Ordinanza n. 197 del 2013

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ORDINANZA N. 197

ANNO 2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                    GALLO                                               Presidente

-    Luigi                      MAZZELLA                                          Giudice

-    Gaetano                 SILVESTRI                                                ”

-    Sabino                    CASSESE                                                   ”

-    Giuseppe                TESAURO                                                  ”

-    Paolo Maria            NAPOLITANO                                          ”

-    Giuseppe                FRIGO                                                        ”

-    Alessandro             CRISCUOLO                                             ”

-    Paolo                      GROSSI                                                      ”

-    Giorgio                   LATTANZI                                                 ”

-    Aldo                       CAROSI                                                     ”

-    Marta                     CARTABIA                                                ”

-    Sergio                     MATTARELLA                                         ”

-    Mario Rosario        MORELLI                                                  ”

-    Giancarlo               CORAGGIO                                               ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2001), promosso dal Tribunale ordinario di Urbino nel procedimento vertente tra D.H. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 19 luglio 2011, iscritta al n. 278 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visto l’atto di costituzione dell’INPS;

udito nell’udienza pubblica del 19 giugno 2013 il Giudice relatore Paolo Grossi;

udito l’avvocato Clementina Pulli per l’INPS.

Ritenuto che, con ordinanza del 19 luglio 2011, il Tribunale ordinario di Urbino ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 32 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2001), «nella parte in cui subordina la concessione dell’assegno sociale al possesso della carta di soggiorno e, dunque, anche del requisito della durata del soggiorno medesimo nel territorio dello Stato»;

che il giudice a quo ha premesso di essere stato investito del ricorso proposto da persona titolare di permesso di soggiorno, la quale si è vista revocare dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) il beneficio dell’assegno sociale di cui all’art. 3 della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), del quale aveva sino allora goduto, «per mancanza del requisito della permanenza minima in Italia»;

che la ricorrente deduceva di essere titolare di permesso di soggiorno rilasciatole in quanto madre convivente di cittadina italiana e che tale permesso, essendo l’unico previsto per casi del genere, legittimava la ricorrente medesima alla percezione del beneficio, a nulla rilevando il requisito della permanenza in Italia;

che l’INPS, a sua volta, deduceva che, a norma della disposizione qui denunciata, la concessione del beneficio sarebbe, invece, subordinata alla titolarità del permesso di soggiorno di lungo periodo, il quale presuppone la permanenza in Italia da almeno cinque anni;

che, nel caso di specie, non essendo contestata la sussistenza del requisito sanitario in capo alla ricorrente, verrebbe in rilievo soltanto la mancanza del requisito della permanenza in Italia da almeno cinque anni, previsto per il rilascio del permesso di soggiorno di lunga durata, ancorché il soggiorno della ricorrente non possa reputarsi meramente episodico;

che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente sottolinea come i profili reddituali, di cui alla disciplina censurata, siano stati già esaminati e dichiarati costituzionalmente illegittimi con la sentenza n. 306 del 2008 e come quelli relativi al requisito della durata del soggiorno siano stati oggetto delle sentenze n. 187 del 2010 e n. 11 del 2009, risultando i princìpi affermati nella prima delle citate pronunce applicabili nel caso di specie, dal momento che anche per l’assegno sociale sarebbe ravvisabile la essenziale funzione di sostentamento degli anziani con basso reddito;

che, di conseguenza, la disposizione censurata, subordinando la concessione dell’indennità per gli stranieri a un requisito «non afferente alle mere condizioni soggettive», si porrebbe in contrasto con l’art. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), come interpretato dalla Corte di Strasburgo, e dunque con l’art. 117, primo comma, Cost.;

che, d’altra parte – risultando impossibile adottare una interpretazione costituzionalmente orientata o procedere alla disapplicazione della disposizione denunciata, la quale neppure potrebbe considerarsi espunta dall’ordinamento ad opera delle precedenti declaratorie di illegittimità costituzionale, limitate alle prestazioni in quelle decisioni esaminate –, sussisterebbe un contrasto anche con l’art. 3 Cost., realizzandosi una evidente ed ingiustificata disparità di trattamento in ordine a diritti fondamentali della persona tra cittadini e stranieri, nonché con l’art. 32 Cost., negandosi la tutela del diritto alla salute a parità di condizioni ai cittadini stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato;

