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Corte di Giustizia delle Comunità europee, 6 ottobre 1982

 

C-283/81, Srl Cilfit e a.  Ministero della Sanità

 

 

Nel procedimento 283/81,

 

avente ad oggetto la domanda di pronunzia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell’art. 177 del Trattato CEE, dalla prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione nella causa dinanzi ad essa pendente

 

Srl Cilfit - in liquidazione - e 54 altre società, con sede in Roma,

 

contro

 

Ministero della Sanità, in persona del Ministro, Roma,

e

 

Lanificio di Gavardo Spa, con sede in Milano,

 

contro

 

Ministero della Sanità, in persona del Ministro, Roma,

 

Oggetto della causa

 

domanda vertente sull’interpretazione dell’art. 177, 3° comma, del Trattato CEE,

 

Motivazione della sentenza

 

1 Con ordinanza 27 marzo 1981, pervenuta alla Corte il 31 ottobre 1981, la Corte Suprema di Cassazione ha proposto, a norma dell’art . 177 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale relativa all’interpretazione dell’art. 177, 3° comma, del Trattato CEE.

 

2 La questione è stata sollevata nell’ambito di una controversia fra società importatrici di lana ed il Ministero della Sanità italiano in ordine al pagamento di un diritto fisso per visita sanitaria su lane importate da paesi non facenti parte della Comunità. Dette società hanno invocato il regolamento 28 giugno 1968, n . 827 ( GU l 151 , pag . 16 ), relativo all ' organizzazione comune dei mercati per taluni prodotti elencati nell’allegato II del Trattato, che , all’art. 2 , n. 2, vieta agli Stati membri di imporre tasse di effetto equivalente ai dazi doganali sui prodotti di origine animale importati, non menzionati altrove, di cui alla voce 05.15 della tariffa doganale comune. Il Ministero della Sanità ha eccepito a tale argomento che le lane, non essendo comprese nell’allegato II del Trattato, non sono soggette ad organizzazione comune dei mercati agricoli .

 

3 Il Ministero della Sanità trae, da tali circostanze, la conclusione che l’evidenza della soluzione da dare alla questione d’interpretazione dell’atto delle istituzioni della Comunità e tale da escludere la possibilità di ipotizzare un dubbio d’interpretazione e quindi tale da escludere l’esigenza di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Di contro, le società interessate sostengono che essendo stata sollevata una questione sull’interpretazione di un regolamento dinanzi alla Corte di Cassazione, giudice avverso le cui decisioni non può proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, quest’ultima, ai sensi dell’art. 177 , 3° comma , non può esimersi dall’obbligo di rivolgersi alla Corte di Giustizia.

 

4 Alla luce di queste tesi contrastanti, la Corte Suprema di Cassazione ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale :

' se il terzo comma dell’art . 177 del Trattato, statuendo che quando una questione del genere di quelle elencate nel primo comma dello stesso articolo è sollevata in un giudizio pendente davanti ad una giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale giurisdizione è tenuta a rivolgersi alla Corte di Giustizia, sancisca un obbligo di rimessione che non consenta al giudice nazionale alcuna delibazione di fondatezza della questione sollevata ovvero subordini, ed in quali limiti, tale obbligo al preventivo riscontro di un ragionevole dubbio interpretativo.

 

5 Per risolvere la questione così sollevata va preso in considerazione il sistema dell’art . 177 che attribuisce alla Corte di Giustizia la competenza a pronunziarsi, fra l’altro, sull ' interpretazione del Trattato e degli atti compiuti dalle istituzioni della Comunità.

 

6 In forza del 2° comma di tale norma, qualsiasi giudice di uno degli Stati membri può, qualora ritenga necessaria la soluzione di una questione di interpretazione per emanare la propria decisione, domandare alla Corte di Giustizia di pronunziarsi sulla questione. Ai sensi del 3° comma, quando una questione di interpretazione viene sollevata in un giudizio pendente dinanzi ad un giudice nazionale le cui decisioni non siano impugnabili secondo l ' ordinamento interno, tale giudice è tenuto a rivolgersi alla Corte di Giustizia.

 

7 Tale obbligo di adire la Corte rientra nell’ambito della cooperazione istituita al fine di garantire la corretta applicazione e l’interpretazione uniforme del diritto comunitario, nell ' insieme degli Stati membri, fra i giudici nazionali, in quanto incaricati dell’applicazione delle norme comunitarie, e la Corte di Giustizia. L’art. 177, 3° comma, mira, più in particolare, ad evitare che si producano divergenze giurisprudenziali all’interno della Comunità su questioni di diritto comunitario. La portata di tale obbligo va pertanto valutata tenendo conto di tali finalità in funzione delle competenze rispettive dei giudici nazionali e della Corte di Giustizia, allorchè una siffatta questione interpretativa viene sollevata ai sensi dell’art. 177.

 

8 In questo ambito, va precisato il significato comunitario dell’inciso ' quando una questione del genere è sollevata ' al fine di stabilire quando un giudice nazionale le cui decisioni non siano impugnabili secondo l’ordinamento interno sia tenuto a rivolgersi alla Corte di Giustizia.

 

9 Al riguardo, va innanzitutto rilevato che l’art. 177 non costituisce un rimedio giuridico esperibile dalle parti di una controversia pendente dinanzi ad un giudice nazionale. Non basta quindi che una parte sostenga che la controversia pone una questione di interpretazione del diritto comunitario perchè il giudice interessato sia obbligato a ritenere configurabile una questione sollevata ai sensi dell’art. 177. Per contro spetta a detto giudice adire, se del caso, d’ ufficio la Corte di Giustizia.

