Sentenza n. 279 del 2014

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SENTENZA N. 279

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Alessandro             CRISCUOLO                                     Presidente

-    Paolo Maria            NAPOLITANO                                    Giudice

-    Paolo                      GROSSI                                                     ”

-    Giorgio                   LATTANZI                                                ”

-    Aldo                       CAROSI                                                     ”

-    Marta                     CARTABIA                                               ”

-    Sergio                     MATTARELLA                                         ”

-    Mario Rosario        MORELLI                                                  ”

-    Giancarlo               CORAGGIO                                              ”

-    Giuliano                 AMATO                                                     ”

-    Silvana                   SCIARRA                                                  ”

-    Daria                      de PRETIS                                                 ”

-    Nicolò                    ZANON                                                     ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, quinto periodo, della Parte Prima della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), come introdotto dall’art. 3, comma 14, lettera b), del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Trapani nel procedimento vertente tra la società Urbania srl e l’Agenzia delle entrate, Ufficio di Marsala, con ordinanza del 25 febbraio 2014, iscritta al n. 120 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 novembre 2014 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio.

Ritenuto in fatto

1.− La Commissione tributaria provinciale di Trapani, con ordinanza del 25 febbraio 2014 – nel corso di un giudizio promosso dalla società Urbania srl nei confronti dell’Agenzia delle entrate, Ufficio di Marsala, avverso un avviso di liquidazione con il quale era stata disconosciuta l’applicabilità dell’aliquota ridotta dell’1 per cento per l’acquisto effettuato con rogito del 5 dicembre 2006 dalla suddetta società, di un fabbricato di proprietà di un privato non soggetto IVA – ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5 (recte: art. 1, comma 1, quinto periodo), della Parte Prima della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), come introdotto dall’art. 3, comma 14, lettera b), del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, per violazione dell’art. 3 della Costituzione.

2.− Precedente analoga questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla medesima Commissione tributaria, è stata dichiarata manifestamente inammissibile con l’ordinanza n. 268 del 2012 in ragione della insufficiente descrizione della fattispecie che si era tradotta «in un’insufficiente motivazione sulla rilevanza della questione».

3.− La disposizione censurata prevede che si applichi l’aliquota agevolata dell’1 per cento per l’imposta di registro: «se il trasferimento avente per oggetto fabbricati o porzioni di fabbricato è esente dall’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’articolo 10, primo comma, numero 8-bis), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, ed è effettuato nei confronti di imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la rivendita di beni immobili, a condizione che nell’atto l’acquirente dichiari che intende trasferirli entro tre anni».

4.− Secondo quanto riferito dal giudice rimettente, l’Agenzia delle entrate aveva revocato l’agevolazione in questione poiché il soggetto che aveva effettuato la cessione del fabbricato era un privato, non soggetto IVA e, quindi, difettava una delle condizioni di applicabilità dell’agevolazione medesima.

5.− In ordine alla rilevanza della questione, la Commissione tributaria provinciale precisa di dovere fare applicazione della disposizione sospettata di illegittimità costituzionale poiché la società ricorrente aveva chiesto l’applicazione dell’imposta di registro nella misura dell’1 per cento, atteso che essa impresa aveva per oggetto l’acquisto e la rivendita di fabbricati e che l’immobile acquistato sarebbe stato trasferito entro tre anni.

6.− In ordine alla non manifesta infondatezza della questione, la Commissione rimettente rileva che la norma censurata violerebbe l’art. 3 Cost., «sotto il profilo della discriminazione di situazioni omogenee», nella parte in cui non prevede l’applicazione dell’aliquota ridotta dell’1 per cento per gli acquisti aventi ad oggetto fabbricati o porzioni di fabbricato che siano effettuati da società che svolgono l’attività di acquisto e di rivendita di beni immobili, qualora dette società acquistino gli immobili da privati, non soggetti IVA.

La disposizione censurata sarebbe, altresì, espressione di una discrezionalità legislativa esercitata in modo irragionevole, palesando un «difetto di razionalità rispetto allo scopo».

7.− È intervenuto nel giudizio, con atto depositato nella cancelleria della Corte il 5 agosto 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque manifestamente infondata.

