Sentenza n. 39 del 2016

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SENTENZA N. 39

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Marta                          CARTABIA                          Presidente

-           Giuseppe                    FRIGO                                     Giudice

-           Paolo                          GROSSI                                        ”

-           Giorgio                       LATTANZI                                   ”

-           Aldo                           CAROSI                                        ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                     ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 ”

-           Giuliano                      AMATO                                        ”

-           Silvana                        SCIARRA                                     ”

-           Daria                           de PRETIS                                     ”

-           Nicolò                         ZANON                                         ”

-           Franco                        MODUGNO                                  ”

-           Augusto Antonio       BARBERA                                    ”

-           Giulio                         PROSPERETTI                             ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, 8, comma 4, 11, 13 e 17, comma 1, della legge della Regione Marche 17 novembre 2014, n. 29 (Modifiche alla legge regionale 10 novembre 2009, n. 27 “Testo unico in materia di commercio”, alla legge regionale 11 luglio 2006, n. 9 “Testo unico delle norme regionali in materia di turismo”, e alla legge regionale 29 aprile 2008, n. 8 “Interventi di sostegno e promozione del commercio equo e solidale”), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 23-27 gennaio 2015, depositato in cancelleria il 2 febbraio 2015 ed iscritto al n. 19 del registro ricorsi 2015.

Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;

udito nell’udienza pubblica del 26 gennaio 2016 il Giudice relatore Marta Cartabia;

uditi l’avvocato dello Stato Giovanni Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.

Ritenuto in fatto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 23-27 gennaio 2015 e depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo 2 febbraio (registro ricorsi n. 19 del 2015), ha promosso, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, 8, comma 4, e 13 della legge della Regione Marche 17 novembre 2014, n. 29 (Modifiche alla legge regionale 10 novembre 2009, n. 27 “Testo unico in materia di commercio”, alla legge regionale 11 luglio 2006, n. 9 “Testo unico delle norme regionali in materia di turismo”, e alla legge regionale 29 aprile 2008, n. 8 “Interventi di sostegno e promozione del commercio equo e solidale”), per violazione dell’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera e), Cost., e degli artt. 11 e 17, comma 1, della medesima legge regionale, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.

1.1.– Con la prima censura, l’Avvocatura generale dello Stato osserva che gli artt. 7, comma 1, 8, comma 4, e 13 della legge reg. Marche n. 29 del 2014, modificando, rispettivamente, gli artt. 10 e 11 della legge regionale n. 27 del 2009 e inserendo gli artt. 16-bis e 16-ter nella medesima legge regionale, introducono una tipologia di struttura commerciale (“parco commerciale”) non prevista a livello statale e ne dettano integralmente la disciplina. In particolare, la definizione di parco commerciale contenuta nella norma regionale includerebbe le medie e le grandi strutture di vendita e consentirebbe «che gli esercizi commerciali in esso presenti possano essere di qualsiasi tipologia, compresi, quindi, anche gli esercizi di vicinato». Inoltre, richiedendo, tra le altre previsioni, che per l’apertura, il trasferimento di sede, l’ampliamento e la modifica del settore merceologico sia necessaria «la preventiva autorizzazione rilasciata ai sensi delle previsioni regionali dedicate alle medie e alle grandi strutture», introduce «limitazioni vietate ai sensi di tutta la recente normativa comunitaria e statale […], frapponendo un effettivo ostacolo alla libera concorrenza nella Regione Marche». Il nuovo quadro normativo regionale si porrebbe, pertanto, in contrasto, secondo il ricorrente, con la direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), con l’art. 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, di cui è attuazione, e sarebbe, per queste ragioni, in violazione dell’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera e), Cost. A conferma della illegittimità costituzionale delle disposizioni regionali censurate, il ricorrente, richiamando la sentenza n. 165 del 2014, afferma «che non possono essere inserite procedure che aggravano l’avvio di un’attività commerciale».

1.2.– Con la seconda censura, l’Avvocatura generale dello Stato lamenta che, in base agli artt. 11 e 17, comma 1, della legge Regione Marche n. 29 del 2014 (che hanno, rispettivamente, modificato gli artt. 14, comma 2, e 28, comma 2, della legge regionale n. 27 del 2009), sono condizionate al parere delle organizzazioni delle imprese del commercio, del turismo e dei servizi maggiormente rappresentative a livello regionale, delle associazioni dei consumatori iscritte al registro regionale, nonché delle organizzazioni dei lavoratori del settore maggiormente rappresentative a livello regionale, le previsioni per il rilascio delle autorizzazioni (art. 11) e la definizione dei criteri e delle modalità per l’apertura, il trasferimento e l’ampliamento di un esercizio di vendita della stampa quotidiana e periodica, anche a carattere stagionale (art. 17, comma 1). L’inclusione dell’inciso, rispettivamente, nel primo articolo, «sentite» e, nel secondo articolo, «previo parere» delle indicate organizzazioni, contrasterebbe con l’art. 14, numero 6), della citata direttiva comunitaria n. 2006/123/CE, la quale vieta «il coinvolgimento diretto o indiretto di operatori concorrenti, anche in seno agli organi consultivi, ai fini del rilascio di autorizzazioni o ai fini dell’adozione di altre decisioni delle autorità competenti, ad eccezione degli organismi o ordini e delle associazioni professionali o di altre organizzazioni che agiscono in qualità di autorità competente», e, di conseguenza, violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost.