 

10 In secondo luogo, dal rapporto fra i commi 2 e 3 dell’art. 177 discende che i giudici di cui al 3° comma dispongono dello stesso potere di valutazione di tutti gli altri giudici nazionali nello stabilire se sia necessaria una pronuncia su un punto di diritto comunitario onde consentir loro di decidere. Tali giudici non sono pertanto tenuti a sottoporre alla Corte una questione di interpretazione di norme comunitarie sollevata dinanzi ad essi se questa non è pertinente, vale a dire nel caso in cui la sua soluzione, qualunque essa sia, non possa in alcun modo influire sull’esito della lite.

 

11 Per contro, ove essi accertino la necessità di ricorrere al diritto comunitario al fine di risolvere la controversia di cui sono investiti, l’art. 177 impone loro l’obbligo di deferire alla Corte di Giustizia qualsiasi questione di interpretazione che venga in essere.

 

12 La questione sollevata dalla Corte di Cassazione mira a stabilire se, in determinate circostanze, l’obbligo sancito dall’art. 177 , 3° comma, possa tuttavia incontrare dei limiti.

 

13 Va richiamato al riguardo quanto la Corte ha affermato nella sentenza 27 marzo 1963 ( cause 28-30/62 , da Costa , racc . pag . 73 ): ' se l’art . 177 , ultimo comma, impone, senza restrizioni, ai fori nazionali le cui decisioni non sono impugnabili secondo l ' ordinamento interno, di deferire alla Corte qualsiasi questione d’interpretazione davanti ad essi sollevata , l’autorità dell’interpretazione data dalla Corte ai sensi dell’art . 177 può tuttavia far cadere la causa di tale obbligo e così renderlo senza contenuto. Ciò si verifica in ispecie qualora la questione sollevata sia materialmente identica ad altra questione , sollevata in relazione ad analoga fattispecie , che sia già stata decisa in via pregiudiziale '.

 

14 Lo stesso effetto, per quanto riguarda i limiti dell ' obbligo contemplato nell’art . 177, 3° comma, può risultare da una giurisprudenza costante della Corte che, indipendentemente dalla natura dei procedimenti da cui sia stata prodotta, risolva il punto di diritto litigioso, anche in mancanza di una stretta identità fra le materie del contendere.

 

15 Resta comunque inteso che, in tutte queste ipotesi, i giudici nazionali, compresi quelli di cui all ' art . 177 , 3° comma, conservano integralmente la propria libertà di valutare se adire la Corte qualora lo ritengano opportuno.

 

16 Infine, la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata. Prima di giungere a tale conclusione, il giudice nazionale deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte di Giustizia. Solo in presenza di tali condizioni il giudice nazionale può astenersi dal sottoporre la questione alla Corte risolvendola sotto la propria responsabilità.

 

17 Tuttavia, la configurabilità di tale eventualità va valutata in funzione delle caratteristiche del diritto comunitario e delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta.

 

18 Va innanzitutto considerato che le norme comunitarie sono redatte in diverse lingue e che le varie versioni linguistiche fanno fede nella stessa misura: l’interpretazione di una norma comunitaria comporta quindi il raffronto di tali versioni.

 

19 Deve poi osservarsi, anche nel caso di piena concordanza delle versioni linguistiche, che il diritto comunitario impiega una terminologia che gli e propria. D’ altronde, va sottolineato che le nozioni giuridiche non presentano necessariamente lo stesso contenuto nel diritto comunitario e nei vari diritti nazionali.

 

20 Infine, ogni disposizione di diritto comunitario va ricollocata nel proprio contesto e interpretata alla luce dell ' insieme delle disposizioni del suddetto diritto , delle sue finalità, nonchè del suo stadio di evoluzione al momento in cui va data applicazione alla disposizione di cui trattasi.

 

21 Tenuto conto di tutte queste considerazioni, la questione proposta dalla Corte Suprema di Cassazione va cosi risolta: l’art . 177, 3° comma, va interpretato nel senso che una giurisdizione le cui decisioni non sono impugnabili secondo l’ordinamento interno e tenuta, qualora una questione di diritto comunitario si ponga dinanzi ad essa, ad adempiere il suo obbligo di rinvio, salvo che non abbia constatato che la questione non è pertinente, o che la disposizione comunitaria di cui è causa ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi; la configurabilità di tale eventualità va valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto comunitario, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze di giurisprudenza all’interno della Comunità.

 

Decisione relativa alle spese

 

Sulle spese

 

22 Le spese sostenute dal Governo della Repubblica italiana, dal Governo del Regno di Danimarca e dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione.

Nei confronti delle parti nella causa principale, il presente procedimento ha il carattere di un incidente sollevato dinanzi alla Corte Suprema di Cassazione, cui spetta quindi statuire sulle spese.

 

Dispositivo

 

per questi motivi, la Corte,

pronunziandosi sulle questioni ad essa sottoposte della Corte Suprema di Cassazione, con ordinanza 27 marzo 1981, dichiara :

 

l’art. 177 , 3° comma, del Trattato CEE, va interpretato nel senso che una giurisdizione le cui decisioni non sono impugnabili secondo l’ordinamento interno è tenuta, qualora una questione di diritto comunitario si ponga dinanzi ad essa, ad adempiere il suo obbligo di rinvio, salvo che non abbia constatato che la questione non è pertinente, o che la disposizione comunitaria di cui è causa ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi; la configurabilità di tale eventualità va valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto comunitario, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze di giurisprudenza all’interno della Comunità.

 

(Seguono le firme)