L’inammissibilità è eccepita in ragione della riproposizione della questione da parte della medesima Commissione tributaria provinciale, atteso che ai sensi dell’art. 24, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) «l’eccezione può essere riproposta all’inizio di ogni grado ulteriore del processo».

Nel merito, la difesa dello Stato rileva, in via preliminare, che il quadro normativo è stato modificato per effetto dell’art. 10 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), come modificato dall’art. 26, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104 (Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 8 novembre 2013, n. 128, e dall’art. 1, comma 608, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2014), che hanno, tra l’altro, riformulato l’art. 1 della Tariffa in esame al fine di prevedere due sole aliquote, rispettivamente del 9 e del 2 per cento.

Persistendo, ratione tenporis, la rilevanza della questione, la manifesta infondatezza della medesima viene sostenuta dall’Avvocatura generale dello Stato sulla base del rilievo che le situazioni raffrontate – da un lato, l’acquisto da parte di una società immobiliare di un fabbricato proveniente da un soggetto IVA; dall’altro, l’acquisto, da parte del medesimo tipo di società, di un immobile di proprietà di un privato non soggetto IVA – non sarebbero da ritenere omogenee, poiché, nel primo caso, si tratterebbe di una cessione che, pur “esente” dall’IVA ai sensi dell’art. 10, primo comma, numero 8-bis), del d.P.R. n. 633 del 1972, non è totalmente “fuori campo IVA”, mentre, nel secondo caso, si avrebbe una diversa “rilevanza fiscale”, in quanto si tratterebbe appunto di un’attività non rilevante ai fini IVA.

La scelta del legislatore di applicare il trattamento agevolato dell’1 per cento ai soli trasferimenti della prima tipologia sarebbe «espressione della sua discrezionalità in materia».

Considerato in diritto

1.− La Commissione tributaria provinciale di Trapani, con ordinanza del 25 febbraio 2014 – nel corso di un giudizio promosso dalla società Urbania srl nei confronti dell’Agenzia delle entrate, Ufficio di Marsala, avverso un avviso di liquidazione con il quale era stata disconosciuta l’applicabilità dell’aliquota ridotta dell’1 per cento per l’acquisto, effettuato dalla società con rogito del 5 dicembre 2006, di un fabbricato di proprietà di un privato non soggetto IVA – ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, quinto periodo, della Parte Prima della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), come introdotto dall’art. 3, comma 14, lettera b), del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, in riferimento all’art. 3 della Costituzione.

2.− La norma impugnata, applicabile ratione temporis, stabilisce: «se il trasferimento avente per oggetto fabbricati o porzioni di fabbricato è esente dall’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’articolo 10, primo comma, numero 8-bis), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, ed è effettuato nei confronti di imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la rivendita di beni immobili, a condizione che nell’atto l’acquirente dichiari che intende trasferirli entro tre anni: 1%».

Ad avviso della rimettente, essa lederebbe l’art. 3 Cost., in quanto, prevedendo, in modo irragionevole, che il trattamento agevolato si applichi agli acquisti di immobili di proprietà di soggetti IVA e non anche a quelli di soggetti privati, discriminerebbe situazioni tra di loro omogenee.

3.− Deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità prospettata dall’Avvocatura generale dello Stato, in relazione all’art. 24, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).

Occorre precisare che con l’ordinanza n. 268 del 2012 questa Corte dichiarava la questione manifestamente inammissibile per insufficiente motivazione sulla rilevanza, vizio che, potendo essere rimosso dal giudice a quo, non determina un effetto preclusivo della riproposizione della questione.

4.− La Commissione rimettente, nel sollevare nuovamente la questione, pone in evidenza, in ordine alla rilevanza, che la soluzione della questione di legittimità costituzionale è pregiudiziale ai fini della decisione relativa all’aliquota da applicare.

5.− La questione non è fondata.

6.− L’art. 7, comma 2, numero 1, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), in presenza delle direttive comunitarie che andavano delineando un sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, stabiliva quali criteri direttivi: «l’applicazione in misura fissa dell’imposta di registro, dell’imposta ipotecaria sulle trascrizioni e dei tributi catastali sugli atti che prevedono corrispettivi soggetti all’imposta sul valore aggiunto e l’assoggettamento di tali atti alla registrazione solo in caso d’uso sempreché non si tratti di atti pubblici o di scritture private autenticate».

