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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA VARVARA c. ITALIA

(Ricorso n. 17475/09)

SENTENZA

STRASBURGO

29 ottobre 2013

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

 

Nella causa Varvara c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:

Danutė Jočienė, presidente,

Guido Raimondi,

Dragoljub Popović,

András Sajó,

Işıl Karakaş,

Paulo Pinto de Albuquerque,

Helen Keller, giudici,

e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 1° ottobre 2013,

Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1.  All'origine della causa vi è un ricorso (n. 17475/09) proposto contro la Repubblica italiana con il quale un cittadino di tale Stato, sig. Vincenzo Varvara («il ricorrente»), ha adito la Corte il 23 marzo 2009 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2.  Il ricorrente è stato rappresentato dall’avv. A. Gaito, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente E. Spatafora e dal suo co-agente P. Accardo.

3.  Il ricorrente sostiene che la confisca disposta nei suoi confronti è incompatibile con gli articoli 7 e 6 § 2 della Convenzione nonché con l’articolo 1 del Protocollo n. 1.

4.  Il 21 maggio 2012 il ricorso è stato comunicato al Governo. Come consentito dall’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata contestualmente sulla ricevibilità e sul merito.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5.  Il ricorrente è nato nel 1943 e risiede a Gravina di Puglia.

A.  Il piano di lottizzazione

6.  Il ricorrente, desiderando costruire dei manufatti in prossimità della Foresta di Mercadante, presentò un piano di lottizzazione al comune di Cassano delle Murge. Tale progetto fu approvato dal comune il 31 ottobre 1984. Il 1° marzo 1985 il ricorrente concluse una convenzione di lottizzazione con il comune e ottenne i permessi a costruire per un primo gruppo di edifici.

7.  Il 6 febbraio 1986 fu pubblicato nella Gazzetta Ufficiale un decreto ministeriale del 1° agosto 1985. Questo decreto dichiarava che i terreni situati attorno alla Foresta di Mercadante dovevano essere sottoposti alla tutela paesaggistica di cui alla legge n. 1497/1939 le cui disposizioni prevedevano che i permessi a costruire potevano essere rilasciati soltanto dopo aver ottenuto un’autorizzazione ministeriale.

8.  Il comune di Cassano delle Murge impugnò il decreto ministeriale dinanzi al tribunale amministrativo per la Puglia e, con decisione del 10 marzo 1993, vinse parzialmente la causa. Per effetto di questa decisione (che non è inserita nel fascicolo) i terreni interessati dal progetto del ricorrente non furono più sottoposti ai vincoli paesaggistici.

9.  Peraltro, nel frattempo erano entrate in vigore due leggi. La prima (legge n. 431/1985) aveva attribuito alle regioni la competenza esclusiva a legiferare in materia di tutela paesaggistica. La seconda (legge regionale n. 30/1990) sottoponeva i terreni situati in prossimità dei boschi a vincoli paesaggistici che necessitavano dell’autorizzazione della Regione, ad eccezione dei casi in cui il piano di lottizzazione fosse stato approvato prima del 6 giugno 1990. Per effetto combinato di queste leggi, i piani che dovevano essere approvati dopo questa data dovevano ricevere il parere favorevole del comitato urbanistico regionale.

10.  Nel 1993 il ricorrente presentò al comune di Cassano delle Murge una variante al piano già approvato nel 1984. Dal fascicolo risulta che la variante si era resa necessaria in quanto il piano originale aveva inavvertitamente incluso una zona attraversata da un acquedotto. Occorreva dunque ridurre la superficie del piano di 3.917 metri quadrati. Inoltre, poiché i proprietari dei fondi vicini avevano rinunciato al piano, si era resa necessaria una modifica in particolare per quanto riguarda la redistribuzione dei lotti edificatori. Questa variante fu approvata dal comune di Cassano delle Murge il 30 maggio 1994.

11.  Il 19 agosto 1994 il ricorrente concluse una convenzione di lottizzazione con il comune che gli rilasciò il permesso a costruire.

12.  Il 21 maggio 2007 il comune rilasciò un attestato di conformità alla legislazione in materia paesaggistica di tutte le opere realizzate dal ricorrente prima del 30 settembre 2004.

B.  Il procedimento penale

13.  A carico del ricorrente fu avviato un procedimento penale per lottizzazione abusiva. Il 6 febbraio 1997 i terreni e i manufatti (diciassette immobili contenenti ciascuno quattro alloggi) furono sottoposti a sequestro conservativo.

14.  Con sentenza del 1° giugno 1998, il pretore di Acquaviva delle Fonti rilevò che il ricorrente aveva costruito diciassette manufatti conformemente alla variante approvata nel 1994 e ai permessi a costruire rilasciati dal comune. Tuttavia il giudice ritenne che questa variante non fosse una semplice modifica al piano del 1984, ma che costituisse un nuovo piano di lottizzazione assoggettabile alla normativa nel frattempo entrata in vigore. Dal momento che le norme in questione prevedevano l’obbligo di richiedere e di ottenere il parere favorevole del comitato urbanistico regionale, e che il ricorrente non lo aveva fatto, i permessi a costruire rilasciati dal comune dovevano considerarsi privi di effetto.

La situazione controversa ritornava dunque ad essere una lottizzazione abusiva che aveva comportato il danneggiamento di un sito naturale protetto (articolo 20 lettere a) e c) della legge n. 47/1985; articolo 734 del codice penale). Dopo aver tenuto conto delle circostanze attenuanti, il giudice condannò il ricorrente alla pena condizionalmente sospesa di mesi nove di arresto e al pagamento di una ammenda, disponendo la confisca e l’acquisizione al patrimonio del comune dei terreni abusivamente lottizzati e degli immobili realizzati sugli stessi.

15.  Il ricorrente interpose appello.

16.  Con sentenza del 22 gennaio 2001, la corte d’appello di Bari accolse il ricorso del ricorrente e lo assolse perché il fatto non sussiste. La corte d’appello ritenne che esistesse un solo piano di lottizzazione che era stato autorizzato nel 1984, ossia ben prima dell’entrata in vigore del decreto ministeriale del 1985 e della legge n. 431/1985. Considerò che nel 1994 il ricorrente avesse presentato una modifica non essenziale al progetto già approvato. Pertanto i terreni del ricorrente non erano sottoposti a tutela paesaggistica e non si trattava di un piano di lottizzazione abusivo.

17.  Il procuratore generale e l’avvocato dello Stato proposero ricorso per cassazione.

18.  Con sentenza del 17 maggio 2002, la Corte di cassazione annullò con rinvio la decisione impugnata.

19.  Con sentenza del 5 maggio 2003, la corte d’appello di Bari condannò il ricorrente per lottizzazione abusiva, ritenendo che la variante al piano di lottizzazione costituisse un piano nuovo e autonomo.

20.  Il ricorrente propose ricorso per cassazione.

21.  Con sentenza del 10 dicembre 2004, la Corte di cassazione accolse il ricorso del ricorrente e annullò con rinvio la decisione impugnata.

22.  Con sentenza del 23 marzo 2006, la corte d’appello di Bari dichiarò non luogo a procedere in quanto i reati erano estinti per prescrizione dalla fine del 2002. La corte precisò che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, era obbligatorio infliggere la confisca contestata sia in caso di assoluzione nel merito (ad eccezione della formula il fatto non sussiste) che in caso di prescrizione se il piano di lottizzazione contrastava oggettivamente con alcune norme in materia di assetto del territorio. Ora, essa considerò la variante come un nuovo piano di lottizzazione e pertanto avrebbe dovuto ottenere l’autorizzazione regionale prima che venissero rilasciati i permessi a costruire. Peraltro, la corte d’appello dispose la confisca dei terreni e delle opere costruite sugli stessi ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 47/1985.

23.  Il ricorrente propose ricorso per cassazione.

24.  Con sentenza dell’11 giugno 2008, depositata in cancelleria il 1° ottobre 2008, la Corte di cassazione respinse il ricorso del ricorrente.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

A.  Principi generali di diritto penale

25.  a) L’articolo 27 comma 1 della Costituzione italiana prevede che «la responsabilità penale è personale». La Corte costituzionale ha più volte affermato che non può esserci responsabilità oggettiva in materia penale (si veda, fra altre, Corte costituzionale, sentenza n. 1 del 10 gennaio 1997, e infra, «altri casi di confisca». L’articolo 27 comma 3 della Costituzione prevede che «le pene  … devono tendere alla rieducazione del condannato».

b) L’articolo 25 della Costituzione, ai commi secondo e terzo, prevede che «nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso» e che «nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge».

c) L’articolo 1 del codice penale prevede che «nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite». L’articolo 199 del codice penale, riguardante le misure di sicurezza, prevede che nessuno possa essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti.

d) L’articolo 42, 1° comma, del codice penale prevede che «nessuno può essere punito per una azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà». La stessa regola è stabilita dall’articolo 3 della legge n. 689 del 25 novembre 1989 per quanto riguarda i reati amministrativi.

e) L’articolo 5 del codice penale prevede che «Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale». La Corte costituzionale (sentenza n. 364 del 1988) ha dichiarato che questo principio non si applica quando si tratta di errore inevitabile, di modo che questo articolo deve ormai essere letto come segue: «L’ignoranza della legge penale non scusa tranne che si tratti di ignoranza inevitabile». La Corte costituzionale ha indicato come possibile origine dell’inevitabilità oggettiva dell’errore sulla legge penale «l’assoluta oscurità del testo legislativo», le «assicurazioni erronee» di persone istituzionalmente destinate a giudicare sui fatti da realizzare, lo stato «gravemente caotico» della giurisprudenza.

B.  La confisca

1.  La confisca prevista dal codice penale

26.  Ai sensi dell’articolo 240 del codice penale :

«1° comma: In caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto.

2° comma: É sempre ordinata la confisca:

1. delle cose che costituiscono il prezzo del reato;

2. delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto o la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.

3° comma: Le disposizioni della prima parte e del n. 1 del capoverso precedente non si applicano se la cosa appartiene a persona estranea al reato.

4° comma: La disposizione del n. 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa. »

27.  In quanto misura di sicurezza, la confisca rientra nella previsione dell’articolo 199 del codice penale ai sensi del quale «nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti».

2.  Altri casi di confisca / La giurisprudenza della Corte costituzionale

28.  In materia di dogane e di contrabbando, le disposizioni applicabili prevedono la possibilità di confiscare beni materialmente illeciti, anche se questi ultimi sono detenuti da terzi. Con la sentenza n. 229 del 1974, la Corte costituzionale ha dichiarato l’incompatibilità delle disposizioni pertinenti con la Costituzione (in particolare con l’articolo 27) sulla base del seguente ragionamento:

«Possono, invero, esservi delle cose (…) nelle quali é insita una illiceità oggettiva in senso assoluto, che prescinde, pertanto, dal rapporto col soggetto che ne dispone, e che debbono essere confiscate presso chiunque le detenga a qualsiasi titolo (…).

Perché la confisca obbligatoria delle cose appartenenti a persone estranee al contrabbando non configuri, a carico di queste, una mera responsabilità oggettiva, in base alla quale, per il solo fatto della appartenenza ad essi delle cose coinvolte, subiscano conseguenze patrimoniali in dipendenza dell'illecito finanziario commesso da altri, occorre che sia rilevabile nei loro confronti un quid senza il quale, il reato, pur nella inconsapevolezza di questo, non sarebbe avvenuto o comunque non sarebbe stato agevolato. Occorre, in conclusione, che emerga nei loro confronti almeno un difetto di vigilanza.»

29.  La Corte costituzionale ha ribadito questo principio nelle sentenze n. 1 del 1997 e n. 2 del 1987 in materia di dogane e di esportazione di opere d’arte.

