Ordinanza n. 59 del 2010

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ORDINANZA N. 59

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-          Francesco                     AMIRANTE                                      Presidente

-          Ugo                              DE SIERVO                                        Giudice

-          Paolo                            MADDALENA                             “

-          Alfio                             FINOCCHIARO                           “

-          Franco                          GALLO                                                     “

-          Luigi                             MAZZELLA                                              “

-          Gaetano                        SILVESTRI                                               “

-          Sabino                          CASSESE                                                 “

-          Maria Rita                    SAULLE                                                   “

-          Giuseppe                      TESAURO                                                “

-          Paolo Maria                  NAPOLITANO                                        “

-          Giuseppe                      FRIGO                                                      “

-          Alessandro                   CRISCUOLO                                           “

-          Paolo                            GROSSI                                                    “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1917, secondo comma, del codice civile e dell’art. 52 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso dal Tribunale di La Spezia, sul reclamo proposto da P. N., con ordinanza del 5 novembre 2008, iscritta al n. 128 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2009.

        Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

        udito nella camera di consiglio del 16 dicembre 2009 il Giudice relatore Luigi Mazzella.

Ritenuto che, con ordinanza del 5 novembre 2008, il Tribunale di La Spezia - Sezione fallimentare, ha sollevato, con riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1917, secondo comma, del codice civile, e, come da ordinanza di correzione dello stesso Tribunale, dell’art. 52 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui, nel loro congiunto operare, imporrebbero ai titolari di crediti di risarcimento del danno connessi a lesioni del diritto alla salute o di diritti strettamente personali la partecipazione al concorso fallimentare, non consentendo loro il realizzo diretto sull’indennità dovuta dall’assicuratore, in relazione al contratto di assicurazione per i danni a terzi stipulato dal fallito quando era in bonis;

che, riferisce il rimettente, P.N., avventrice del ristorante gestito da una società fallita, aveva subito un danno per la caduta ad essa occorsa a causa della presenza di acqua sul pavimento in prossimità dei servizi igienici e, in forza di una sentenza di condanna pronunciata a suo favore, era risultata creditrice di una somma a titolo di indennizzo per il ristoro dei danni subiti;

che, in seguito al fallimento della società, ella aveva chiesto che il curatore del fallimento, sentito il giudice delegato o, direttamente, lo stesso giudice delegato, autorizzasse la Compagnia Milano Assicurazioni a corrisponderle le somme portate dalla citata sentenza;

che, tuttavia, il giudice delegato aveva dichiarato non luogo a provvedere su detta istanza, sia perché la P. non era creditore insinuato al passivo fallimentare, sia perché l’indennità assicurativa costituiva cespite di spettanza della massa, sicché la ricorrente avrebbe potuto soltanto insinuarsi al passivo e richiedere la soddisfazione nei limiti entro cui l’attivo fosse risultato capiente per il grado di prelazione spettante al credito in questione;

che, provvedendo sul reclamo proposto avverso il provvedimento del giudice delegato, ai sensi dell’art. 26 legge fall. (r.d. n. 267 del 1942), il rimettente, in punto di rilevanza, afferma che la richiesta formulata andrebbe correttamente qualificata come autorizzazione alla «ricognizione di diritti di terzi» di cui all’art. 35 legge fall. (nel testo applicabile al fallimento in questione, di competenza del tribunale);

che, prosegue il rimettente, in base al diritto vivente, in presenza di assicurazione contro i danni stipulata dall’impresa fallita, alla curatela spetterebbe l’incasso dell’indennità assicurativa e il danneggiato, quale creditore dell’impresa sottoposta a procedura concorsuale, potrebbe soltanto far valere il diritto nel concorso, insinuandosi al passivo in forza dell’art. 52 legge fall. e ricevere soddisfazione nei limiti in cui il privilegio speciale ad esso attribuito dalla legge trovi capienza;

che, secondo il rimettente, ciò significherebbe che, in grande parte dei casi, il privilegio speciale in questione sarebbe destinato a soccombere rispetto a molti privilegi mobiliari generali cui è riconosciuto un grado superiore, tant’è vero che, anche nello specifico caso sottoposto al suo esame, ove la curatela incassasse l’indennità assicurativa, quest’ultima finirebbe per venire assorbita dai creditori già ammessi e muniti di privilegio poziore rispetto alla ricorrente;

