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SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

3 giugno 2021 (*)

«Ricorso di annullamento – Articolo 7, paragrafo 1, TUE – Risoluzione del Parlamento europeo su una proposta recante l’invito al Consiglio dell’Unione europea a constatare l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave dei valori su cui si fonda l’Unione – Articoli 263 e 269 TFUE – Competenza della Corte – Ricevibilità del ricorso – Atto impugnabile – Articolo 354 TFUE – Norme relative al calcolo dei voti in Parlamento – Regolamento interno del Parlamento – Articolo 178, paragrafo 3 – Nozione di “voti espressi” – Astensioni – Principi di certezza del diritto, di parità di trattamento, di democrazia e di leale cooperazione»

Nella causa C‑650/18,

avente ad oggetto il ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE, presentato il 17 ottobre 2018,

Ungheria, rappresentata inizialmente da M.Z. Fehér, G. Tornyai e Zs. Wagner, successivamente da M.Z. Fehér, in qualità di agenti,

ricorrente,

sostenuta da:

Repubblica di Polonia, rappresentata da B. Majczyna, in qualità di agente,

interveniente,

contro

Parlamento europeo, rappresentato da F. Drexler, N. Görlitz e T. Lukácsi, in qualità di agenti,

convenuto,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, J.-C. Bonichot, M. Vilaras, E. Regan, L. Bay Larsen e A. Kumin, presidenti di sezione, T. von Danwitz, C. Toader, M. Safjan, D. Šváby, S. Rodin, K. Jürimäe, C. Lycourgos (relatore) e I. Jarukaitis, giudici,

avvocato generale: M. Bobek

cancelliere: R. Șereș, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 29 giugno 2020,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 3 dicembre 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso, l’Ungheria chiede l’annullamento della risoluzione del Parlamento europeo del 12 settembre 2018 su una proposta recante l’invito al Consiglio a constatare, a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, [TUE], l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave da parte dell’Ungheria dei valori su cui si fonda l’Unione [2017/2131(INL)] (GU 2019, C 433, pag. 66; in prosieguo: la «risoluzione impugnata»).

 Contesto normativo

 Procedura di cui all’articolo 7 TUE

2        L’articolo 7 TUE prevede quanto segue:

«1.      Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura.

Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi.

2.      Il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni.

3.      Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. Nell’agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche.

Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli derivano dai trattati.

4.      Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può successivamente decidere di modificare o revocare le misure adottate a norma del paragrafo 3, per rispondere ai cambiamenti nella situazione che ha portato alla loro imposizione.

5.       Le modalità di voto che, ai fini del presente articolo, si applicano al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sono stabilite nell’articolo 354 [TFUE]».

3        L’articolo 354 TFUE così dispone:

«Ai fini dell’articolo 7 [TUE] relativo alla sospensione di taluni diritti derivanti dall’appartenenza all’Unione, il membro del Consiglio europeo o del Consiglio che rappresenta lo Stato membro in questione non partecipa al voto e nel calcolo del terzo o dei quattro quinti degli Stati membri di cui ai paragrafi 1 e 2 di detto articolo non si tiene conto dello Stato membro in questione. L’astensione di membri presenti o rappresentati non osta all’adozione delle decisioni di cui al paragrafo 2 di detto articolo.

Per l’adozione delle decisioni di cui all’articolo 7, paragrafi 3 e 4, [TUE], per maggioranza qualificata s’intende quella definita conformemente all’articolo 238, paragrafo 3, lettera b) del presente trattato.

Qualora, a seguito di una decisione di sospensione dei diritti di voto adottata a norma dell’articolo 7, paragrafo 3, [TUE], il Consiglio deliberi a maggioranza qualificata sulla base di una delle disposizioni dei trattati, per maggioranza qualificata s’intende quella definita conformemente all’articolo 238, paragrafo 3, lettera b) del presente trattato o, qualora il Consiglio agisca su proposta della Commissione o dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, quella definita conformemente all’articolo 238, paragrafo 3, lettera a).

Ai fini dell’articolo 7 [TUE], il Parlamento europeo delibera alla maggioranza dei due terzi dei voti espressi, che rappresenta la maggioranza dei membri che lo compongono».

 Controllo giurisdizionale

4        Ai sensi dell’articolo 263, primo e sesto comma, TFUE:

«La Corte di giustizia dell’Unione europea esercita un controllo di legittimità sugli atti legislativi, sugli atti del Consiglio, della Commissione e della Banca centrale europea che non siano raccomandazioni o pareri, nonché sugli atti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. Esercita inoltre un controllo di legittimità sugli atti degli organi o organismi dell’Unione destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi.

(…)

I ricorsi previsti dal presente articolo devono essere proposti nel termine di due mesi a decorrere, secondo i casi, dalla pubblicazione dell’atto, dalla sua notificazione al ricorrente ovvero, in mancanza, dal giorno in cui il ricorrente ne ha avuto conoscenza».

5        Ai sensi dell’articolo 269 TFUE:

«La Corte di giustizia è competente a pronunciarsi sulla legittimità di un atto adottato dal Consiglio europeo o dal Consiglio a norma dell’articolo 7 [TUE] unicamente su domanda dello Stato membro oggetto di una constatazione del Consiglio europeo o del Consiglio e per quanto concerne il rispetto delle sole prescrizioni di carattere procedurale previste dal suddetto articolo.

La domanda deve essere formulata entro il termine di un mese a decorrere da detta constatazione. La Corte statuisce entro il termine di un mese a decorrere dalla data della domanda».

 Protocollo (n. 24)

6        L’articolo unico del protocollo (n. 24) sull’asilo per i cittadini degli Stati membri dell’Unione europea [GU 2010, C 83, pag. 305; in prosieguo: il «protocollo (n. 24)»] prevede quanto segue:

«Gli Stati membri dell’Unione europea, dato il livello di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali da essi garantito, si considerano reciprocamente paesi d’origine sicuri a tutti i fini giuridici e pratici connessi a questioni inerenti l’asilo. Pertanto, la domanda d’asilo presentata da un cittadino di uno Stato membro può essere presa in esame o dichiarata ammissibile all’esame in un altro Stato membro unicamente nei seguenti casi:

(...)

b)      se è stata avviata la procedura di cui all’articolo 7, paragrafo 1, [TFUE] e finché il Consiglio o, se del caso, il Consiglio europeo non prende una decisione al riguardo, nei confronti dello Stato membro di cui il richiedente è cittadino;

(...)».