3.  La confisca del caso di specie (articolo 19 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985)

30.  L’articolo 19 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985 prevede la confisca delle opere abusive e dei terreni abusivamente lottizzati quando la sentenza definitiva del giudice penale accerta che vi è stata lottizzazione abusiva. La sentenza penale è immediatamente trascritta nei registri immobiliari.

4.  L’articolo 20 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985

31.  Questa norma prevede sanzioni definite «penali» fra le quali non figura la confisca.

In caso di lottizzazione abusiva - così come viene definita dall’articolo 18 di questa stessa legge - le sanzioni previste sono l’arresto fino a due anni e l’ammenda fino a 100 milioni di lire italiane (circa 51.646 euro).

5.  L’articolo 44 del Testo Unico in materia edilizia (DPR n. 380 del 2001)

32.  Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 6 giugno 2001 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia») ha codificato le norme esistenti soprattutto in materia di diritto a costruire. Al momento della codifica, gli articoli 19 e 20 della legge n. 47 del 1985 di cui sopra sono confluiti in un’unica norma, ossia l’articolo 44 del testo unico, così intitolato:

«Art. 44 (L) – Sanzioni penali

(...)

2. La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite. »

6.  La giurisprudenza relativa alla confisca per lottizzazione abusiva

33.  In un primo tempo i giudici nazionali avevano qualificato la confisca applicabile in caso di lottizzazione abusiva come sanzione penale. Pertanto essa poteva essere applicata soltanto ai beni dell’imputato riconosciuto colpevole del delitto di lottizzazione illegale, conformemente all’articolo 240 del codice penale (Corte di cassazione, Sez. 3, 18 ottobre 1988, Brunotti; 8 maggio 1991, Ligresti; Sezioni Unite, 3 febbraio 1990, Cancilleri).

34.  Con sentenza del 12 novembre 1990, la terza sezione della Corte di cassazione (causa Licastro) dichiarò che la confisca era una sanzione amministrativa e obbligatoria, indipendente dalla condanna in ambito penale. Essa poteva dunque essere ordinata nei confronti di terzi in quanto all’origine della confisca vi è una situazione (una costruzione, una lottizzazione) che deve essere materialmente abusiva, indipendentemente dall’elemento morale. Di conseguenza, la confisca può essere ordinata quando l’autore è assolto in mancanza l’elemento morale perché il fatto non costituisce reato e non può essere ordinata se l’autore è assolto in ragione della non materialità dei fatti perché il fatto non sussiste.

35.  Questa giurisprudenza fu largamente seguita (Corte di cassazione, Sez. 3, sentenza del 16 novembre 1995, Besana; 25 giugno 1999, Negro; 15 maggio 1997 n. 331, Sucato; 23 dicembre 1997 n. 3900, Farano; n. 777 del 6 maggio 1999, Iacoangeli). Con l’ordinanza n. 187 del 1998, la Corte costituzionale ha riconosciuto la natura amministrativa della confisca.

Pur essendo considerata dalla giurisprudenza sanzione amministrativa, la confisca non può essere annullata da un giudice amministrativo, in quanto la competenza in materia spetta unicamente al giudice penale (Corte di cassazione, sez. 3, sentenza 10 novembre 1995, Zandomenighi).

La confisca di beni si giustifica in quanto questi ultimi sono «gli oggetti materiali del reato» In quanto tali, i terreni non sono «pericolosi», ma lo diventano quando mettono in pericolo il potere decisionale che è riservato all’autorità amministrativa (Corte di cassazione, Sez. 3, n. 1298/2000, Petrachi e altri).

Se l’amministrazione regolarizza ex post la lottizzazione, la confisca deve essere revocata (Corte di cassazione, sentenza del 14 dicembre 2000 n. 12999, Lanza, 21 gennaio 2002, n. 1966, Venuti).

Lo scopo della confisca è quello di rendere indisponibile una cosa di cui si presume nota la pericolosità: i terreni oggetto di lottizzazione abusiva e le opere abusivamente costruite. Si evita così di immettere sul mercato immobiliare questo tipo di immobili. Quanto ai terreni si evita di commettere ulteriori reati e non si lascia spazio a eventuali pressioni sugli amministratori locali affinché regolarizzino la situazione (Corte di cassazione, Sez. 3, 8 febbraio 2002, Montalto).

C.  Il diritto interno pertinente successivo alla sentenza Sud Fondi S.r.l. e altri c. Italia, n. 75909/01, 20 gennaio 2009

1.  La Corte costituzionale

36.  Il 9 aprile 2008, nell’ambito di un processo penale che non riguarda il ricorrente, la corte d’appello di Bari - basandosi sulla decisione sulla ricevibilità nella causa Sud Fondi (Sud Fondi srl e altri c. Italia (dec.), n. 75909/01, 30 agosto 2007) – aveva investito la Corte costituzionale della questione sulla legalità della confisca che era stata inflitta automaticamente, anche a prescindere dall’accertamento della responsabilità penale.

Con la sentenza n. 239 del 2009, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale. Nella parte finale del suo ragionamento ha fatto osservare che quando vi è un apparente contrasto fra disposizioni legislative interne e una disposizione della CEDU, anche quale interpretata dalla Corte di Strasburgo, può porsi un dubbio di costituzionalità solo se non si possa anzitutto risolvere il problema in via interpretativa. Spetta pertanto al giudice nazionale interpretare la norma interna compatibilmente con la norma internazionale, entro i limiti nei quali ciò è permesso dai testi delle norme e, qualora ciò non sia possibile, il giudice nazionale può investire la Corte costituzionale delle relative questioni di legittimità costituzionale.

2.  La Corte di cassazione

37.  La Corte di cassazione ha ribadito la sua tesi secondo la quale la confisca in esame è una sanzione di natura amministrativa. Ne deriva che l’applicazione della sanzione è autorizzata anche quando il procedimento penale per lottizzazione abusiva non si conclude con la condanna dell’accusato (Sez. 3, sentenze n. 36844 del 9 luglio 2009 e n. 397153 del 6 ottobre 2010).

38.  Quando il reato di lottizzazione abusiva si estingue per prescrizione in data antecedente all’esercizio dell’azione penale, il giudice che pronuncia il non luogo a procedere non può disporre la confisca oggetto di controversia. Quando la prescrizione interviene dopo l’esercizio dell’azione penale, il giudice che pronuncia il non luogo a procedere può disporre la confisca oggetto di controversia (Sez. 3, sentenza n. 5857 del 2011).

39.  Anche se interviene la prescrizione, il giudice può assolvere l’imputato nel merito se dagli atti risulta evidente che l’imputato non ha commesso il fatto, che il fatto non sussiste, che il fatto non costituisce reato o che non è previsto dalla legge come reato (articolo 129 comma 2 del codice di procedura penale).

3.  La legge n. 102 del 2009

40.  Ai sensi dell’articolo 4ter della legge n. 102 del 3 agosto 2009, fermi restando gli effetti della revoca della confisca dei beni (…) quando la Corte europea dei diritti dell'uomo ha accertato il contrasto della misura della confisca con la Convenzione, la stima degli immobili avviene comunque in base alla destinazione urbanistica attuale e senza tenere conto del valore delle opere abusivamente costruite. Ove sugli immobili confiscati siano stati realizzati interventi di riparazione straordinaria, se ne tiene conto al valore in essere all'atto della restituzione all'avente diritto. Ai medesimi fini si tiene conto delle spese compiute per la demolizione delle opere abusivamente realizzate e per il ripristino dello stato dei luoghi.

D.  Le decisioni al termine di un procedimento penale

41.  La prescrizione è una delle cause per le quali un procedimento può concludersi con un non luogo a procedere. Quando si dichiara non doversi procedere per prescrizione, il reato si estingue e, di conseguenza, non è possibile applicare la pena (Corte costituzionale n. 85 del 2008).

42.  Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione nel merito quando è provata l’innocenza dell’imputato, quando vi è insufficienza di prove o se le prove sono contraddittorie (articolo 530 del codice di procedura penale). Tuttavia, quando interviene la prescrizione, l’articolo 129 comma 2 permette al giudice di assolvere nel merito l’imputato soltanto se dagli atti risulta evidente che l’imputato non ha commesso il fatto, che il fatto non sussiste, che il fatto non costituisce reato o che non è previsto dalla legge come reato (si veda anche il paragrafo 39 supra)

43.  Il giudice pronuncia sentenza di condanna soltanto se l’imputato risulta colpevole del reato al di là di ogni ragionevole dubbio (articolo 533 del codice di procedura penale) e può quindi applicare la pena.

IN DIRITTO

I.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 7 DELLA CONVENZIONE

44.  Il ricorrente denuncia l’illegalità della confisca che ha colpito i suoi beni, in quanto questa sanzione sarebbe stata inflitta senza una sentenza di condanna, e invoca l’articolo 7 della Convenzione, che recita:

«1.  Nessuno può essere condannato per una azione od omissione che, nel momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo la legge nazionale o internazionale. Parimenti non può essere inflitta una pena più grave di quella che sarebbe stata applicata al tempo in cui il reato è stato consumato.

2.  Il presente articolo non vieterà il giudizio o la punizione di una persona colpevole di una azione od omissione che, al momento in cui è stata commessa, era ritenuta crimine secondo i principi generali del diritto riconosciuto dalle nazioni civili.»

A.  Sulla ricevibilità

45.  La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità. Lo dichiara dunque ricevibile.

B.  Sul merito

1.  Argomenti del ricorrente

46.  Il ricorrente lamenta di essere stato oggetto di una sanzione penale che è stata applicata nonostante l’assenza di una condanna, e osserva che in diritto italiano l’azione penale non può essere avviata quando un reato è estinto per prescrizione. Nel caso di specie, secondo il ricorrente già nell’agosto 2001 il reato era prescritto. Tuttavia, l’azione penale è stata proseguita fino al 2008 al solo scopo di poter infliggere una pena.

Il ricorrente fa inoltre notare la discrepanza fra le seguenti situazioni. Normalmente, il giudice deve assolvere l’imputato ogni volta che le prove risultino insufficienti ovvero quando vi siano prove contraddittorie (articolo 530 CPP) o quando l’imputato non può essere ritenuto colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio (articolo 533 CPP). Tuttavia, se il reato è estinto per prescrizione, il giudice può assolvere nel merito soltanto se risulta evidente che l’imputato non ha commesso i fatti o che i fatti non sussistono o che i fatti non costituiscono reato o che non è previsto dalla legge come reato (articolo 129, comma 2 CPP). Vi è quindi inversione dell’onere della prova, dal  momento che il ricorrente ha dovuto cercare di dimostrare la prova della sua innocenza, e questa situazione non è compatibile con le garanzie del processo equo e con la Convenzione.

47.  Tra l’altro, il ricorrente ricorda che il piano di lottizzazione è stato autorizzato dal comune di Cassano delle Murge; che ha edificato in conformità ai permessi a costruire che gli sono stati rilasciati; che ha ricevuto l’assicurazione che il suo progetto era conforme alle norme applicabili. Secondo il ricorrente, il comportamento delle autorità, che hanno inizialmente autorizzato e perfino incoraggiato il progetto di costruzione e che, successivamente, hanno cambiato radicalmente atteggiamento dopo aver permesso la realizzazione dei lavori, è decisamente criticabile. Infine, il ricorrente precisa che il fatto che i suoi vicini abbiano rinunciato al piano di lottizzazione non ha rapporto alcuno con la conformità o meno del progetto stesso al diritto nazionale.

2.  Argomenti del Governo

48.  Il Governo osserva anzitutto che in seguito alla constatazione di violazione rilevata nella sentenza Sud Fondi (Sud Fondi s.r.l. e altri c. Italia, n. 75909/01, 20 gennaio 2009), la Corte costituzionale (sentenza n. 239 del 24 luglio 2009) ha dichiarato che la legge nazionale deve essere interpretata in conformità alla Convenzione e che, secondo i principi affermati nella sentenza Sud Fondi, «la confisca non può derivare automaticamente da un’urbanizzazione abusiva, senza tener conto della responsabilità dei fatti».

