Sentenza n. 31 del 2020

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SENTENZA N. 31

ANNO 2020

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente: Marta CARTABIA;

 

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 2 e 3, 3, 8, comma 2, lettera g), 11, comma 5, 12, comma 4 e 32, comma 1, lettera c), della legge della Regione Veneto 16 marzo 2018, n. 13 (Norme per la disciplina dell’attività di cava), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 15-18 maggio 2018, depositato in cancelleria il 22 maggio 2018, iscritto al n. 37 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2018.

 

Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;

 

udito nell’udienza pubblica del 29 gennaio 2020 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

 

uditi l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Andrea Manzi e Ezio Zanon per la Regione Veneto;

 

deliberato nella camera di consiglio del 29 gennaio 2020.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Con ricorso notificato il 15-18 maggio 2018 e depositato il 22 maggio 2018 (reg. ric. n. 37 del 2018) il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 2, commi 2 e 3, 3, 8, comma 2, lettera g), 11, comma 5, 12, comma 4, e 32, comma l, lettera c), della legge della Regione Veneto 16 marzo 2018, n. 13 (Norme per la disciplina dell’attività di cava), in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione.

 

In particolare, ad avviso del ricorrente, gli artt. 2, commi 2 e 3, e 3 della legge reg. Veneto n. 13 del 2018 violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. perché in contrasto con gli artt. 183, comma l, lettera a), 184-bis e 184-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (da ora in poi: cod. ambiente); gli artt. 8, comma 2 , lettera g), e 11, comma 5, della legge regionale impugnata violerebbero il medesimo parametro costituzionale, entrambi perché in conflitto con l’art. 27-bis cod. ambiente, mentre il solo art. 11, comma 5, perché in contrasto con l’art. 14, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi); l’art. 12, comma 4, della legge regionale impugnata violerebbe altresì l’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost. perché in conflitto con gli artt. 6, comma 6, 7-bis, comma 3, 19 cod. ambiente, oltre che con l’allegato IV del medesimo cod. ambiente; la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. è infine addotta anche in riferimento all’art. 32, comma 1, lettera c) (recte, art. 32, lettera c) della legge reg. Veneto n. 13 del 2018, perché in affermata lesione dell’art. 1, comma 1226, della  legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», nonché degli artt. 4 e 6 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche) e dell’art. 5, comma 1, lettera n) del decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 17 ottobre 2007, recante «Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS)».

 

2.– Il ricorrente premette che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Veneto n. 13 del 2008, «costituiscono attività di cava i lavori di coltivazione dei giacimenti formati da materiali, industrialmente utilizzabili, classificati di seconda categoria dal terzo comma dell’articolo 2 del regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443 (Norme di carattere legislativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione delle miniere nel Regno) e successive modificazioni». Precisa, ancora che, ai sensi del successivo art. 2, comma 2, risulta annoverato, tra i lavori di coltivazione, quello di «gestione dei materiali equiparabili a quelli di cava derivanti da scavi per la realizzazione di opere pubbliche e private […]».

 

Evidenzia, infine, che in ragione di quanto previsto dal comma 3 dello stesso art. 2, la «coltivazione dei giacimenti di materiale di cava è subordinata al rilascio dell’autorizzazione all’attività di cava».

 

2.1.– Le disposizioni censurate, ad avviso del Governo, danno sostanza alla lamentata violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., perché mirano a sottrarre la gestione dei materiali da scavo dalla disciplina dei rifiuti dettata dal cod. ambiente, senza che ne sussistano le condizioni.

 

La “gestione” dei suddetti materiali risulterebbe, infatti, esclusivamente subordinata al «rilascio della autorizzazione di cava» quando dovrebbe invece ritenersi sottoposta alla disciplina dettata dalla parte IV del cod. ambiente: i residui in questione, infatti, dovrebbero essere considerati rifiuti in ragione di quanto previsto dall’art. 183, comma 1, lettera a), cod. ambiente, salvo che possano essere considerati sottoprodotti ai sensi del successivo art. 184-bis. Qualifica, quella di rifiuto, che una volta acquisita, del resto non potrebbe essere persa, se non per effetto dell’applicazione dell’istituto di cui all’art. 184-ter cod. ambiente (cosiddetto “fine rifiuto”).

 

2.2.– Identica lesione, ad avviso del ricorrente, deve ritenersi sussistente ove si presti attenzione all’art. 3, comma 1, della legge regionale impugnata, in forza del quale «ai miglioramenti fondiari con volume di materiale di risulta, industrialmente utilizzabile superiore a 5.000 metri cubi per ettaro di superficie di scavo, si applica la disciplina prevista per l’attività di cava».

