SENTENZA N. 72
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI
Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI
”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPEETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 5-quater e 5-sexies,
lettera a), del decreto-legge
2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni
tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di
accertamento), convertito, con modificazioni, nella legge 26 aprile 2012, n. 44,
promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Novara nel procedimento
vertente tra F.V. e l’Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Novara,
con ordinanza
del 1° dicembre 2015, iscritta al n. 29 del registro ordinanze 2016 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie
speciale, dell’anno 2016.
Visti l’atto di costituzione di F.V., nonché l’atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 febbraio 2018 il
Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi l’avvocato Marco Cuniberti
per F.V. e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con
l’ordinanza indicata in epigrafe la Commissione tributaria provinciale (CTP) di
Novara ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi
5-quater e 5-sexies, lettera a), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16
(Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di
efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito,
con modificazioni, nella legge 26 aprile 2012, n. 44, in riferimento agli artt. 3, 9, secondo comma, e 53 della Costituzione.
Il
giudice a quo riferisce di essere stato adito da F.V., il quale – dopo essersi
vanamente rivolto all’Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Novara
per ottenere il rimborso delle somme, asseritamente non dovute, versate per
l’anno d’imposta 2013 a titolo di imposta sul reddito delle persone fisiche
(IRPEF) e di addizionale, tutte relative al reddito derivante dalla locazione
di un immobile di interesse storico-artistico di sua proprietà ubicato a Verona
– ha impugnato il silenzio rifiuto formatosi su detta istanza. In particolare,
il ricorrente lamentava l’illegittimità costituzionale delle norme censurate,
che avrebbero ricondotto al regime impositivo ordinario anche gli immobili
appartenenti alla menzionata categoria.
Il
rimettente – dopo aver dato atto del fatto che la stessa CTP di Novara, su
analogo ricorso del medesimo contribuente relativo all’annualità 2012, aveva
sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa normativa in
riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost., questione dichiarata non fondata
dalla sentenza
n. 145 del 2015 di questa Corte – evidenzia come i commi censurati
modifichino profondamente, e in senso deteriore per il contribuente, il
precedente regime fiscale dettato per gli immobili di interesse storico o
artistico dall’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413
(Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e
potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione
obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il
contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti;
delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati
tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale),
secondo cui «[i]n ogni caso, il reddito degli immobili riconosciuti di
interesse storico o artistico, ai sensi dell’articolo 3 della legge 1° giugno
1939, n. 1089, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato
mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le
abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato». Tale
regime, abrogato dall’art. 4, comma 5-quater, del d.l.
n. 16 del 2012, è stato sostituito da quello dettato dal successivo comma
5-sexies, lettera a), secondo cui, ai fini del calcolo del reddito imponibile
degli immobili di interesse storico o artistico, il canone di locazione da
prendere in considerazione subisce una riduzione forfettaria del trentacinque
per cento a fronte di quella ordinaria del cinque per cento.
Ad
avviso del rimettente, la sostituzione del precedente regime speciale con uno
meramente agevolato, dettata dalla sola finalità di aumentare il gettito
tributario, eliminerebbe la distinzione sostanziale tra gli immobili di
interesse storico o artistico e quelli che non lo sono, violando l’art. 9,
secondo comma, Cost., espressivo del principio di tutela del patrimonio storico
e artistico nazionale.
Inoltre,
l’agevolazione fiscale violerebbe l’art. 3 Cost. in quanto, omettendo di
prevedere adeguate misure compensative a fronte della forte incidenza dei costi
di conservazione e dei vincoli limitanti la libera disponibilità di tali beni,
sarebbe irragionevole e discriminatoria.
Infine,
la tassazione del sessantacinque per cento del reddito non troverebbe
giustificazione in indici reddituali effettivi, con conseguente violazione del
principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.
2.– Con
atto depositato il 15 marzo 2016 è intervenuto in giudizio il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sollevata sia
dichiarata manifestamente infondata.
Ad
avviso dell’intervenuto, le disposizioni censurate, sostituendo il precedente
regime fiscale speciale per gli immobili di interesse storico o artistico con
uno omogeneo a quello generale, avrebbero dato luogo a una semplificazione e
razionalizzazione della tassazione, al contempo tenendo conto, da un lato,
della particolare natura degli immobili e, dall’altro, delle esigenze di
bilancio, il tutto nell’esercizio della discrezionalità del legislatore, ora
maggiormente ancorata alla capacità contributiva rispetto alla normativa
precedente, che prescindeva dal reddito locativo.