2.– Con memoria depositata il 27 febbraio 2015, la Regione Marche si è costituita, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, infondato.

2.1.1.– Con riferimento alla censura mossa nei confronti degli artt. 7, comma 1, e 8, comma 4, della legge regionale impugnata per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., la difesa regionale argomenta l’inammissibilità della questione per genericità e assoluta carenza di motivazione.

Secondo la difesa regionale, la parte ricorrente avrebbe omesso di spiegare le ragioni per le quali la definizione di “parco commerciale” (art. 7, comma 1) e il suo richiamo nel contesto di una previsione relativa ai parametri di parcheggio per realizzare strutture di vendita (art. 8, comma 4) sarebbero in contrasto con la normativa statale in materia di «tutela della concorrenza». L’unico elemento riportato dalla ricorrente, ma senza che sia messo in relazione con le norme regionali impugnate, sarebbe l’articolo 4, lettera g), del decreto legislativo 31 marzo, 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), il quale definisce i centri commerciali. Ritiene, inoltre, la Regione che il termine “parco commerciale” «rientr[i] ormai da tempo nel linguaggio comune non soltanto del settore commerciale, ma anche della giurisprudenza civile ed amministrativa» e che «[l]a differenza principale rispetto al centro commerciale, in ogni caso, rest[i] l’unitarietà o meno della costruzione in cui sono inseriti gli esercizi commerciali». L’inclusione di tale tipologia di esercizio commerciale nell’applicazione delle disposizioni in materia di commercio in sede fissa «non rappresenta altro», secondo la Regione resistente, «che un’ulteriore tutela rivolta agli operatori commerciali ed agli stessi cittadini» e interviene nel rispetto delle finalità perseguite dalla Regione stessa in attuazione dei principi comunitari e delle leggi statali in materia di tutela della concorrenza. La censura sarebbe comunque manifestamente infondata, non essendo il contenuto delle disposizioni censurate idoneo a incidere, sotto un qualunque aspetto, sulla tutela della concorrenza.

2.1.2.– Con riferimento alla censura avanzata nei confronti dell’art. 13 della legge regionale n. 29 del 2014 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., la difesa regionale ritiene l’inammissibilità della questione per due ordini di motivi: 1) il ricorrente sostiene l’introduzione, ad opera della disposizione regionale, di limitazioni all’esercizio dell’attività commerciale vietate dalla normativa statale, semplicemente richiamando l’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, ma senza indicare il contenuto di tali limitazioni, né quali aspetti della censurata disposizione regionale vi contrasterebbero; 2) il riferimento all’autorizzazione richiesta dalla disposizione regionale ai fini dell’apertura dei parchi commerciali, del trasferimento di sede, dell’ampliamento e della modifica del settore merceologico non è sostenuto da alcuna spiegazione circa la sua configurabilità quale limitazione illegittimamente posta. A tal proposito la Regione, richiamando la sentenza n. 165 del 2014, afferma che «la mera previsione da parte di una legge regionale di un’autorizzazione a carico delle strutture di vendita […] non viola in sé e per sé la normativa statale in materia di “tutela della concorrenza”, rendendosi pertanto necessaria, al fine di lamentare la suddetta violazione nel giudizio di legittimità costituzionale, una compiuta esplicazione delle ragioni specifiche che la sorreggono».

La censura sarebbe, secondo la difesa regionale, comunque manifestamente infondata, in quanto l’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, nonché l’art. 10 della direttiva comunitaria di cui l’atto governativo è attuazione, non vietano di per sé la previsione di un regime autorizzatorio: l’art. 31, comma 2, nel prevedere la libertà di apertura degli esercizi commerciali, «costituisce un principio generale, come tale suscettibile di subire deroghe», purché esse rientrino all’interno dei confini tracciati dalla stessa disposizione; e l’art. 10, imponendo dei limiti nella determinazione dei criteri di rilascio dell’autorizzazione, muove dall’assunto della loro ammissibilità. Ciò che, dunque, potrebbe essere in contrasto con le disposizioni invocate come parametro non è la previsione del regime autorizzatorio in sé, ma la previsione di procedure per il rilascio dell’autorizzazione che rendano più gravoso l’avvio di una attività commerciale. Nulla, però, dispone in merito la censurata disposizione regionale.