che si è costituito in giudizio l’INPS, il quale ha chiesto dichiararsi infondata la proposta questione;

che, secondo l’Istituto resistente, il diritto all’assegno sociale sarebbe subordinato, a partire dal 1° gennaio 2009, al possesso del requisito del soggiorno continuativo e legale in Italia per almeno dieci anni, secondo quanto previsto dall’art. 20, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, diversamente da quanto previsto dalla disposizione impugnata, la quale aveva ammesso al beneficio in questione gli stranieri titolari della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo), ottenibile da chi possieda da almeno cinque anni un regolare permesso di soggiorno;

che tale limitazione sarebbe in linea con la giurisprudenza costituzionale che consente di introdurre restrizioni in ragione delle limitate risorse finanziarie, pur nel rispetto del principio di ragionevolezza;

che non sarebbe sindacabile la scelta del legislatore di differenziare le prestazioni e di stabilire che quelle più rilevanti possano essere concesse solo agli stranieri residenti in Italia da più tempo e con maggiore stabilità, in relazione anche alla disciplina per l’ottenimento della cittadinanza;

che la disposizione denunciata non si porrebbe, poi, in contrasto con l’ordinamento comunitario, non essendo le disposizioni di quest’ultimo applicabili ai cittadini di paesi terzi, né con le disposizioni della CEDU o con l’art. 10 Cost. in tema di adeguamento automatico, riguardante il diritto internazionale consuetudinario;

che essa, d’altra parte, trovandosi inserita nella legge finanziaria del 2001, risentirebbe dei limiti delle prestazioni connessi alle risorse finanziarie;

che, in conclusione, il legislatore avrebbe nella specie «correttamente previsto che l’attribuzione dei benefici assistenziali di natura economica sia riconosciuta solo agli stranieri che risultino stabilmente inseriti nel contesto nazionale, così da poter usufruire degli stessi vantaggi dei cittadini in ragione del loro assoggettamento agli oneri – economici e non – ai quali questi ultimi sono soggetti»;

che, con memoria depositata in prossimità dell’udienza, l’INPS ha ribadito che, con le modifiche introdotte a decorrere dal 1° gennaio 2009, il trattamento previsto per lo straniero extracomunitario risulta «sicuramente più favorevole rispetto a quello previsto per il cittadino italiano», in riferimento al requisito della stabile permanenza per almeno dieci anni previsto per ottenere la cittadinanza italiana;

che la circostanza che il legislatore abbia richiesto «questa stabilità per riconoscere benefici economici non può considerarsi scelta irrazionale in considerazione del fatto che le prestazioni assistenziali sono inesportabili»;

che, infatti, secondo la disciplina comunitaria, «le prestazioni speciali a carattere non contributivo», come quella di prevenzione della povertà, «sono soggette a regole speciali di coordinamento e sono erogate unicamente nello Stato membro che le prevede», il quale potrà limitarne la erogazione al proprio territorio, mentre il cittadino dell’Unione, che si sposti in altro Stato membro, potrà fruire delle provvidenze ivi previste, anche se diverse da quelle cui precedentemente aveva diritto.

Considerato che il Tribunale ordinario di Urbino ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 32 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2001), «nella parte in cui subordina la concessione dell’assegno sociale al possesso della carta di soggiorno e dunque anche al requisito della durata del soggiorno medesimo nel territorio dello Stato»;

che, a parere del giudice rimettente, tale disciplina si porrebbe in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 14 della CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, alla luce dei princìpi già espressi da questa Corte nella sentenza n. 187 del 2010, con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale della norma in esame nella parte in cui subordina la concessione dell’assegno mensile di assistenza al possesso del permesso di soggiorno di lunga durata;

che sarebbe violato anche l’art. 3 Cost., in quanto la limitazione oggetto di impugnativa determinerebbe una evidente ingiustificata disparità di trattamento in ordine a diritti fondamentali della persona tra cittadini italiani e stranieri;

che risulterebbe vulnerato, inoltre, l’art. 32 Cost., in quanto attraverso la disposizione oggetto di censura verrebbe ad essere negata la tutela del diritto alla salute a parità di condizioni ai cittadini stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato;

