Ordinanza n. 186 del 2008

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ORDINANZA N. 186

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-                Franco                                     BILE                              Presidente

-                Giovanni Maria                         FLICK                           Giudice

-                Francesco                                 AMIRANTE                         "

-                Ugo                                         DE SIERVO                         "

-                Paolo                                      MADDALENA                    "

-                Alfio                                        FINOCCHIARO                   "

-                Alfonso                                    QUARANTA                                 "

-                Franco                                     GALLO                               "

-                Luigi                                        MAZZELLA                         "

-                Gaetano                                   SILVESTRI                          "

-                Sabino                                     CASSESE                            "

-                Maria Rita                                SAULLE                              "

-                Giuseppe                                  TESAURO                           "

-                Paolo Maria                             NAPOLITANO                   "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 2471 del codice civile e 538 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 14 maggio 2007 dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Bologna, sul ricorso proposto dalla Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. ed altri contro Gazzoni Frascara Giuseppe ed altra, iscritta al n. 725 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visti l’atto di costituzione della G.M.G. Group s.r.l., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 15 aprile 2008 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;

uditi l’avvocato Tiziana Tampieri per la G.M.G. Group s.r.l. e l’avvocato dello Stato Diego Giordano per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, con ordinanza del 14 maggio 2007, il Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Bologna ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 2471 del codice civile e 538 del codice di procedura civile, per contrasto con gli artt. 3, 24, 42 e 111 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono – in caso di mancata vendita della quota pignorata di società a responsabilità limitata anche dopo il secondo incanto e in difetto di altri beni del debitore esecutato proprietario della quota – la possibilità per il giudice dell’esecuzione di disporre un nuovo incanto a prezzo ribassato fino ad un quinto, ma con esclusione della possibilità per la società di presentare un altro acquirente che offra lo stesso prezzo entro dieci giorni dall’aggiudicazione;

che il rimettente riferisce che la Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. e l’Emilia Romagna Factor s.p.a. avevano sottoposto a pignoramento la quota nella società G.M.G. Group s.r.l. appartenente a Giuseppe Gazzoni Frascara;

che il debitore aveva depositato in cancelleria dichiarazione, ai sensi dell’art. 492, quarto comma, cod. proc. civ., dichiarando che, oltre alle quote pignorate, non vi erano nel suo patrimonio altri beni ulteriormente aggredibili;

che, in séguito alle istanze di vendita, il giudice a quo, constatato il difetto di qualsiasi «accordo sulla vendita» tra creditori, debitore e società, aveva disposto la vendita all’incanto – ai sensi degli artt. 2471 cod. civ. e 538 cod. proc. civ. – delle predette quote;

che dal complesso delle clausole statutarie vigenti all’epoca del pignoramento si evinceva che la circolazione delle quote della citata società era sottoposta a limitazioni tali per cui le partecipazioni potessero trasferirsi tra vivi ma con l’obbligo, a carico del socio che intendesse trasferire in tutto o in parte la propria partecipazione, di offrirla preventivamente agli altri soci;

che, per effetto di tale vincolo, l’aggiudicazione sarebbe stata definitiva solo quando la società, entro dieci giorni dall’aggiudicazione provvisoria in favore del miglior offerente, quale conseguita in udienza, non avesse presentato un altro acquirente per lo stesso prezzo, facendosi dunque applicazione della disposizione di cui all’art. 2471, terzo comma, seconda parte, cod. civ. in coordinamento con l’art. 538 cod. proc. civ.;

che l’asta seguita all’ordinanza di vendita all’incanto era andata deserta, essendo la quota rimasta invenduta;

che anche a tale asta non aveva fatto seguito alcuna aggiudicazione per mancanza di offerte;

che la questione sarebbe rilevante in quanto l’adozione della peculiare procedura di vendita all’incanto con il rispetto della facoltà di designazione alternativa da assicurare ancora alla società nei dieci giorni dall’aggiudicazione costituirebbe un aspetto essenziale del regime specifico della vendita forzata della quota di società a responsabilità limitata che, per le caratteristiche di massima trasparenza e pubblicità dell’espropriazione, dovrebbe essere enunciata in modo espresso già nella attuale fase del processo esecutivo e, dunque, nel provvedimento giudiziale con cui la stessa vendita è ordinata, costituendo essa uno specifico modello provvedimentale prima ancora che una facoltà collaterale attribuita dall’ordinamento ad un soggetto interessato e scaturente dall’evento, futuro ed incerto, dell’aggiudicazione;