 Regolamento interno del Parlamento europeo

7        L’articolo 178, paragrafo 3, del regolamento interno del Parlamento europeo, nella versione applicabile al momento dell’adozione della risoluzione impugnata (in prosieguo: il «regolamento interno»), così recita:

«Per l’approvazione o la reiezione di un testo entrano nel calcolo dei voti espressi soltanto i voti a favore e contro, salvo nei casi in cui i trattati prevedano una maggioranza specifica».

8        L’articolo 226, paragrafo 1, del regolamento interno dispone quanto segue:

«Qualora sorgano dubbi in merito all’applicazione o all’interpretazione del presente regolamento, il Presidente può deferire l’esame della questione alla commissione competente.

I presidenti di commissione possono fare altrettanto qualora nel corso dell’attività della commissione sorgano dubbi relativi a detta attività».

9        Dall’allegato V, sezione XVIII, punto 8, del regolamento interno si evince che la commissione per gli affari costituzionali del Parlamento è competente ai fini dell’interpretazione dello stesso.

 Fatti

10      Con una risoluzione del 17 maggio 2017 sulla situazione in Ungheria [2017/2656(RSP)] (GU 2018, C 307, pag. 75), il Parlamento ha incaricato la propria commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni di elaborare una relazione specifica riguardante tale Stato membro nell’ottica di votare in seduta plenaria una proposta motivata con cui invitare il Consiglio ad agire ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE. Tale relazione è stata adottata il 25 giugno 2018.

11      Con lettera del 10 settembre 2018 la Rappresentanza permanente dell’Ungheria presso l’Unione ha informato il Segretario generale del Parlamento della posizione del governo ungherese, secondo cui le astensioni dovevano essere conteggiate nella votazione in merito alla risoluzione impugnata, conformemente all’articolo 354 TFUE e all’articolo 178, paragrafo 3, del regolamento interno, e ha chiesto che i membri del Parlamento ne fossero informati.

12      Il 10 settembre 2018 il Segretario generale aggiunto del Parlamento ha informato i deputati mediante messaggio di posta elettronica che, nel calcolo dei voti espressi, sarebbero stati conteggiati solo i voti a favore dell’adozione della risoluzione e quelli contrari alla stessa, con esclusione delle astensioni.

13      Il 12 settembre 2018 il Parlamento europeo ha proceduto alla votazione della risoluzione impugnata. 448 membri hanno espresso voto favorevole a tale risoluzione, 197 membri hanno espresso voto contrario alla stessa e 48 membri si sono astenuti. A seguito della votazione il presidente della seduta ha annunciato l’adozione della risoluzione impugnata.

 Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

14      L’Ungheria chiede che la Corte voglia:

–        annullare la risoluzione impugnata, e

–        condannare il Parlamento alle spese.

15      Il Parlamento chiede che la Corte voglia:

–        respingere il ricorso in quanto manifestamente irricevibile o, in subordine, in quanto infondato, e

–        condannare l’Ungheria alle spese.

16      In conformità all’articolo 16, terzo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, l’Ungheria ha chiesto alla Corte che la causa sia giudicata dalla Grande Sezione.

17      Con ordinanza del 14 maggio 2019, Ungheria/Parlamento (C‑650/18, non pubblicata, EU:C:2019:438), la Corte ha disposto la rimozione dal fascicolo del parere del servizio giuridico del Parlamento, contenuto all’allegato 5 del ricorso dell’Ungheria, ed ha respinto la domanda di produzione di un documento formulata dal citato Stato membro.

18      Con decisione del 22 maggio 2019 il presidente della Corte ha autorizzato la Repubblica di Polonia a intervenire a sostegno delle conclusioni dell’Ungheria.

 Sul ricorso

 Sulla competenza della Corte e sulla ricevibilità del ricorso

 Argomenti delle parti

19      Il Parlamento deduce l’irricevibilità del presente ricorso di annullamento sulla base del rilievo che dall’articolo 269 TFUE e, in subordine, dall’articolo 263 TFUE risulta che la risoluzione impugnata non può formare oggetto di un ricorso siffatto.

20      Per quanto riguarda, in primo luogo, l’articolo 269 TFUE, il Parlamento ritiene che dall’interpretazione letterale di tale disposizione emerga che essa limiti la competenza della Corte agli atti definitivi adottati dal Consiglio o dal Consiglio europeo a norma dell’articolo 7 TUE.

21      Tale interpretazione sarebbe avvalorata dalla genesi dell’articolo 269 TFUE. Infatti, dall’evoluzione dei trattati risulterebbe che la procedura di cui all’articolo 7 TUE è stata solo gradualmente sottoposta ad un determinato controllo della Corte. Pertanto, gli atti adottati in forza di quest’ultima disposizione, che non rientrerebbero nell’ambito di applicazione ratione materiae dell’articolo 269 TFUE, sarebbero sempre riconducibili alla «sfera politica» dei trattati, la quale non sarebbe soggetta ad alcun controllo giurisdizionale.

22      Peraltro, l’articolo 269 TFUE dovrebbe essere considerato quale lex specialis rispetto all’articolo 263 TFUE e si affiancherebbe a disposizioni che, come gli articoli 271, 275 e 276 TFUE, prevedono una possibilità limitata di controllo giurisdizionale in specifici ambiti predefiniti.

23      Inoltre, non sarebbe coerente ammettere che le constatazioni del Consiglio e del Consiglio europeo, che sono espressamente previste dall’articolo 269 TFUE e che possono implicare gravi conseguenze per lo Stato membro interessato, sfuggano essenzialmente a qualsiasi controllo giurisdizionale, ai sensi dell’articolo 269 TFUE, fatta eccezione per i loro aspetti procedurali, mentre una semplice proposta diretta ad avviare il procedimento di cui all’articolo 7 TUE possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale completo.

24      In secondo luogo, il Parlamento è del parere che il ricorso, anche nell’ipotesi in cui dovesse essere esaminato alla luce dell’articolo 263 TFUE, sia irricevibile per il motivo che la risoluzione impugnata non presenta le caratteristiche di un «atto impugnabile» ai sensi del primo comma di detto articolo.

25      Tale risoluzione non implicherebbe, infatti, alcuna modifica della situazione giuridica dell’Ungheria, posto che essa si limiterebbe ad avviare la procedura prevista all’articolo 7 TUE, senza vincolare il Consiglio in ordine alla constatazione da adottarsi. Inoltre, anche qualora l’adozione di detta risoluzione consentisse ai cittadini ungheresi di presentare una domanda d’asilo in un altro Stato membro, a norma dell’articolo unico, lettera b), del protocollo (n. 24), una siffatta possibilità non comporterebbe effetti pregiudizievoli per tali cittadini o per qualsiasi altro cittadino dell’Unione, né per l’Ungheria stessa.

