Sentenza n. 430/97

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SENTENZA N.430

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge 2 aprile 1996, n. 176 recante: "Disposizioni urgenti in materia veterinaria e sanitaria", promossi con ricorsi delle Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna, notificati il 29 aprile ed il 2 maggio 1996, depositati in cancelleria il 6 ed il 9 maggio 1996 ed iscritti ai nn. 21 e 23 del registro ricorsi 1996.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 ottobre 1997 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

uditi gli avvocati Maurizio Steccanella per la Regione Lombardia, Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna e l'Avvocato dello Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - La Regione Lombardia e la Regione Emilia-Romagna, con due distinti ricorsi, ritualmente notificati e depositati, sollevano questione di legittimità costituzionale in via principale nei confronti dell'art. 1, commi 1, 2, 3, 4 e 5 del decreto-legge 2 aprile 1996, n. 176, recante "Disposizioni urgenti in materia veterinaria e sanitaria", in riferimento agli artt. 77, 117, 118 e 119 della Costituzione. Le istanti dubitano, altresì, della costituzionalità del richiamato art. 1, comma 2, anche in riferimento all'art. 97 della Costituzione.

2. - Le ricorrenti premettono che il d.l. n. 176 del 1996 modifica alcune norme del d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, avente ad oggetto il "Riordinamento degli istituti zooprofilattici sperimentali a norma dell'art. 1, comma 1, lettera h) della legge 23 ottobre 1992, n.421", trasformandoli da "strumenti tecnico-scientifici" al servizio delle regioni e delle province autonome in organi tecnici dell'organizzazione periferica dello Stato, con riflessi sull'esercizio di talune specifiche funzioni regionali.

La finalità dell'atto normativo dimostrerebbe, a loro avviso, l'inesistenza di un caso di straordinaria "necessità ed urgenza", che consente, ex art. 77 della Costituzione, il ricorso alla decretazione d'urgenza.

3. - Ancora in linea preliminare, le Regioni deducono che il d.lgs. n. 270 del 1993, innovato dalle norme in esame, é stato impugnato anch'esso in via principale nel giudizio conclusosi con la sentenza della Corte n. 124 del 1994, che, nell'accogliere parzialmente i ricorsi, ha anzitutto affermato che gli istituti zooprofilattici sperimentali costituiscono organismi che espletano funzioni anche in materie ancora riservate allo Stato e che altre possono essere conferite, purchè sussista un interesse nazionale che giustifichi l'accentramento. La Corte ha, quindi, dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che riservavano al Ministro della sanità il potere di stabilire i requisiti minimi strutturali ed i criteri organizzativi degli istituti, prescrivevano, per la nomina del direttore generale, l'intesa con la Conferenza Stato-regioni-province autonome e riservavano la designazione di due membri del collegio dei revisori ai Ministri della sanità e del tesoro.

Le innovazioni introdotte dal d.l. n. 176 del 1996, secondo le ricorrenti, non si conformerebbero a siffatti principi che, peraltro, potrebbero essere anche parzialmente rimeditati. La sentenza n. 124 del 1994, aveva, infatti, in parte, rigettato le censure di costituzionalità, ritenendo che la riserva di talune funzioni allo Stato fosse giustificata dalla necessità di assicurare l'adempimento degli obblighi comunitari. La successiva affermazione (sentenze n. 389 del 1994 e n. 94 del 1995) che anche le leggi regionali devono uniformarsi ai principi dettati dagli Organi comunitari consentirebbe, però, di rimeditare il principio.

4. - Nel merito, l'art. 1, comma 1, del d.l. n. 176 del 1996, é sospettato di incostituzionalità nella parte in cui dispone che i requisiti strutturali e tecnologici, nonchè i criteri organizzativi "uniformi" degli istituti, sono stabiliti con atto di indirizzo e coordinamento del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della sanità, "sentita" la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e provincie autonome, in quanto avrebbe contenuto identico ad una norma contenuta nel d.lgs. n. 270 del 1993, già dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza n. 124 del 1994. Inoltre, ad avviso della Regione Emilia-Romagna, la sostituzione alla "intesa" di un mero "parere" violerebbe il canone di leale collaborazione tra Stato e Regioni, nonchè il principio di legalità sostanziale, dato che non é stata esplicitata la finalità degli atti di indirizzo.