In attuazione della delega, l’art. 38, primo periodo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (Disciplina dell’imposta di registro), prevedeva che l’imposta dovesse essere applicata in misura fissa, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto.

Successivamente, l’art. 40, comma 1, primo periodo, del d.P.R. n. 131 del 1986, nel testo originario, nel disporre che «per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si applica in misura fissa», confermava l’alternatività.

7.− Il principio svolge una funzione di tutela rispetto alla simmetria del sistema IVA- registro, evitando fenomeni di doppia imposizione. Perché esso operi, è necessario che l’operazione ricada nell’ambito delineato oggettivamente e soggettivamente dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto): si deve trattare, cioè, di “cessioni di beni” (art. 2) o “prestazioni di servizi” (art. 3) effettuate da soggetti esercenti “attività di impresa (art. 4) o “arti e professioni” (art. 5).

Peraltro, se ciò è necessario, è anche sufficiente, poiché sostanzialmente fin dall’origine (artt. 5 e 40 del d.P.R. n. 131 del 1986) l’alternatività non è condizionata all’effettiva sottoposizione ad IVA dell’operazione, essendo sufficiente che essa rientri in tale ambito, cosicché vale anche nel caso in cui sia poi prevista in concreto l’esenzione.

In proposito, si può ricordare come la Corte di cassazione (quinta sezione civile, sentenza 17 gennaio 2014, n. 859), nell’escludere la non manifesta infondatezza di analoga questione di legittimità costituzionale, proprio con riferimento all’art. 3 Cost., evidenzi con chiarezza «la differenza tra acquisti esenti dall’IVA, ed operazioni non imponibili», aggiungendo che «dunque, la soggezione di un’operazione commerciale al regime dell’IVA o l’esclusione da esso giustifica la diversa imposizione». Analoga affermazione giurisprudenziale è rinvenibile a proposito del citato art. 38 del d.P.R. n. 634 del 1972 (Corte di cassazione, quinta sezione civile, sentenze 20 aprile 2007, n. 9403 e 30 marzo 2006, n. 4748).

8.− In questo quadro normativo, si inserisce la disposizione impugnata introdotta dall’art. 3, comma 14, lettera b), del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30.

Come si legge nella relazione al disegno di legge − atto Senato n. 1925, XIII legislatura – recante conversione in legge del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, «è stata inoltre introdotta la riduzione dell’imposta di registro […] all’1 per cento per gli acquisti di fabbricati di categoria catastale “A” esenti da IVA, effettuati da imprese immobiliari – aventi per oggetto esclusivo o principale dell’attività la rivendita di beni immobili − a condizione che i fabbricati medesimi vengano successivamente trasferiti entro tre anni dall’acquisto. Con tale intervento si è inteso mitigare il regime gravante sul settore immobiliare, rivelatosi eccessivamente gravoso in conseguenza dei provvedimenti di recente adottati con il decreto-legge 20 giugno 1996, n. 323, convertito con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1996, n. 425».

La giurisprudenza della Corte si è trovata più volte a vagliare la legittimità costituzionale di disposizioni normative che prevedevano agevolazioni fiscali, affermando che tali norme di carattere eccezionale e derogatorio costituiscono esercizio di un potere discrezionale del legislatore, censurabile solo per l’eventuale palese arbitrarietà o irrazionalità; con la conseguenza che la Corte costituzionale non può estenderne l’ambito di applicazione, se non quando lo esiga la ratio dei benefici stessi (sentenze n. 6 del 2014, n. 275 del 2005; ordinanze n. 103 del 2012, n. 203 del 2011, n. 144 del 2009).

Il diverso trattamento giuridico delle due fattispecie in comparazione – una operazione IVA, sia pure “esente”, ed una operazione non rientrante nell’“area IVA” – è la logica conseguenza di un sistema di alternatività così costruito fin dalle origini e che fin dalle origini non ha escluso le operazioni esenti dal beneficio.

Pertanto, in mancanza della omogeneità delle situazioni raffrontate, è da escludere che la norma impugnata sia irragionevole e discriminatoria.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, quinto periodo, della Parte Prima della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), come introdotto dall’art. 3, comma 14, lettera b), del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Trapani, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'1 dicembre 2014.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 12 dicembre 2014.