26      Peraltro, nella sua sentenza del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario) (C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586), la Corte avrebbe meramente dichiarato che le informazioni fattuali, contenute in una proposta motivata adottata a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, costituiscono un elemento particolarmente rilevante quando si tratta di valutare, in astratto, se esista un rischio reale di violazione dei diritti fondamentali nello Stato membro di emissione di un mandato d’arresto europeo. Tale sentenza non consentirebbe quindi di ritenere che siffatte proposte producano effetti giuridici vincolanti.

27      Inoltre, la risoluzione impugnata dovrebbe essere considerata un atto intermedio, dal momento che non fisserebbe la posizione definitiva del Parlamento. Orbene, solo le misure intermedie che producono effetti giuridici immediati, certi e sufficientemente vincolanti potrebbero essere oggetto di un controllo giurisdizionale diretto, il che non si verificherebbe nel caso della risoluzione impugnata.

28      L’Ungheria, sostenuta dalla Repubblica di Polonia, ritiene che il ricorso sia ricevibile per il motivo che la risoluzione impugnata è un atto impugnabile ai sensi dell’articolo 263 TFUE, tenuto conto degli effetti da essa prodotti, segnatamente in forza dell’articolo unico, lettera b), del protocollo (n. 24) e dell’insegnamento che è possibile trarre dalla sentenza del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario) (C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586). Peraltro, l’articolo 269 TFUE dovrebbe essere interpretato restrittivamente e non priverebbe la Corte della sua competenza a conoscere del presente ricorso.

 Giudizio della Corte

29      In primo luogo occorre verificare se, come sostiene il Parlamento, la Corte sia incompetente a conoscere del presente ricorso in forza dell’articolo 269 TFUE.

30      In proposito si deve rilevare, anzitutto, che ai sensi di tale articolo la Corte è competente a pronunciarsi sulla legittimità di un atto adottato dal Consiglio europeo o dal Consiglio a norma dell’articolo 7 TUE unicamente su domanda dello Stato membro oggetto di una constatazione del Consiglio o del Consiglio europeo e per quanto concerne il rispetto delle sole norme di carattere procedurale previste dal citato articolo 7 TUE. Tale domanda deve essere inoltre formulata entro il termine di un mese a decorrere da detta constatazione.

31      L’articolo 269 TFUE, nel subordinare la possibilità di proporre un ricorso di annullamento avverso gli atti adottati dal Consiglio europeo o dal Consiglio a norma dell’articolo 7 TUE a condizioni più rigorose rispetto a quelle imposte dall’articolo 263 TFUE, implica una limitazione alla competenza generale che tale articolo conferisce alla Corte di giustizia dell’Unione europea per il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione e deve essere, pertanto, interpretato restrittivamente (v., per analogia, sentenza del 19 luglio 2016, H/Consiglio e a., C‑455/14 P, EU:C:2016:569, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

32      In secondo luogo, va rilevato che l’articolo 269 TFUE riguarda i soli atti del Consiglio e del Consiglio europeo adottati nell’ambito della procedura prevista dall’articolo 7 TUE. Le risoluzioni del Parlamento, adottate ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, non sono menzionate nel citato articolo 269.

33      Pertanto, dal tenore letterale di quest’ultimo articolo si evince che gli autori dei trattati non hanno inteso escludere un atto, quale la risoluzione impugnata, dalla competenza generale riconosciuta alla Corte di giustizia dell’Unione europea dall’articolo 263 TFUE ai fini del controllo della legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione.

34      Una siffatta interpretazione dell’articolo 269 TFUE è peraltro idonea a contribuire al rispetto del principio secondo cui l’Unione europea è un’Unione di diritto che ha istituito un sistema completo di rimedi giurisdizionali e di procedimenti inteso ad affidare alla Corte di giustizia dell’Unione europea il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 23 aprile 1986, Les Verts/Parlamento, 294/83, EU:C:1986:166, punto 23; del 28 marzo 2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 66 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 5 novembre 2019, BCE e a./Trasta Komercbanka e a., C‑663/17 P, C‑665/17 P e C‑669/17 P, EU:C:2019:923, punto 54).

35      Contrariamente a quanto sostenuto dal Parlamento, questa conclusione non è messa in discussione dal contesto in cui si colloca l’articolo 269 TFUE. Infatti, è sufficiente rilevare che gli articoli 271, 275 e 276 TFUE, ai quali il Parlamento raffronta il citato articolo 269, non privano la Corte di qualsiasi competenza a controllare, in forza dell’articolo 263 TFUE, la legittimità degli atti dell’Unione ivi considerati e vertono, comunque, su ambiti totalmente estranei alla procedura prevista all’articolo 7 TUE. Peraltro, i citati articoli 271, 275 e 276 TFUE sono redatti in termini significativamente diversi da quelli dell’articolo 269 TFUE, cosicché dagli stessi non può essere tratta alcuna indicazione utile per l’interpretazione di quest’ultimo articolo.

36      Ne consegue che l’articolo 269 TFUE non è idoneo ad escludere la competenza della Corte a conoscere del presente ricorso.

37      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la ricevibilità del ricorso stesso, secondo una costante giurisprudenza il ricorso di annullamento previsto dall’articolo 263 TFUE è esperibile avverso tutte le disposizioni adottate dalle istituzioni, in qualsiasi forma, che mirino a produrre effetti giuridici vincolanti (sentenze del 26 marzo 2019, Commissione/Italia, C‑621/16 P, EU:C:2019:251, punto 44, e del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

38      Per accertare se un atto produca simili effetti e possa, pertanto, essere oggetto di un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE, occorre riferirsi alla sua sostanza e valutarne gli effetti in funzione di criteri obiettivi, come il contenuto dell’atto stesso, tenendo conto eventualmente del contesto in cui quest’ultimo è stato adottato nonché dei poteri dell’istituzione da cui esso promana (sentenza del 9 luglio 2020, causa C‑575/18 P, Repubblica ceca/Commissione, EU:C:2020:530, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

39      Nel caso di specie, occorre rilevare che l’adozione della risoluzione impugnata avvia la procedura prevista all’articolo 7, paragrafo 1, TUE. Orbene, in forza dell’articolo unico, lettera b), del protocollo (n. 24), non appena tale procedura è avviata e finché il Consiglio o il Consiglio europeo non abbiano preso decisioni nei confronti dello Stato membro interessato, uno Stato membro può, in deroga alla norma di principio stabilita da tale articolo unico, prendere in esame o dichiarare ammissibile all’esame qualsiasi domanda d’asilo presentata da un cittadino dello Stato membro oggetto di tale procedura.