Inoltre, la legge n. 102 del 3 agosto 2009 ha disposto la revoca della confisca e dei criteri di indennizzo per coloro che abbiano subito una confisca ingiustificata dal punto di vista della Convenzione.

49.  Il Governo osserva poi che, nel diritto italiano, la confisca controversa è sempre considerata dalle autorità giudiziarie come una sanzione amministrativa, e pertanto il fatto di ordinarla nel caso di specie è compatibile con l’articolo 7 della Convenzione.

A differenza della causa Sud Fondi, nel caso di specie il ricorrente non è stato assolto nel merito ma ha beneficiato di un non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Secondo il Governo, il ricorrente avrebbe potuto rinunciare all’applicazione della prescrizione e chiedere al giudice di decidere ai sensi dell’articolo 129 comma 2 del codice di procedura penale. In ogni caso, il Governo, facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte di cassazione (sentenza n. 5857 del 16 febbraio 2011), fa osservare che nel caso di specie la prescrizione non era intervenuta prima dell’avvio dell’azione penale, il che depone a favore della legalità della sanzione ordinata.

Le opere realizzate contravvenivano obiettivamente a delle norme di legge; sussisteva quindi il reato di urbanizzazione abusiva in quanto il progetto di lottizzazione era abusivo. Secondo il Governo, il ricorrente conosceva l’esistenza dei vincoli paesaggistici. I vicini del ricorrente si sarebbero dissociati dal progetto per non essere coinvolti in una speculazione immobiliare. L’articolo 7 della Convenzione non è stato violato in quanto le norme applicabili erano accessibili e prevedibili. Comportandosi nel modo in cui si è comportato, il ricorrente sapeva di rischiare la confisca dei beni, che quindi era una conseguenza prevedibile.

50.  Nel caso in cui la Corte dovesse concludere per una violazione della Convenzione, il Governo chiede di tener conto di queste tesi ai fini dell’equa soddisfazione.

3.  Valutazione della Corte

a)  Applicabilità dell’articolo 7 della Convenzione

51.  La Corte ricorda che, nella causa Sud Fondi (Sud Fondi s.r.l. e altri c. Italia, decisione sopra citata), ha affermato che la confisca controversa si traduce in una pena, e, pertanto, trova applicazione l’articolo 7 della Convenzione.

b)  Principi applicabili

52.  La garanzia sancita dall’articolo 7, elemento fondamentale della preminenza del diritto, occupa un posto primordiale nel sistema di tutela della Convenzione, come attestato dal fatto che l’articolo 15 non ne autorizza alcuna deroga in tempo di guerra o di altro pericolo pubblico. Come si deduce dal suo oggetto e dal suo scopo, deve essere interpretato ed applicato in modo da garantire un’effettiva tutela da azioni penali, da condanne e da sanzioni arbitrarie (sentenze S.W. c. Regno Unito, 22 novembre 1995, § 34, serie A n. 335 B e C.R. c. Regno Unito del 22 novembre 1995, serie A nn. 335-B e 335-C, § 32).

53.  L’articolo 7 § 1 sancisce in particolare il principio della legalità dei reati e delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege). Esso vieta in particolare di estendere il campo d’applicazione dei reati esistenti a fatti che, in precedenza, non costituivano reati, ordinando inoltre di non applicare la legge penale in maniera estensiva a scapito dell’imputato, per esempio per analogia (vedi, tra le altre, Coëme e altri c. Belgio, nn. 32492/96, 32547/96, 32548/96, 33209/96 e 33210/96, §145, CEDU 2000 VII).

54.  Ne segue che la legge deve definire chiaramente i reati e le pene applicabili (Achour c. Francia [GC], n. 67335/01, § 41, CEDU 2006 IV). Questa condizione è soddisfatta quando la persona sottoposta a giudizio può sapere, a partire dalla formulazione della norma pertinente e, se necessario, con l’aiuto dell’interpretazione data dai tribunali, quali atti e omissioni implichino la sua responsabilità penale.

55.  La nozione di «diritto» («law») usata nell’articolo 7 corrisponde a quella di «legge» che figura in altri articoli della Convenzione; essa comprende il diritto d’origine sia legislativa sia giurisprudenziale e implica delle condizioni qualitative, tra cui quella dell’accessibilità e della prevedibilità (Cantoni c. Francia, 15 novembre 1996, § 29, Recueil des arrêts et des décisions 1996 V; S.W., sopra citata, § 35; Kokkinakis c. Grecia, 25 maggio 1993, §§ 40-42, serie A n. 260 A). Per quanto chiara possa essere la formulazione di una norma legale, in qualunque sistema giuridico, compreso il diritto penale, esiste immancabilmente un elemento di interpretazione giuridica. Sarà sempre necessario delucidare i punti dubbi e adattarsi alle mutate situazioni. Tra l’altro, è saldamente stabilito nella tradizione giuridica degli Stati parte alla Convenzione che la giurisprudenza, in quanto fonte del diritto, contribuisce necessariamente alla progressiva evoluzione del diritto penale. Non si può interpretare l’articolo 7 della Convenzione come una norma che vieta il graduale chiarimento delle norme della responsabilità penale attraverso l’interpretazione giuridica da una causa all’altra, a condizione che il risultato sia coerente con la sostanza del reato e ragionevolmente prevedibile (Streletz, Kessler e Krenz c. Germania [GC], nn. 34044/96, 35532/97 e 44801/98, § 50, CEDU 2001 II).

56.  La portata del concetto di prevedibilità dipende in gran parte dal contenuto del testo di cui si tratta, dell’ambito interessato nonché dal numero e dalla qualità dei suoi destinatari. La prevedibilità di una legge non si contrappone al fatto che la persona interessata sia portata ad avvalersi di consigli illuminati per valutare, a un livello ragionevole nelle circostanze della causa, le conseguenze che possono derivare da un determinato atto. Questo vale in particolare per i professionisti, abituati a dover dare prova di grande prudenza nell’esercizio del loro lavoro. Perciò ci si può aspettare che essi valutino con particolare attenzione i rischi che esso comporta (Pessino c. Francia, n. 40403/02, § 33, 10 ottobre 2006).

57.  Spetta quindi alla Corte assicurarsi che, nel momento in cui un imputato ha commesso l’atto che ha portato all’azione penale e alla condanna, esistesse una norma legale che rendeva l’atto punibile, e che la pena imposta non abbia oltrepassato i limiti fissati da questa norma (Murphy c. Regno Unito, n. 4681/70, decisione della Commissione, 3 e 4 ottobre 1972, Recueil des décisions 43; Coëme e altri, sopra citata, § 145).

c)  L’applicazione di questi principi al caso di specie

58.  La Corte ricorda che nella causa Sud Fondi (Sud Fondi s.r.l. e altri c. Italia sopra citata, §§ 112 e 114), aveva concluso che l’applicazione della confisca malgrado la decisione di assolvere i ricorrenti non aveva una base legale, era arbitraria e violava l’articolo 7 della Convenzione. Era stata pronunciata l’assoluzione in quanto i ricorrenti avevano commesso un errore inevitabile e scusabile nell’interpretare la legge.

59.  Nel caso di specie, il ricorrente ha beneficiato di un non luogo a procedere in quanto il reato di lottizzazione abusiva era estinto per prescrizione ed era stato oggetto di una sanzione, ossia la confisca delle opere costruite e dei terreni interessati dal progetto di lottizzazione controverso. La Corte ha il compito di esaminare se l’applicazione di questa sanzione è compatibile con l’articolo 7 della Convenzione.

60.  Anzitutto, la Corte osserva che ai sensi della norma applicabile (paragrafo 30 supra), la confisca delle opere abusive nonché dei terreni lottizzati abusivamente è autorizzata quando i giudici penali hanno accertato con una «sentenza definitiva» che la lottizzazione è abusiva, ma il testo non precisa che la «sentenza definitiva» deve essere una decisione di condanna.

I giudici nazionali hanno interpretato questa norma nel senso che era possibile applicare la sanzione senza una condanna dal momento in cui hanno ritenuto che si trattasse di una sanzione amministrativa. La Corte nota in proposito che esiste un principio nel diritto nazionale (si veda diritto interno capitoli A. e D.) stando al quale non si può punire un imputato in mancanza di una condanna. In particolare, quando il reato è prescritto, non si può comminare una pena (paragrafo 41, supra). Inoltre, l’interpretazione della norma applicabile da parte dei giudici nazionali è stata fatta a scapito dell’imputato.

61. In secondo luogo, la Corte ha difficoltà a capire come la punizione di un imputato il cui processo non si è concluso con una condanna possa conciliarsi con l’articolo 7 della Convenzione, norma che esplicita il principio di legalità nel diritto penale.

62.  Dato che nessuno può essere riconosciuto colpevole di un reato che non sia previsto dalla legge, e che nessuno può subire una pena che non sia prevista dalla legge, una prima conseguenza è ovviamente il divieto per i giudici nazionali di interpretare in modo estensivo la legge a scapito dell’imputato, altrimenti quest’ultimo potrebbe essere punito per un comportamento non previsto come reato.

63.  Un’altra conseguenza di fondamentale importanza deriva dal principio di legalità nel diritto penale: il divieto di punire una persona se il reato è stato commesso da un’altra.

64.  La Corte ha finora avuto l’opportunità di affrontare questa questione dal punto di vista dell’articolo 6 § 2 della Convenzione.

65.  Nella causa A.P., M.P. e T.P. c. Svizzera, 29 agosto 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997 V), alcuni eredi erano stati puniti per reati commessi dal defunto. La Corte ha ritenuto che la sanzione penale inflitta agli eredi per una frode fiscale attribuita al defunto contrastasse con una regola fondamentale del diritto penale, secondo cui la responsabilità penale non sopravvive all’autore del reato (ibid., § 48). È quanto riconosciuto esplicitamente dal diritto svizzero, e la Corte ha affermato che questa norma è altresì richiesta per la presunzione di innocenza sancita dall’articolo 6 § 2 della Convenzione. Ereditare la colpevolezza del defunto non è compatibile con le norme della giustizia penale in una società in cui vige il principio della preminenza del diritto. Il principio è stato ribadito nella causa Lagardère (Lagardère c. Francia, n. 18851/07, 12 aprile 2012, § 77), in cui la Corte ha ricordato che, per la presunzione di innocenza sancita dall’articolo 6 § 2 della Convenzione, è richiesta anche la norma secondo la quale la responsabilità penale non sopravvive all’autore del reato, ma anche che ereditare la colpevolezza del defunto non è compatibile con le norme della giustizia penale in una società regolata dalla preminenza del diritto.

66. Visto l’accostamento degli articoli 6 § 2 e 7 § 1 della Convenzione (Guzzardi c. Italia, 6 novembre 1980, § 100, serie A n. 39), la Corte ritiene che la norma da lei appena ricordata sia valida anche dal punto di vista dell’articolo 7 della Convenzione, che impone di vietare che nel diritto penale si possa rispondere per un fatto commesso da altri. Infatti, se è vero che ogni persona deve poter stabilire in ogni momento cosa è permesso e cosa è vietato per mezzo di leggi precise e chiare, non si può concepire un sistema che punisca coloro che non sono responsabili, perché il responsabile è stato un terzo.

67.  Non si può neppure concepire un sistema in cui una persona dichiarata innocente o, comunque, senza alcun grado di responsabilità penale constatata in una sentenza di colpevolezza subisca una pena. Si tratta di una terza conseguenza del principio di legalità nel diritto penale: il divieto di comminare una pena senza accertamento di responsabilità, che deriva anch’esso dall’articolo 7 della Convenzione.