che, invece, ove fosse prevista, per il danneggiato, la possibilità di chiedere, in costanza di fallimento, il pagamento diretto all’assicuratore, sarebbe evidente che, salva l’ipotesi dell’azione giudiziale di cognizione (che potrebbe a quel punto essere direttamente rivolta contro l’assicuratore), sarebbe ammissibile una richiesta di mera autorizzazione agli organi fallimentari di tale pagamento diretto;

che, d’altra parte, ove non sussistesse la normativa sospettata di illegittimità, tale pagamento potrebbe avere corso, proprio sul rilievo del trattarsi di diritti di natura strettamente personale che il curatore, verificati i relativi presupposti ed autorizzato dagli organi competenti, potrebbe riconoscere ai sensi dell’art. 35 legge fall. come spettanti al danneggiato senza interferenza del concorso fallimentare;

che, in punto di non manifesta infondatezza, secondo il rimettente sarebbe irrazionale e manifestamente ingiusto che l’indennità assicurativa, che la curatela potrebbe incassare in dipendenza del danno alla persona cagionato dall’impresa a terzi, in base alla normativa come sopra delineata, venisse in concreto destinata alla soddisfazione di creditori diversi dal danneggiato, perché un simile sistema distrarrebbe la predetta indennità, derivante all’impresa da un evento dannoso per la persona umana, dalla soddisfazione di chi di tale evento dannoso è la vittima;

che, da questo punto di vista, evidente sarebbe il contrasto della normativa censurata con l’art. 3 Cost. e con la tutela del diritto alla salute (art. 32 Cost.) e dei diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost.), in quanto subordinerebbe il ristoro dei danni alla salute stessa (c.d. danno biologico) e ad altre utilità strettamente personali (vedi danno morale) alla previa soddisfazione di altri diritti di terzi di natura patrimoniale;

che, del resto, prosegue il rimettente, la supremazia del diritto alla salute sul concorso fallimentare sarebbe implicitamente confermata da quella costante giurisprudenza secondo cui le somme dovute a titolo di risarcimento del danno alla persona del fallito non rientrano nella massa attiva del fallimento;

che, secondo il Tribunale rimettente, il sistema normativo sopra delineato deriverebbe dall’art. 52 legge fall. (r.d. n. 267 del 1942), che impone per ogni credito l’accertamento nelle forme concorsuali dell’insinuazione, e dall’art. 1917, secondo comma, cod. civ., che non consente il pagamento diretto dall’assicuratore al danneggiato se non nei casi ivi previsti, casi che, però, non si possono realizzare, secondo il sistema vigente, una volta instaurata la procedura fallimentare, perché l’assicuratore non può più decidere di pagare il danneggiato, dovendo conferire le somme alla massa fallimentare;

che, per converso, anche il curatore non potrebbe richiedere all’assicuratore di pagare direttamente al danneggiato perché egli deve invece acquisire le somme e ripartirle secondo le regole interne alla procedura fallimentare;

che, con atto depositato in data 3 giugno 2009, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata;

che, secondo l’Avvocatura, la questione proposta sarebbe inammissibile, per difetto di adeguata motivazione sulla rilevanza, dato che il Tribunale muoverebbe dal presupposto, asseritamente consolidato in diritto vivente, secondo cui la sopravvenienza del fallimento impedirebbe all’assicuratore di pagare l’indennizzo direttamente al danneggiato;

che, in realtà, secondo l’Avvocatura, il giudice a quo non avrebbe approfondito in alcun modo questo presupposto e non avrebbe esplorato la possibilità di un’interpretazione alternativa, alla stregua della quale le facoltà di pagamento diretto previste dall’art. 1917, secondo comma, cod. civ. possano sopravvivere al fallimento dell’assicurato;

che, invero, la tesi del venir meno delle facoltà di pagamento diretto contemplate dall’art. 1917, secondo comma, cod. civ. al sopravvenuto fallimento potrebbe considerarsi consolidata in un vero e proprio diritto vivente, tale da rendere del tutto implausibile, in un nuovo caso, l’adozione di una interpretazione diversa;

che, invero, l’ordine all’assicuratore di pagare direttamente al terzo danneggiato potrebbe essere configurato non come una mera forma di adempimento dell’obbligazione dell’assicuratore, bensì come una vera delegazione di debito (art. 1268 cod. civ.); e, allo stesso modo, il pagamento diretto spontaneamente deciso dall’assicuratore potrebbe essere qualificato come espromissione (art. 1272 cod. civ.);

