Ordinanza n. 204 del 2010

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ORDINANZA N. 204

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-       Francesco                    AMIRANTE                           Presidente

-       Ugo                             DE SIERVO                           Giudice

-       Paolo                           MADDALENA                                  ”

-       Alfio                            FINOCCHIARO                                ”

-       Alfonso                        QUARANTA                                     ”

-       Franco                         GALLO                                              ”

-       Luigi                            MAZZELLA                                       ”

-       Gaetano                       SILVESTRI                                        ”

-       Sabino                         CASSESE                                          ”

-       Maria Rita                   SAULLE                                            ”

-       Giuseppe                     TESAURO                                         ”

-       Paolo Maria                 NAPOLITANO                                 ”

-       Giuseppe                     FRIGO                                               ”

-       Alessandro                  CRISCUOLO                                    ”

-       Paolo                           GROSSI                                             ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 del decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29 (Interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione), promossi con ricorsi delle Regioni Lazio, Piemonte e Toscana notificati l’11-13, il 12-13 ed il 29 marzo 2010, depositati in cancelleria l’11, il 12 ed il 30 marzo 2010 ed iscritti rispettivamente ai nn. 43, 45 e 52 del registro ricorsi 2010.

   Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; 

   udito nell’udienza pubblica del 25 maggio 2010 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

  uditi gli avvocati Alberto Romano per la Regione Piemonte, Pasquale Mosca per la Regione Toscana e l’avvocato dello Stato Michele Dipace per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 Ritenuto che, con ricorso depositato l’11 marzo 2010 (iscritto al r.r. n. 43 del 2010), la Regione Lazio ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 48, 72, quarto comma, 77, 102, 104, 111 e 122, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 del decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29 (Interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 54 del 6 marzo 2010;

che la stessa Regione Lazio ha presentato, con il ricorso in epigrafe, istanza cautelare di sospensione dell’efficacia delle impugnate disposizioni, ai sensi dell’art. 35, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale);

che, secondo la ricorrente, le impugnate disposizioni contrasterebbero, innanzitutto, con l’art. 122, primo comma, Cost., avendo il legislatore statale illegittimamente violato la potestà legislativa concorrente della Regione nella materia del «sistema di elezione» del Presidente della Regione stessa e del Consiglio regionale, introdotta dalla legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni), attraverso l’adozione di norme di dettaglio, asseritamente di interpretazione autentica, ma in realtà dotate di portata innovativa;

che, in secondo luogo, le denunciate disposizioni violerebbero gli artt. 3, 24, 25, 48, 102, 104 e 111 Cost., avendo il legislatore statale posto in essere un esercizio abnorme della potestà di interpretazione autentica, al solo fine di interferire con giudizi pendenti in vista della riammissione di liste escluse dalla competizione elettorale, contravvenendo al principio di ragionevolezza, vulnerando la funzione giurisdizionale e le garanzie del giusto processo, e ledendo l’eguaglianza del voto;

che, inoltre, le previsioni oggetto di doglianza confliggerebbero con gli artt. 72, quarto comma, e 77, secondo comma, Cost., dal momento che, per un verso, in materia elettorale sussisterebbe una riserva di assemblea tale da legittimare solo l’intervento di leggi ordinarie e che, d’altro canto, a fronte della vigenza protratta da più di quarant’anni della legge asseritamente interpretata, difetterebbero i presupposti di straordinaria necessità e urgenza che soli legittimano il ricorso alla decretazione d’urgenza;

che, con atto depositato il 16 marzo 2010, si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che, «previo rigetto della domanda di sospensiva», il ricorso sia dichiarato «inammissibile o comunque infondato»;

che hanno spiegato intervento in questo giudizio il sig. Mario Caravale e altri cittadini i quali hanno chiesto l’accoglimento del ricorso proposto dalla Regione Lazio, previa adozione della misura cautelare sospensiva;

che sono, altresì, intervenuti, con separati atti, i signori Perugia Maria Cristina e Mastrorillo Riccardo, nonché il Movimento difesa del cittadino (MDC) e il sig. Antonio Longo, a propria volta aderendo alle censure della Regione ricorrente;

che con ordinanza, di cui si è data lettura in occasione della camera di consiglio del 18 marzo 2010, fissata per discutere l’istanza di sospensione, tutti i surriferiti interventi sono stati dichiarati inammissibili;

che le parti hanno discusso l’istanza di sospensiva nella camera di consiglio sopra indicata;

che questa Corte, con ordinanza n. 107 del 2010, ha rigettato la domanda di sospensione dell’efficacia dell’impugnato decreto-legge;

che, con ricorso depositato il 12 marzo 2010 (iscritto al r.r. n. 45 del 2010), la Regione Piemonte ha sollevato, in riferimento agli 3, 5, 70, 72, 76, 77, 114, 120, 122, primo comma, della Costituzione, nonché all’art. 5, primo comma, della legge costituzionale n. 1 del 1999, questione di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 del decreto-legge n. 29 del 2010;

che, secondo il ricorrente, le impugnate disposizioni violerebbero gli artt. 122, primo comma, Cost., e 5, primo comma, della legge costituzionale n. 1 del 1999, avendo il legislatore statale dettato, in materia elettorale e con effetto sul procedimento elettorale in corso, nuove disposizioni di dettaglio in forma d’interpretazione autentica sebbene la potestà legislativa spetti, in questo ambito, ai legislatori regionali;