3.– Si è
costituito il ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo che la questione sollevata
sia dichiarata fondata. Successivamente, con memoria depositata il 16 gennaio
2018, il medesimo ha diffusamente argomentato in ordine alla rilevanza e alla
fondatezza delle questioni sollevate.
Considerato in
diritto
1.– Con
l’ordinanza indicata in epigrafe la Commissione tributaria provinciale di
Novara ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi
5-quater e 5-sexies, lettera a), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16
(Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di
efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito,
con modificazioni, nella legge 26 aprile 2012, n. 44, in riferimento agli artt.
3, 9, secondo comma, e 53 della Costituzione.
Il
giudice a quo è stato adito da un contribuente, il quale – dopo essersi
vanamente rivolto all’Agenzia delle entrate per ottenere il rimborso delle
somme, asseritamente non dovute, versate per l’anno d’imposta 2013 a titolo di
imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e di addizionale, tutte
relative al reddito derivante dalla locazione di un immobile di interesse
storico-artistico di sua proprietà – ha impugnato il silenzio rifiuto formatosi
su detta istanza, lamentando l’illegittimità costituzionale delle norme
censurate, che avrebbero ricondotto al regime impositivo ordinario anche gli
immobili appartenenti alla menzionata categoria.
Il
rimettente evidenzia come la normativa denunciata modifichi profondamente, e in
senso deteriore per il contribuente, il precedente regime fiscale dettato per
gli immobili vincolati dall’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n.
413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare,
facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la
rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per
riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari
pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia
per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto
fiscale), secondo cui «[i]n ogni caso, il reddito degli immobili riconosciuti
di interesse storico o artistico […] è determinato mediante l’applicazione
della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria
nella quale è collocato il fabbricato». Tale regime, abrogato dall’art. 4,
comma 5-quater, del d.l. n. 16 del 2012, è stato
sostituito da quello dettato dal successivo comma 5-sexies, lettera a), del
medesimo articolo, secondo cui, ai fini del calcolo del reddito imponibile
degli immobili di interesse storico o artistico, il canone di locazione da
prendere in considerazione subisce una riduzione forfettaria del trentacinque
per cento a fronte di quella ordinaria del cinque per cento.
Ad
avviso del rimettente, la sostituzione del precedente regime speciale con uno
meramente agevolato eliminerebbe la distinzione sostanziale tra gli immobili
vincolati e quelli che non lo sono, violando l’art. 9, secondo comma, Cost.,
espressivo del principio di tutela del patrimonio storico e artistico
nazionale.
Inoltre,
l’agevolazione fiscale violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto, omettendo di
prevedere adeguate misure compensative a fronte della forte incidenza dei costi
di conservazione e dei vincoli limitanti la libera disponibilità di tali beni,
sarebbe irragionevole e discriminatoria.
Infine,
la tassazione del sessantacinque per cento del reddito locativo non troverebbe
giustificazione in indici reddituali effettivi, con conseguente violazione del
principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.
2.–
Prima di affrontare il merito delle questioni sollevate, occorre rammentare
che, come già evidenziato da questa Corte (sentenza n. 145 del 2015), sino al
periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2011, per tutti gli immobili di
interesse storico o artistico ai sensi dell’art. 10 del decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi
dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) – senza distinzione di destinazione
o di classificazione catastale e indipendentemente dal loro concreto utilizzo
(locati o meno) e con l’eccezione di quelli che costituiscono beni strumentali
per l’esercizio dell’attività d’impresa o di produzione o scambio finalizzati a
tale attività – il regime d’imposizione fiscale risultava completamente
scollegato dal valore locativo o fondiario dell’immobile, in quanto il reddito
derivante dal suo possesso veniva determinato sulla base della minore tra le
tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria di
appartenenza (art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 413 del 1991), in relazione alla
cosiddetta rendita figurativa.