40      Ne discende che l’adozione della risoluzione impugnata produce l’effetto immediato di revocare il divieto che incombe, in linea di principio, sugli Stati membri di prendere in esame o di dichiarare ammissibile all’esame una domanda d’asilo presentata da un cittadino ungherese. Tale risoluzione modifica quindi, nei rapporti tra Stati membri, la situazione dell’Ungheria nel settore del diritto di asilo.

41      La risoluzione impugnata produce pertanto effetti giuridici vincolanti sin dalla sua adozione e fino a quando il Consiglio non si sia pronunciato sul seguito da darvi.

42      Il Parlamento sostiene, tuttavia, che la risoluzione impugnata rappresenta un atto intermedio che esprime una posizione provvisoria, che non può essere oggetto di controllo giurisdizionale ai sensi dell’articolo 263 TFUE.

43      In proposito occorre rammentare che provvedimenti intermedi destinati a preparare la decisione finale non costituiscono, in linea di principio, atti che possono essere oggetto di un ricorso di annullamento (sentenza del 15 marzo 2017, Stichting Woonlinie e a./Commissione, C‑414/15 P, EU:C:2017:215, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

44      Tuttavia, per un verso, gli atti intermedi in questione sono innanzitutto atti che esprimono un punto di vista provvisorio dell’istituzione interessata (v., in tal senso, sentenza del 13 ottobre 2011, Deutsche Post e Germania/Commissione, C‑463/10 P e C‑475/10 P, EU:C:2011:656, punto 50).

45      Orbene, una risoluzione come quella impugnata, con la quale il Parlamento invita il Consiglio a constatare, in conformità all’articolo 7, paragrafo 1, TUE, l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2 TUE, non può essere considerata espressione di una posizione provvisoria del Parlamento, e ciò a prescindere dal fatto che una siffatta constatazione successiva, ad opera del Consiglio, sia eventualmente subordinata alla previa approvazione del Parlamento, a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE. Invero, una simile approvazione interverrà solo a condizione che il Consiglio constati l’esistenza di un rischio di tal genere e verterà, oltretutto, su un atto che trarrà origine da una valutazione, propria del Consiglio, in ordine all’esistenza del rischio stesso e che potrà discostarsi dalla valutazione svolta dal Parlamento in sede di adozione della risoluzione impugnata.

46      Per altro verso, dalla giurisprudenza della Corte emerge altresì che un atto intermedio che produce effetti giuridici autonomi può essere oggetto di un ricorso di annullamento qualora non sia possibile porre rimedio ai suoi vizi nell’ambito di un ricorso avverso la decisione finale, della quale esso costituisce una fase di elaborazione (v., in tal senso, segnatamente, sentenze del 30 giugno 1992, Spagna/Commissione, C‑312/90, EU:C:1992:282, punti 21 e 22; del 30 giugno 1992, Italia/Commissione, C‑47/91, EU:C:1992:284, punti 27 e 28, e del 13 ottobre 2011, Deutsche Post e Germania/Commissione, C‑463/10 P e C‑475/10 P, EU:C:2011:656, punti 53, 54 e 60)

47      Nel caso di specie, è certo vero che, come sostiene il Parlamento, l’Ungheria potrebbe invocare l’illegittimità della risoluzione impugnata a sostegno del suo eventuale ricorso di annullamento avverso la constatazione dell’esistenza di un evidente rischio di violazione grave dei valori dell’Unione, che il Consiglio dovesse effettuare in base all’articolo 7, paragrafo 1, TUE, a seguito di tale risoluzione.

48      Tuttavia, oltre al fatto che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 100 delle sue conclusioni, il Consiglio non è tenuto a prendere posizione in merito alla risoluzione impugnata, l’eventuale accoglimento di un ricorso di annullamento proposto avverso la constatazione effettuata dal Consiglio a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE non consentirebbe, comunque, di eliminare tutti gli effetti giuridici vincolanti prodotti dalla risoluzione stessa e menzionati al punto 40 della presente sentenza.

49      Tanto premesso, si deve dichiarare che la risoluzione impugnata è un atto impugnabile ai sensi dell’articolo 263, primo comma, TFUE.

50      Per quanto riguarda infine l’affermazione svolta a sostegno dell’eccezione di irricevibilità del Parlamento, secondo cui gli effetti giuridici della risoluzione impugnata non riguardano direttamente l’Ungheria, si deve aggiungere a quanto rilevato al punto 40 della presente sentenza che, in forza dell’articolo 263, secondo comma, TFUE, uno Stato membro non è comunque tenuto a dimostrare né di essere direttamente e individualmente interessato dall’atto dell’Unione di cui chiede l’annullamento, né di disporre di un interesse ad agire (v., a quest’ultimo proposito, sentenza del 5 settembre 2012, Parlamento/Consiglio, C‑355/10, EU:C:2012:516, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

51      Tanto premesso, in terzo luogo, la competenza generale riconosciuta alla Corte di giustizia dell’Unione europea dall’articolo 263 TFUE a controllare la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione non può essere interpretata in modo tale da privare di effetto utile la limitazione a tale competenza generale prevista dall’articolo 269 TFUE (v., per analogia, sentenza del 1° luglio 2010, Povse, C‑211/10 PPU, EU:C:2010:400, punto 78).

52      Ne consegue che, quando l’articolo 263 TFUE costituisce, come nella specie, il fondamento di un ricorso di annullamento avverso un atto adottato da un’istituzione dell’Unione a norma dell’articolo 7 TUE, detto articolo 263 TFUE non può essere applicato indipendentemente dall’articolo 269 TFUE, ma deve essere, al contrario, interpretato alla luce di quest’ultimo articolo.

53      Si deve rilevare, in proposito, che l’articolo 269 TFUE subordina i ricorsi di annullamento avverso gli atti del Consiglio e del Consiglio europeo adottati a norma dell’articolo 7 TUE a talune specifiche condizioni, intese a tener conto della peculiare natura della procedura istituita da quest’ultima disposizione. In tal senso, le condizioni poste dall’articolo 269, primo comma, TFUE riservano il diritto di proporre un ricorso siffatto al solo Stato membro interessato da tale procedura e limitano i motivi che possono essere dedotti a sostegno del ricorso stesso alle sole censure vertenti sulla violazione delle norme di carattere procedurale previste all’articolo 7 TUE.