2.1.3.– Secondo la Regione resistente, è altresì manifestamente inammissibile la questione sollevata sull’art. 13 della legge regionale n. 29 del 2014 per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., essendo essa formulata in modo assolutamente generico e apodittico, senza che siano indicate le ragioni della pretesa violazione, né le specifiche norme della direttiva comunitaria che si presumono violate.

2.2.– Con riferimento alla censura mossa nei confronti degli artt. 11 e 17, comma 1, della legge regionale n. 29 del 2014, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., la difesa regionale ne argomenta la manifesta inammissibilità e, comunque, la manifesta infondatezza. In via preliminare, la difesa regionale osserva che le formulazioni introdotte dalle disposizioni censurate sostituiscono formulazioni del tutto analoghe già contenute nella legge regionale precedente, e che l’integrazione dei soggetti collettivi da consultare permette un adeguamento delle disposizioni censurate, da questo punto di vista, all’art. 2, comma 1, della stessa legge regionale, articolo non sottoposto all’odierno giudizio di costituzionalità.

La difesa regionale osserva, inoltre, che il ricorrente si è limitato, nella prospettazione della questione, a riportare i testi delle due norme regionali e l’art. 14 della direttiva comunitaria, invocato quale parametro interposto, affermandone apoditticamente il contrasto. La mancata argomentazione sulla riconducibilità delle organizzazioni richiamate dalle norme impugnate alla nozione, adottata dalla direttiva europea, di «operatori concorrenti» il cui coinvolgimento è vietato, rende la questione manifestamente infondata.

3.– Con memoria integrativa depositata il 31 dicembre 2015, la Regione Marche chiede che sia dichiarata la cessazione della materia del contendere, essendo stata approvata, nelle more del giudizio, la legge regionale 13 aprile 2015, n. 16 (Disposizioni di aggiornamento della legislazione regionale. Modifiche alla legge regionale 30 dicembre 2014, n. 36 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2015 e pluriennale 2015/2017 della Regione. Legge finanziaria 2015” e alla legge regionale 30 dicembre 2014, n. 37 “Bilancio di previsione per l’anno 2015 ed adozione del bilancio pluriennale per il triennio 2015/2017”), il cui art. 7 ha modificato le disposizioni censurate in senso satisfattivo della pretesa avanzata con il ricorso. In particolare, tale articolo ha abrogato, al comma 5, lettere c), d) ed e), esplicitamente gli artt. 7, comma 1, 8, comma 4, e 13 della legge regionale n. 29 del 2014; e ai commi 2 e 3, tacitamente, gli artt. 11 e 17, comma 1, nella parte in cui sostituiscono alla consultazione dei soggetti collettivi il mero confronto con i medesimi.

3.1.– La difesa regionale insiste comunque per l’inammissibilità e la manifesta infondatezza delle censure di incostituzionalità, richiamando integralmente le argomentazioni già dedotte in sede di costituzione, e integrandole sotto due profili. Con riferimento alla censura avanzata sull’art. 13 della legge regionale per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., la Regione richiama gli artt. 8 e 9 del d.lgs. n. 114 del 1998, i quali prevedono per le medie e le grandi strutture di vendita un regime autorizzatorio. Ne deriva, secondo la Regione resistente, che «il legislatore regionale non ha adottato alcuna norma contraria a quanto già stabilito dal legislatore statale nell’esercizio della sua potestà legislativa esclusiva in materia di “tutela della concorrenza”, limitandosi, semmai, a dare attuazione alla disciplina posta da quest’ultimo». Con riferimento alla censura avanzata sugli artt. 11 e 17, comma 1, della legge regionale per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., la Regione sostiene che, anche qualora le questioni venissero trasferite sulle disposizioni nella loro nuova formulazione, permarrebbe la loro manifesta infondatezza, contemplando le nuove previsioni un mero confronto.

4.– Con memoria depositata il 5 gennaio 2016, l’Avvocatura generale dello Stato insiste per l’accoglimento delle proposte questioni di legittimità costituzionale, integrando i motivi di censura.