L’art. 4
del d.l. n. 16 del 2012 – come integrato in sede di conversione
– ha ridisegnato il peculiare regime fiscale degli immobili vincolati. Tale
disposizione, abrogando l’art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 413 del 1991 (art. 4,
comma 5-quater), ha eliminato la possibilità di determinare il reddito
imponibile secondo il criterio della rendita figurativa, in cui era irrilevante
il canone di locazione, e ha al contempo statuito, con riferimento agli
immobili di interesse storico o artistico non posseduti in regime di impresa e
locati (art. 4, comma 5-sexies, lettera a), che il reddito imponibile ai fini
IRPEF sia rappresentato dal maggiore fra il canone di locazione ridotto del
trentacinque per cento e la rendita catastale rivalutata del cinque per cento
calcolata applicando la tariffa d’estimo propria dell’immobile, ridotta della
metà (secondo le indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate nella
risoluzione del 31 dicembre 2012, n. 114/E).
Alla
luce della ricostruzione normativa che precede, si evince come le norme
censurate abbiano sostituito il regime fiscale speciale antecedentemente
previsto per gli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico con uno
meramente agevolato, ridimensionando tendenzialmente sotto il profilo
quantitativo il beneficio accordato.
3.–
Tanto premesso, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi
5-quater e 5-sexies, lettera a), del d.l. n. 16 del
2012, in riferimento all’art. 9, secondo comma, Cost., non è fondata.
La
sostituzione del regime fiscale speciale con uno meramente agevolato non ha
sottratto il trattamento tributario degli immobili di interesse
storico-artistico alla peculiare finalità reclamata dal rimettente, continuando
a giustificarsi «in considerazione del complesso di vincoli ed obblighi
gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni quale riflesso della tutela
costituzionale loro garantita dall’art. 9, secondo comma, della Costituzione» (sentenze n. 111 del
2016 e n.
346 del 2003).
Alla
permanenza della diversità di trattamento legale, correlata al pregio storico o
artistico del bene, continua a corrispondere quella del regime tributario –
proprio come ritenuto da questa Corte a proposito del precedente criterio di
tassazione fondato sulla rendita figurativa (sentenza n. 346 del
2003) – seppure in un diverso rapporto sistematico con la disciplina
complessiva del tributo interessato, prevedendosi una maggior riduzione del
reddito locativo da prendere in considerazione rispetto agli altri beni.
Risulta
così smentito l’assunto del rimettente secondo cui la normativa censurata
avrebbe determinato l’omologazione giuridica degli immobili di interesse
storico-artistico a quelli che non lo sono, atteso che, in ragione della tutela
da accordare ai primi in virtù dell’art. 9, secondo comma, Cost., la
distinzione tra di essi permane integra.
4.– La
questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 5-quater e 5-sexies,
lettera a), del d.l. n. 16 del 2012, in riferimento
all’art. 3 Cost., non è fondata.
Anche a
prescindere dalla considerazione che tutte le agevolazioni fiscali afferenti
alla categoria dei beni culturali – il cui novero non si esaurisce in quella in
esame – rispondono essenzialmente alla finalità di compensare obblighi e
vincoli a essi inerenti, va rilevato, con specifico riferimento alla loro
redditività, come la riduzione forfettaria (del trentacinque per cento a fronte
di quella ordinaria del cinque per cento) del canone locativo ai fini della
determinazione dell’imponibile risulti ulteriormente incrementabile del trenta
per cento, ai sensi dell’art. 8, comma 1, della legge 9 dicembre 1998, n. 431
(Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso
abitativo). Tale possibilità dipende dal fatto che, in virtù delle modifiche
intervenute, le modalità di determinazione del reddito locativo degli immobili
vincolati sono divenute analoghe a quelle previste per gli altri e soddisfa
così l’esigenza di armonizzazione evidenziata da questa Corte in occasione
dello scrutinio del regime precedente (sentenza n. 346 del
2003).
Inoltre,
ai fini IRPEF, l’art. 15, comma 1, lettera g), del decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte
sui redditi), prevede una detrazione del diciannove per cento delle spese
«sostenute dai soggetti obbligati alla manutenzione, protezione o restauro» dei
beni vincolati, agevolazione cumulabile – seppur in ragione della metà – con
quelle previste per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio (art.
16-bis, comma 6, del d.P.R. n. 917 del 1986).
Tali
agevolazioni, peraltro, coesistono con la previsione, contenuta nel d.lgs. n.
