione di affermarlo più volte, a partire dalla sua prima sentenza. Ogni diritto nasce limitato, in quanto, nel sistema della civile convivenza, deve armonizzarsi con i diritti altrui e con le esigenze generali riconosciute. D'onde la possibilità, e spesso la necessità, che ulteriori norme ne specifichino i limiti e le condizioni di esercizio. Questa ulteriore potestà normativa, se di grado diverso, ha però un confine insuperabile, segnato dalla necessità che il diritto stesso non ne rimanga snaturato attraverso una compressione o una riduzione del proprio ambito.

In mancanza di limitazioni nella Carta costituzionale (come ad es. quelle enunciate negli artt. 14,16, 19, 21, 39), normalmente non é escluso dunque che, in materia di diritti costituzionalmente garantiti, vengano ammessi dei poteri dell'autorità. Occorre però innanzi tutto che la potestà così prevista sia vincolata a interessi generali, e che questi non soltanto non siano incompatibili col diritto garantito, ma attengano alla medesima sfera (per es., istruzione), o quanto meno a sfere (quali la sicurezza, la sanità, la moralità, la fede pubblica), che, per la loro pertinenza, sia necessario, nell'ordine del sistema, tener presenti, al fine di evitare un esercizio socialmente dannoso o pericoloso del diritto garantito. In secondo luogo occorre che la potestà medesima sia puntualizzata, sì da non lasciare un margine eccessivamente ampio alla discrezionalità.

Il principio vale anche per la materia dell'istruzione, e in particolare per il diritto di istituire scuole. Una potestà di legislazione ordinaria al riguardo risulta, del resto, compresa nell'ampia formula del secondo comma dell'art. 33 Cost., in base al quale "la Repubblica detta le norme generali sull'istruzione".

L'istruzione é uno dei settori più delicati della vita sociale, in quanto attiene alla formazione delle giovani generazioni, le quali, da un lato perché rappresentano la continuità della Nazione, dall'altro perché l'inesperienza dell'età le espone maggiormente, abbisognano di più intensa protezione. Il diritto di istituire e gestire scuole private é dunque di quelli sui quali la cura dello Stato deve esercitarsi in modo più assiduo, con studio degli interessi - di natura non soltanto educativa e culturale - dei singoli e della collettività. E naturale quindi che, per tradizione, il patrio legislatore se ne sia preoccupato e continui a preoccuparsene.

Per quanto però riguarda l'art. 3 della legge 19 gennaio 1942, n. 86, denunciato in questa sede, la Corte lo ritiene inficiato da illegittimità costituzionale.

Il primo comma dell'articolo, il quale indica le condizioni oggettive alle quali il rilascio dell'"autorizzazione" all'apertura di istituti privati é subordinata, dispone che, anche in presenza di quelle condizioni, l'autorità amministrativa "può" concedere o non concedere l'autorizzazione. In evidente contrasto con la secolare tradizione, la norma condiziona dunque l'apertura di istituti privati d'istruzione a un provvedimento di discrezionalità pressoché illimitata nell'an; tanto che la giurisprudenza amministrativa ha addirittura ritenuto di poterlo definire come concessione. Una sì radicale riforma si inquadra perfettamente nel clima politico nel quale venne realizzata. Venne allora istituito un apposito ente pubblico (Ente naz. per l'insegnamento medio, successivamente denominato Ente naz. per l'insegnamento medio e superiore: E.N.I.M.S.) col compito essenziale "di portare una fondamentale unità didattica, educativa e politica negli istituti privati d'istruzione media" (D.L. 3 giugno 1938, n. 928, art. 1): vale a dire con l'intento di inserire rigidamente nel regime del tempo anche la scuola privata. E ad esso fu affidata la vigilanza sugli istituti d'istruzione privata, e, tra l'altro, il rilascio dell'"autorizzazione" di cui forma oggetto la presente controversia (artt. 1 e 3 legge 19 gennaio 1942, n. 86). In tale clima, e data la funzione assegnatagli, si spiegava perfettamente il carattere lautamente discrezionale del provvedimento.

Un simile sistema, conservato, nonostante la soppressione dell'E.N.I.M.S. (d.lg. 24 maggio 1945, n. 412, art. 4), anche dopo la caduta del regime che lo aveva instaurato, é però inconciliabile col contenuto che la Costituzione repubblicana riconosce alla libertà della scuola. Questo diritto non esclude né limiti - quali l'esigenza di particolari requisiti soggettivi e oggettivi pel suo esercizio -, né controlli (successivi o preventivi). Tuttavia, perché esso non resti snaturato, é indispensabile che ogni limitazione venga contenuta nei rigorosi confini di cui sopra si é detto. I quali risultano violati in radice dalla necessità di un provvedimento autorizzativo di discrezionalità pressoché illimitata nell'an.

Pertanto dell'art. 3 della legge (che prescrive l'autorizzazione), e conseguentemente dei primi tre commi dell'art. 4 (che prevedono il divieto dell'apertura di istituti non autorizzati e le misure amministrative e penali da adottare nel caso di attivazione di istituti non autorizzati), deve esser dichiarata l'illegittimità costituzionale.

Né deve preoccupare la gravità della carenza, che in tal modo viene a determinarsi in un delicato settore dell'ordinamento. Dopo l'entrata in vigore della Costituzione, gli organi responsabili della funzione legislativa hanno preso infatti varie iniziative per la riforma della materia alla luce delle istituzioni democratiche: é pertanto da ritenere che si provvederà con la auspicabile sollecitudine ad eliminare la lacuna provocata dalla non aderenza alla Costituzione della disciplina oggi in vigore.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 nonché dei commi primo, secondo e terzo dell'art. 4 della legge 19 gennaio 1942, n. 86, in riferimento all'art. 33 della Costituzione; salva l'ulteriore disciplina legislativa della materia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1958.

 

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI

 

Depositata in cancelleria il 19 giugno 1958.