5. - Le ricorrenti dubitano, altresì, della legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, del d.l. n. 176 del 1996 nella parte in cui, conferendo al direttore generale amplissimi poteri di gestione, compreso quello di adottare <<tutti gli atti che impegnano l'ente verso l'esterno>>, sovvertirebbe l'assetto degli istituti. La lesione della sfera di competenza regionale sarebbe ancor più manifesta in considerazione dei poteri attribuiti al Ministro della sanità sia nella fase della selezione concorsuale preordinata alla designazione del direttore generale (di individuazione dei requisiti di ammissione, delle procedure d'esame, dei criteri generali di valutazione dei titoli, di emanazione dell'avviso di concorso, di nomina della commissione d'esame), sia in ordine alla disciplina del rapporto di lavoro, stabilita con regolamento ministeriale; poteri che determinerebbero la "statalizzazione" degli istituti e la sostanziale estromissione delle regioni dalla loro gestione.

L'ampiezza dei poteri del direttore generale, ad avviso della Regione Lombardia, renderebbe peraltro irragionevole la permanenza del Consiglio di amministrazione, dato che l'organo collegiale, di nomina regionale, risulterebbe svuotato di concrete funzioni, sicchè la nuova disciplina influirebbe negativamente sul buon andamento e sull'imparzialità dell'amministrazione e violerebbe l'art. 97 della Costituzione.

La nomina del direttore generale all'esito di un concorso - deduce la Regione Emilia-Romagna - contrasta con l'art. 97 della Costituzione anche perchè la scelta di un organo sito al massimo livello dirigenziale postula una valutazione incompatibile con la logica concorsuale.

6. - La Regione Lombardia deduce, altresì, l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, commi 2 (recte: 3) e 4, del d.l. n. 176 del 1996, nelle parti in cui demanda al Comitato interministeriale per la programmazione economica il riparto dei finanziamenti in favore di ciascun istituto ed elimina ogni potere delle regioni, sostituendolo con un mero parere. La norma, ad avviso di entrambe le ricorrenti, illegittimamente riserverebbe al Governo il potere di stabilire, con regolamento emanato ai sensi dell'art. 17, terzo comma, della legge n. 400 del 1988, la disciplina dello stato giuridico del personale. In tal modo, secondo la Regione Emilia-Romagna, sarebbe stata modificata la pregressa previsione dell'applicabilità del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, ed esclusa l'operatività di fondamentali norme statuali, con il risultato che la disciplina giuridica del personale degli istituti sarebbe la sola, nell'intero comparto pubblico, ad essere fissata con provvedimento ministeriale.

L'esautorazione delle regioni e delle provincie autonome, puntualizza la prima ricorrente, realizza una "deregionalizzazione" degli istituti zooprofilattici, neppure compensata dal previsto parere della Conferenza permanente Stato-regioni, che costituisce addirittura un minus rispetto alle "intese" originariamente previste, comunque suscettibili di censura di costituzionalità.

7. - Le ricorrenti eccepiscono, infine, l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 5, del d.l. n. 176 del 1996 che, introducendo nel d.lgs. n. 270 del 1993 l'articolo 10-bis, conferma nella carica gli attuali direttori degli istituti ed attribuisce loro la qualifica di direttori generali.

La Regione Lombardia osserva, in particolare, che la norma violerebbe il d.l. 16 maggio 1994, n. 239, convertito nella legge 15 luglio 1994, n. 444 ed infrangerebbe il divieto della prorogatio illimitata degli organi amministrativi, conferendo ai direttori in carica l'intero potere di gestione dell'istituto, benchè privi dei più ampi poteri attribuiti al direttore generale, così vulnerando, secondo la Regione Emilia-Romagna, anche l'art. 97 della Costituzione.

8. - In entrambi i giudizi, con due distinti atti, di contenuto identico, si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi richiamando a conforto della tesi i principi enunciati dalla Corte nella sentenza n. 124 del 1994.