Gli artt. 7, comma 1, e 8, comma 4, della legge regionale n. 29 del 2014, nell’introdurre una tipologia di esercizio commerciale (“parco commerciale”) non prevista a livello statale, contrastano con l’art. 4 del d.lgs. n. 114 del 1998, il quale contiene una definizione di “centro commerciale”, e incidono sulla materia della «tutela della concorrenza», riservata, al fine di assicurare una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale, alla competenza esclusiva dello Stato. L’art. 13 della censurata legge regionale, nella misura in cui, nel disciplinare i parchi commerciali, richiede per l’apertura, il trasferimento di sede, l’ampliamento e la modifica del settore merceologico la preventiva autorizzazione, introduce limitazioni vietate dalla legge statale (art. 31, comma 2, d.l. n. 201 del 2011) e dalla normativa europea (direttiva n. 2006/123/CE), in quanto limitazioni – quale è il rilascio di un titolo autorizzatorio – sono consentite «solo qualora vi sia la necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali», e la Regione Marche «non fornisce la dimostrazione delle eventuali ragioni di tutela […] che, nel caso di specie, renderebbero legittima la deroga al principio generale della libertà di apertura degli esercizi commerciali». A ulteriore conferma di tale percorso argomentativo, la difesa statale richiama le pronunce n. 104 del 2014 e n. 165 del 2014, nella parte in cui affermano, la prima, che «la materia della concorrenza, a motivo della sua natura “trasversale”, è idonea a porsi come limite alla disciplina che le Regioni possono adottare in altre materie di propria competenza, concorrente o residuale, come in materia di commercio», e, la seconda, che «non possono essere inserite procedure che aggravino l’avvio di un’attività commerciale». Inoltre, la previsione di un regime autorizzatorio contrasterebbe con la normativa comunitaria, in particolare con gli artt. 9 e 10 della menzionata direttiva comunitaria, che consente deroghe «alla libertà di stabilimento giustificate dalla necessità di perseguire obiettivi di politica sociale».

Infine, l’Avvocatura generale dello Stato insiste per l’accoglimento delle censure avanzate nei confronti degli art. 11 e 17, comma 1, della legge regionale n. 29 del 2014, ritenendo entrambe le disposizioni in contrasto con l’art. 14, numero 6), della direttiva comunitaria n. 2006/123/CE. Il divieto di coinvolgimento, diretto o indiretto, di operatori concorrenti include certamente, secondo il ricorrente, le organizzazioni delle imprese del commercio, del turismo e dei servizi maggiormente rappresentative a livello regionale, le quali, «inserendosi in un processo decisionale volto all’emanazione di atti ad efficacia generale ed astratta […], potrebbero sfruttare la funzione consultiva loro assegnata per incrementare il proprio livello di rappresentatività sul territorio regionale, plasmando a proprio favore i criteri e le altre condizioni necessarie al rilascio dell’autorizzazione», e così escludere, «in capo agli altri operatori concorrenti, che non abbiano esercitato la funzione consultiva de qua in quanto non altrettanto rappresentativi, la possibilità stessa di accedere al servizio». Ad analoga conclusione giunge poi il ricorrente in riferimento alle associazioni dei consumatori iscritte al registro regionale e alle organizzazioni dei lavoratori del settore maggiormente rappresentative a livello regionale, il cui coinvolgimento nell’esercizio della funzione consultiva dovrebbe essere escluso, attraverso una lettura a contrario del secondo periodo dell’art. 14, numero 6), secondo la quale «tale divieto non riguarda la consultazione di organismi quali le camere di commercio o le parti sociali su questioni diverse dalle singole domande di autorizzazione né la consultazione del grande pubblico».

Considerato in diritto

1.– Con ricorso iscritto al n. 19 del registro ricorsi 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, 8, comma 4, e 13 della legge della Regione Marche 17 novembre 2014, n. 29 (Modifiche alla legge regionale 10 novembre 2009, n. 27 “Testo unico in materia di commercio”, alla legge regionale 11 luglio 2006, n. 9 “Testo unico delle norme regionali in materia di turismo” e alla legge regionale 29 aprile 2008, n. 8 “Interventi di sostegno e promozione del commercio equo e solidale”), per violazione dell’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera e) Cost., e degli artt. 11 e 17, comma 1, della medesima legge regionale, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.

1.1.– Con il primo motivo di ricorso, l’Avvocatura generale dello Stato lamenta che le disposizioni regionali censurate, introducendo la definizione di una nuova tipologia di struttura commerciale denominata “parco commerciale” (artt. 7, comma 1, e 8, comma 4) e dettandone la disciplina (art. 13), contrasterebbero con l’art. 4, lettera g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), il quale contiene una definizione di “centro commerciale” che non include i parchi commerciali, e con l’art. 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, attuativo della direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), nella parte in cui introducono limitazioni non consentite all’esercizio dell’attività commerciale. Ciò inciderebbe, secondo il ricorrente, sulla materia della «tutela della concorrenza», riservata, al fine di assicurare una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, e determinerebbe la violazione dell’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera e), Cost.

1.2.– Con il secondo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri censura gli artt. 11 e 17, comma 1, della legge reg. Marche n. 29 del 2014, i quali condizionano al parere delle organizzazioni delle imprese del commercio, del turismo e dei servizi maggiormente rappresentative a livello regionale, delle associazioni dei consumatori iscritte al registro regionale, nonché delle organizzazioni dei lavoratori del settore maggiormente rappresentative a livello regionale, la previsione, da parte del Comune, di condizioni, procedure e criteri per il rilascio delle autorizzazioni (art. 11) e la definizione dei criteri e delle modalità per l’apertura, il trasferimento e l’ampliamento di vendita della stampa quotidiana e periodica, anche a carattere stagionale (art. 17, comma 1). L’inclusione dell’inciso, rispettivamente, nel primo articolo, «sentite» e, nel secondo articolo, «previo parere» delle indicate organizzazioni rappresentative contrasterebbe, secondo il ricorrente, con l’art. 14, numero 6), della citata direttiva n. 2006/123/CE, la quale vieta «il coinvolgimento diretto o indiretto di operatori concorrenti, anche in seno agli organi consultivi, ai fini del rilascio di autorizzazioni o ai fini dell’adozione di altre decisioni delle autorità competenti, ad eccezione degli organismi o ordini e delle associazioni professionali o di altre organizzazioni che agiscono in qualità di autorità competente».