54      Orbene, ammettere che, sulla base dell’articolo 263 TFUE, un ricorso di annullamento avverso una proposta motivata del Parlamento adottata a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE possa essere proposto da un ricorrente diverso dallo Stato membro che ne è oggetto, e che, a sostegno di tale ricorso, possa essere invocato qualsiasi motivo di cui all’articolo 263, secondo comma, TFUE, priverebbe in gran parte del loro effetto utile le condizioni specifiche sancite dall’articolo 269 TFUE, cui è subordinata la proposizione di un ricorso di annullamento avverso la constatazione del Consiglio di cui all’articolo 7, paragrafo 1, TUE, la quale può essere adottata a seguito della proposta stessa.

55      Pertanto, ove una tale proposta motivata del Parlamento venisse annullata su domanda di un ricorrente siffatto, il Consiglio si troverebbe nell’impossibilità di constatare l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave dei valori dell’Unione, benché, conformemente all’articolo 269, primo comma, TFUE, tale ricorrente non possa chiedere l’annullamento di una constatazione siffatta.

56      Del pari, se tale proposta venisse annullata sulla base di un motivo diverso da quelli precisati all’articolo 269 TFUE, il Consiglio si troverebbe ugualmente nell’impossibilità di constatare l’esistenza di un rischio siffatto, benché, conformemente al citato articolo 269, tale motivo non possa essere dedotto al fine di ottenere l’annullamento di una simile constatazione.

57      Per contro, la possibilità, per lo Stato membro oggetto di una proposta motivata del Parlamento adottata a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, di proporre un ricorso di annullamento avverso la proposta stessa nel termine di due mesi a decorrere dalla sua pubblicazione, come previsto dall’articolo 263, sesto comma, TFUE, non è idonea a pregiudicare l’effetto utile delle specifiche disposizioni cui è subordinato, a norma dell’articolo 269 TFUE, il ricorso di annullamento avverso la constatazione del Consiglio adottata ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE.

58      Pertanto, sebbene, conformemente all’articolo 269, secondo comma, TFUE, il ricorso diretto all’annullamento di una siffatta constatazione debba essere proposto entro il termine di un mese a decorrere dalla sua adozione, andrebbe oltre quanto necessario per preservare l’effetto utile del citato articolo 269 esigere che il ricorso di annullamento avverso la proposta motivata del Parlamento, adottata a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, sia soggetto a una medesima riduzione del suo termine di proposizione.

59      Dalle considerazioni esposte ai punti da 54 a 58 della presente sentenza consegue che un ricorso di annullamento introdotto, ai sensi dell’articolo 263 TFUE, avverso una proposta motivata adottata dal Parlamento a norma dell’articolo 7 TUE può essere proposto unicamente dallo Stato membro oggetto di tale proposta entro il termine di due mesi a decorrere dalla sua adozione. Inoltre, i motivi di annullamento dedotti a sostegno di un siffatto ricorso possono vertere unicamente sulla violazione delle norme di carattere procedurale di cui all’articolo 7 TUE.

60      Nel caso di specie, l’Ungheria è lo Stato membro interessato dalla risoluzione impugnata. Inoltre, il ricorso di tale Stato membro è stato proposto entro il termine previsto dall’articolo 263, secondo comma, TFUE.

61      Dall’insieme delle considerazioni che precedono emerge che il presente ricorso di annullamento è ricevibile, fatta salva la questione se la Corte possa conoscere di ciascuno dei motivi dedotti a sostegno del ricorso stesso.

 Sui motivi di ricorso

62      A sostegno del suo ricorso l’Ungheria deduce quattro motivi. Il primo motivo verte sulla violazione dell’articolo 354, quarto comma, TFUE e dell’articolo 178, paragrafo 3, del regolamento interno. Il secondo motivo verte sulla violazione del principio di certezza del diritto. Con il suo terzo motivo, l’Ungheria contesta al Parlamento di aver violato i principi di democrazia e di parità di trattamento. Il quarto motivo verte sulla violazione dei principi di leale cooperazione, di cooperazione in buona fede tra le istituzioni, di rispetto delle legittime aspettative e di certezza del diritto.

63      Tenuto conto della loro connessione, si devono, in primo luogo, esaminare congiuntamente il primo e il terzo motivo di ricorso.

 Sul primo e sul terzo motivo, vertenti su una violazione dell’articolo 354, quarto comma, TFUE, dell’articolo 178, paragrafo 3, del regolamento interno, nonché dei principi di democrazia e di parità di trattamento

–       Argomenti delle parti

64      Con il suo primo motivo, l’Ungheria sostiene che il Parlamento ha erroneamente escluso le astensioni dal conteggio dei voti espressi ai fini dell’adozione della risoluzione impugnata.

65      Ad avviso di tale Stato membro, il requisito introdotto dall’articolo 354, quarto comma, TFUE, relativo a una maggioranza qualificata ai fini dell’adozione, ad opera del Parlamento, di una proposta motivata a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, attesta l’importanza di un simile atto. Orbene, un’interpretazione di tale disposizione del Trattato FUE nel senso che le astensioni dovrebbero essere considerate come voti espressi, cosicché per l’adozione di tale atto sarebbe necessario un maggior numero di voti favorevoli, consentirebbe appunto di rendere conto di tale importanza.

66      Anche il contesto in cui si inserisce l’articolo 354 TFUE deporrebbe a favore di una siffatta interpretazione. Dal primo comma di tale articolo risulterebbe infatti che, nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 7, paragrafo 1, TUE, per stabilire se sia stata raggiunta la maggioranza dei quattro quinti dei membri del Consiglio, si dovrebbero conteggiare i voti di tutti gli Stati membri diversi dallo Stato membro interessato, indipendentemente dal fatto che si tratti di voto favorevole, di voto sfavorevole o di astensione.

67      Peraltro, imponendo la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, che rappresenta la maggioranza dei membri del Parlamento, l’articolo 354, quarto comma, TFUE prevedrebbe una maggioranza specifica, ai sensi dell’ultima parte di frase dell’articolo 178, paragrafo 3, del regolamento interno. Orbene, da quest’ultima disposizione discenderebbe che, ove i trattati prevedano una maggioranza specifica, tanto i voti a favore e contro la proposta soggetta a votazione, quanto le astensioni dovrebbero essere considerati come voti espressi.