 

Tale disposizione sottrarrebbe detti interventi alla disciplina dei rifiuti e anche il successivo comma 2 sarebbe gravato dalle medesime ragioni di illegittimità costituzionale, giacché, disponendo che «la Giunta regionale, entro 365 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, fissa procedure e criteri per l’autorizzazione dei miglioramenti fondiari con volume di materiale di risulta, industrialmente utilizzabile, inferiore a 5.000 metri cubi per ettaro, escludendo in ogni caso interventi che interessino la falda freatica», finisce per configurare un sistema che si suppone semplificato nel confronto con quello concernente le attività che riguardano volumetrie maggiori, fermo comunque l’effetto di sottrarre la gestione dei materiali suddetti alla disciplina dei rifiuti, cui vanno certamente ricondotti i materiali derivanti da costruzione e demolizione (cosiddetti materiali di risulta), espressamente elencati nell’ambito dei rifiuti speciali dall’art. 184, comma 3, lettera b), cod. ambiente.

 

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato anche l’art. 8, comma 2, lettera g), della legge reg. Veneto n. 13 del 2018, ai sensi del quale «[i]l progetto di coltivazione, redatto in conformità alla disciplina vigente e tenendo conto delle finalità di salvaguardia ambientale, deve essere sottoscritto da un tecnico professionista abilitato e deve contenere: […] g) la documentazione costituente esito della procedura di cui alla legge regionale 18 febbraio 2016, n. 4, “Disposizioni in materia di Valutazione di Impatto Ambientale e di competenze in materia di autorizzazione integrata ambientale e successive modificazioni”».

 

3.1.– La citata disposizione, ad avviso del ricorrente, farebbe presupporre che la procedura di VIA sia stata già espletata prima dell’autorizzazione strumentale all’attività di cava e che si riveli dunque propedeutica, antecedente e distinta da quest’ultima. Ciò in ritenuto contrasto con quanto previsto dall’art. 27-bis, comma 7, cod. ambiente, in base al quale «la determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi costituisce il provvedimento autorizzatorio unico regionale e comprende il provvedimento di VIA e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto, recandone l’indicazione esplicita. Resta fermo che la decisione di concedere i titoli abilitativi di cui al periodo precedente e` assunta sulla base del provvedimento di VIA, adottato in conformità all’articolo 25, commi l, 3, 4, 5 e 6 del presente decreto».

 

3.2.– Identica lesione, ad avviso del ricorrente, sarebbe apportata dall’art. 11, comma 5, della legge regionale censurata, in forza del quale si prevede che l’autorizzazione relativa alla coltivazione del giacimento, resa ai sensi dell’art. 10 della stessa legge regionale, «costituisce titolo unico» tanto da sostituire «ogni altro atto di autorizzazione, nulla osta, assenso comunque denominato per l’esercizio dell’attività di cava previsto dalla normativa vigente».

 

Anche questa norma, ove riferita all’attività di cava soggetta a valutazione di impatto ambientale, sarebbe in conflitto con l’art. 27-bis, comma 7, cod. ambiente, il quale impone in siffatti casi che sia il provvedimento autorizzatorio unico che chiude il procedimento di VIA regionale a costituire l’autorizzazione alla realizzazione del progetto e che il titolo abilitativo funzionale all’attività di cava debba essere assunto sulla base del provvedimento di VIA; considerazione, questa, confermata, del resto, anche dal disposto dell’art. 14, comma 4, della legge n. 241 del 1990.

 

4.– Il ricorrente sottolinea altresì che, in ragione di quanto previsto dall’art. 12, comma 4, della legge reg. Veneto n. 13 del 2018, viene previsto che «la proroga dei termini stabiliti dall’autorizzazione», giustificata «dall’utilizzo nel ciclo produttivo della cava di materiali equiparabili ai materiali di cava e provenienti da opere infrastrutturali d’interesse regionale con movimentazione di materiale per volumi superiori a 500.000 mc, non è soggetta alle limitazioni di cui al comma 3».

 

La disposizione impugnata, nell’assunto sotteso al ricorso, introdurrebbe una proroga automatica e sine die dei termini di conclusione dell’attività di coltivazione, come tale incongrua e irragionevole, perché non consente la necessaria verifica inerente al permanere delle condizioni soggettive e oggettive che legittimano la relativa iniziativa, sottraendo così il rinnovo alle relative verifiche amministrative.

 

A supporto della doglianza, il ricorrente evoca la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea in tema di autorizzazioni postume, destinate ad incidere sulla tutela dell’ambiente ed evidenzia, al contempo, che la proroga in esame consentirebbe di eludere, per l’attività di cava, la verifica di assoggettabilità a VIA altrimenti imposta dagli artt. 6, comma 6, e 7-bis, comma 3, del cod. ambiente e dalla lettera i) dell’allegato IV alla parte seconda dello stesso cod. ambiente.

 

Di qui la dedotta violazione dell’art. 117 Cost., primo comma, che impone alla Regione il rispetto degli obblighi comunitari, nonché dell’art. 117, secondo comma, lettera s), per la conflittualità della norma censurata con le disposizioni statali evocate quali parametri interposti.

 

5.– Viene, infine, censurato l’art. 32 della legge reg. Veneto n. 13 del 2018.