In due memorie, anch'esse di identico contenuto, depositate in prossimità della camera di consiglio, l'Avvocatura erariale osserva che il d.l. n. 176 del 1996 é decaduto per mancata conversione ed i successivi decreti-legge 3 giugno 1996, n. 298, 16 luglio 1996, n. 377 e 13 settembre 1996, n. 478 hanno reiterato la sola norma già contenuta nell'art. 1, comma 5, del decreto-legge impugnato. L'art. 4, comma 2, d.l. 23 ottobre 1996, n. 542, convertito nella legge 23 dicembre 1996, n. 649 ha, a sua volta, modificato gli artt. 9, comma 3, e 10, comma 2, del d.lgs. n. 270 del 1993. Infine, l'art. 1, commi 5 ed 8, della legge 17 gennaio 1997, n. 4, ha stabilito: <<restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti>> sulla base dei decreti-legge che recavano le norme impugnate.

Per siffatti rilievi, conclude l'Avvocatura generale, i ricorsi sono inammissibili, siccome privi di oggetto, e comunque per mancanza di interesse delle Regioni.

9. - Le cause, già riservate in camera di consiglio, sono state rinviate all'udienza pubblica del 14 ottobre 1997.

10. - La Regione Lombardia, nella memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica, ricostruisce la vicenda del decreto-legge n. 176 del 1996, recante le norme impugnate e ribadisce le argomentazioni svolte in ricorso. La ricorrente deduce, inoltre, che la giurisprudenza della Corte esclude che l'impugnazione delle norme di decreti-legge reiterati debba essere rinnovata in riferimento a quelli successivi ed osserva che il caso in esame si caratterizza in quanto si é determinata una <<triplice perdita di efficacia fin dall'inizio>> anche dell'art. 1, comma 5, del d.l. n. 176 del 1996, che é stata l'unica norma riprodotta nei successivi a quello impugnato. Tale ultima disposizione, recante la previsione della prorogatio dei direttori degli istituti, neppure é stata reiterata dopo che é decaduto, per mancata conversione, il d.l. n. 478 del 1996.

L'art. 1, comma 5, della legge 17 gennaio 1997, n. 4, prosegue l'istante, ha, quindi, sanato gli atti e gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti nella vigenza dei decreti-legge a distanza di mesi dalla loro decadenza per mancata conversione. La disposizione di sanatoria, a suo avviso, violerebbe l'art. 77, secondo comma, della Costituzione, che consente <<di porre un eventuale "rimedio" immediato alla mancata conversione di un decreto-legge>>, e non anche di "riprodurre" una norma di contenuto identico a quella decaduta, emanata a distanza di tempo, con effetti retroattivi, attribuendo in tal modo efficacia ad atti e provvedimenti irrimediabilmente caducati. La ricorrente chiede, quindi, che la Corte rimetta innanzi a sè la questione di costituzionalità dell'art. 1, comma 5, della legge n. 4 del 1997, sospettata di vulnerare l'art. 77 della Costituzione.

La Regione Lombardia deduce, infine, che la clausola di sanatoria renderebbe attuale e concreto il suo interesse all'impugnazione, pur se con esclusivo riferimento agli atti ed ai provvedimenti assunti nella vigenza del decreto decaduto e non convertito, dato che detto interesse é concretizzato almeno dall'art. 1, comma 5, del d.l. n. 176 del 1996.

11. - La Regione Emilia-Romagna ha del pari depositato (fuori termine) memoria in prossimità dell'udienza, deducendo che non risulta siano stati emanati atti lesivi della competenza regionale e si é rimessa <<alla prudente valutazione>> della Corte per l'accertamento in ordine alla <<sussistenza attuale di un interesse al giudizio di legittimità costituzionale dell'impugnato decreto-legge>>.

Considerato in diritto

1. - I ricorsi proposti dalle Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna investono le stesse disposizioni legislative sotto profili sostanzialmente coincidenti, cosicchè i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2. - Le Regioni ricorrenti hanno ritenuto lesivo della propria sfera di autonomia costituzionalmente garantita, per contrasto con gli artt. 77, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, l'art. 1, commi 1, 2, 3, 4 e 5 del decreto-legge 2 aprile 1996, n. 176, che ridisegnava l'assetto organizzativo degli istituti zooprofilattici sperimentali.

