Ordinanza n. 89 del 2016

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ORDINANZA N. 89

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Giorgio                        LATTANZI                                      Presidente

-           Giuseppe                     FRIGO                                               Giudice

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

-           Franco                         MODUGNO                                            ”

-           Augusto Antonio        BARBERA                                              ”

-           Giulio                          PROSPERETTI                                        ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), promossi dal Tribunale ordinario di Lecco con ordinanza del 13 febbraio 2015, dal Tribunale ordinario di Avellino con ordinanza del 17 luglio 2015 e dal Tribunale ordinario di Treviso con ordinanza del 16 settembre 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 124, 235 e 248 del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 26, 45 e 47, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 marzo 2016 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto che, con ordinanza del 13 febbraio 2015 (r.o. n. 124 del 2015), il Tribunale ordinario di Lecco, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per un ammontare superiore ad euro 50.000 per ciascun periodo d’imposta, anziché ad euro 103.291,38;

che il giudice a quo riferisce di essere chiamato a giudicare una persona imputata del reato previsto dalla norma censurata, per aver omesso di versare, entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per un importo di euro 94.837,15 in relazione all’anno d’imposta 2009: donde la rilevanza della questione;

che quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il rimettente osserva come, con la sentenza n. 80 del 2014, la Corte costituzionale abbia dichiarato costituzionalmente illegittimo, in riferimento all’art. 3 Cost., l’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000 nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, puniva l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38;

che la Corte ha ritenuto, in specie, lesiva del principio di eguaglianza la previsione, per il delitto di omesso versamento dell’IVA, di una soglia di punibilità (euro 50.000) inferiore a quelle stabilite per la dichiarazione infedele e l’omessa dichiarazione dagli artt. 4 e 5 del medesimo decreto legislativo (rispettivamente, euro 103.291,38 ed euro 77.468,53), prima della loro modifica in diminuzione ad opera dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148; modifica operante, per espressa previsione normativa, in rapporto ai soli fatti commessi dopo il 17 settembre 2011: in questo modo, infatti, veniva riservato un trattamento deteriore a comportamenti di evasione tributaria meno insidiosi e lesivi degli interessi del fisco, attenendo l’omesso versamento a somme di cui lo stesso contribuente si era riconosciuto debitore nella dichiarazione annuale dell’IVA;

che, ad avviso del giudice a quo, il medesimo problema di ragionevolezza – connesso alla previsione di una soglia di punibilità di 50.000 euro, inferiore a quella prevista per il delitto di omessa dichiarazione, senz’altro più grave – si porrebbe anche in relazione al reato di omesso versamento di ritenute certificate: reato del tutto simile, quanto a struttura, a quello di omesso versamento dell’IVA;

che analoga questione è stata sollevata dal Tribunale ordinario di Avellino, in composizione monocratica, con ordinanza del 17 luglio 2015 (r.o. n. 235 del 2015), nel corso del processo penale nei confronti di una persona imputata del reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, per aver omesso di versare, in relazione all’anno d’imposta 2008, ritenute alla fonte per un ammontare di euro 51.712;

che il rimettente reputa affatto ingiustificata la disparità di trattamento venutasi a creare in punto di soglia di punibilità, a seguito della sentenza n. 80 del 2014, tra i reati di omesso versamento dell’IVA e di omesso versamento di ritenute certificate, quanto ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011;

che tale differenza di regime non troverebbe una spiegazione ragionevole nella diversa natura fiscale del debito inadempiuto, posto che l’art. 10-ter richiama, ai fini della determinazione tanto della soglia di punibilità che della pena, il precedente art. 10-bis, a dimostrazione della piena equivalenza delle condotte incriminate nella considerazione legislativa;

che anche il Tribunale ordinario di Treviso, in composizione monocratica – con ordinanza del 16 settembre 2014 (r.o. n. 248 del 2015), emessa nell’ambito del processo penale nei confronti di una persona tratta a giudizio per non aver versato ritenute certificate relative all’anno d’imposta 2008 per un importo di euro 76.336 – dubita, nei medesimi termini, della legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000;