 

Tale disposizione – evidenzia il Governo – attiene alla “coltivazione di trachite” da realizzare all’interno del Parco dei Colli Euganei. Il comma 1 prevede che all’interno del Parco «possono essere autorizzate, anche a titolo di sperimentazione operativa, attività di cava per l’estrazione di trachite, in deroga alle limitazioni contenute nel piano ambientale e nel progetto tematico cave». Ad avviso del ricorrente, perché l’attività in questione venga autorizzata, occorre tuttavia che, ai sensi di quanto previsto dall’art. 32, comma 1, lettera c), l’intervento proposto «si configuri come modifica e/o ampliamento di cave in attività alla data di emanazione del D.M. 17 ottobre 2007 “Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS)” e sul progetto si esprimano favorevolmente il Comune territorialmente interessato e l’Ente Parco Colli Euganei».

 

5.1.– La disposizione censurata, ad avviso del Governo, garantisce una generica possibilità di modifica e/o ampliamento di cave esistenti al momento di emanazione del d.m. 17 ottobre 2007, senza in alcun modo limitare tale possibilità a quanto imposto dall’art. 5, lettera n), del citato decreto. Decreto, quest’ultimo, che alla luce di quanto previsto dall’art. 1, comma 1226, della legge n. 296 del 2006, contiene i criteri minimi uniformi ai quali devono attenersi le Regioni nel provvedere agli adempimenti previsti dagli artt. 4 e 6 del regolamento di cui al d.P.R. n. 357 del 1997, definendo le misure di conservazione e le zone di protezione speciale nell’ambito dell’attuazione della direttiva del Consiglio 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.

 

5.2.– Ciò premesso, il ricorrente rimarca che l’art. 5, lettera n), del citato d.m. 17 ottobre 2007 ha vietato, nelle zone di protezione speciale, l’apertura di nuove cave e l’ampliamento di quelle esistenti «ad eccezione di quelle previste negli strumenti di pianificazione generali e di settore vigenti alla data di emanazione del presente atto o che verranno approvati entro il periodo di transizione, prevedendo altresì che il recupero finale delle aree interessate dall’attività estrattiva sia realizzato a fini naturalistici e a condizione che sia conseguita la positiva valutazione di incidenza dei singoli progetti ovvero degli strumenti di pianificazione generale e di settore di riferimento dell’intervento; in via transitoria, per 18 mesi dalla data di emanazione del presente atto, in carenza di strumenti di pianificazione o nelle more di valutazione d’incidenza dei medesimi, è consentito l’ampliamento delle cave in atto, a condizione che sia conseguita la positiva valutazione d’incidenza dei singoli progetti, fermo restando l’obbligo di recupero finale delle aree a fini naturalistici; sono fatti salvi i progetti di cava già sottoposti a procedura di valutazione d’incidenza, in conformità agli strumenti di pianificazione vigenti e sempre che l’attività estrattiva sia stata orientata a fini naturalistici».

 

Certa la riferibilità dei parametri interposti evocati all’ambito afferente alla tutela dell’ambiente, il Governo ha dunque contestato, anche con riferimento all’art. 32 della legge reg. Veneto n. 13 del 2018, la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

 

6.– Il 25 giugno 2018 si è costituita in giudizio la Regione Veneto, concludendo per la non fondatezza delle questioni prospettate con il ricorso in oggetto.

 

Ad avviso della resistente, le censure articolate dal Presidente del Consiglio dei ministri devono ritenersi il frutto di erronea interpretazione delle disposizioni impugnate, emanate nel rispetto della competenza legislativa residuale in materia di cave e torbiere, e delle norme, interne e unionali, a torto evocate a sostegno delle lesioni prospettate dal ricorrente e comunque sempre innalzando i livelli di tutela ambientale imposti dalle disposizioni statali di riferimento.

 

6.1.– Con particolare riguardo alla questione riferita all’art. 32, comma 1, lettera c), della legge reg. Veneto n. 13 del 2018, la resistente ha in primo luogo evidenziato che la censura non afferisce unicamente al tema inerente all’ampliamento delle cave, ma coinvolge piuttosto l’intera previsione dell’art. 32.

 

Ciò precisato, ad avviso della Regione Veneto, la questione deve ritenersi infondata: mentre la norma statale determina un divieto assoluto, prescindendo da qualsivoglia valutazione di interesse, tanto da risultare irragionevole e sproporzionata, quella regionale mira a perseguire una riduzione delle alterazioni del paesaggio e degli impatti ambientali negativi, mediante l’introduzione di metodi di coltivazione innovativi (lettera a del censurato art. 32), sempre subordinati ad una positiva valutazione di impatto ambientale.

 

7.– In data 26 febbraio 2019 sia la difesa statale sia quella regionale hanno depositato memorie ribadendo le argomentazioni spese a sostegno delle rispettive conclusioni.

 

La difesa della resistente ha altresì evidenziato che, con riferimento agli artt. 2, 3, 8, 11, e 12 della legge reg. Veneto n. 13 del 2018, erano in corso di approvazione modifiche ed abrogazioni delle disposizioni censurate destinate a far cessare le ragioni di impugnazione prospettate dal Governo.