Le ricorrenti censurano, in particolare, sia l'attribuzione al Consiglio dei ministri del potere di indirizzo in ordine ai requisiti strutturali e tecnologici nonchè ai criteri organizzativi dei suddetti istituti, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato regioni e province autonome, sia il conferimento al Ministro della sanità di rilevanti poteri sostitutivi in tema di selezione del direttore generale e di determinazione -di concerto con i Ministri del tesoro e degli affari regionali- del relativo contratto di lavoro.

Censure analoghe le predette Regioni svolgono in ordine alle disposizioni che regolano le modalità di riparto della quota di finanziamento degli istituti a carico dello Stato e riservano la disciplina dello stato giuridico ad un regolamento adottato ai sensi dell'art.17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Infine, viene prospettata, anche con riferimento all'art. 97 della Costituzione, l'illegittimità costituzionale sia della norma che ridisegna i poteri del direttore generale, sia della norma che stabilisce l'illimitata prorogatio dei direttori in carica, anche se qualificati direttori generali.

3. - In via preliminare va considerata l'eccezione di inammissibilità dei ricorsi, sollevata dall'Avvocatura dello Stato, in quanto i relativi giudizi risulterebbero privi di oggetto e non sarebbe neppure ravvisabile un interesse delle Regioni ricorrenti alla dichiarazione di incostituzionalità delle norme impugnate.

L'eccezione é meritevole di accoglimento.

Innanzi tutto va precisata la cronologia delle vicende normative degli atti oggetto dei ricorsi in esame, che riguardavano originariamente alcune norme recate dall'art. 1, commi 1, 2, 3, 4 e 5 del decreto-legge 2 aprile 1996, n. 176. Decaduto questo decreto per mancata conversione, nel successivo decreto legge 3 giugno 1996, n. 298 non sono state più riprodotte le norme in questione, eccetto quella già recata dall'art. 1, comma 5, la quale, prima della decadenza dello stesso decreto-legge n. 298, é stata ancora reiterata, nell'art. 5, dal decreto-legge 16 luglio 1996, n. 377. Dopo la decadenza pure di tale ulteriore decreto, la suddetta norma é stata nuovamente riprodotta nel decreto-legge 13 settembre 1996, n. 478, ma, quando anche questo ultimo decreto é decaduto per mancata conversione, la stessa norma non é stata più reiterata nel successivo decreto-legge della serie, quello del 18 novembre 1996, n. 583, che concerne tra l'altro anche una materia parzialmente diversa da quella trattata dal primo decreto della serie. Pertanto la legge 17 gennaio 1997, n. 4, di conversione del predetto decreto n. 583, ha ad oggetto una disciplina diversa da quella iniziale e, per di più, non riguarda alcuna norma identica a quelle originariamente impugnate, ma tuttavia contiene una clausola di salvezza, che appunto stabilisce che "restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti" sulla base -tra gli altri- dei decreti-legge che hanno recato, di volta in volta, le norme impugnate.

4. - Sulla base di questa ricostruzione cronologica della serie degli atti impugnati va dunque valutato se, nella presente fattispecie, possa operare il principio del cosiddetto "trasferimento" della questione di legittimità costituzionale proposta nei confronti di una norma contenuta in un decreto-legge decaduto per mancata conversione in legge. In proposito va ricordato che, secondo i criteri interpretativi adottati nella sentenza n. 84 del 1996, l'ammissibilità del trasferimento si fonda essenzialmente sulla constatazione che il giudizio della Corte si svolge sulla norma "quale oggetto del raffronto con il contenuto precettivo del parametro costituzionale", costituendo la disposizione soltanto il "veicolo di accesso" al giudizio di costituzionalità. Pertanto la pura modifica testuale della disposizione non incide, di per sè sola, sulla permanenza della norma nell'ordinamento, quando rimanga immutato il suo contenuto precettivo.