68      Per contro, il tenore letterale stesso di tale disposizione del regolamento interno osterebbe a che l’eccezione da essa prevista in caso di maggioranza specifica imposta dai trattati sia interpretata nel senso che essa si applica ai soli fini del calcolo della maggioranza dei membri del Parlamento. Detta disposizione conterrebbe infatti una contrapposizione assai chiara tra la situazione in cui solo i voti a favore e contro il testo di cui trattasi devono entrare nel calcolo dei voti espressi e le situazioni in cui tale testo può essere validamente adottato solo mediante una maggioranza specifica prevista dai trattati.

69      Del resto, in occasione della seduta plenaria del Parlamento, i deputati esprimerebbero il loro voto scegliendo tra i pulsanti «a favore», «contro» o «astensione». Ne discenderebbe chiaramente che l’astensione è una delle forme di espressione di un voto.

70      La Repubblica di Polonia asserisce che l’articolo 354, quarto comma, TFUE deve essere inteso, alla luce del primo comma della medesima disposizione, come un obbligo di considerare le astensioni al pari di voti espressi. Infatti, l’indicazione di cui all’articolo 354, primo comma, ultima frase, TFUE, secondo la quale, in seno al Consiglio europeo, le astensioni non devono essere prese in considerazione, costituirebbe un’eccezione alla regola, di modo che l’assenza di una siffatta indicazione all’articolo 354, quarto comma, TFUE dimostrerebbe, a contrario, che le astensioni devono essere prese in considerazione quando il Parlamento delibera ai fini dell’articolo 7 TUE.

71      Inoltre, ad avviso del citato Stato membro, ritenere che l’ultima parte dell’articolo 178, paragrafo 3, del regolamento interno sia stata introdotta per rendere conto del fatto che, nei casi in cui i trattati prevedono una maggioranza specifica, la maggioranza semplice non è sufficiente per adottare una decisione, sarebbe illogico, alla luce del tenore letterale dell’articolo 83, paragrafo 3, del regolamento stesso, che farebbe espresso riferimento alla maggioranza prevista all’articolo 354, quarto comma, TFUE. Infine, detto Stato membro sottolinea che l’articolo 180 del regolamento interno prevede formalmente la possibilità di astenersi.

72      Il Parlamento afferma che, sebbene l’articolo 354 TFUE non precisi se le astensioni debbano essere prese in considerazione nell’ambito dei voti espressi, detta disposizione gli conferisce la facoltà di disciplinare tale questione nel suo regolamento interno. Orbene, dall’articolo 178, paragrafo 3, di tale regolamento si evincerebbe che le astensioni non dovevano essere prese in considerazione nel caso di specie, poiché l’eccezione contenuta nella parte finale di tale disposizione mira unicamente a derogare al principio, sancito all’articolo 231, paragrafo 1, TFUE, secondo il quale la maggioranza è acquisita se vi sono più voti favorevoli che voti sfavorevoli, e deve essere interpretata nel senso che i voti a favore del testo di cui trattasi devono altresì raggiungere la maggioranza dei membri del Parlamento.

73      Con il suo terzo motivo l’Ungheria sostiene, per un verso, che l’articolo 354 TFUE e l’articolo 178, paragrafo 3, del regolamento interno avrebbero dovuto essere interpretati alla luce del principio di democrazia, sancito all’articolo 2 TUE, e imporre di tener conto delle astensioni nel calcolo dei voti espressi, posto che ciò consentirebbe di garantire al meglio i valori democratici dell’Unione assicurando una piena rappresentanza popolare.

74      La modalità con cui il Parlamento ha conteggiato, nel caso di specie, i voti espressi porterebbe, al contrario, a svuotare di significato l’astensione quale opzione di voto. I membri del Parlamento non avrebbero beneficiato di tutte le possibilità derivanti dall’esercizio delle loro funzioni, senza che tale limitazione si fondi su un obiettivo legittimo.

75      Per altro verso, l’interpretazione dell’articolo 354, quarto comma, TFUE e del regolamento interno accolta dal Parlamento comporterebbe una disparità di trattamento, non giustificabile da alcun obiettivo legittimo, tra i membri del Parlamento che si sono astenuti in occasione del voto sulla risoluzione impugnata e i membri del Parlamento che hanno espresso un voto in merito alla stessa.

76      Il Parlamento ritiene che l’Ungheria abbia modificato il senso del suo terzo motivo nella sua replica, sostenendo ivi che il Parlamento aveva violato l’articolo 354, quarto comma, TFUE e l’articolo 178, paragrafo 3, del regolamento interno. Tale argomento non sarebbe comprensibile e sarebbe, di conseguenza, irricevibile. In ogni caso, il terzo motivo dell’Ungheria sarebbe infondato.

–       Giudizio della Corte

77      In limine occorre rilevare, in primo luogo, che la Corte non può conoscere del primo motivo, posto che, con il medesimo, l’Ungheria contesta al Parlamento di aver violato l’articolo 178, paragrafo 3, del regolamento interno ai fini dell’adozione della risoluzione impugnata. Invero, tale disposizione non può essere considerata una norma di carattere procedurale prevista dall’articolo 7 TUE, a norma dell’articolo 269 TFUE, a differenza di quelle di contenute all’articolo 354 TFUE, il quale è espressamente contemplato all’articolo 7, paragrafo 5, TUE.

78      Per quanto concerne, in secondo luogo, l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Parlamento con riferimento al terzo motivo, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 120, lettera c), del regolamento di procedura della Corte e della giurisprudenza ad esso relativa, ogni atto introduttivo di giudizio deve indicare l’oggetto della controversia, i motivi e gli argomenti invocati nonché l’esposizione sommaria di tali motivi. Detta indicazione deve essere sufficientemente chiara e precisa per consentire al convenuto di preparare la sua difesa e alla Corte di esercitare il suo controllo. Ne discende che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali si fonda un ricorso devono emergere in modo coerente e comprensibile dal testo dell’atto introduttivo stesso e che le conclusioni di quest’ultimo devono essere formulate in modo inequivoco, al fine di evitare che la Corte statuisca ultra petita ovvero ometta di pronunciarsi su una censura (sentenza del 16 aprile 2015, Parlamento/Consiglio, C‑540/13, EU:C:2015:224, punto 9 e giurisprudenza ivi citata).

79      Nel caso di specie, dall’atto introduttivo del giudizio risulta che, con il suo terzo motivo, l’Ungheria contesta, in sostanza, la conformità della risoluzione impugnata, segnatamente, all’articolo 354, quarto comma, TFUE, in combinato disposto con il principio di democrazia e con il principio di parità di trattamento, per la ragione che le astensioni non sono state prese in considerazione nel calcolo dei voti espressi.