 

Innovazioni successivamente apportate dalla legge della Regione Veneto 25 luglio 2019, n. 29 (Legge regionale di adeguamento ordinamentale 2018 in materia di governo del territorio e paesaggio, parchi, trasporto pubblico, lavori pubblici, ambiente, cave e miniere, turismo e servizi all’infanzia), in forza delle quali la difesa dello Stato, con istanza depositata l’11 settembre 2019, ha chiesto il differimento dell’udienza di discussione del ricorso, fissata per l’8 ottobre 2019.

 

8.– La Regione resistente, con memoria depositata il 17 settembre 2019, non si è opposta al suddetto rinvio, evidenziando che le modifiche apportate dalla legge reg. Veneto n. 29 del 2019 riguardano tutte le disposizioni censurate fatto salvo l’art. 32, della legge reg. Veneto n. 13 del 2018, rimasto immutato.

 

Con riguardo alle censure prospettate in relazione al suddetto art. 32, la difesa della resistente ne ha ribadito la non fondatezza atteso che l’attività di estrazione prevista dalla disposizione impugnata non sarebbe in contrasto con il parametro interposto evocato perché afferente alle cave previste «negli strumenti di pianificazione generali e di settore» vigenti alla data di emanazione del d.m. 17 ottobre 2007, alla luce delle previsioni contenute nel piano ambientale adottato, ai sensi dell’art. 3 della legge reg. Veneto 10 ottobre 1989, n. 38 (Norme per l’istituzione del parco regionale dei Colli Euganei), dal Consiglio dell’Ente Parco Colli Euganei con le delibere n. 26 e n. 37 del 1997 (e approvato dal Consiglio regionale con deliberazione n. 74 del 1998), nonché dal Progetto tematico Cave, approvato con la deliberazione 9 marzo 2001, n. 11 e formulato ai sensi degli artt. 20 e 34 delle norme di attuazione del detto piano ambientale.

 

9.– Differita la trattazione del ricorso, la difesa statale, con memoria dell’8 gennaio 2020, ha in primis replicato alle ulteriori difese spiegate dalla Regione resistente senza prendere posizione sulle novità normative introdotte con la legge reg. Veneto n. 29 del 2019.

 

In particolare, in relazione alla censura rivolta all’art. 32 della legge regionale impugnata, l’Avvocatura generale dello Stato ha addotto l’inconferenza del riferimento alle previsioni contenute nel piano ambientale adottato dall’Ente Parco e approvato dal Consiglio regionale, dirette a prescrivere, per le cave di trachite, «la quantità massima dei materiali estraibili e i tempi di chiusura delle attività considerate incompatibili con le finalità del parco», così da risultare incompatibili con la disposizione censurata che avrebbe come scopo quello di «ampliare l’attività di materiali estraibili».

 

10.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, in forza della delibera assunta dal Consiglio dei ministri nella seduta del 9 gennaio 2020, ha poi depositato in data 17 gennaio 2020, atto di rinunzia al ricorso, limitatamente alle questioni proposte nei confronti degli artt. 2, commi 2 e 3, 3, 8, comma 2, lettera g), 11, comma 5, e 12, comma 4, della legge reg. Veneto n. 13 del 2018, cui ha fatto seguito l’accettazione della Regione Veneto, deliberata dalla Giunta regionale il 21 gennaio 2020 e depositata il 28 gennaio 2020.

 

Considerato in diritto

 

1.– Con ricorso notificato il 15 - 18 maggio 2018 (reg. ric. n. 37 del 2018), il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 2, commi 2 e 3, 3, 8, comma 2, lettera g), 11, comma 5, 12, comma 4, e 32, comma l, lettera c), della legge della Regione Veneto 16 marzo 2018, n. 13 (Norme per la disciplina dell’attività di cava), in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione.

 

2.– Nelle more del giudizio, la Regione Veneto, con la legge regionale 25 luglio 2019, n. 29 (Legge regionale di adeguamento ordinamentale 2018 in materia di governo del territorio e paesaggio, parchi, trasporto pubblico, lavori pubblici, ambiente, cave e miniere, turismo e servizi dell’infanzia), ha modificato il disposto degli impugnati artt. 2, 3, 11 e 12 ed ha abrogato l’art. 8, comma 2, lettera g), della legge impugnata.

 

In ragione di tali innovazioni, il ricorrente, con deliberazione assunta dal Consiglio dei ministri nella seduta del 9 gennaio 2020, ha rinunziato al ricorso limitatamente alle questioni proposte in direzione delle disposizioni impugnate modificate dalla richiamata legge reg. Veneto n. 29 del 2019.

 

La Regione Veneto ha quindi depositato una nota contenente la formale accettazione della rinunzia parziale operata dal ricorrente; accettazione deliberata dalla Giunta regionale in data 21 gennaio 2020.