Di qui discenderebbe, secondo il ricorrente, la prospettata violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.

2.– In via preliminare deve osservarsi che, successivamente alla proposizione del ricorso, la Regione Marche ha approvato la legge 13 aprile 2015, n. 16 (Disposizioni di aggiornamento della legislazione regionale. Modifiche alla legge regionale 30 dicembre 2014, n. 36 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2015 e pluriennale 2015/2017 della Regione. Legge finanziaria 2015” e alla legge regionale 30 dicembre 2014, n. 37 “Bilancio di previsione per l’anno 2015 ed adozione del bilancio pluriennale per il triennio 2015/2017”), modificando le disposizioni censurate al fine, come esplicitato nella relazione alla proposta di legge, di provocare la cessazione della materia del contendere. In particolare, l’art. 7 della legge regionale sopravvenuta ha abrogato esplicitamente, al suo comma 5, lettere c), d) ed e), gli artt. 7, comma 1, 8, comma 4, e 13, della legge regionale n. 29 del 2014; ed ha abrogato tacitamente, ai suoi commi 2 e 3, gli artt. 11 e 17, comma 1, della medesima legge, sostituendo rispettivamente gli incisi «sentite» e «previo parere» con la formula «a seguito di confronto con» le organizzazioni rappresentative già individuate dalla disciplina regionale previgente.

Occorre, dunque, stabilire se la sopravvenienza legislativa in esame, abrogando e modificando le disposizioni regionali censurate, determini la cessazione della materia del contendere.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, per addivenire a tale esito, devono congiuntamente verificarsi due condizioni: che la sopravvenuta abrogazione o modificazione delle norme censurate possa ritenersi satisfattiva della pretesa avanzata con il ricorso, e che le norme abrogate o modificate non abbiano ricevuto, medio tempore, applicazione (ex plurimis, sentenze n. 149 e n. 32 del 2015, n. 165 del 2014).

2.1.– Con riferimento al primo motivo del ricorso, lo ius superveniens, incidendo specificamente sulle disposizioni oggetto della questione di legittimità costituzionale, deve ritenersi satisfattivo delle ragioni del ricorrente. La novella legislativa, infatti, ha abrogato le disposizioni che implicavano l’introduzione della tipologia di esercizio commerciale definita “parco commerciale”, ogni riferimento a tale tipologia, nonché la sua disciplina.

Anche la seconda condizione può ritenersi soddisfatta. A sostegno della mancata attuazione delle norme sospettate di illegittimità costituzionale milita il breve lasso temporale intercorso tra le due discipline, essendo le disposizioni introdotte con la legge regionale n. 29 del 2014 entrate in vigore il 28 novembre 2014, e l’art. 7, comma 5, della legge regionale n. 16 del 2015, che ne ha dichiarato esplicitamente l’abrogazione, il 14 aprile 2015.

Inoltre, il contenuto delle disposizioni censurate e ora abrogate non era di automatica e immediata applicazione, essendo le prime due (artt. 7, comma 1, e 8, comma 4) di carattere definitorio, e necessitando la terza (art. 13) di ulteriori sviluppi normativi per poter essere implementata. Il regolamento di attuazione è stato poi approvato il 2 marzo 2015 – Regolamento regionale 2 marzo 2015, n. 1 (Disciplina delle attività di commercio in sede fissa, in attuazione del Titolo II, Capo I, della legge regionale 10 novembre 2009, n. 27, recante Testo unico in materia di commercio) –, pubblicato nel Bollettino Ufficiale regionale il successivo 12 marzo ed entrato in vigore al termine del consueto periodo di vacatio legis. Pertanto, il tempo in cui le disposizioni censurate avrebbero potuto avere medio tempore applicazione è fortemente limitato, essendo ricompreso tra il 27 marzo 2015 (data di entrata in vigore del regolamento) e il 14 aprile 2015 (data di entrata in vigore della novella legislativa).

Deve essere, di conseguenza, dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione alla questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, 8, comma 4, e 13 della legge regionale impugnata.

2.2.– A una conclusione diversa deve, invece, giungersi con riferimento al secondo motivo di ricorso.