che, nel merito, la questione sollevata dovrebbe essere ritenuta manifestamente infondata, dato che, secondo l’Avvocatura, se il problema nasce dal venir meno delle facoltà di pagamento diretto di cui all’art. 1917, secondo comma, cod. civ., quest’ultimo avrebbe dovuto essere censurato in modo coerente con questa premessa, non per il fatto di non prevedere l’azione diretta in caso di sopravvenuto fallimento, bensì per il fatto di non prevedere, in tal caso, la sopravvivenza delle facoltà di pagamento diretto di cui al secondo comma;

che, per altro verso, in materia di infortuni sul lavoro, sussisterebbe già un autonomo sistema di assicurazione obbligatoria dei lavoratori presso gli istituti pubblici a ciò preposti, retto dai suoi autonomi principi, del tutto idonei a somministrare una adeguata tutela;

che non vi sarebbe, per altro verso, disuguaglianza costituzionalmente apprezzabile neppure in relazione all’azione diretta per le retribuzioni non pagate concessa ai dipendenti dell’appaltatore di lavori o di manodopera poi fallito, verso il committente di questo, dato che in quel caso il lavoratore non dispone di garanzie sostanziali per il pagamento delle retribuzioni a fronte dell’insolvenza del datore di lavoro;

che, in questo complesso quadro, rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore decidere se introdurre a favore dei soli lavoratori dipendenti la deroga al principio della par condicio (che è in sé un’attuazione del principio di uguaglianza) patrocinata dall’ordinanza di rinvio;

che, infine, non vi sarebbe violazione dei parametri costituzionali invocati in relazione alla maggiore complessità e durata procedurale del fallimento rispetto all’azione ordinaria diretta, dato che, come la stessa ordinanza rileva, i crediti del tipo in esame sono assistiti, nell’ambito del concorso, da privilegio generale, il che già li differenzia da molti altri crediti.

Considerato che il Tribunale di La Spezia, dubita, con riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 1917, secondo comma, del codice civile e dell’art. 52 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui, nel loro congiunto operare, imporrebbero ai titolari di crediti di risarcimento del danno connessi a lesioni del diritto alla salute o di diritti strettamente personali la partecipazione al concorso fallimentare, non consentendo loro il realizzo diretto sull’indennità dovuta dall’assicuratore, in relazione al contratto di assicurazione per i danni a terzi stipulato dal fallito quando era in bonis;

che il Tribunale rimettente, nella motivazione sulla rilevanza della questione, qualifica la richiesta di essere autorizzato a soddisfarsi sull’indennizzo a carico della Compagnia di assicurazione, avanzata dal titolare del credito al risarcimento del danno vantato contro la società fallita, come una istanza di ricognizione dei diritti di terzi, ai sensi dell’art. 35 r.d. n. 267 del 1942;

che la predetta norma non è invocabile nel caso di specie, perché essa è riferita ai diritti dei terzi sul patrimonio del fallito e non, come sembra presupporre il rimettente, a crediti intercorrenti tra terzi (nel caso di specie, presunto diritto di un creditore del fallito verso un debitore dello stesso);

che, invero, un simile atto autorizzativo costituirebbe rinuncia a un credito da parte della curatela, tipologia neppure contemplata nell’elencazione di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione consentiti dall’art. 35 della legge fallimentare;

che, a prescindere dall’erronea invocazione dell’art. 35 r.d. n. 267 del 1942, il rimettente sollecita in buona sostanza l’introduzione nell’ordinamento di un’ipotesi di azione diretta – quella per il pagamento dell’indennità dovuta dall’assicuratore – non contemplata dal legislatore, in una materia, quale quella fallimentare, in cui già sono in gioco contrapposti valori costituzionali da bilanciare;

che inoltre, con la recente sentenza n. 131 del 2009, questa Corte, nell’affrontare un’analoga questione di legittimità costituzionale riguardante proprio l’art. 1917 cod. civ., ha già sottolineato il carattere eccezionale delle norme che prevedono ipotesi tipizzate di azioni dirette, precisando che tali norme sono tutte ispirate da rationes specifiche e derogatorie di principi generali;

che, per tale carattere eccezionale e per la conseguente discrezionalità delle scelte normative coinvolte, nonché per la descritta necessità di effettuare un bilanciamento tra valori contrapposti, deve escludersi che questa Corte possa introdurre nell’ordinamento, con una sentenza additiva, un’ulteriore ipotesi di azione diretta non prevista dal legislatore (v. sentenze n. 240 e n. 325 del 2008, ordinanze n. 185 e n. 233 del 2007 e n. 186 del 2008);

che, dunque, per i motivi sopra precisati, la questione si presenta inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

la corte costituzionale

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1917, secondo comma, del codice civile e dell’art. 52 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, dal Tribunale di La Spezia con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2010.