 

3.– Con riferimento agli artt. 2, commi 2 e 3, 3, 8, comma 2, lettera g), 11, comma 5, e 12, comma 4, va quindi dichiarata l’estinzione del processo ai sensi dell’art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

4.– L’oggetto del giudizio resta di conseguenza limitato al solo scrutinio della questione relativa all’art. 32 della legge reg. Veneto n. 13 del 2018, estraneo alla rinunzia.

 

5.– Quanto alla censura in questione, giova premettere che con la legge regionale n. 13 del 2018, la Regione Veneto ha portato a termine una complessiva riforma della disciplina inerente alla gestione ed alla pianificazione dell’attività di cava, provvedendo anche ad assemblare gli stratificati interventi normativi intervenuti, nel corso degli anni, a parziale modifica o integrazione delle disposizioni contenute nella legge della Regione Veneto 7 settembre 1982, n. 44 (Norme per la disciplina dell’attività di cava); legge che in origine disciplinava la materia di riferimento e che ora è stata abrogata dall’art. 36, comma 4, lettera a), della legge regionale posta allo scrutinio della Corte.

 

5.1.– Per quel che qui immediatamente interessa, la novella, all’interno del Titolo VI, dedicato alle «norme finali, transitorie, finanziarie e di abrogazione», proprio per il tramite del censurato art. 32, detta specifiche disposizioni in materia di coltivazione di trachite all’interno del Parco dei Colli Euganei.

 

Più precisamente, l’articolo in oggetto prevede che all’interno del Parco «possono essere autorizzate, anche a titolo di sperimentazione operativa, attività di cava per l’estrazione di trachite, in deroga alle limitazioni contenute nel piano ambientale e nel Progetto Tematico Cave». Perché l’attività in questione venga autorizzata occorre, tuttavia, che i relativi progetti di estrazione, oltre a dover essere caratterizzati da un «alto contenuto innovativo, da dimostrare con uno studio di fattibilità sperimentale, dal quale emerga un’effettiva drastica riduzione degli impatti paesaggistici ed ambientali rispetto a quelli derivanti dalle coltivazioni condotte con le usuali tecniche normalmente adottate per l’estrazione della trachite» (art. 32, lettera a), vengano inoltre sottoposti con esito favorevole «a procedura di valutazione di impatto ambientale» (art. 32, lettera b). È infine necessario che l’intervento proposto «si configuri come modifica e/o ampliamento di cave in attività alla data di emanazione del D.M. 17 ottobre 2007 “Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS)” e sul progetto si esprimano favorevolmente il Comune territorialmente interessato e l’Ente Parco Colli Euganei» (art. 32, lettera c).

 

5.2.– La doglianza del Presidente dei Consiglio dei ministri si appunta in particolare su tale ultimo profilo della disposizione censurata, che si prospetta in conflitto con l’art. 5, lettera n) del citato d.m. 17 ottobre 2007.

 

5.2.1.– Osserva in particolare il ricorrente che la disposizione statale evocata, alla luce di quanto previsto dall’art. 1, comma 1226, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. (Legge finanziaria 2007)», contiene i criteri minimi uniformi ai quali devono attenersi le Regioni nel provvedere agli adempimenti previsti dagli artt. 4 e 6 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche), volti a definire le misure di conservazione e le zone di protezione speciale nell’ambito dell’attuazione della direttiva 92/43/CEE. In particolare, in ragione di quanto previsto dal citato art. 5, lettera n), del d.m. 17 ottobre 2007, nelle zone di protezione speciale, detto decreto vieta non solo l’apertura di nuove cave, ma anche l’ampliamento di quelle esistenti «ad eccezione di quelle previste negli strumenti di pianificazione generali e di settore vigenti alla data di emanazione del presente atto o che verranno approvati entro il periodo di transizione, prevedendo altresì che il recupero finale delle aree interessate dall’attività estrattiva sia realizzato a fini naturalistici e a condizione che sia conseguita la positiva valutazione di incidenza dei singoli progetti ovvero degli strumenti di pianificazione generali e di settore di riferimento dell’intervento».

 

5.2.2.– Certa la riferibilità delle disposizioni in oggetto all’ambito inerente alla tutela dell’ambiente, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dunque contestato la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in riferimento al parametro interposto: ad avviso del ricorrente, infatti, la norma regionale impugnata garantisce una generica possibilità di modifica e/o ampliamento di cave esistenti al momento di emanazione del d.m. 17 ottobre 2007, senza tuttavia attenersi ai limiti imposti dall’art. 5, lettera n), del citato decreto.

 

6.– Costituendosi in giudizio, la Regione resistente ha contestato la fondatezza della lesione prospettata. Ad avviso della difesa regionale, infatti, la norma censurata mira a perseguire una riduzione delle alterazioni del paesaggio di riferimento e degli impatti ambientali negativi legati alla relativa attività di estrazione, prevedendo, in particolare, l’introduzione di metodi di coltivazione innovativi comunque subordinati ad una positiva valutazione di impatto ambientale.