Gli artt. 11 e 17, comma 1, della legge regionale n. 29 del 2014 sono stati abrogati tacitamente dalla legge regionale n. 16 del 2015, attraverso una modifica del testo. In sostituzione degli incisi, rispettivamente, nel primo articolo, «sentite» e, nel secondo articolo, «previo parere», predicati nei confronti delle elencate organizzazioni rappresentative, la legge regionale n. 16 del 2015 ha introdotto l’inciso «a seguito di confronto con» le medesime.

Tale modifica, per quanto innovativa, non è tuttavia idonea a ritenere soddisfatte le pretese del ricorrente.

La censura dell’Avvocatura generale dello Stato muove dalla considerazione che condizionare al parere delle organizzazioni delle imprese del commercio, del turismo e dei servizi maggiormente rappresentative a livello regionale, delle associazioni dei consumatori iscritte al registro regionale, nonché delle organizzazioni dei lavoratori del settore maggiormente rappresentative a livello regionale, le previsioni per il rilascio delle autorizzazioni (art. 11) e la definizione dei criteri e delle modalità per l’apertura, il trasferimento e l’ampliamento di un esercizio di vendita della stampa quotidiana e periodica, anche a carattere stagionale (art. 17, comma 1), contrasti con l’art. 14, numero 6), della già citata direttiva n. 2006/123/CE, il quale vieta «il coinvolgimento diretto o indiretto di operatori concorrenti, anche in seno agli organi consultivi, ai fini del rilascio di autorizzazioni o ai fini dell’adozione di altre decisioni delle autorità competenti, ad eccezione degli organismi o ordini e delle associazioni professionali o di altre organizzazioni che agiscono in qualità di autorità competente». A prescindere, al momento, da ogni valutazione sulla fondatezza della censura, essa è volta a escludere ogni forma di coinvolgimento delle organizzazioni indicate.

Il legislatore regionale non ha, dunque, soddisfatto le pretese avanzate dal ricorrente, considerato che, sia pure in forma di mero «confronto», permane il coinvolgimento delle organizzazioni elencate nei procedimenti disciplinati dalla legge.

Non può, pertanto, essere dichiarata la cessazione della materia del contendere con riferimento alla questione sollevata nei confronti degli artt. 11 e 17, comma 1, della legge regionale n. 29 del 2014 (ex plurimis, sentenze n. 219 e n. 178 del 2013).

3.– Occorre, invece, procedere alla estensione della questione prospettata dal ricorso in riferimento agli artt. 11 e 17, comma 1, della legge regionale n. 29 del 2014 anche nei confronti del sopravvenuto art. 7, commi 2 e 3, della legge regionale n. 16 del 2015.

La disposizione sopravvenuta, per quanto non del tutto sovrapponibile a quella modificata – dato che il «confronto» con le organizzazioni rappresentative costituisce un’ipotesi di coinvolgimento mitigata rispetto al «previo parere» –, presenta una portata precettiva paragonabile alla prima sotto il profilo della potenziale lesività dei principi costituzionali invocati dal ricorrente.

Il vizio lamentato nei confronti della prima colpisce, dunque, anche la seconda nonostante la variazione normativa intervenuta. D’altra parte, considerato il diverso ambito temporale di efficacia delle due leggi – essendo la prima rimasta in vigore dal 18 novembre 2014 al 14 aprile 2015, e la seconda a partire dal 14 aprile 2015 –, occorre che lo scrutinio di legittimità costituzionale investa tanto la disposizione originaria, quanto quella sopravvenuta, nel testo sostitutivo (sentenza n. 21 del 2016).

4.– Ancora in via preliminare, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla resistente in riferimento al secondo motivo di ricorso.

Secondo la Regione resistente, le disposizioni censurate sostituiscono formulazioni del tutto analoghe già contenute nella legge regionale precedente. Inoltre, la partecipazione, prevista nelle disposizioni censurate, dei soggetti collettivi mira a un loro allineamento, da questo punto di vista, all’art. 2, comma 1, della medesima legge regionale, articolo non sottoposto all’odierno giudizio di costituzionalità.

Entrambe le eccezioni non sono fondate.

In primo luogo, la mancata impugnazione di una disposizione poi riprodotta, in forma analoga o addirittura identica, da una legge successiva non può di per sé essere motivo di inammissibilità della questione, non trovando applicazione nel processo costituzionale l’istituto dell’acquiescenza (ex plurimis, sentenze n. 215 e n. 124 del 2015, n. 139 del 2013, n. 71 del 2012 e n. 187 del 2011).