68.  Anche questo principio è stato affermato dalla Corte relativamente all’articolo 6 § 2 della Convenzione. Nella causa Geerings (Geerings c. Paesi Bassi, n. 30810/03, § 47, 1. marzo 2007), i tribunali nazionali avevano confiscato i beni dell’interessato in quanto avevano ritenuto che questi avesse tratto profitto dal reato in questione anche se il ricorrente non era mai stato trovato in possesso di beni di cui non era stato in grado di spiegare l’origine. La Corte aveva ritenuto che la confisca dei «benefici ottenuti illecitamente» fosse una misura inadeguata tanto più che l’interessato non era stato dichiarato colpevole del reato e che non era mai stato stabilito che avesse avuto dei benefici dal reato. La Corte aveva ritenuto che questa situazione non potesse essere compatibile con la presunzione di innocenza e aveva concluso con la violazione dell’articolo 6 § 2 della Convenzione.

69.  L’accostamento dell’articolo 5 § 1 a) agli articoli 6 § 2 e 7 § 1 mostra che ai fini della Convenzione non si può avere «condanna» senza che sia legalmente accertato un illecito – penale o, eventualmente, disciplinare (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 68, serie A n. 22; Guzzardi c. Italia, 6 novembre 1980, § 100, serie A n. 39), così come non si può avere una pena senza l’accertamento di una responsabilità personale.

70.  Certo, gli Stati contraenti restano liberi, in linea di principio, di reprimere penalmente un atto compiuto fuori dall’esercizio normale di uno dei diritti tutelati dalla Convenzione e, quindi, di definire gli elementi costitutivi di questo reato: essi possono, in particolare, sempre in linea di principio e ad alcune condizioni, rendere punibile un fatto materiale o oggettivo considerato di per sé, che derivi o meno da un intento criminale o da una negligenza; le rispettive legislazioni ne offrono degli esempi (Salabiaku c. Francia, 7 ottobre 1988, serie A n. 141, § 27). Lo stesso principio è stato affermato in Janosevic c. Svezia (n. 34619/97, 23 luglio 2002, § 68) in cui la Corte ha aggiunto che «la mancanza di elementi soggettivi non priva necessariamente un reato della sua natura penale; in realtà, le legislazioni degli Stati contraenti offrono esempi di reati basati unicamente su elementi oggettivi». L’articolo 7 della Convenzione non richiede espressamente un «nesso psicologico» o «intellettuale» o «morale» tra l’elemento materiale del reato e la persona che ne è ritenuta l’autore. Tra l’altro, la Corte ha recentemente concluso per la non violazione dell’articolo 7 in un caso in cui era stata inflitta una multa a una parte ricorrente che aveva commesso un reato senza dolo o colpa (Valico S.r.l. c. Italia (dec.), n. 70074/01, CEDU 2006 III). L’accertamento di responsabilità era sufficiente per giustificare l’applicazione della sanzione.

71.  La logica della «pena» e della «punizione», e la nozione di «guilty» (nella versione inglese) e la corrispondente nozione di «persona colpevole» (nella versione francese), depongono a favore di un’interpretazione dell’articolo 7 che esige, per punire, una dichiarazione di responsabilità da parte dei giudici nazionali, che possa permettere di addebitare il reato e di comminare la pena al suo autore. In mancanza di ciò, la punizione non avrebbe senso (Sud Fondi e altri, sopra citata, § 116). Sarebbe infatti incoerente esigere, da una parte, una base legale accessibile e prevedibile e permettere, dall’altra, una punizione quando, come nel caso di specie, la persona interessata non è stata condannata.

72.  Nella presente causa, la sanzione penale inflitta al ricorrente, quando il reato era estinto e la sua responsabilità non era stata accertata con una sentenza di condanna, contrasta con i principi di legalità penale appena esposti dalla Corte e che sono parte integrante del principio di legalità che l’articolo 7 della Convenzione impone di rispettare. La sanzione controversa non è quindi prevista dalla legge ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione ed è arbitraria.

73.  Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 7 della Convenzione.

II.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 2 DELLA CONVENZIONE

74.  Il ricorrente sostiene che la confisca disposta nei suoi confronti nonostante la decisione di non luogo a procedere ha violato il principio della presunzione di innocenza, come previsto dall’articolo 6 § 2 della Convenzione, così formulato:

«2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.»

75.  Il Governo contesta questa tesi.

76.  La Corte rileva che questo motivo di ricorso è legato a quello esaminato sopra e dunque anch’esso deve essere dichiarato ricevibile.

77.  Essa nota poi che questo motivo di ricorso è strettamente legato ai fatti che l’hanno indotta a concludere per una violazione dell’articolo 7 della Convenzione. In queste condizioni, la Corte ritiene che non si debba esaminare separatamente il motivo di ricorso relativo alla violazione di questa disposizione.

III.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1

78.  Il ricorrente denuncia l’illegalità nonché il carattere sproporzionato della confisca disposta sui suoi beni e deduce violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 che, nella sua parte pertinente, dispone:

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale.»

79.  Il Governo contesta questa tesi.

A.  Sulla ricevibilità

80.  La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione. La Corte rileva peraltro che esso non incorre in altri motivi di irricevibilità. Lo dichiara dunque ricevibile.

B.  Sul merito

1.  Tesi delle parti

81.  Il ricorrente richiama essenzialmente gli argomenti sollevati relativamente all’articolo 7 e chiede alla Corte di concludere per la violazione di questa disposizione. Egli osserva inoltre che la sanzione in causa è sproporzionata, dal momento che il 90% dei terreni confiscati non sono edificati.

82.  Il Governo contesta questa tesi. Secondo lui, le condizioni di legalità e di proporzionalità sono rispettate, visto che lo scopo dissuasivo della confisca la rende proporzionata anche se riguarda tutto il territorio circostante e non soltanto i manufatti costruiti. Il Governo chiede alla Corte di tener conto di questi argomenti ai fini dell’equa soddisfazione nel caso in cui dovesse concludere per una violazione della Convezione.

2.  Valutazione della Corte

a)  Sull’applicabilità dell’articolo 1 del Protocollo n. 1

83.  Come dichiarato dalla Corte nella causa Sud Fondi (sopra citata, §§ 125, 129), la confisca dei terreni e dei manufatti in contestazione, di cui i ricorrenti erano proprietari, ha costituito una ingerenza nel godimento del loro diritto al rispetto dei beni. Occorre concludere che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 è applicabile. Rimane da stabilire se questa situazione ricada sotto la prima o la seconda norma di questa disposizione. L’articolo 1 del Protocollo n. 1 contiene tre norme distinte: la prima, che si esprime nella prima frase del primo comma ed è di carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, che figura nella seconda frase dello stesso comma, riguarda la privazione di proprietà e la sottopone ad alcune condizioni; quanto alla terza, inserita nel secondo comma, essa riconosce agli Stati il potere, tra altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale. Non per questo si tratta di regole prive di rapporto tra loro. La seconda e la terza riguardano particolari esempi di violazioni del diritto di proprietà; pertanto, esse devono essere interpretate alla luce del principio sancito dalla prima (si vedano, tra altre, James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 37, serie A n. 98, e Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 55, CEDU 1999-II).

Nella causa Sud Fondi (sopra citata §§ 128-129), la Corte ha dichiarato:

«128. La Corte osserva che la presente causa si distingue dalla causa Agosi c. Regno Unito (sentenza del 24 ottobre 1986, serie A n.108), in cui la confisca è stata disposta nei confronti di beni che costituivano l’oggetto del reato (objectum sceleris), a seguito della condanna degli imputati, perché nella fattispecie, invece, la confisca è stata disposta a seguito di una assoluzione. Per lo stesso motivo, la presente causa si distingue da C.M. c. Francia ([dec.], n. 28078/95, CEDU 2001 VII) o da Air Canada c. Regno Unito (sentenza del 5 maggio 1995, serie A n. 316 A), in cui la confisca, ordinata dopo la condanna degli imputati, aveva colpito dei beni che costituivano l’instrumentum sceleris e che si trovavano in possesso di terzi. Per quanto riguarda i proventi di un’attività criminale (productum sceleris), la Corte ricorda di aver esaminato una causa in cui la confisca aveva seguito la condanna del ricorrente (si veda Phillips c Regno Unito, n. 41087/98, §§ 9-18, CEDU 2001-VII) nonché alcune cause in cui la confisca era stata disposta indipendentemente dall’esistenza di un procedimento penale, poiché il patrimonio dei ricorrenti era presumibilmente di origine illecita (si vedano Riela e altri c. Italia (dec.), n. 52439/99, 4 settembre 2001; Arcuri e altri c. Italia (dec.), n. 52024/99, 5 luglio 2001; Raimondo c. Italia, 22 febbraio 1994, Serie A n. 281-A, § 29) o veniva presumibilmente utilizzato per attività illecite (Butler c. Regno Unito (dec.), n. 41661/98, 27 giugno 2002). Nella prima causa sopra citata, la Corte ha dichiarato che la confisca costituiva una pena ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (Phillips, sentenza sopra citata, § 51, e, mutatis mutandis, Welch c. Regno Unito, 9 febbraio 1995, serie A n. 307-A, § 35), mentre nelle altre cause ha affermato che si trattava della regolamentazione dell’uso dei beni.

129. Nella presente causa, la Corte ritiene che non sia necessario determinare se la confisca ricada nella prima o nella seconda categoria, poiché in ogni caso è applicabile il secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (Frizen c. Russia, n. 58254/00, § 31, 24 marzo 2005).»

Come nella causa Sud Fondi (sopra citata, § 129), la Corte ritiene che non sia necessario stabilire se la confisca ricada nella prima o nella seconda categoria, perché in tutti i casi è applicabile il secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

b)  Sull’osservanza dell’articolo 1 del Protocollo n. 1

84.  La Corte rammenta che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 esige, prima di tutto e soprattutto, che una ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni sia legale: la seconda frase del primo comma di questo articolo autorizza una privazione della proprietà soltanto «nelle condizioni previste dalla legge»; il secondo comma riconosce agli Stati il diritto di regolamentare l’uso dei beni mettendo in vigore delle «leggi». Inoltre, la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, è intrinseco in tutti gli articoli della Convenzione (Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 58, CEDU 1999 II; Amuur c. Francia, 25 giugno 1996, § 50, Recueil 1996 III). Ne consegue che la necessità di verificare che sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 69, serie A n. 52; Ex-re di Grecia e altri c. Grecia [GC], n. 25701/94, § 89, CEDU 2000 XII) può farsi sentire soltanto se risulta che l’ingerenza contestata abbia rispettato il principio di legalità e non fosse arbitraria.

85.  La Corte ha appena constatato che il reato in relazione al quale è stata ordinata la confisca dei beni del ricorrente non era previsto dalla legge nel senso dell’articolo 7 della Convenzione ed era arbitrario (paragrafi 72-73 supra). Questa conclusione la induce a dichiarare che l’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni del ricorrente era contraria al principio di legalità ed era arbitraria e che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. Questa conclusione esonera la Corte dal verificare se vi sia stata rottura del giusto equilibrio.

IV.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

86.  Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A.  Danno

87.  Il ricorrente chiede la restituzione dei beni confiscati più la somma di 500.000 euro (EUR) a titolo di indennizzo per il deterioramento delle opere. Chiede, inoltre, il versamento di 250.000 EUR per il danno morale.

88.  Il Governo si oppone alla concessione di qualsiasi somma perché ritiene che il ricorso non ponga alcun problema rispetto alla Convenzione. Nel caso in cui la Corte concludesse per una violazione, chiede che, ai fini dell’equa soddisfazione, si tenga conto del fatto che il ricorrente non è stato assolto nel merito.

89.  La Corte ritiene che, nelle circostanze del caso, la questione dell’articolo 41 non sia matura per la decisione sul danno materiale, vista la complessità della causa e l’eventualità che le parti trovino una forma di riparazione a livello nazionale. Pertanto, questa questione deve essere riservata e la procedura successiva deve essere fissata tenendo conto di un eventuale accordo tra lo Stato convenuto e il ricorrente (articolo 75 § 1 del regolamento).