 

6.1.– Con memoria depositata il 17 settembre 2019, la difesa della Regione resistente ha anche precisato che la disposizione censurata non deve ritenersi in conflitto con il parametro statale evocato a sostegno della questione, perché destinata ad applicarsi alle attività di estrazione assentite, alla data di entrata in vigore del d.m. 17 ottobre 2007, dalle previsioni del Progetto tematico Cave del Parco dei Colli Euganei (approvato con deliberazione del Consiglio regionale 9 marzo 2001, n. 11), rese in applicazione degli artt. 20 e 34 delle Norme attuative del piano ambientale del medesimo parco, approvato, con deliberazione del Consiglio Regionale del 7 ottobre 1998, n. 74, ai sensi dell’art. 3 della legge della Regione Veneto 10 ottobre 1989, n. 38 (Norme per l’istituzione del parco regionale dei Colli Euganei).

 

Non troverebbe dunque applicazione il divieto previsto dalla norma interposta evocata dal ricorrente, efficace solo nei confronti delle cave «non previste negli strumenti di pianificazione generali e di settore vigenti alla data di emanazione» del citato d.m. 17 ottobre 2007.

 

7.– Ciò precisato, la questione deve ritenersi non fondata nei seguenti termini.

 

7.1.– Va innanzitutto evidenziato che l’impugnato art. 32 è caratterizzato da un unico blocco normativo che contiene una indicazione generale, espressa nel primo capoverso, in forza della quale viene configurata la possibilità, all’interno del Parco dei Colli Euganei, di autorizzare attività di cava per l’estrazione di trachite, anche in deroga ai limiti imposti dal piano ambientale e dal Progetto tematico Cave.

 

Tale previsione di massima viene tuttavia espressamente subordinata, quanto alla sua possibile operatività, al riscontro di tre diverse precondizioni, descritte dalle lettere a), b) e c), dello stesso art. 32.

 

Di queste precondizioni, le prime due riguardano le connotazioni oggettive e le verifiche ambientali imposte per i progetti da autorizzare. La terza precondizione, quella prevista dalla lettera c) del censurato art. 32, assurge all’evidenza a presupposto di sistema rispetto allo stesso esercizio dell’attività di cava, giacché, per quanto già evidenziato, il legislatore regionale, nel perimetro territoriale del parco dei Colli Euganei, non consente autorizzazioni per interventi di estrazione della trachite che non si configurino «come modifiche e/o ampliamenti di cave in attività alla data di emanazione del D.M. 17 ottobre 2007».

 

7.2.– Il ricorso, dunque, contiene un improprio riferimento letterale al comma 1, lettera c), dell’art. 32 della legge impugnata. Nel suo tenore sostanziale appare, invece, rivolto a contrastare non solo detta lettera c), ma anche il primo capoverso del citato art. 32.

 

Per quanto resecata, sul piano testuale, nei termini sopra riferiti, è di piena evidenza, tuttavia, che la censura finisce per coinvolgere l’intera struttura della disposizione in esame. Attraverso la caducazione della previsione contenuta nella lettera c), si finisce, infatti, per mettere in discussione la ratio e quindi l’intera portata dell’art. 32 della legge regionale impugnata, il quale ammette l’estrazione di trachite all’interno del Parco dei Colli, ma solo per le attività considerate dalla citata lettera dell’articolo censurato.

 

8.– Ciò premesso giova poi ribadire che, con la riforma del Titolo V della Costituzione, la mancata menzione della materia «cave e torbiere» nel nuovo testo dell’art. 117 Cost., ha portato alla riconduzione della stessa – più volte affermata da questa Corte – alla competenza residuale delle Regioni (ex plurimis, da ultimo, la sentenza n. 176 del 2018).

 

Se la disciplina dell’attività di cava, dunque, può essere regolata dalle Regioni, resta, tuttavia, salvo il necessario rispetto degli standard ambientali fissati dalle leggi statali: secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente si deve «confrontare con la competenza regionale in materia di cave, senza che ciò, però, possa importare alcuna deroga rispetto a quanto già affermato da questa Corte in ordine ai principi che governano la tutela dell’ambiente» (sentenze n. 66 del 2018, n. 210 del 2016; nello stesso senso, sentenze n. 199 del 2014 e n. 246 del 2013).

 

8.1.– Su questo versante va in primo luogo evidenziato che, ai sensi di quanto previsto dalla legge 29 novembre 1971, n. 1097 (Norme per la tutela delle bellezze naturali ed ambientali e per le attività estrattive nel territorio dei Colli Euganei), nel territorio dei Colli Euganei è stata vietata sia l’apertura di nuove cave e miniere, sia la ripresa di esercizio di cave e miniere in stato di inattività alla data del 1° ottobre 1970, con l’eccezione delle concessioni minerarie da sfruttare mediante perforazione di pozzi (art. 1, commi 1 e 2).