che dalla scarna narrativa in fatto contenuta nell’ordinanza di rimessione – la quale dovrebbe, al contrario, ai fini del controllo sulla rilevanza della questione, offrire una esauriente e autosufficiente descrizione della fattispecie sottoposta al giudizio a quo – si ricava che alla ricorrente nel giudizio principale, madre di cittadina italiana, sarebbe stato in un primo momento riconosciuto e successivamente “revocato” da parte dell’INPS il beneficio in questione, senza che sia dato tuttavia comprendere né il titolo né la decorrenza di questo riconoscimento (né le ragioni del rilievo attribuito all’incontestata «sussistenza del requisito sanitario», non richiesto ai fini della provvidenza), emergendo soltanto che il provvedimento di “revoca” sarebbe stato adottato, il 3 marzo 2009, in forza soltanto di una non meglio precisata «mancanza del requisito della permanenza minima in Italia»;

che il giudice rimettente ha mostrato di non essersi posto il problema della eventuale applicabilità, anche solo per escluderla, al caso della medesima ricorrente, della disciplina dettata dal decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 (Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri), a norma del quale (art. 14, comma 2) il «familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro acquisisce il diritto di soggiorno permanente se ha soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale unitamente al cittadino dell’Unione»;

che ove, infatti, la imprecisata causale della predetta “revoca” del beneficio da parte dell’INPS fosse, in ipotesi, consistita nella mancanza del requisito del soggiorno in via continuativa per cinque anni, di cui al richiamato art. 14, comma 2, del predetto decreto legislativo n. 30 del 2007 – temporalmente identico all’omologo requisito prescritto per il conseguimento del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, di cui alla norma impugnata –, sussisterebbe un’evidente situazione di aberratio ictus, con la conseguente inammissibilità della proposta questione;

che, peraltro, pur a voler prescindere dalle descritte incolmabili lacune, assume portata dirimente, ai medesimi effetti, l’omesso riferimento, da parte del rimettente, anche alla disciplina dettata dall’art. 20, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, il quale stabilisce che «a decorrere dal 1° gennaio 2009, l’assegno sociale di cui all’art. 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale»;

che tale disciplina – le ragioni della cui eventuale inapplicabilità nel giudizio principale, avrebbero comunque dovuto, anche queste, essere esposte, almeno con un cenno – appare comunque indicativa dell’orizzonte entro il quale il legislatore ha ritenuto di disporre in una materia del tutto singolare come questa dell’assegno sociale, dal momento che il nuovo e più ampio limite temporale richiesto ai fini della concessione del beneficio risulta riferito non solo ai cittadini extracomunitari ma anche a quelli dei Paesi UE e financo – stando allo stretto tenore letterale della norma – agli stessi cittadini italiani;

che, dunque, da un lato, non risulterebbe evocabile alcun elemento di discriminazione tra cittadini extracomunitari, a seconda che risultino o no titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, e, dall’altro lato, neppure sussisterebbe una disparità di trattamento tra cittadini stranieri e italiani, posto che il requisito temporale del soggiorno riguarderebbe tutti i potenziali fruitori del beneficio;

che, d’altra parte, la previsione di un limite di stabile permanenza (per dieci anni) sul territorio nazionale come requisito per ottenere il riconoscimento del predetto beneficio appare adottata, piuttosto che sulla base di una scelta di tipo meramente “restrittivo”, sul presupposto, per tutti «gli aventi diritto», di un livello di radicamento più intenso e continuo rispetto alla mera presenza legale nel territorio dello Stato e, del resto, in esatta corrispondenza alla previsione del termine legale di soggiorno richiesto per il conseguimento della cittadinanza italiana, a norma dell’art. 9, lettera f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza);

che, alla luce dei riferiti rilievi, la questione proposta deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2001), «nella parte in cui subordina la concessione dell’assegno sociale al possesso della carta di soggiorno e dunque anche al requisito della durata del soggiorno medesimo nel territorio dello Stato», sollevata, in riferimento agli articoli 3, 32 e 117, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Urbino con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Paolo GROSSI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2013.