In secondo luogo, sebbene l’integrazione dei soggetti coinvolti sia volto a un allineamento all’art. 2, comma 1, della legge regionale n. 27 del 2009, come modificato dalla legge regionale n. 29 del 2014, che introduce il riferimento alle organizzazioni indicate, tuttavia non può non considerarsi la diversità dei contenuti normativi delle due disposizioni. L’art. 2, comma 1, prevede che siano sentite le indicate organizzazioni, dalla Giunta regionale, al fine di adottare, previo parere della competente Commissione assembleare, uno o più regolamenti per l’attuazione della legge sul commercio. I censurati artt. 11 e 17, comma 1, prevedono, invece, che il Comune definisca le procedure per il rilascio delle autorizzazioni e determini i criteri e le modalità per l’apertura, il trasferimento e l’ampliamento dell’esercizio, «sentite» le indicate organizzazioni (nella formulazione censurata direttamente) e «a seguito di confronto con» le indicate organizzazioni (nella formulazione successiva). Il primo articolo riguarda dunque un procedimento normativo, mentre gli altri disciplinano procedimenti amministrativi, che ben possono richiedere diverse forme e limiti alla partecipazione dei soggetti interessati.

4.1.– La Regione Marche eccepisce, inoltre, l’inammissibilità della questione per carenza argomentativa in punto di motivazione, essendosi il ricorrente limitato, nella prospettazione della questione, a riportare, mettendoli a raffronto, i testi delle due norme regionali e l’art. 14, numero 6) della direttiva comunitaria, invocato quale parametro interposto, senza spiegare la presunta riconducibilità delle suddette organizzazioni alla categoria degli «operatori concorrenti» di cui alla direttiva comunitaria, affermandone, dunque, apoditticamente il contrasto.

L’eccezione non è fondata.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, nel ricorso e successivamente nella memoria depositata il 5 gennaio 2016, ha chiarito i motivi del gravame e ha illustrato le ragioni per le quali le disposizioni impugnate violerebbero i parametri invocati.

In particolare, il ricorrente precisa che il divieto di coinvolgimento, diretto o indiretto, di operatori concorrenti, previsto dalla direttiva comunitaria, include le organizzazioni delle imprese del commercio, del turismo e dei servizi maggiormente rappresentative a livello regionale, le quali, «inserendosi in un processo decisionale volto all’emanazione di atti ad efficacia generale ed astratta […], potrebbero sfruttare la funzione consultiva loro assegnata per incrementare il proprio livello di rappresentatività sul territorio regionale, plasmando a proprio favore i criteri e le altre condizioni necessarie al rilascio dell’autorizzazione», e così escludere, «in capo agli altri operatori concorrenti, che non abbiano esercitato la funzione consultiva de qua in quanto non altrettanto rappresentativi, la possibilità stessa di accedere al servizio». Ad analoga conclusione giunge poi il ricorrente in riferimento alle associazioni dei consumatori iscritte al registro regionale e alle organizzazioni dei lavoratori del settore maggiormente rappresentative a livello regionale, il cui coinvolgimento nell’esercizio della funzione consultiva dovrebbe essere escluso, attraverso una lettura a contrario del secondo periodo dell’art. 14, numero 6), secondo la quale «tale divieto non riguarda la consultazione di organismi quali le camere di commercio o le parti sociali su questioni diverse dalle singole domande di autorizzazione né la consultazione del grande pubblico».

Le censure prospettate, dunque, risultano sufficientemente motivate e i parametri invocati adeguatamente specificati e illustrati.

5.– Nel merito, la questione non è fondata nei termini di seguito specificati.

Le disposizioni censurate prevedono che, «sentite» (secondo la formulazione introdotta con legge regionale n. 29 del 2014) e «a seguito di confronto con» (secondo la formulazione introdotta con legge regionale n. 16 del 2015) le organizzazioni delle imprese del commercio, del turismo e dei servizi maggiormente rappresentative a livello regionale, le associazioni dei consumatori iscritte al registro regionale, nonché le organizzazioni dei lavoratori del settore maggiormente rappresentative a livello regionale, il Comune, sulla base di quanto stabilito nel regolamento attuativo, definisce le condizioni, le procedure e i criteri per il rilascio delle autorizzazioni (con riferimento alle medie strutture di vendita), e i criteri e le modalità per l’apertura, il trasferimento e l’ampliamento dell’esercizio di vendita della stampa quotidiana e periodica.

La violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., deriverebbe, secondo il ricorrente, dal contrasto con l’art. 14, numero 6), della direttiva n. 2006/123/CE, il quale vieta «il coinvolgimento diretto o indiretto di operatori concorrenti, anche in seno agli organi consultivi, ai fini del rilascio di autorizzazioni o ai fini dell’adozione di altre decisioni delle autorità competenti, ad eccezione degli organismi o ordini e delle associazioni professionali o di altre organizzazioni che agiscono in qualità di autorità competente; tale divieto non riguarda la consultazione di organismi quali le camere di commercio o le parti sociali su questioni diverse dalle singole domande di autorizzazione né la consultazione del grande pubblico».