42 del 2004, che lo Stato possa concorrere alle spese di restauro e
conservazione dei beni vincolati fino alla metà dell’importo o, in caso di
interventi di particolare rilevanza, per l’intero (art. 35) e possa concedere
contributi in conto interessi su mutui o altre forme di finanziamento accordati
a proprietari, possessori o detentori da istituti di credito per la
realizzazione degli interventi conservativi (art. 37).
Alla
stregua dei rilievi che precedono, si deve dunque escludere, anche in virtù di
una valutazione sistematica, che il nuovo regime fiscale non tenga
adeguatamente conto di vincoli e oneri correlati agli immobili di interesse
storico-artistico, riservando invece a essi un trattamento significativamente
diverso rispetto a quello dettato per gli immobili che non appartengono a detta
categoria.
Il fatto
che la nuova disciplina si discosti da quella precedente – considerata più
favorevole – e che quest’ultima sia stata ritenuta costituzionalmente conforme
(sentenza n. 346
del 2003) non comporta di per sé che il nuovo regime sia in contrasto con
il principio di ragionevolezza. Non è affatto implausibile
che le disposizioni impugnate – anziché prescindere completamente dal reddito
locativo – applichino allo stesso una riduzione forfettariamente quantificata,
in tal modo armonizzandone la disciplina con quella delle ulteriori
agevolazioni.
Peraltro,
ai fini del positivo scrutinio delle disposizioni impugnate in termini
sistematici e di proporzionalità, non è indifferente che il nuovo regime
dettato per i beni di interesse storico-artistico si accompagni alla quasi
coeva introduzione dell’imposta municipale propria (IMU). Quest’ultima ha
sostituito, «per la componente immobiliare, l’imposta sul reddito delle persone
fisiche e le relative addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari
relativi ai beni non locati» (art. 8, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo
2011, n. 23, recante «Disposizioni in materia di federalismo Fiscale
Municipale»). Ciò comporta che coerentemente, per effetto del sopravvenuto
assetto tributario, i beni vincolati subiscano un’imposizione patrimoniale
essenzialmente sulla base dei parametri catastali (ai sensi dell’art. 13, comma
3, lettera a, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante «Disposizioni
urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici»,
convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214), mentre
l’imposizione sul reddito da essi eventualmente ritratto avvenga in base a
parametri analitici (il canone locativo forfettariamente diminuito, di regola
superiore alla rendita catastale rivalutata ridotta della metà).
5.– La
questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 5-quater e 5-sexies,
lettera a), del d.l. n. 16 del 2012, in riferimento
all’art. 53 Cost., non è fondata.
Nel
giudizio inerente al precedente regime speciale questa Corte ha già avuto modo
di escludere la violazione del citato parametro, in ragione dell’obiettiva
difficoltà di ricavare per gli immobili vincolati il reddito effettivo da
quello locativo, per la forte incidenza dei costi di manutenzione e
conservazione di tali beni (sentenza n. 346 del
2003).
Tale
considerazione vale anche per la normativa censurata che, senza prescinderne
completamente, determina – a fini impositivi – una riduzione forfettaria di
circa un terzo del reddito locativo rispetto a quella ordinaria prevista per
gli altri immobili.
6.– Alla
luce delle considerazioni che precedono, si deve concludere che l’introduzione
del regime tributario in questione rientra nel potere discrezionale del
legislatore «di decidere non solo in ordine all’an,
ma anche in ordine al quantum e ad ogni altra modalità e condizione» afferente
alla determinazione di agevolazioni e benefici fiscali (sentenza n. 108 del
1983). Nell’esercizio di tale potere egli «non è obbligato a mantenere il
regime derogatorio, qualora […] siano diversamente valutate le condizioni per
le quali il detto regime era stato disposto, purché ciò avvenga nei limiti della
non arbitrarietà e della ragionevolezza e nel rispetto dei principi
costituzionali in materia» (ordinanza n. 174
del 2001), così come accaduto nella fattispecie in esame.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 4, commi 5-quater e 5-sexies, lettera a), del
decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di
semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure
di accertamento), convertito, con modificazioni, nella legge 26 aprile 2012, n.
44, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 9, secondo comma, e 53 della
Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Novara con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 6 febbraio 2018.
F.to:
Giorgio
LATTANZI, Presidente
Aldo
CAROSI, Redattore
Roberto
MILANA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 5 aprile 2018.