che il giudice a quo reputa del tutto irragionevole, e dunque contrastante con l’art. 3 Cost., la disparità di trattamento, quanto a soglia di punibilità, determinatasi a seguito della sentenza n. 80 del 2014 tra i reati di omesso versamento dell’IVA e di omesso versamento di ritenute certificate, limitatamente ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011;

che detta sperequazione non potrebbe trovare giustificazione nella diversa tipologia del tributo cui attiene l’omesso versamento, discutendosi comunque di somme dovute all’erario in adempimento di obblighi tributari e avendo lo stesso legislatore mostrato di ritenere indifferente, sul piano dell’offensività, la natura fiscale delle somme, col prevedere per entrambe le fattispecie la medesima soglia di punibilità;

che, del pari, non si potrebbe ritenere che la condotta punita dall’art. 10-bis presenti un maggior disvalore in ragione del fatto che il sostituto d’imposta – tenuto al versamento delle ritenute – opera, in certo qual modo, «come “esattore” per conto dell’amministrazione finanziaria», trattenendo alla fonte somme di denaro destinate a confluire nelle casse dell’erario;

che, a parte il rilievo che una considerazione similare potrebbe essere formulata anche in rapporto all’omesso versamento dell’IVA, essa non rifletterebbe comunque la reale sostanza dell’istituto della sostituzione tributaria, posto che il sostituto non trattiene materialmente alcuna somma di denaro dal compenso corrisposto al sostituito, ma si limita a pagare a quest’ultimo «una somma “al netto della ritenuta”»;

che neppure, infine, si potrebbe far leva sulla circostanza che, ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, il sostituto d’imposta, oltre a non versare al fisco le ritenute, deve aver rilasciato al sostituito la certificazione dell’avvenuta effettuazione delle ritenute stesse: certificazione utilizzabile dal sostituito per dimostrare di aver assolto il proprio obbligo tributario (nel caso di ritenuta a titolo di imposta), ovvero di aver diritto alla compensazione tra il credito corrispondente alla ritenuta subita e il debito d’imposta (nel caso di ritenuta a titolo di acconto);

che da un lato, infatti, la certificazione rilasciata dal sostituto non può essere ritenuta mendace, in quanto attestante esclusivamente l’effettuazione delle ritenute, e non anche il loro versamento al fisco; dall’altro lato, il presupposto che consente al sostituito di scomputare le ritenute non sarebbe costituito dall’avvenuto rilascio della certificazione, ma dalla circostanza che le ritenute siano state effettivamente operate dal sostituto;

che è intervenuto in tutti i giudizi di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili o, in subordine, infondate.

Considerato che i Tribunali ordinari di Lecco, Avellino e Treviso dubitano della legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per un ammontare superiore ad euro 50.000 per ciascun periodo d’imposta, anziché ad euro 103.291,38;

che le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche o analoghe, sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione;

che successivamente alle ordinanze di rimessione è intervenuto il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 7 ottobre 2015, serie generale n. 233, supplemento ordinario n. 55, che ha apportato un ampio complesso di modifiche al sistema sanzionatorio tributario, tanto penale che amministrativo;

che, nel quadro degli interventi di revisione del sistema sanzionatorio penale, l’art. 7 del citato decreto legislativo ha modificato anche la norma censurata, stabilendo, per un verso, che le ritenute, il cui omesso versamento assume rilievo penale, possano risultare, oltre che dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, anche dalla dichiarazione di sostituto d’imposta (donde il nuovo nomen iuris del reato, risultante dalla rubrica, di «Omesso versamento di ritenute dovute o certificate»), e innalzando, al tempo stesso – per quanto qui più interessa – la soglia di punibilità dell’illecito dai precedenti 50.000 euro a 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta: dunque, ad un importo più elevato di quello che i giudici rimettenti hanno chiesto a questa Corte di introdurre, con riguardo ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011;

che – in conformità a quanto già deciso da questa Corte in rapporto a similari questioni (ordinanze n. 14 del 2016 e n. 256 del 2015) – va quindi disposta la restituzione degli atti ai giudici a quibus, per una nuova valutazione in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate alla luce del mutato quadro normativo.

Visto l’art. 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti ai Tribunali ordinari di Lecco, Avellino e Treviso.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 2016.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2016.