80      Poiché tale censura è stata sollevata in sede di ricorso e poiché essa è priva di ambiguità, occorre respingere l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Parlamento.

81      Peraltro, dal momento che, come rilevato al punto 79 della presente sentenza, con il terzo motivo citato l’Ungheria non invoca, isolatamente, la violazione dei principi di democrazia e di parità di trattamento, ma intende dimostrare che l’adozione della risoluzione impugnata ha violato, segnatamente, la norma procedurale di cui all’articolo 354, quarto comma, TFUE, in combinato disposto con i principi sopra citati, la Corte può conoscere di tale terzo motivo, come emerge dal punto 59 della presente sentenza.

82      Quanto al merito, occorre sottolineare, in primo luogo, che, a norma dell’articolo 354, quarto comma, TFUE, quando è chiamato ad adottare una decisione ai sensi dell’articolo 7 TUE, il Parlamento delibera alla maggioranza dei due terzi dei voti espressi, che rappresenta la maggioranza dei membri che lo compongono.

83      Poiché i trattati non definiscono ciò che si debba intendere per «voti espressi», tale nozione autonoma del diritto dell’Unione deve essere interpretata conformemente al suo significato abituale nel linguaggio corrente, tenendo conto del contesto nel quale viene utilizzata e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v., per analogia, sentenza del 23 aprile 2020, Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI, C‑507/18, EU:C:2020:289, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

84      Orbene, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi da 128 a 130 delle sue conclusioni, la nozione di «voti espressi» comprende, nel suo significato abituale, solo la manifestazione di un voto positivo o negativo in merito a una determinata proposta. Poiché l’astensione deve essere intesa, nel suo significato consueto, come il rifiuto di prendere posizione in merito a una determinata proposta, essa non può essere equiparata a un «voto espresso».

85      Tanto premesso, si deve rammentare che la regola di maggioranza introdotta dall’articolo 354, quarto comma, TFUE implica un duplice requisito. Gli atti adottati dal Parlamento a norma dell’articolo 7 TUE devono infatti ottenere, per un verso, l’accordo dei due terzi dei voti espressi e, per altro verso, l’accordo della maggioranza dei membri del Parlamento.

86      Nell’imporre che gli atti adottati dal Parlamento a norma dell’articolo 7 TUE ottengano tale doppia maggioranza, gli autori del Trattato FUE hanno evidenziato l’importanza di simili atti, sul piano tanto politico quanto costituzionale.

87      Pertanto, sebbene non sia possibile, per i motivi esposti al punto 84 della presente sentenza, tener conto delle astensioni al fine di stabilire se sia raggiunta una maggioranza dei due terzi dei voti espressi a favore dell’adozione di un simile atto, siffatte astensioni vanno invece tenute in considerazione per verificare, come imposto dall’articolo 354, quarto comma, TFUE, che i voti favorevoli rappresentino la maggioranza dei membri che compongono il Parlamento. Infatti, conformemente a tale regola di maggioranza, una proposta motivata del Parlamento, a norma dell’articolo 7 TUE, non può essere adottata qualora il numero di membri che hanno votato in suo favore non superi il numero dei restanti membri del Parlamento, a prescindere dal fatto che questi ultimi abbiano votato contro tale proposta, che si siano astenuti o che si siano assentati al momento del voto.

88      Dalle considerazioni svolte ai punti da 84 a 87 della presente sentenza discende che l’articolo 354, quarto comma, TFUE deve essere interpretato nel senso che le astensioni non devono essere prese in considerazione, ai fini dell’articolo 7 TUE, nel calcolo della maggioranza dei due terzi dei voti espressi.

89      La circostanza che, come fatto valere dall’Ungheria, le astensioni siano prese in considerazione nel calcolo della maggioranza dei quattro quinti dei membri del Consiglio, di cui all’articolo 7, paragrafo 1, TUE, è irrilevante al riguardo. Infatti, come risulta dal punto 87 della presente sentenza, è intrinseco ad una regola di voto che imponga il raggiungimento della maggioranza dei membri di un’istituzione che coloro che si astengono dall’esprimere il loro voto siano presi in considerazione al fine di stabilire se sia acquisita tale maggioranza di membri, diversamente da una regola di voto che imponga il raggiungimento della maggioranza dei voti espressi.

90      Neppure l’argomento della Repubblica di Polonia, fondato sull’ultima frase dell’articolo 354, primo comma, TFUE, può trovare accoglimento. Benché, ai sensi di tale disposizione, le astensioni dei membri presenti o rappresentati in seno al Consiglio europeo non ostino a che quest’ultimo constati, all’unanimità, a norma dell’articolo 7, paragrafo 2, TUE, l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori su cui si fonda l’Unione, ciò non comporta tuttavia che, in assenza di una simile precisazione nell’ambito dell’articolo 354, quarto comma, TFUE, le astensioni debbano essere prese in considerazione nel calcolo dei due terzi dei voti espressi in seno al Parlamento.

91      Al riguardo occorre rilevare che la precisazione relativa alle astensioni, esplicitamente formulata all’articolo 354, primo comma, TFUE consente di eliminare ogni dubbio in ordine al peso delle astensioni degli Stati membri presenti o rappresentati in seno al Consiglio europeo ai fini dell’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, TUE.

92      Pertanto, nel prevedere, all’articolo 354, primo comma, ultima frase, TFUE, che le astensioni non ostino all’adozione, da parte di tale istituzione, della constatazione di cui all’articolo 7, paragrafo 2, TUE, gli autori del Trattato FUE hanno inteso escludere espressamente che l’astensione di uno solo degli Stati membri presenti o rappresentati in seno al Consiglio europeo, fatta eccezione per lo Stato membro interessato, possa impedire a detta istituzione di constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente, da parte di tale Stato membro, dei valori su cui si fonda l’Unione.

93      Invece, contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica di Polonia, non era necessario introdurre una simile precisazione all’articolo 354, quarto comma, TFUE, poiché, come risulta dal punto 84 della presente sentenza, la nozione di «voti espressi» implica, secondo il significato abituale dei suoi termini, che le astensioni non siano prese in considerazione nel calcolo di siffatti voti. Pertanto, anche in assenza di una precisazione come quella contenuta all’articolo 354, primo comma, TFUE, una norma che, come l’articolo 354, quarto comma, TFUE, imponga un voto a maggioranza dei voti espressi deve essere intesa nel senso che essa esclude che siano prese in considerazione le astensioni.