5.1.– Come questa Corte ha avuto modo di affermare (sentenze n. 98 del 2013 e n. 291 del 2012), la direttiva n. 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, persegue, in via prioritaria, finalità di massima liberalizzazione delle attività economiche. In conformità a tale obiettivo si pone il suo art. 14, che, attraverso espliciti divieti, circoscrive l’ambito dei regimi di autorizzazione, per evitare che gli stati membri introducano requisiti che rendano più gravosa la procedura di avvio degli esercizi commerciali.

La liberalizzazione nell’esercizio delle attività commerciali è recepita come principio dell’ordinamento nazionale (sentenza n. 165 del 2014) e, come questa Corte ha chiarito (sentenze n. 200 del 2012, n. 247 e n. 152 del 2010, n. 167 del 2009 e n. 388 del 1992), «prelude a una razionalizzazione della regolazione, che elimini, da un lato, gli ostacoli al libero esercizio dell’attività economica che si rivelino inutili o sproporzionati e, dall’altro, mantenga le normative necessarie a garantire che le dinamiche economiche non si svolgano in contrasto con l’utilità sociale». La libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio, infatti, deve avvenire senza limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso, l’ambiente urbano, e dei beni culturali (art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011).

Alla luce del quadro normativo comunitario e nazionale, quindi, è precluso al legislatore regionale prevedere requisiti ulteriori rispetto a quelli ammessi dalle discipline comunitaria e statale, trattandosi di regolamentazione normativa riconducibile alla materia «tutela della concorrenza» (ex plurimis, sentenze n. 165 e n. 104 del 2014, n. 98 del 2013), di competenza legislativa esclusiva dello Stato.

5.2.– Nel caso di specie, tuttavia, la legge della Regione Marche non ha inteso introdurre requisiti ulteriori al rilascio dell’autorizzazione, ma piuttosto stabilire la necessità, per la determinazione della procedura di autorizzazione, di un preventivo confronto con le organizzazioni rappresentative.

L’avvicendarsi, nella legislazione regionale, di formule diverse (da «previa concertazione» nella legge regionale del 2009, a «previo parere» nella legge regionale del 2014, fino a «a seguito di confronto con» nella legge regionale del 2015) si innesta su una costante volontà del legislatore regionale di circoscrivere la partecipazione delle organizzazioni collettive alla sola fase istruttoria dei procedimenti generali volti alla determinazione dei criteri per la pianificazione della rete degli esercizi commerciali. Ciò al fine di consentire che siano raccolte tutte le informazioni che potranno poi essere utili nella successiva fase di deliberazione delle singole autorizzazioni, così contribuendo in termini di qualità del risultato, in ossequio ai principi-cardine del processo amministrativo, quali la trasparenza e la partecipazione dei soggetti interessati.

Non v’è dubbio che la previsione del coinvolgimento delle parti sociali riguardi i soli procedimenti generali, dato che le disposizioni impugnate si riferiscono all’attività dei Comuni volte a definire «le condizioni, le procedure e i criteri per il rilascio delle autorizzazioni» (art. 11) ovvero «i criteri e le modalità per l’apertura, il trasferimento e l’ampliamento dell’esercizio di vendita della stampa quotidiana e periodica» (art. 17, comma 1). In nessun modo la legge regionale prefigura la possibilità che i soggetti indicati possano interferire, invece, con le determinazioni spettanti alle autorità competenti in ordine alle singole domande di autorizzazione; ciò che sarebbe vietato dall’art. 14, numero 6), della direttiva comunitaria n. 2006/123/CE.

Così interpretata, la previsione regionale non introduce, dunque, alcuna ulteriore limitazione all’accesso all’esercizio dell’attività commerciale, né si pone in contrasto con il divieto disposto dalla citata direttiva comunitaria. Non si ravvisa, dunque, alcuna violazione dei vincoli comunitari che, ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost., il legislatore regionale, al pari di quello statale, è tenuto ad osservare.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale promossa, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe, degli artt. 11 e 17, comma 1, della legge della Regione Marche 17 novembre 2014, n. 29 (Modifiche alla legge regionale 10 novembre 2009, n. 27 “Testo unico in materia di commercio”, alla legge regionale 11 luglio 2006, n. 9 “Testo unico delle norme regionali in materia di turismo” e alla legge regionale 29 aprile 2008, n. 8 “Interventi di sostegno e promozione del commercio equo e solidale”), e dell’art. 7, commi 2 e 3, della legge della Regione Marche 13 aprile 2015, n. 16 (Disposizioni di aggiornamento della legislazione regionale. Modifiche alla legge regionale 30 dicembre 2014, n. 36 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2015 e pluriennale 2015/2017 della Regione. Legge finanziaria 2015” e alla legge regionale 30 dicembre 2014, n. 37 “Bilancio di previsione per l’anno 2015 ed adozione del bilancio pluriennale per il triennio 2015/2017”);

2) dichiara la cessazione della materia del contendere della questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, 8, comma 4, e 13, della legge della Regione Marche n. 29 del 2014, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2016.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente e Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 25 febbraio 2016.