90.  Trattandosi di danno morale, la Corte, decidendo in via equitativa, accorda 10.000 EUR al ricorrente.

B.  Spese

91.  Il ricorrente non chiede il rimborso delle spese sostenute fino a questa fase della procedura. In tali circostanze, la Corte ritiene che al ricorrente non debba essere versata alcuna somma per questo capo.

C.  Interessi moratori

92.  La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

1.    Dichiara, all’unanimità, il ricorso ricevibile;

2.    Dichiara, con sei voti contro uno, che vi è stata violazione dell’articolo 7 della Convenzione;

3.    Dichiara, all’unanimità, che il motivo di ricorso relativo all’articolo 6 § 2 della Convenzione non deve essere esaminato;

4.    Dichiara, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione;

5.    Dichiara all’unanimità,

a.    che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, la somma di 10.000 EUR (diecimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;

b.    che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;

6.    Dichiara, all’unanimità, che la questione dell’articolo 41 della Convenzione non è matura per la decisione sul danno materiale; di conseguenza:

a.    riserva questa questione;

b.    invita il Governo e il ricorrente a informarla, entro sei mesi, degli accordi eventualmente raggiunti;

c.    riserva la procedura e delega al presidente l’eventuale onere di fissarla;

7.    Rigetta, all’unanimità, la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 29 ottobre 2013, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

 

Danutė Jočienė

Presidente

Stanley Naismith

Cancelliere  

 

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione separata del giudice Pinto de Albuquerque.

D.J.

S.H.N.

OPINIONE IN PARTE CONCORDANTE, IN PARTE DISSENZIENTE DEL GIUDICE PINTO DE ALBUQUERQUE

Nella causa Varvara, la Corte ha nuovamente esaminato il caso di una confisca non fondata su alcuna condanna pronunciata all’esito di un procedimento penale. Se nella causa Sud Fondi srl e altri la confisca era stata disposta a carico delle società ricorrenti, che erano persone estranee rispetto agli imputati nel procedimento penale al termine del quale questi ultimi erano stati assolti in quanto non potevano essere loro addebitate né colpa né intenzione nel commettere i reati e avevano commesso un «errore inevitabile e scusabile» nell’interpretare disposizioni regionali  «oscure e mal formulate»[1], nella presente causa era il ricorrente stesso ad essere imputato in un procedimento penale nel quale è stato pronunciato un non luogo a procedere per prescrizione. Considerate le incertezze nella giurisprudenza della Corte sulla questione di principio relativa alla compatibilità con la Convenzione  europea dei diritti dell’uomo («la Convenzione») dei regimi di confisca senza condanna penale e di confisca estesa, la presente causa avrebbe potuto consentire alla Corte di chiarire le condizioni e le modalità di questo fondamentale strumento della politica penale contemporanea, tenendo conto degli sviluppi del diritto internazionale dei diritti dell’uomo, del diritto penale internazionale, del diritto penale comparato e del diritto dell’Unione europea. La camera ha scelto di non farlo. Ed è esattamente questo che mi propongo di fare in questa opinione, in attesa dell’urgente intervento chiarificatore della Grande Camera. Saranno così messe in evidenza le ragioni per le quali io non condivido la constatazione di violazione dell’articolo 7 della Convenzione, pur approvando la constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 ed il non luogo a deliberare in relazione all’articolo 6 § 2.

L’obbligo internazionale di confisca degli strumenti e dei proventi di reato

Il diritto internazionale riconosce da tempo l’importanza capitale della confisca come misura di lotta alle forme più gravi di criminalità, come ad esempio il traffico di stupefacenti, il terrorismo, la criminalità transnazionale organizzata e la corruzione.

L’articolo 37 della Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961, modificata dal Protocollo del 1972, prevede la confisca di tutti gli stupefacenti, di tutte le sostanze (obiectum sceleris) e di tutti i materiali utilizzati per commettere uno dei reati previsti dall’articolo 36 o destinati a commettere tale reato (instrumentum sceleris). L’articolo 22 (3) della Convenzione sulle sostanze psicotrope del 1971 riprende questa disposizione. L’articolo 5 della Convenzione delle Nazioni Unite del 1988 contro il traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope estende la confisca al di là di stupefacenti, sostanze psicotrope, materiali e attrezzature o altri strumenti utilizzati o destinati ad essere utilizzati in qualche maniera nel commettere i reati previsti dal paragrafo 1 dell’articolo 3 della suddetta Convenzione, per includere i proventi ottenuti dai reati citati nel suddetto paragrafo ovvero i beni il cui valore corrisponde a quello dei citati proventi (productum sceleris). I redditi o gli altri vantaggi tratti da questo provento di reato, i beni nei quali il provento è stato trasformato o convertito ovvero i beni ai quali è stato unito possono anch’essi essere oggetto di confisca, fatto salvo il caso di violazione dei diritti di terzi di buona fede. L’onere della prova dell’origine lecita del presunto provento di reato o di altri beni confiscabili può essere posto a carico del convenuto[2]. Questo regime di confisca è stato ripreso in diverse altre disposizioni internazionali vincolanti, quali gli articoli 77 (2) (b), 93 (1) (k), e 109 (1) dello Statuto di Roma del 1998 della Corte Penale Internazionale[3], l’articolo 8 della Convenzione internazionale del 1999 per la repressione del finanziamento del terrorismo[4], l’articolo 12 della Convenzione delle Nazioni Unite del 2000 contro la criminalità organizzata transnazionale[5], l’articolo 31 della Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione[6], e l’articolo 16 della Convenzione dell’Unione africana del 2003 sulla prevenzione e la lotta alla corruzione[7].

In Europa, la regola internazionale in materia di confisca è ben radicata. Nell’ambito del Consiglio d’Europa, gli articoli 2 e 13 della Convenzione del Consiglio d’Europa del 1990 sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, prevedevano già la confisca degli strumenti e dei proventi di reato, la confisca di valori corrispondenti e la confisca senza condanna penale[8]. Gli articoli 5 e 23 della convenzione del 2005 sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo hanno precisato le disposizioni precedenti[9].

L’attuale quadro giuridico dell’Unione Europea in materia di confisca degli strumenti e dei proventi di reato è costituito da più testi: la decisione-quadro 2001/500/JAI, che obbliga gli Stati membri a non formulare né mantenere alcuna riserva sulle disposizioni della convenzione del Consiglio d’Europa in materia di confisca quando il reato è punito con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza di durata massima superiore a un anno, ad autorizzare la confisca per un valore corrispondente ai proventi di reato quando i proventi diretti del reato non possono essere rintracciati e a vigilare affinché le richieste presentate dagli altri Stati membri siano trattate con lo stesso grado di priorità accordato alle procedure nazionali[10]; la decisione-quadro 2003/577/JAI, che prevede il reciproco riconoscimento delle decisioni di blocco; la decisione-quadro 2005/212/JAI, che prevede la confisca ordinaria, compresa la confisca per un valore corrispondente, per tutti i reati punibili con una pena privativa della libertà della durata massima superiore ad un anno e la confisca di tutta o parte dei beni detenuti da una persona riconosciuta colpevole di alcuni reati gravi, quando sono «commessi nel quadro di una organizzazione criminale», senza stabilire una relazione tra gli averi che si presume abbiano un’origine criminale e un reato preciso; la decisione-quadro 2006/783/JAI, che prevede il riconoscimento reciproco delle decisioni di confisca; e la decisione 2007/845/JAI del Consiglio relativa alla cooperazione tra gli uffici di recupero dei beni degli Stati membri[11].

Infine, una solida opinio iuris in favore di norme internazionali in materia di confisca di strumenti e proventi di reato si è sviluppata con l’adozione da parte di molte organizzazioni internazionali di raccomandazioni e di guide delle migliori prassi, come ad esempio la raccomandazione n. 3 del Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI) dell’OCSE, rivista nel febbraio 2012[12]. Il GAFI ha suggerito che gli Stati adottino misure simili a quelle indicate nelle convenzioni di Vienna e di Palermo, comprese quelle di natura legislativa, di modo che le loro autorità competenti possano confiscare i beni riciclati, i proventi derivanti dal riciclaggio di capitali o dai reati sottostanti, nonché gli strumenti utilizzati o destinati ad essere utilizzati per commettere questi reati o beni il cui valore corrisponda a questi proventi, senza pregiudizio per i terzi di buona fede. Secondo il GAFI, gli Stati possono prevedere di adottare misure che permettano la confisca di siffatti prodotti o strumenti senza che sia intervenuta una condanna penale o che obblighino il presunto autore del reato a fornire la prova dell’origine lecita dei beni che si presumono confiscabili, nella misura in cui tale obbligo sia conforme ai principi del loro diritto interno. La terza delle nove raccomandazioni speciali del GAFI sul finanziamento del terrorismo rafforza questa proposta per quanto riguarda il blocco e la confisca dei beni dei terroristi.

È inevitabile concludere, in merito alla prassi costante e quasi universale degli Stati e dell’opinio iuris sopra citata, che esiste oggi una norma consuetudinaria internazionale in materia di confisca di strumenti e proventi di reato, che comprende le sei seguenti tipologie: confisca degli strumenti utilizzati nel momento in cui è commesso il reato o destinati a quest’ultimo, confisca dei proventi di reato, confisca del loro valore equivalente, confisca dei proventi trasformati o uniti ad altri beni, confisca degli introiti e degli altri vantaggi indiretti[13] e protezione del terzo di buona fede[14]. L’obbligo di confiscare strumenti e proventi di reato, secondo le ampie modalità descritte, riguarda il numero più elevato possibile di reati e, almeno, quelli creati conformemente alle convenzioni sopra menzionate. Questa norma universale in materia di confisca di strumenti e proventi di reato costituisce una soglia minima e gli Stati hanno la facoltà di andare oltre nella loro legislazione interna.

La confisca di strumenti e proventi di reato nella giurisprudenza della Corte

La Corte ha sino ad oggi evitato di pronunciarsi sulla questione di principio della compatibilità con la Convenzione dei regimi di confisca senza condanna penale e di confisca estesa. Spesso le questioni che si ponevano sono state decise sulla base di aspetti secondari del regime legale della misura applicata dallo Stato convenuto, addirittura di fatti molto particolari di ogni caso di specie, come l’ammontare dei beni perduti dal ricorrente. Questo approccio casistico ha dato origine ad una giurisprudenza contraddittoria e incoerente.

Secondo la Corte, non beneficia delle garanzie previste dagli articoli 6 §§ 2-3 e 7 della Convenzione e dall’articolo 4 del Protocollo n. 7 la confisca, prevista dall’articolo 2 ter della legge italiana n. 575/1965 (oggi articolo 24 del codice antimafia introdotto con il decreto legislativo del 6 settembre 2011 n. 159), di beni appartenenti direttamente o indirettamente ad ogni persona sospettata di partecipare ad una associazione di stampo mafioso, quando il valore di questi beni sembra sproporzionato rispetto agli introiti o alle attività economiche di questa persona o quando è possibile ragionevolmente affermare, in base alle prove di cui si dispone, che questi beni costituiscono il provento di attività illecite, se non è apportata nessuna spiegazione soddisfacente a sostegno della loro origine lecita[15]. Lo stesso dicasi per la confisca in un procedimento civile in rem[16]. In questo stesso senso, la Corte ritiene che le misure di confisca possono essere applicate ai terzi a seguito della condanna dell’accusato in un procedimento penale o anche dopo la morte di costui. Essa esamina tuttavia la compatibilità di siffatte misure con l’elemento civile dell’articolo 6 e con l’articolo 1 del Protocollo n. 1[17]. Infine, essa ammette anche l’applicazione delle misure di confisca agli accusati assolti o prosciolti per ragioni diverse dall’assoluzione all’esito di un procedimento penale[18], come pure nell’ambito della fase consecutiva alla condanna che è parte integrante dell’iter per la determinazione della pena[19].