che, inoltre, le contestate disposizioni violerebbero gli artt. 3, 5, 70, 72, 76, 77, 114, 117 e 120 Cost., in quanto: a) il legislatore statale, in sede di adozione del decreto-legge in oggetto, non avrebbe cercato alcuna forma di coordinamento con le regioni, in antitesi con il principio di leale collaborazione; b) il Governo avrebbe illegittimamente esercitato il potere di decretazione legislativa d’urgenza laddove la Costituzione contemplerebbe, in materia elettorale, una riserva di legge formale, il cui procedimento appare d’altro canto consono «all’indicato principio di leale collaborazione una volta attratta alla sfera dell’autonomia regionale la disciplina elettorale»; c) in relazione al principio di ragionevolezza, la Costituzione qualifica il decreto-legge come «provvedimento provvisorio» e, come tale, il decreto qui impugnato non garantirebbe, in considerazione della sua aleatorietà, uno svolgimento della competizione elettorale in grado di assicurare «il normale funzionamento di organi ed enti che sono ritenuti costitutivi della Repubblica italiana» ai sensi dell’art. 114 Cost.; d) lo stesso principio di ragionevolezza precluderebbe l’adozione di una disciplina retroattiva a procedimento elettorale già iniziato;

che, con atto depositato il 21 aprile 2010, si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato;

che il resistente sollecita l’adìta Corte a pronunciare l’inammissibilità del ricorso essendo venuto meno l’oggetto delle doglianze di parte regionale, dal momento che nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 86 del 14 aprile 2010 è stata data comunicazione che la Camera dei Deputati ha respinto il disegno di legge di conversione dell’impugnato decreto-legge n. 29 del 2010, e considerata, altresì, la pendenza di un disegno di legge di sanatoria degli effetti prodotti dal decreto-legge decaduto;

che, con ricorso depositato il 30 marzo 2010 (iscritto al r.r. n. 52 del 2010), la Regione Toscana ha sollevato, in riferimento all’art. 122, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 del decreto-legge n. 29 del 2010;

che, a detta della ricorrente, il legislatore statale avrebbe illegittimamente violato la potestà legislativa concorrente della Regione nella materia del «sistema di elezione» del Presidente della Regione stessa e del Consiglio regionale, per il tramite di norme di dettaglio, asseritamente di interpretazione autentica, ma in realtà provviste di portata innovativa;

che, con atto depositato il 3 maggio 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito nel giudizio promosso dalla Regione Toscana chiedendo, alla luce della sopravvenuta decadenza del denunciato decreto-legge, che sia pronunciata l’inammissibilità del ricorso, essendo venuto meno l’oggetto delle doglianze di parte regionale;

che con memoria depositata il 3 maggio 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollecitato questa Corte a dichiarare l’inammissibilità del ricorso presentato dalla Regione Lazio per le suesposte ragioni;

che, in data 6 maggio 2010, la Regione Piemonte ha depositato una istanza di declaratoria di cessazione della materia del contendere, giacché, sopravvenuta la decadenza del decreto-legge n. 29 del 2010, nel proprio ambito territoriale non è destinata a trovare applicazione la legge “di sanatoria” 22 aprile 2010, n. 60 (Salvaguardia degli effetti prodotti dal decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29, recante interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione, non convertito in legge), non risultando «all’odierna esponente che siano sorti rapporti giuridici in base allo stesso decreto legge».

Considerato che l’identità delle disposizioni impugnate e la sostanziale corrispondenza di alcune delle doglianze proposte e dei parametri invocati rendono opportuna la riunione dei giudizi;

che il decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29 (Interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione), non è stato convertito in legge entro il termine di sessanta giorni dalla sua pubblicazione, come risulta dal comunicato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 86 del 14 aprile 2010;

che il Parlamento ha stabilito, con la legge 22 aprile 2010, n. 60 (Salvaguardia degli effetti prodotti dal decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29, recante interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione, non convertito in legge), che «restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodotti e i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29»;

che in via di principio, la sanatoria non costituisce «idoneo equipollente» (sentenza n. 84 del 1996) della conversione, giacché il relativo potere è «ontologicamente diverso, anche per le conseguenze giuridiche, […] in quanto riguarda i rapporti giuridici sorti nel periodo di vigenza del decreto, la cui provvisoria efficacia è venuta meno ex tunc» (sentenza n. 244 del 1997);

che il carattere impugnatorio del giudizio in via principale impone al ricorrente l’onere, da assolvere nel termine decadenziale, di una specifica determinazione, ai fini della permanenza dell’interesse a ricorrere contro il nuovo atto, in ordine alla eventuale, perdurante lesione della sua sfera di competenza (sentenze n. 37 del 2003, n. 405 del 2000 e n. 430 del 1997);

che quando sussiste per il ricorrente nei giudizi in via principale la possibilità concreta di effettiva e tempestiva riproposizione della questione con azione di impugnazione avente per oggetto la nuova disposizione, deve essere precluso il trasferimento della questione di costituzionalità sulla norma di «sanatoria» (sentenza n. 429 del 1997);

che, di conseguenza, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte (tra le molte, le ordinanze n. 341 del 2002 e n. 174 del 1995), le questioni aventi per oggetto il decreto-legge n. 29 del 2010 devono essere dichiarate manifestamente inammissibili.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 del decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29 (Interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 5, 24, 25, 48, 70, 72, 76, 77, 102, 104, 111, 114, 120 e 122, primo comma, della Costituzione, ed all’art. 5 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni), dalle Regioni Lazio, Piemonte e Toscana con i ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2010.