che una vendita di quote di società a responsabilità limitata dopo il secondo incanto andato deserto, che instauri una competitività pura fra offerenti, cioè senza soggezione potenziale alla designazione alternativa dell’aggiudicatario, troverebbe, secondo il giudice a quo, un ostacolo insormontabile nel dettato dell’art. 2471, terzo comma, cod. civ.;

che la questione non è, ad avviso del rimettente, manifestamente infondata, dal momento che la specialità del terzo comma dell’art. 2471 cod. civ. imporrebbe la necessità di disporre ancora la vendita all’incanto a prezzo ribassato fino ad un quinto, ma condizionando la definitività dell’aggiudicazione al mancato esercizio da parte della società del diritto di presentare un altro acquirente che offra lo stesso prezzo, nonostante il secondo incanto andato deserto e nonostante la dichiarata impossidenza del debitore, in contrasto con le disposizioni di cui agli artt. 3, 42, 24 e 111 della Costituzione;

che dagli atti, in particolare dalla stima, dall’andamento delle operazioni di custodia e dal resoconto delle attività espletate dall’ausiliario nella ricerca informativa di possibili acquirenti, è emerso – rileva il giudice a quo – che la clausola di prelazione non è estranea al meccanismo determinativo del prezzo finale ed anzi alla stessa effettività della partecipazione di terzi; trattandosi di una circostanza che assume rilievo non solo in fatto (con inevitabile opinabilità della ricostruzione della dinamica economica pur versata in atti dal custode e relativa alla formazione dell’incontro tra domanda ed offerta in questo settore di mercato) ma nella misura in cui essa, già in astratto, incida ai sensi dell’art. 42 della Costituzione sulla proiezione (anche processuale ai sensi dell’art. 24 della Costituzione) del diritto dei creditori;

che, secondo il rimettente, la deroga all’ordinario regime d’asta, fondato, per la generalità dei beni, su una rigida competitività e dunque sul solo criterio del prezzo più alto, non si giustificherebbe in quanto assicurerebbe all’interesse tutelato dall’art. 2471 cod. civ. una prevalenza tale da alterare il modello ottimale del miglior prezzo di mercato, che sarebbe, invece, coerente con l’interesse alla tutela del credito e, al contempo, della proprietà, alla stregua dell’art. 42 della Costituzione;

che tale sbilanciamento, in favore della società, costituirebbe un assetto normativo eccedente la giustificazione originaria dello stesso interesse, ravvisato nella protezione alla coesione della compagine sociale;

che l’evidenziato sbilanciamento, precludendo che un terzo divenga l’acquirente della partecipazione societaria sulla sola base del prezzo più alto offerto durante l’asta della procedura esecutiva, si rivelerebbe irrazionale in quanto la compresenza dell’aggiudicazione condizionata alla scelta della società implicherebbe un pregiudizio per il diritto del creditore (del socio di società a responsabilità limitata) in quanto egli, riponendo proprio sulla garanzia patrimoniale offerta dal debitore attraverso quel bene la propria aspettativa di realizzazione del credito, sarebbe sfavorito dall’ordinamento rispetto alla maggior tutela offerta alla società;

che la clausola di prelazione – pur non impedendo in assoluto la circolazione della quota anche nell’ambito espropriativo, e mantenendo dunque quest’ultima la sua piena qualità di «bene» – impedirebbe la libera formazione del prezzo di mercato del bene stesso;

che il debitore esecutato riceverebbe un trattamento ingiustificatamente deteriore – in violazione degli artt. 42 e 3 della Costituzione – rispetto al socio che intenda solo perseguire l’interesse al realizzo dell’investimento: infatti solo nel primo caso la regola della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 cod. civ. con tutti i beni subirebbe una compressione;

che, nell’ambito del processo esecutivo, quale contesto di organizzazione della difesa dei diritti di credito e di proprietà e di attuazione con il ministero dello Stato della tutela satisfattiva contro l’inadempiente, sarebbe vulnerata l’effettività del diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione e del diritto ad un giusto processo di ragionevole durata di cui all’art. 111 della Costituzione;