94      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la presunta violazione dell’articolo 354, quarto comma, TFUE, in combinato disposto con il principio di democrazia e con il principio di parità di trattamento, occorre sottolineare che i due principi citati rappresentano valori su cui si fonda l’Unione, conformemente all’articolo 2 TUE. Inoltre, ai sensi dell’articolo 10 TUE, il funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa e l’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce il principio della parità di trattamento.

95      Per quanto concerne, per un verso, il principio di democrazia, si deve ricordare che l’importanza politica e costituzionale di una proposta motivata a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, come la risoluzione impugnata, trova riscontro nella doppia maggioranza richiesta dall’articolo 354, quarto comma, TFUE ai fini della sua adozione.

96      Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ungheria, i membri del Parlamento che intendevano esercitare le loro prerogative astenendosi in occasione del voto sulla risoluzione impugnata non sono stati privati di tale possibilità, dal momento che le astensioni sono state prese in considerazione come tali, al fine di verificare che i voti favorevoli fossero stati espressi dalla maggioranza dei membri che compongono il Parlamento. Peraltro, i membri del Parlamento che hanno deciso di astenersi in occasione del voto stesso hanno agito con cognizione di causa, poiché è pacifico che essi sono stati previamente informati del fatto che le astensioni non sarebbero state conteggiate come voti espressi.

97      Ne consegue che l’esclusione delle astensioni dal calcolo dei voti espressi, ai sensi dell’articolo 354 TFUE, non è contraria al principio di democrazia.

98      Per quanto attiene, per altro verso, al principio di parità di trattamento, del quale l’Ungheria lamenta altresì la violazione, occorre ricordare che tale principio esige che situazioni paragonabili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che un tale trattamento non sia oggettivamente giustificato (v., in tal senso, sentenze del 16 settembre 2010, Chatzi, C‑149/10, EU:C:2010:534, punto 64, e dell’8 settembre 2020, Commissione e Consiglio/Carreras Sequeros e a., C‑119/19 P e C‑126/19 P, EU:C:2020:676, punto 137).

99      Nel caso di specie, occorre rilevare che tutti i membri del Parlamento hanno beneficiato delle stesse opzioni in occasione del voto sulla risoluzione impugnata, ossia esprimere un voto favorevole o contrario all’adozione di tale risoluzione, o ancora astenersi in occasione del voto stesso, e che al momento del voto medesimo essi erano pienamente consapevoli delle conseguenze della scelta da essi effettuata a tal riguardo e, più in particolare, del fatto che le astensioni, a differenza dei voti favorevoli o contrari a detta risoluzione, non sarebbero entrate nel calcolo dei voti espressi. Pertanto, e alla luce di quanto rilevato al punto 84 della presente sentenza, i parlamentari che in tale occasione hanno scelto di astenersi non possono essere considerati in una situazione oggettivamente paragonabile a quelli che si sono espressi a favore o contro tale adozione, ai fini del calcolo dei voti espressi, ai sensi dell’articolo 354, quarto comma, TFUE.

100    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve dichiarare che il Parlamento non ha violato l’articolo 354, quarto comma, TFUE, in combinato disposto con i principi di democrazia e di parità di trattamento, per non aver conteggiato le astensioni come voti espressi in occasione dell’adozione della risoluzione impugnata.

101    Il primo e il terzo motivo devono pertanto essere respinti.

 Sul secondo e sul quarto motivo, vertenti sulla violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, nonché dei principi di cooperazione di buona fede tra le istituzioni dell’Unione, di rispetto delle legittime aspettative e di certezza del diritto

–       Argomenti delle parti

102    Con il suo secondo motivo, l’Ungheria afferma che la risoluzione impugnata viola il principio di certezza del diritto, essendo stata adottata senza che il Parlamento avesse previamente chiarito, mediante consultazione della commissione per gli affari costituzionali, i dubbi relativi all’interpretazione dell’articolo 178, paragrafo 3, del regolamento interno.

103    Benché l’articolo 226 del regolamento interno attribuisca al presidente del Parlamento il compito di decidere se adire tale commissione, nondimeno detta commissione non potrebbe essere privata delle sue competenze, consentendo l’adozione di un provvedimento sulla base di una norma la cui interpretazione susciti dubbi.

104    Non si potrebbe inoltre escludere che la commissione per gli affari costituzionali interpreti diversamente, in futuro, il regolamento interno e metta in discussione, a posteriori, il risultato del voto intervenuto sulla risoluzione impugnata, il che darebbe origine ad una situazione di incertezza.

105    Il Parlamento considera tale motivo manifestamente irricevibile e, in ogni caso, infondato.

106    Con il suo quarto motivo, l’Ungheria asserisce che la risoluzione impugnata viola l’articolo 4, paragrafo 3, TUE nonché i principi di cooperazione di buona fede tra le istituzioni dell’Unione, di rispetto delle legittime aspettative e di certezza del diritto. Tale Stato membro sostiene, al riguardo, che, ai fini dell’adozione di tale risoluzione, il Parlamento si è erroneamente basato su procedure di infrazione al diritto dell’Unione che la Commissione aveva chiuso o per le quali detto Stato membro e la Commissione hanno avviato un processo di dialogo. L’Ungheria rileva inoltre che, nonostante l’esistenza di siffatte procedure, la Commissione non ha ritenuto giustificato l’avvio del procedimento di cui all’articolo 7 TUE, il che escluderebbe che tali procedure d’infrazione possano fondare la risoluzione impugnata.

107    Il Parlamento dubita della ricevibilità di questo motivo e lo considera, in ogni caso, infondato.

–       Giudizio della Corte

108    Dal punto 59 della presente sentenza risulta che la Corte può statuire sulla legittimità della risoluzione impugnata unicamente per quanto concerne il rispetto delle sole norme di carattere procedurale previste all’articolo 7 TUE.

109    Orbene, con il suo secondo e il suo quarto motivo, l’Ungheria non deduce la violazione di alcuna di tali norme di carattere procedurale.

110    Ne consegue che il secondo e il quarto motivo devono essere respinti.

111    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, il ricorso deve essere integralmente respinto.

 Sulle spese

112    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. L’Ungheria, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese, conformemente alla domanda del Parlamento.

113    A norma dell’articolo 140, paragrafo 1, di detto regolamento, la Repubblica di Polonia sopporterà le proprie spese in quanto parte interveniente.

 

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      L’Ungheria è condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, anche quelle sostenute dal Parlamento europeo.

3)      La Repubblica di Polonia sopporta le proprie spese.

 

Firme


*      Lingua processuale: l’ungherese.