 

8.1.1.– In particolare, secondo l’art. 2, comma 1, della citata legge statale, «le cave e le miniere di materiale da riporto e quelle che forniscono pietrame trachitico, liparitico e calcareo e pietrisco basaltico, trachitico, liparitico e calcareo», devono aver concluso «ogni attività entro il termine perentorio del 31 marzo 1972». Per contro, la «coltivazione e l’esercizio delle altre cave e miniere», in attività alla data di entrata in vigore della citata legge, sono state disciplinate dal successivo art. 3, «salvo che per le miniere il cui sfruttamento avviene mediante perforazione di pozzi, per le quali nulla è innovato» (art. 2, comma 2).

 

In tali ultimi casi, la continuazione delle attività estrattive, secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 1, è subordinata all’approvazione di un apposito progetto di coltivazione da parte del soprintendente ai monumenti, competenza oggi spettante alla Regione.

 

8.1.2.– Il dato normativo statale sopra riferito legittima dunque la continuazione dell’attività di estrazione afferente la trachite limitatamente ai soli casi in cui lo sfruttamento avviene tramite la perforazione di pozzi, risultando la stessa altrimenti vietata dal 31 marzo 1972. Ed in questa cornice di riferimento rientra la disposizione censurata, che nella sua premessa fa esplicito riferimento «alle attività di cava consentite della legge 29 novembre 1971, n. 1097» all’interno del Parco regionale dei Colli Euganei.

 

8.2.– Sempre con riguardo al quadro normativo, è altresì necessario rimarcare che la normativa regionale primaria non contiene una disciplina compiuta quanto alla estrazione della trachite all’interno del territorio del Parco in questione.

 

8.2.1.– La legge reg. n. 44 del 1982, previgente alla disciplina introdotta dalla legge reg. n 13 del 2018 ed ora abrogata, non dettava alcuna norma specifica, limitandosi a richiamare talune competenze amministrative e talune funzioni di vigilanza (artt. 16, comma 3, e 28, comma 3).

 

8.2.2.– A sua volta, la legge reg. Veneto n. 38 del 1989, istitutiva del Parco regionale dei Colli Euganei, assegna all’Ente Parco (previsto dall’art. 14) il compito di rendere il parere necessario per la concessione, da parte della Regione, dell’autorizzazione all’attività di estrazione all’interno del relativo perimetro territoriale (art. 16, comma 2, lettera a); ancora, attribuisce al medesimo Ente (art. 16, comma 1, lettera a) il compito di adottare il piano ambientale chiamato a definire, tra le altre cose, per le cave di trachite «la quantità massima dei materiali estraibili e i tempi di chiusura delle attività considerate incompatibili con le finalità del parco» (art. 3, comma 2, lettera g).

 

8.2.3.– Il piano ambientale (approvato con delibera del Consiglio regionale del 7 ottobre 1998, n. 74), all’art. 20, comma 2, rimette al Progetto tematico Cave la determinazione delle modalità estrattive e dei relativi termini quantitativi e temporali che la Regione potrà autorizzare. In particolare, in relazione alle cave di trachite in attività, per un verso autorizza l’estrazione nei «limiti quantitativi massimi pari a quanto già estratto, mediamente all’anno, per ciascun sito nell’ultimo quinquennio»; per altro verso rimette al Progetto tematico Cave il compito di fissare, per ciascun sito in attività, i tempi di durata dell’estrazione assentita, nonché «le quantità estraibili nell’arco temporale di riferimento assunto» (art. 20, commi 10 e 11).

 

8.2.4.– Sul piano attuativo, infine, il Progetto tematico Cave descrive le cave di trachite in attività alla data della relativa approvazione e, per ciascun sito, detta le quantità di materiale da estrarre e i tempi massimi di definizione dello sfruttamento (art. 5, commi 1 e 2), a far tempo dalla data di approvazione del progetto.

 

8.2.5.– Il quadro normativo sopra descritto consente dunque di affermare che, in forza di quanto previsto dalla menzionata disciplina regionale, all’interno del parco dei Colli Euganei, l’attività di estrazione della trachite è stata svolta secondo quanto previsto dalle citate disposizioni di indirizzo del piano ambientale e attuative del Progetto tematico Cave. Più precisamente, per quel che qui immediatamente interessa, emerge che alla data di emanazione della norma statale evocata quale parametro interposto, risalente al 2007, i suddetti piani di indirizzo e attuazione prevedevano già, e assentivano, diversi siti dedicati all’attività di estrazione della trachite.

 

8.3.– Ciò precisato in linea generale, va rimarcato che la normativa interposta richiamata dal Governo inerisce all’attuazione delle direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE, in materia di protezione ambientale (cosiddetta rete europea “Natura 2000”, con relative Zone speciali di conservazione e Zone di protezione speciale; da ora in poi, rispettivamente: ZSC e ZPS). 

 

8.3.1.– Questa Corte ha già evidenziato (sentenza n. 316 del 2009) che la disciplina nazionale di recepimento della direttiva 92/43/CEE è stata dettata, anzitutto, dal d.P.R. n. 357 del 1997, più volte modificato, il quale riconosce, all’art. 4, poteri normativi ed amministrativi alle Regioni ed alle Province autonome in ordine alle ZSC e, all’art. 6, reca una ulteriore disciplina attuativa della direttiva 79/409/CEE, già recepita con legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) prevedendo, anche in tal caso, poteri normativi ed amministrativi degli enti territoriali in ordine alle ZPS.