che la permanenza ad ogni incanto della prelazione in favore della società confliggerebbe con un accesso al processo espropriativo ispirato ad una fattibilità in tempi ragionevolmente celeri della fase liquidatoria che, come nella fattispecie concreta, ha richiesto un tempo ben eccedente l’ordinario periodo richiesto per la ricerca degli interessati;

che si è costituita la società G.M.G. Group s.r.l., depositando una memoria con la quale chiede che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Considerato che il Giudice dell’esecuzione mobiliare del Tribunale ordinario di Bologna dubita della legittimità costituzionale degli artt. 2471 del codice civile e 538 del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevedono – in caso di mancata vendita della quota pignorata di società a responsabilità limitata anche dopo il secondo incanto e in difetto di altri beni del debitore esecutato proprietario della quota – la possibilità per il giudice, nel momento in cui dispone un nuovo incanto ad un prezzo base inferiore di un quinto rispetto a quello precedente, di escludere la facoltà per la società, prevista dall’art. 2471 cod. civ., di presentare un altro acquirente che offra lo stesso prezzo entro dieci giorni dall’eventuale aggiudicazione (esclusione che consentirebbe di eliminare l’incidenza negativa del diritto di prelazione sul prezzo di realizzo della quota), per violazione: a) degli art. 3, 42 e 24 della Costituzione, per l’irrazionalità della complessiva disciplina, dal momento che la possibilità dell’aggiudicazione condizionata alla scelta della società implica un pregiudizio per il diritto del creditore del socio di società a responsabilità limitata – diritto costituzionalmente riconosciuto dall’art. 42 della Costituzione a livello sostanziale e dall’art. 24 della Costituzione a livello processuale – in quanto egli, riponendo proprio sulla garanzia patrimoniale offerta dal debitore attraverso quel bene la propria aspettativa di realizzo del credito, viene sfavorito rispetto alla società; b) dell’art. 3 della Costituzione, perché situazioni diverse vengono trattate allo stesso modo, dal momento che il socio che voglia autonomamente trasferire inter vivos la quota di partecipazione di una società in cui viga la regola della non libera circolazione della quota intende solo perseguire l’interesse alla realizzazione dell’investimento, mentre il creditore particolare del socio intende far valere la regola della responsabilità patrimoniale del debitore con tutti i suoi beni, regola che subisce una compressione ad opera della prelazione a favore della società; c) dell’art. 111 della Costituzione, perché la permanenza ad ogni incanto della prelazione in favore della società confligge con un accesso al processo espropriativo ispirato ad uno svolgimento in tempi ragionevolmente celeri della fase liquidatoria, dal momento che la prelazione, scoraggiando i potenziali acquirenti, determina un ritardo della procedura espropriativa;

che non rileva l’erronea formulazione del petitum, perché, seppure è vero che l’ordinanza investe sia l’art. 2471 cod. civ. che l’art. 538 cod. proc. civ., il rimettente incentra le sue censure esclusivamente sull’art. 2471 cod. civ., che è la norma pretesamente incostituzionale, e ciò è sufficiente per superare l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa erariale;

che il rimettente – di fronte ad una fattispecie normativa che realizza un bilanciamento tra le esigenze dei creditori e quelle della società, stabilendo che la vendita ad incanto della partecipazione nella società a responsabilità limitata, è priva di effetti ove, ai sensi dell’art. 2471, terzo comma, secondo periodo, cod. civ., entro dieci giorni dall’aggiudicazione, la società presenti un altro acquirente che offra lo stesso prezzo – sollecita a questa Corte, sulla base di una sua personale sensibilità, un diverso criterio di bilanciamento la cui individuazione, nella molteplicità delle soluzioni possibili, è però rimessa alla discrezionalità del legislatore e non è quindi costituzionalmente obbligato;

che, attese le considerazioni che precedono e conformemente alla costante giurisprudenza di questa Corte (ordinanze n. 31 del 2008 e n. 393 del 2007), la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 2471 del codice civile e 538 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, 42 e 111 della Costituzione, dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Bologna, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2008.