Al contrario, la Corte ritiene parallelamente che la confisca prevista dall’articolo 19 della legge n. 47 del 1985 benefici delle garanzie dell’articolo 7 della Convenzione[20]. Come si vedrà, l’applicazione di questa misura risponde a condizioni molto più rigorose della confisca del regime antimafia. Nel contesto di una confisca di valore corrispondente in Grecia, la Corte non ha potuto cogliere la portata dei termini utilizzati, che operavano una distinzione, secondo lei artificiale, tra una constatazione di colpevolezza e una constatazione di perpetrazione «oggettiva» di un reato come base di un ordine di confisca, ed ha concluso per una violazione dell’articolo 6 § 2 della Convenzione[21]. In un’altra causa, essa è giunta alla conclusione che la confisca era una «misura non appropriata per dei beni di cui non si sapeva se fossero mai stati nel possesso della persona interessata, a fortiori se la misura in causa si riferiva a un atto delittuoso di cui la persona in questione non era stata in realtà riconosciuta colpevole», poiché l’articolo 6 § 2 vietava siffatta misura[22].

Così, al di là delle contraddizioni tre le cause aventi ad oggetto misure sostanzialmente della stessa natura, la Corte accorda garanzie più deboli ad alcune misure di confisca più gravi, addirittura più intrusive, e garanzie più forti a misure di confisca meno gravi. Alcune misure «civili» e certe misure di «prevenzione penale» che nascondono una vera misura di annientamento delle capacità economiche degli imputati, talvolta sotto la minaccia della detenzione in caso di mancato pagamento della somma dovuta, sono sottoposte ad un controllo debole e vago, sfuggono addirittura al controllo della Corte, mentre alcune misure di natura intrinsecamente ammnistrativa sono talvolta assimilate a pene e sottoposte al controllo più rigoroso degli articoli 6 e 7 della Convenzione.[23]

La natura della confisca per lottizzazione abusiva

Con sentenza del 12 novembre 1990, la Corte di cassazione italiana dichiarò che la confisca prevista dall’articolo 19 della legge n. 47 del 1985 era una sanzione amministrativa e obbligatoria, indipendente dalla condanna penale e dall’elemento morale del reato[24]. Essa ritenne che questa misura potesse dunque essere applicata nei confronti di terzi in quanto all’origine della confisca vi era una situazione - in questo caso un manufatto o una lottizzazione o entrambi - che era materialmente abusiva, indipendentemente dall’elemento morale. Di conseguenza, a suo parere, la confisca poteva essere disposta in caso di proscioglimento dell’accusato perché il fatto non costituisce reato, ma non poteva esserlo in casi di proscioglimento dell’accusato perché il fatto non sussiste.

La Corte di cassazione introdusse due eccezioni significative a questo principio, la prima è quella dei terzi di buona fede che non hanno preso parte alla commissione dei fatti[25] e la seconda quella della prescrizione del reato di lottizzazione abusiva intervenuta prima dell’avvio dell’azione penale[26]. In questi casi, a suo parere, la confisca era esclusa.

Nella causa Sud Fondi, la Corte ha deciso diversamente. Essa ha ritenuto che la misura prevista dall’articolo 19 della legge n. 47 del 1985 non tendesse alla riparazione pecuniaria di un danno, ma mirasse essenzialmente a punire per impedire che venissero nuovamente violate le condizioni fissate dalla legge. Questa conclusione era rafforzata secondo lei dalla constatazione che la confisca aveva colpito l’85% dei terreni non edificati, senza dunque che vi fosse stata una effettiva violazione in materia paesaggistica. La Corte ha rilevato la gravità della sanzione concreta che riguardava tutti i terreni inclusi nel progetto di lottizzazione, che in pratica rappresentavano una superfici di 50.000 m2. Essa ha sottolineato inoltre che il testo unico in materia edilizia del 2001 classificava tra le sanzioni penali la confisca per lottizzazione abusiva.

Classificare la confisca tra le « pene» è molto discutibile, dal punto di vista sia dei criteri della dogmatica penale classica che dei criteri, tratti dalla giurisprudenza Engel¸ di qualificazione giuridica del reato nel diritto della Convenzione. La legge nazionale non è chiara in quanto gli articoli 19 e 20 della legge n. 47 del 1985 non menzionano la confisca come sanzione penale, contrariamente all’articolo 44 del testo unico in materia edilizia (DPR n. 380 del 2011), che ha dato una nuova formulazione degli articoli di cui sopra. Dal momento che la confisca si prefigge di contrastare la speculazione immobiliare non rispettosa dell’assetto territoriale e della tutela ambientale, il suo carattere preventivo è evidente. La sua presunta natura «repressiva» e «punitiva» non lo è altrettanto. Per giustificare questo scopo «punitivo» non è sufficiente fare affidamento sulle percentuali dei terreni non edificati confiscati e ancor meno sulla superficie dei terreni confiscati. La gravità concreta di una sanzione penale non può che confermarne la natura penale, ma non può sostituirla. La natura «penale» della confisca non può dipendere dalla sua gravità concreta. Piuttosto è il regime legale della confisca, come stabilito dalla legge e interpretato e applicato dalla giurisprudenza, a dover condurre a una conclusione sulla sua natura. Per evitare la frode delle etichette, così ricorrente in questo campo, occorre richiamare alla mente la saggezza di Celso: scire leges non hoc est: verba earum tenere, sed vim ac potestatem (conoscere le leggi non è tenerne a mente le parole, ma lo spirito e la forza).

Questo scopo «punitivo» è contraddetto dal fatto che i beni confiscati in virtù dell’articolo 19 della legge n. 47 del 1985 sono acquisiti non al patrimonio dello Stato, come nel caso della confisca penale prevista dall’articolo 240 del codice penale, ma degli enti locali e la confisca può essere revocata se l’amministrazione regolarizza ex post facto la lottizzazione[27]. Nel diritto penale moderno, una pena non può essere revocata da un atto retroattivo dell’amministrazione. Il principio della separazione dei poteri lo vieterebbe. Se l’amministrazione può sanare la lottizzazione successivamente ad una decisione giudiziaria definitiva di confisca e revocare questa misura, occorre concludere che il giudice penale che emette questa decisione non ha l’ultima parola per quanto riguarda la legalità della lottizzazione. Così la confisca disciplinata dall’articolo 19 della legge n. 47 del 1985 è precisamente una misura provvisoria e conservativa volta a fronteggiare il pericolo di una speculazione immobiliare non conforme alle prescrizioni legali e amministrative fino a che l’organo competente dell’amministrazione non decida definitivamente sulla legalità della lottizzazione. In altre parole, il giudice penale si sostituisce, provvisoriamente, all’amministrazione in funzione di supplenza nel ruolo di garante dell’interesse pubblico in materia di assetto territoriale e di tutela dell’ambiente. Questa conclusione è confermata da altri aspetti importanti del regime legale: la procedura penale non ha un effetto sospensivo sulla procedura amministrativa[28] e l’amministrazione può anche evitare la pronuncia di una confisca da parte del giudice penale prima che questa misura passi in giudicato se autorizza ex post facto l’intervento di lottizzazione o modifica il piano di assetto territoriale in modo da rendere edificabili i terreni già lottizzati[29] e, inoltre, essa può sanare i manufatti costruiti senza autorizzazione se sono conformi alle norme urbanistiche vigenti alla data in cui decide sulla domanda di condono, anche se non lo sarebbero state con le norme vigenti alla data di realizzazione del manufatto abusivo[30]. È necessario concludere da tutti questi aspetti del regime legale che la confisca per lottizzazione abusiva è di natura amministrativa e non dipende dalla verifica dell’esistenza delle condizioni oggettive (actus reus) e soggettive (mens rea) di applicazione delle «pene» alla data dei fatti, nonostante siano pronunciate da un tribunale penale all’esito di un procedimento penale. La nozione costituzionale di «funzione sociale della proprietà» non è estranea al modo in cui è articolata la confisca amministrativa[31].

Così, dal punto di vista della Convenzione, la confisca per lottizzazione abusiva può essere considerata come una «violazione» del diritto di proprietà «necessaria per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale», la cui legittimità deve essere valutata dal punto di vista dei criteri della legalità e della proporzionalità dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, ma certamente non come una «pena» sottoposta alle condizioni dell’articolo 7 della Convenzione[32].

La legalità della confisca per lottizzazione abusiva

La base legale della confisca disposta dalle autorità giudiziarie italiane non è in contestazione: si tratta dell’articolo 19 della legge n. 47 del 1985[33]. Sono piuttosto le modalità di applicazione della misura ad essere al centro della controversia tra le parti. Da un lato il governo sostiene che gli elementi oggettivi e soggettivi del reato di urbanizzazione abusiva erano costituiti tenuto conto che esistevano vincoli paesaggistici, come risulterebbe dalla decisione del tribunale amministrativo della Puglia del 10 marzo 1993, dall’assenza di un piano di urbanizzazione legittimo e dal fatto che il ricorrente sarebbe stato pienamente consapevole dei due elementi precedenti. Dall’altro lato, il ricorrente sostiene che la decisione del tribunale amministrativo aveva reso inoperante il decreto ministeriale del 1° agosto 1985 e, pertanto, aveva privato di base giuridica la decisione di confisca emessa dal giudice penale.

È opportuno ricordare che il capo di accusa nel caso del ricorrente considerava che la variante approvata nel 1994 al piano di lottizzazione, già approvato nel 1984, non sarebbe stata una semplice modifica del progetto del 1984, ma un nuovo progetto, sottoposto all’obbligo di richiedere e ottenere un parere favorevole del comitato urbanistico regionale competente in materia urbanistica. In assenza di un nuovo piano di lottizzazione e di detto parere favorevole, il tribunale di primo grado dichiarò la lottizzazione abusiva, ravvisando in ciò una violazione del decreto ministeriale del 1° agosto 1985. Questo capo di accusa non fu contestato né dalla corte di appello di Bari nella sentenza del 22 gennaio 2001[34], né dalla Corte di cassazione nella sua sentenza del 10 dicembre 2004[35], ma fu preso in considerazione dalla corte di appello di Bari nella sentenza del 5 maggio 2003 e dalla Corte di cassazione nella sentenza del 17 maggio 2002. Infine, nella sentenza del 23 marzo 2006, la corte d’appello di Bari vide nella variante una nuova lottizzazione e, pertanto, una lottizzazione abusiva. In conclusione, essa dispose la confisca dei manufatti e dei terreni edificati e non edificati. La Corte di cassazione confermò questo ragionamento nella sentenza dell’11 giugno 2008. Di per sé, le profonde divergenze tra le diverse autorità giudiziarie nazionali dimostrano il carattere discutibile dell’interpretazione alla fine adottata in merito alla natura della convenzione di lottizzazione conclusa nell’agosto 1994 e dei relativi permessi a costruire e, pertanto, del reato ascritto al ricorrente. Inoltre, il comune di Cassano delle Murge dichiarò le opere costruite dal ricorrente prima del 30 settembre 2004 conformi alla legislazione in materia paesaggistica e la Soprintendenza per i Beni Ambientali concluse anche, dopo un sopralluogo, che «l’intervento edificatorio posto in essere non abbia comportato specifico pregiudizio all’integrità complessiva dell’area boscata»[36]. Ad ogni modo, anche concedendo allo Stato convenuto il beneficio del dubbio sul carattere «naturale» della Foresta di Mercadante, sulla natura «essenziale»della modifica apportata al progetto iniziale e, pertanto, sulla illegalità della convenzione di lottizzazione conclusa nell’agosto 1994, nonché sulla legalità della confisca che ne conseguì, l’esame della proporzionalità della misura di confisca porta a una conclusione che gli è sfavorevole.