Il trasferimento, inoltre, é ammesso anche nel particolare caso in cui, intervenuta la legge di conversione in una "catena" ininterrotta di decreti decaduti e reiterati, é disposta anche una clausola di salvezza degli effetti già prodotti, la cui funzione -in combinazione con la "novazione" della fonte dell'ultimo decreto operata dalla legge di conversione- é essenzialmente quella di "ripristinare.... un continuum normativo facendo risalire nel tempo la nuova disciplina alla originaria disposizione decaduta e consolidandola negli effetti così da assicurare la permanenza dei medesimi senza soluzione di continuità" (sentenza n. 84 del 1996).

Ma l'elaborazione giurisprudenziale della Corte in materia di trasferimento della censura di incostituzionalità deve essere specificata, nella presente fattispecie, sia in riferimento ai caratteri generali del ricorso in via principale, sia in riferimento alle peculiarità della vicenda in esame, caratterizzata dalla mancata riproduzione di una qualsiasi delle norme originariamente impugnate nell'ultimo decreto-legge che é stato convertito e dall'inserimento della relativa clausola di salvezza dei precedenti decreti-legge già decaduti nella legge di conversione di un decreto non riproduttivo delle originarie norme impugnate.

Premesso che, in via di principio, la sanatoria non costituisce "idoneo equipollente" (sentenza n. 84 del 1996) della conversione, perchè il relativo potere é "ontologicamente diverso, anche per le conseguenze giuridiche, .... in quanto riguarda i rapporti giuridici sorti nel periodo di vigenza del decreto, la cui provvisoria efficacia é venuta meno ex tunc" (sentenza n. 244 del 1997), va considerato che la disposizione, che non riproduce più la norma contro cui era stato prospettato il ricorso, ma che invece prevede la clausola di salvezza (dalla decadenza) degli effetti già prodotti dal precedente decreto decaduto, ha un contenuto precettivo comunque diverso rispetto a quello della norma originaria, quanto meno sotto il profilo della delimitazione temporale del relativo ambito soggettivo ed oggettivo, giacchè la sanatoria provvede soltanto -secondo un'espressione corrente in dottrina- a "cristallizzare", una volta per tutte, gli effetti prodotti a suo tempo dai decreti decaduti, ma non può, in quanto tale, disporre in ordine ai rapporti futuri.

In questa ottica appare evidente che la parziale diversità di contenuto precettivo tra la norma originaria del primo decreto-legge e quella espressiva della clausola di salvezza preclude, quando manchi la conversione di una norma riproduttiva di quella originariamente impugnata, il trasferimento della questione di costituzionalità. Pertanto, il carattere impugnatorio del giudizio in via principale impone al ricorrente l'onere, da assolvere nel termine decadenziale, di una specifica determinazione, ai fini della permanenza dell'interesse a ricorrere contro il nuovo atto, in ordine alla eventuale, perdurante lesione della sua sfera di competenza (v. sentenza in pari data, n. 429 del 1997), riconducibile, però, se del caso, ad una diversa norma rispetto a quella censurata, contenuta nel precedente decreto decaduto.

5. - Analoga ratio decidendi, del resto, questa Corte ha di recente mostrato di seguire anche riguardo a giudizi in via incidentale aventi ad oggetto la censura di vizi sostanziali di norme di decreti-legge decaduti e non convertiti. In questi casi, infatti, assoggettati, in via generale, alla regola del tempus regit actum, in presenza di una successiva disposizione recante la clausola di salvezza, la Corte ha ordinato la restituzione degli atti al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza, indotto dal mutamento dei termini di applicabilità della norma censurata, conseguente alla sopravvenuta situazione normativa costituitasi appunto a seguito della mancata conversione dei decreti-legge impugnati e della entrata in vigore della clausola di sanatoria (ordinanze nn. 128, 230, 317 e 371 del 1997).

6. - Tutte queste ragioni conducono dunque ad una pronuncia di inammissibilità della proposta questione di legittimità costituzionale per mancanza dell'oggetto, in quanto non sussiste la permanenza della norma originariamente impugnata nell'ordinamento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2, 3, 4 e 5 del decreto-legge 2 aprile 1996, n.176 (Disposizioni urgenti in materia veterinaria e sanitaria) sollevate, in riferimento agli artt. 77, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Lombardia e dalla Regione Emilia-Romagna con i ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Piero Alberto CAPOTOSTI

Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1997.