 

8.3.2.– Sempre nell’ottica legata all’attuazione delle citate direttive, va anche ricordato che l’art. 1, comma 1226, della legge finanziaria 2007, ha espressamente previsto che, al fine «di prevenire ulteriori procedure di infrazione, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano devono provvedere agli adempimenti previsti dagli articoli 4 e 6 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni, o al loro completamento, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base di criteri minimi uniformi definiti con apposito decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare». Criteri minimi che sono stati dettati, per l’appunto, con il d.m. 17 ottobre 2007 secondo indicazioni precettive, vincolanti per le Regioni in quanto espressione di livelli uniformi di protezione ambientale in attuazione delle citate direttive europee (in termini, oltre alla citata sentenza n. 316 del 2009, le sentenze n. 329 e n. 104 del 2008).

 

8.3.3.– In questa cornice normativa si inserisce, dunque, il parametro interposto specificatamente evocato dal ricorrente, vale a dire la disposizione di cui all’art. 5, lettera n), del più volte citato d.m. 17 ottobre 2007, per il tramite della quale è stato imposto alle Regioni di introdurre, per il territorio delle zone di protezione speciale, il divieto di apertura di nuove cave e di ampliamento di quelle esistenti. Tuttavia, quanto a queste ultime, si sottraggono al detto divieto «quelle previste negli strumenti di pianificazione generali e di settore» già vigenti alla data di emanazione del citato decreto o approvati entro il periodo di transizione precisato secondo le cadenze temporali ivi definite.

 

In altri termini, nel perimetro delle dette zone di protezione, a far tempo dalla data di emanazione del d.m. 17 ottobre 2007, alle Regioni non è più consentita l’apertura di nuove cave. Per contro, i siti attivi in tale data, potevano – e ancora oggi possono – essere oggetto di ampliamento: ciò sempre se previsti in strumenti di pianificazione, generali o di settore, all’epoca già vigenti o da approvare entro il periodo di transizione previsto dalla citata disposizione ministeriale.

 

9.– Alla luce del descritto quadro normativo, deve ritenersi che la disposizione regionale censurata, nel definire il perimetro della possibile attività di estrazione della trachite all’interno del Parco dei Colli Euganei, non incorre nel vizio di illegittimità costituzionale prospettato con il ricorso; ciò, proprio grazie al tenore della previsione contenuta nella lettera c) dell’articolo impugnato, sul quale, invece, si appunta la censura del ricorrente. Detta disposizione, infatti, contiene, come già evidenziato, un esplicito e decisivo richiamo alla fonte statale competente ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., tale da permettere un puntuale allineamento della disciplina regionale alle indicazioni della normativa statale di riferimento.

 

È ben vero, come lamenta la difesa dello Stato, che la norma impugnata, nel suo tenore letterale, non riporta testualmente i criteri delimitativi contenuti in detta fonte statale, ma si limita ad un generico riferimento ai siti attivi alla data di emanazione di quest’ultima. Ciò tuttavia non cancella i confini tracciati dalla norma statale richiamata e che possano dunque favorire il rilascio di autorizzazioni per progetti inerenti a siti diversi da quelli previsti in strumenti di pianificazione vigenti alla data di emanazione del d.m. 17 ottobre 2007 o comunque approvati nel periodo di transizione considerato dallo stesso decreto.

 

Del resto, che la norma regionale censurata sia volta ad assentire unicamente l’implementazione, all’interno del Parco dei Colli Euganei, solo dei siti in attività, dedicati all’estrazione di trachite, considerati dai piani generali e di settore vigenti o comunque approvati nell’arco temporale dettato dall’art. 5, lettera n), del decreto ministeriale più volte citato, è valutazione interpretativa che trova una conferma decisiva nello stesso tenore testuale del primo capoverso dell’art. 32 impugnato, laddove prevede espressamente che l’autorizzazione dell’attività di cava per l’estrazione della trachite possa operare in deroga ai limiti imposti «nel piano ambientale e nel Progetto Tematico Cave». Il richiamo ai piani in questione consente di ritenere palese l’intenzione del legislatore regionale di delimitare l’operatività della norma ai soli siti considerati dai detti piani di settore certamente rispettosi, per quanto già evidenziato, del parametro statale interposto, così da tracciare il confine ultimo dell’attività di estrazione della trachite all’interno del territorio del Parco dei Colli Euganei.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, lettera c), della legge della Regione Veneto 16 marzo 2018, n. 13 (Norme per la disciplina dell’attività di cava), promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

 

2) dichiara estinto il processo limitatamente alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 2 e 3, 3, 8, comma 2, lettera g), 11, comma 5, e 12, comma 4, della legge reg. Veneto n. 13 del 2018, promosse, in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 gennaio 2020.

 

F.to:

 

Marta CARTABIA, Presidente

 

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

 

Roberto MILANA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2020.