La proporzionalità della confisca per lottizzazione abusiva

In effetti, ogni misura che violi il diritto di proprietà deve essere proporzionata. Questa conclusione a maggior ragione vale per i proprietari ai quali non può essere ascritto alcun comportamento illecito, di natura penale, amministrativo o civile. La portata della confisca deve dunque limitarsi a quello che è strettamente necessario al perseguimento degli scopi preventivi specifici e della finalità generale «di interesse pubblico» di qualsiasi misura lesiva del diritto di proprietà nel contesto del caso di specie.

Secondo l’interpretazione accolta autorità giudiziarie italiane, la confisca per lottizzazione abusiva colpisce in maniera automatica non soltanto i manufatti ma anche i terreni (e la totalità di questi ultimi , non soltanto quelli edificati)[37]. La misura della confisca che ne è derivata nella fattispecie è manifestamente sproporzionata e questo per vari motivi[38]. In primo luogo, i terreni non costruiti costituivano più del 90% di quelli confiscati. In secondo luogo, la confisca non si è limitata ai cambiamenti introdotti dalla convenzione del 1994: essa è stata estesa alla lottizzazione già autorizzata nel 1984. In terzo luogo, anche accettando, per ipotesi, il carattere abusivo della lottizzazione, il vizio atterrebbe al mancato rispetto di un vincolo paesaggistico che necessita del parere favorevole del comitato urbanistico regionale, ossia ad un vizio di procedura relativo («vincolo d’inedificabilità relativo»), eventualmente sanabile, e non ad un vizio di merito insanabile, come una inedificabilità assoluta. In quarto luogo, poiché i fatti si erano prescritti alla fine del 2001, come sostiene il ricorrente, o alla fine del 2002, come dichiara la corte d’appello di Bari, il mantenimento, tra il mese di febbraio 1997 e la fine del procedimento penale nel giugno 2008, di un sequestro conservativo dei terreni e dei manufatti costituisce una violazione eccessiva. In quinto luogo, non sembra ragionevole che il comune responsabile del rilascio dei permessi a costruire illegali benefici del frutto della sua colpa.

L’interpretazione rigida della confisca per lottizzazione abusiva che la rendeva «un provvedimento ablativo radicale, nelle forme e nelle conseguenze», in cui «senza discrezionalità alcuna, la proprietà dei terreni e dei beni lottizzati venga trasferita dai privati al patrimonio del comune»[39], viola chiaramente il principio della proporzionalità. Questo principio impone un’altra interpretazione della «forma» e delle «conseguenze» della confisca, che le giurisdizioni nazionali possono e devono seguire alla luce degli articoli 42 e 44 della Costituzione italiana e dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. Se lo scopo della misura che consiste nel confiscare dei terreni lottizzati e dei manufatti illegali è quello di infliggere una battuta di arresto alle attività criminali e ai proventi di queste ultime e di evitare che il danno all’assetto del territorio e all’ambiente non si aggravi fino a che l’amministrazione prenda una decisione definitiva sulla legalità della lottizzazione, l’intervento del giudice deve essere misurato e non può essere «assoluto» né «automatico». In tal modo, il giudice italiano deve non soltanto verificare se vi sia in concreto una situazione di pericolo immediato e serio per l’assetto del territorio e per la tutela ambientale, ma deve anche adattare la reazione statale alla minaccia immobiliare esistente e così proporzionare la misura della confisca alle circostanze specifiche della causa[40].

Conclusione

Secondo le stime dell’ONU, l’ammontare dei proventi di reato su scala mondiale aveva raggiunto nel 2009 circa 2.100 miliardi di dollari americani, ossia il 3,6% del PIL mondiale[41]. In risposta a questo problema mondiale, una norma consuetudinaria internazionale che impone la confisca in quanto misura di politica penale si è consolidata, sia rispetto agli strumenti che ai proventi di reato, salvo nel caso del terzo di buona fede. Sotto il nomen iuris di confisca, gli Stati hanno creato misure di prevenzione penale ante delictum, delle sanzioni penali (accessorie o anche principali), delle misure di sicurezza lato sensu, delle misure amministrative adottate nell’ambito di un procedimento penale o al di fuori di quest’ultimo e delle misure civili in rem. Di fronte a questo complesso immenso di mezzi di reazione di cui lo Stato dispone, la Corte non ha ancora sviluppato una giurisprudenza coerente fondata su un ragionamento di principio.

Nel caso della confisca per lottizzazione abusiva prevista dall’articolo 19 della legge n. 47 del 1985, se la sua applicazione in assenza di condanna penale, indipendentemente dalla causa di estinzione del procedimento penale, è conforme alla Convenzione, la sua portata non lo è. Una misura che dispone automaticamente e assolutamente la confisca di costruzioni e di terreni abusivamente lottizzati viola il principio della proporzionalità. Questo è il caso della confisca applicata al ricorrente. Pertanto, concludo per la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, ma anche per la non violazione dell’articolo 7 della Convenzione.

 

Note:

nota 1 Sud Fondi srl e altri c. Italia, n. 75909/01, 20 gennaio 2009, e le due decisioni parziali sulla ricevibilità emesse il 23 settembre 2004 ed il 30 agosto 2007.

nota 2 La Convenzione ha 188 Stati parte, fra cui lo Stato convenuto, dal 31 dicembre 1991. All’articolo primo, la confisca è definita come «la privazione permanente di beni su decisione di un tribunale o altra autorità competente». Questa definizione è ripresa negli altri testi delle Nazioni unite

nota 3 Lo Statuto di Roma ha 122 Stati parte, fra cui lo Stato convenuto, dal 26 luglio 1999. Inoltre, l’articolo 110 (4) (b) prevede la possibilità di riduzione della pena nei casi in cui un convenuto abbia spontaneamente facilitato l’esecuzione di decisioni e ordinanze della Corte in altri casi, in particolare agevolando la localizzazione di beni oggetto di decisioni di confisca, che possono essere utilizzati a vantaggio delle vittime.

nota 4 La convenzione ha 185 Stati parte, fra cui lo Stato convenuto, dal 27 marzo 2003.

nota 5 La convenzione ha 178 Stati parte, fra cui lo Stato convenuto, dal 2 agosto 2006.

nota 6 La convenzione ha 168 Stati parte, fra cui lo Stato convenuto, dal 5 dicembre 2009. Un’importante novità è stata introdotta dall’articolo 54 (1) (c) della Convenzione contro la corruzione, che impone agli Stati parte, nell’ambito dell’assistenza internazionale ai fini della confisca, di ordinare la confisca, in assenza di condanna penale, di beni acquisiti a mezzo di reato qualora l’autore del medesimo non possa essere perseguito a causa di decesso, fuga, assenza o in altri casi opportuni. Una nota interpretativa indica che, in tale contesto, il termine «autore del reato» potrebbe, nei casi opportuni, includere le persone intestatarie di un bene, allo scopo di occultare l’identità dei veri proprietari del bene in questione (A/58/422/Add.1, par. 59). Anche se come indicazione facoltativa, si tratta del riconoscimento universale della confisca senza condanna. Sulla prassi interna degli Stati, si vedano le leggi di 175 paesi sul recupero dei beni, consultabili sul sito UNODC.

nota 7 La convenzione ha 31 Stati parte. All’articolo primo, la confisca è definita come «ogni sanzione o misura che comporti la privazione definitiva di beni, guadagni o proventi, ordinata da un tribunale al termine di un procedimento promosso per uno o più fatti di corruzione».

nota 8 STE n. 141, e suo rapporto esplicativo. La convenzione ha 48 Stati parte, fra cui lo Stato convenuto, dal 1° maggio 2004. All’articolo primo, essa definisce la confisca come «una pena o una misura disposta da un tribunale a seguito di un procedimento per uno o più reati, che consiste nella privazione permanente del bene». Questa definizione è diventata la pietra angolare dei testi del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea in materia. La convenzione del 1990 escludeva la confisca che non fosse in relazione con un reato, come ad esempio la confisca amministrativa, ma includeva la decisione di confiscare che non fosse stata adottata da un tribunale con competenze in materia penale all’esito di una procedura penale, purché la procedura fosse stata condotta da autorità giudiziarie e fosse stata di natura penale o, in altri termini, purché riguardasse strumenti o proventi di reato. Questi tipi di procedura potevano includere, ad esempio, le procedure dette in rem ed erano riportate nel testo della convenzione sotto il nome di «procedure a fini di confisca».

nota 9 STCE n. 198, e suo rapporto esplicativo. La convenzione ha 23 Stati parte. Lo Stato convenuto l’ha firmata ma non l’ha ratificata. Al nuovo paragrafo 5 dell’articolo 23, la convenzione precisa bene nel corpo del testo che l’assistenza relativa all’esecuzione di misure che portano ad una confisca, che non sono sanzioni penali, deve essere assicurata nella maniera più ampia possibile. Come riconosce il rapporto esplicativo della convenzione del 2005, era chiaro che, già dinanzi al testo della convenzione del 1990, le Parti avevano libertà sul modo di approcciare la confisca nel loro diritto interno, essendo uno di questi la procedura civile in rem.

nota 10 La decisione-quadro ha abrogato, in parte, l'azione comune 98/699/JAI riguardante l'individuazione, il rintracciamento, il blocco o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato.

nota 11 La Proposta di direttiva del parlamento europeo e del Consiglio riguardante il blocco e la confisca dei proventi di reato nell’Unione europea, fatta nel 2012, prevedeva la confisca senza condanna penale quando il convenuto non può essere perseguito perché deceduto, malato o in fuga; la confisca estesa nella misura in cui un giudice constati in base a concreti elementi di fatto, che una persona riconosciuta colpevole di un reato è in possesso di beni che molto probabilmente provengono da altre attività criminali simili piuttosto che da un altro tipo di attività, e la confisca di beni di terzi quando il terzo acquirente, avendo pagato una somma inferiore al valore di mercato, avrebbe dovuto sospettare che i beni erano di origine criminale (COM(2012) 85 final). Nel suo rapporto sulla proposta di direttiva, redatto nel maggio 2013, la Commissione delle libertà civili, della giustizia e degli affari interni ha precisato che la direttiva in questione copriva solo le forme di confisca non basate su una condanna considerate di natura penale (COM(2012)0085 – C7-0075/2012 – 2012/0036(COD); e il parere emesso a tale proposito nel dicembre 2012 dall’Agenzia dei diritti fondamentali dell’Unione europea). La procedura legislativa è ancora in questa fase. Appare evidente un disaccordo tra l’approccio del Consiglio d’Europa, che apre la porta a misure che conducono ad una confisca senza condanna e che non sono «sanzioni penali», anche se adottate al termine di un procedimento penale, e l’approccio della Commissione delle libertà civili del Parlamento europeo, che assoggetta la confisca senza condanna penale alle garanzie convenzionali collegate ad ogni «pena» e, esplicitamente, alle disposizioni dell’articolo 6 della Convenzione.

nota 12 Si vedano anche le risoluzioni 1267 (1999), 1373 (2001) e 1377 (2001) del Consiglio di sicurezza sul finanziamento del terrorismo e la Guida tecnica per l’attuazione della risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza, nonché i seguenti documenti: G8 Best Practice Principles on Tracing, Freezing and Confiscation of Assets, 2003 ; Commonwealth Model Legislative Provisions on Civil Recovery of Assets Including Terrorist Property, 2005; Model Bilateral Agreement on the Sharing of Confiscated Proceeds of Crime or Property covered by the United Nations Convention against Transnational Organized Crime and the United Nations Convention against Illicit Traffic in Narcotic Drugs and Psychotropic Substances of 1988, 2005; Arricchimento indebito: Una guida delle buone prassi in materia di confisca di beni senza condanna (CSC), 2009, e Barriers to Asset Recovery An Analysis of the Key Barriers and Recommendations for Action, 2011, pubblicati dalla Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo e dalla Banca Mondiale; come pure il rapporto sui lavori del Gruppo di lavoro intergovernativo aperto sul recupero di beni, redatto dalla Conferenza degli Stati parte alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione.

nota 13 Come espresso in una nota interpretativa riguardante delle formule equivalenti nella Convenzione contro la criminalità organizzata, le parole «altri vantaggi» devono ricomprendere i vantaggi materiali nonché i diritti legali, titoli e crediti opponibili a terzi che possono essere oggetto di una confisca (A/55/383/Add.1, par. 23).

nota 14 Se anche il loro contenuto è identico, la norma convenzionale non sostituisce la norma consuetudinaria: esse coesistono parallelamente perché la norma convenzionale si applica soltanto agli Stati parte mentre la norma consuetudinaria si applica a tutti gli Stati. Inoltre, la consuetudine internazionale può disciplinare non soltanto i rapporti interstatali, ma anche le relazioni tra Stati e cittadini in quanto essa è direttamente applicabile nell’ordinamento giuridico interno e, in alcune circostanze, può essere invocata dai cittadini. Ad esempio, la consuetudine internazionale può includere norme di diritto penale materiale, come il divieto della legge penale retroattiva, ma anche norme di diritto penale procedurale, come la norma del giudice naturale nel diritto penale (si veda la mia opinione separata nella causa Maktouf e Damyanovic c. Bosnia-Erzegovina (GC). La questione non può essere sviluppata nei limiti della presente opinione.

nota 15 Raimondo c. Italia, 22 febbraio 1994, serie A n. 281-A, pag. 17, §§ 30 e 43; Prisco c. Italia (dec.), n. 38662/97, 15 giugno 1999; Arcuri e altri c. Italia (dec.), n. 52024/99, 5 luglio 2001; e Riela e altri c. Italia (dec.), n. 52439/99, 4 settembre 2001. Questa misura di prevenzione, che era tradizionalmente considerata come una misura amministrativa assimilata, per contenuto ed effetti, a una misura di sicurezza (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza del 3 luglio 1996, n. 18), è stata recentemente considerata oggettivamente sanzionatoria e, pertanto, soggetta al principio della non retroattività della pena (Corte di cassazione, sentenza del 13 novembre 2012, n. 14044/13). In effetti, la misura è applicabile quando anche la presunta pericolosità del reo non è più reale come pure in caso di morte del reo, potendo colpire tutto il patrimonio disponibile de iure o de facto del reo (Corte costituzionale, sentenza del 9 febbraio 2012, n. 21).

nota 16 AGOSI c. Regno Unito, 24 ottobre 1986, serie A n. 108, §§ 34, 56-62 (sulla sezione 44 (b) e sezione 44 (f) della legge del 1952); Air Canada c. Regno Unito, 13 luglio 1995, serie A n. 316, § 52 (sull’articolo 141 della legge del 1979, che non prevedeva alcuna tutela del terzo innocente); Butler c. Regno Unito (dec.), n. 41661/98, 27 giugno 2002; Webb c. Regno Unito (dec.), n. 56054/00, 10 febbraio 2004, e Saccoccia c. Austria, n. 69917/01, §§ 87-91, 18 dicembre 2008. Negli ultimi due casi inglesi, la Corte ha esplicitamente constatato che l’ordinanza che disponeva la confisca era una «,misura preventiva» non assimilabile a una sanzione penale dal momento che mirava a far ritirare dalla circolazione del denaro che si presumeva legato al traffico internazionale di stupefacenti.

nota 17 Yildirim c. Italia (dec.), n. 38602/02, CEDU 2003-IV, e C.M. c. Francia (dec.), n. 28078/95, 26 giugno 2001. Tuttavia, nella causa Silickienė c. Lituania, n. 20496/02, § 50, 10 aprile 2012, la Corte ha stabilito il principio contrario: essa ha certo dichiarato che «in linea di principio, chiunque si vede confiscare il suo bene deve formalmente beneficiare della qualità di parte alla procedura nel corso della quale viene disposta la confisca», ma essa ha accettato, «nelle particolari circostanze della causa», la confisca dei beni di un terzo dopo il decesso dell’accusato durante un procedimento penale.

nota 18 Van Offeren c. Paesi Bassi (dec.), n. 19581/04, 5 luglio 2005, in cui il ricorrente ha dovuto pagare 162.026,31 euro confiscati, sotto minaccia di diciotto mesi di detenzione in caso di mancato pagamento della somma confiscata; Waldemar Nowakowski c. Polonia, n. 55167/11, §§ 51-58, 24 giugno 2012, e, in un caso simile in cui un ordine di demolizione era stato imposto ad un imputato prosciolto all’esito di un procedimento penale, Saliba c. Malta (dec.), nº 4251/02, 23 novembre 2004.

nota 19 Phillips c. Regno Unito, n. 41087/98, § 34, CEDU 2001‑VII (riguardante la legge del 1994 sul traffico di stupefacenti), in cui il ricorrente aveva dovuto pagare 91.400 lire sterline confiscate, sotto la minaccia di una pena addizionale di due anni di detenzione; Grayson e Barnham c. Regno Unito, nn. 19955/05 e 15085/06, § 49, 23 settembre 2008 (riguardante la stessa legge), dove il primo ricorrente aveva dovuto pagare 1.236.748 lire sterline confiscate, sotto la minaccia di una pena addizionale di otto anni di detenzione, e il secondo ricorrente 1.460.615 lire sterline, sotto la minaccia di cinque anni e tre mesi di detenzione; e Woolley c. Regno Unito, n. 28019/10, §§ 80-84, 10 aprile 2012 (riguardante l’articolo 75 della legge del 1988 sulla giustizia penale e sull’articolo 139 della legge del 2000 sulle attribuzioni delle giudici penali (determinazione delle pene), dove il ricorrente aveva dovuto subire quattro anni di detenzione in più della pena che gli era stata inflitta perché non aveva pagato 497.784,02 lire sterline confiscate.

nota 20 Sud Fondi srl e altri c. Italia (dec.), n. 75909/01, 30 agosto 2007, e anche Welch c. Regno Unito, n. 17440/90, § 33, 9 febbraio 1995 (riguardante la legge del 1986 sul traffico di stupefacenti).

nota 21 Paraponiaris c. Grecia, n. 42132/06, § 33, 25 settembre 2008.

nota 22 Geerings c. Paesi Bassi, n. 30810/03, § 47, 1° marzo 2007 (sull’articolo 36e del codice penale), in cui il ricorrente aveva dovuto pagare 147.493 fiorini olandesi, sotto minaccia di 490 giorni di detenzione.

nota 23 Le ripercussioni della giurisprudenza della Corte possono essere considerevoli nel caso di una confisca estesa in quanto misura privativa di beni in generale (ad esempio, articolo 43° del codice penale tedesco e articolo 229-49 del codice penale francese), di beni aventi uno scopo illegale (ad esempio, § 72 del codice penale svizzero e § 20b del codice penale austriaco) e di beni di presunta provenienza illecita (ad esempio, § 73d del codice penale tedesco, articolo 20b (2) del codice austriaco e articolo 7 della legge portoghese n. 5/2002).

nota 24 La Corte costituzionale ha confermato questo ragionamento nella sentenza n. 187 del 1998.

nota 25 Corte di cassazione, sentenza del 24 ottobre 2008, n. 427, sentenza del 9 luglio 2009, n. 36844, e sentenza del 6 ottobre 2010, n. 397153.

nota 26 Corte di cassazione, sentenza del 16 febbraio 2011, n. 5857.

nota 27 Corte di cassazione, sentenza del 14 dicembre 2000 n. 12999, e sentenza del 21 gennaio 2002, n. 1966. Ma la stessa alta giurisdizione ha anche sottolineato, nella sentenza del 29 maggio 2007, n. 21125, che la sanatoria amministrativa della lottizzazione abusiva, una volta passata in giudicato la decisione di confisca, non implicava la restituzione dei beni confiscati ai precedenti proprietari. Come si vedrà di seguito, questo aspetto del regime legale pone problemi sul piano della proporzionalità.

nota 28 In effetti, un atto amministrativo che dispone la demolizione di manufatti abusivi può essere eseguito in pendenza di procedimento penale (Consiglio di Stato, sentenza del 12 marzo 2012, n. 1260, e Corte di cassazione, sentenza del 14 gennaio 2009, n. 9186).

nota 29 Corte di cassazione, sentenze dell’8 ottobre 2009, n. 39078, e del 29 maggio 2007, n. 21125.

nota 30 Consiglio di Stato, sentenze del 21 ottobre 2003, n. 6498, e del 7 maggio 2009, n. 2835.

nota 31 Corte di cassazione, sentenze del 27 gennaio 2005, n. 10037, e del 2 ottobre 2008, n. 37472.

nota 32 Il ragionamento e la presa di posizione di principio della Corte sulla confisca devono tener conto degli argomenti portati dinanzi ad alcuni giudici nazionali sui limiti costituzionali della confisca, come durante il dibattimento che si è svolto negli Stati Uniti sull’applicazione ad alcune forme di confisca dell’ottavo emendamento relativo alle pene crudeli o di quello che ha avuto luogo in Germania sulla costituzionalità della confisca generale (si vedano, tra altre, le sentenze della Corte Costituzionale tedesca del 20 marzo 2002 e del 14 gennaio 2004).

nota 33 Sull’illegalità delle misure di confisca, si vedano Frizen c. Russia, n. 58254/00, § 36, 24 marzo 2005; Baklanov c. Russia, n. 68443/01, § 46, 9 giugno 2005, e Adzhigovich c. Russia, n. 23202/05, § 34, 8 ottobre 2009.

nota 34 La corte d’appello ha dichiarato che la Foresta di Mercadante non era un bosco naturale, ma un bosco artificiale, come aveva confermato il perito del Pubblico ministero all’udienza del 23 marzo 1998; che l’articolo 1 della legge n. 431/85 era stata abrogata dall’articolo 146 del decreto legislativo n. 490/99, con l’esclusione del vincolo paesaggistico sui terreni in questione; che la variante al piano di lottizzazione iniziale non rappresentava una modifica essenziale del piano di lottizzazione approvato nel 1984, e infine che i manufatti edificati dal ricorrente non costituivano una «modifica sostanziale di parametri paesistici dell’area».

nota 35 La Corte di cassazione ha censurato la sentenza della corte di appello di Bari del 5 maggio 2003 per non aver valutato autonomamente se la variante mascherava un nuovo ed autonomo piano di lottizzazione.

nota 36 Sentenza della Corte d’appello di Bari del 22 gennaio 2001, pagina 11: «l’intervento edificatorio posto in essere non abbia comportato specifico pregiudizio all’integrità complessiva dell’area boscata».

nota 37 Corte di cassazione, sentenza del 9 maggio 2005, n. 17424: «la confisca deve essere estesa a tutta l’area interessata dall’intervento lottizzatorio, compresi i lotti non ancora edificati o anche non ancora alienati al momento dell’accertamento del reato, atteso che anche tali parti hanno perso la loro originaria vocazione e destinazione rientrando nel generale progetto lottizzatorio.»

nota 38 Sulla mancata proporzionalità delle misure di confisca, si vedano Ismayilov c. Russia, n. 30352/03, § 38, 6 novembre 2008, e soprattutto Grifhorst c. Francia, n. 28336/02, § 100, 26 febbraio 2009 (confisca «automatica» di «tutta» la somma trasportata).

nota 39 Corte di cassazione, sentenza del 29 maggio 2007, n. 21125, ma si veda anche Corte costituzionale, sentenza del 24 giugno 2009, n. 239.

nota 40 Per esempio, il giudice deve operare una distinzione tra un «ecomostro» creato da un costruttore avido e in malafede che gioca a nascondino con le autorità amministrative e un manufatto realizzato con l’assenso più o meno compiacente delle autorità amministrative competenti e la cui costruzione è stata volontariamente bloccata dal suo autore. Le misure necessarie nel primo caso non sarebbero le stesse nel secondo.

nota 41 Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, «Stima dei flussi finanziari illeciti derivanti dal traffico di droga e da altri crimini transnazionali», ottobre 2011.