Sentenza n. 57 del 2009

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SENTENZA N. 57

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Francesco          AMIRANTE                              Presidente

-  Ugo                   DE SIERVO                                Giudice

-  Paolo                 MADDALENA                                 ”

-  Alfio                  FINOCCHIARO                              ”

-  Alfonso              QUARANTA                                   ”

-  Franco               GALLO                                           ”

-  Luigi                  MAZZELLA                                    ”

-  Gaetano             SILVESTRI                                     ”

-  Sabino               CASSESE                                       ”

-  Maria Rita          SAULLE                                         ”

-  Giuseppe            TESAURO                                       ”

-  Paolo Maria       NAPOLITANO                                ”

-  Giuseppe            FRIGO                                            ”

-  Alessandro         CRISCUOLO                                  ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 186, commi 2 e 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nel testo sostituito, rispettivamente, dalle lettere a) e c) del comma 1 dell’art. 5 del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117 (Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 ottobre 2007, n. 160, promosso con ordinanza del 1° aprile 2008 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di R. S., iscritta al n. 266 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 28 gennaio 2009 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto in fatto

1.— Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano ha sollevato – in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 186, commi 2 e 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nel testo sostituito, rispettivamente, dalle lettere a) e c) del comma 1 dell’art. 5 del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117 (Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 ottobre 2007, n. 160.

I citati commi 2 e 7 dell’art. 186 del codice della strada sono censurati, rispettivamente, il primo «nella parte in cui omette di sanzionare con la pena e le sanzioni amministrative accessorie», previste dalla lettera c) del medesimo comma, «il fatto di guida in stato di ebbrezza accertato in via sintomatica», il secondo, invece, «nella parte in cui sanziona esclusivamente quale illecito amministrativo», e non quale reato punito ai sensi del comma 2, lettera c), del medesimo art. 186, «il rifiuto del conducente di sottoporsi agli accertamenti» di cui ai precedenti commi 3, 4 e 5 dello stesso articolo.

1.1.— Premette il remittente di dover decidere in ordine alla richiesta – formulata il 3 gennaio 2008 dal pubblico ministero presso il Tribunale milanese – di emissione di decreto penale di condanna alla pena di 900 euro di ammenda, nei confronti di un imputato colto, in data 17 giugno 2007, alla guida di un’autovettura in «stato di ebbrezza sintomatico», in conseguenza «dell’uso di bevande alcoliche».

L’applicazione di tale trattamento sanzionatorio, precisa ancora il giudice a quo, appare «giustificata», in forza di quanto previsto dall’art. 2, quarto comma, del codice penale; in relazione, difatti, all’ipotesi della guida di ebbrezza accertata «in via sintomatica», la disciplina di cui al citato art. 5, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 117 del 2007 – che costituisce ius superveniens rispetto al fatto oggetto di giudizio – reca «un regime sanzionatorio più favorevole del pregresso» testo dell’art. 186 del codice della strada.

Ed invero, sempre secondo il giudice milanese, sebbene «la nuova disciplina incriminatrice», a cui è assoggettata la fattispecie criminosa in esame, ormai «differenzi espressamente la gravità del reato e la relativa disciplina sanzionatoria in base alla rilevanza del tasso alcolemico tecnicamente verificata», conserverebbe, nondimeno, tuttora validità «la giurisprudenza formatasi sotto la disposizione precedente la modifica, costante nel ritenere che il dato sintomatico sia da sé idoneo a comprovare lo stato di ebbrezza».

Tuttavia, in applicazione della «regola del favor rei», qualora «lo stato di ebbrezza dell’automobilista» venga accertato «basandosi su elementi gravi, precisi e concordanti», a norma dell’art. 192, comma 2, del codice di procedura penale, deve ritenersi legittima, nella repressione di tale ipotesi di reato, l’applicazione della sanzione meno grave prevista – tra quelle fissate dal nuovo testo del comma 2 del medesimo art. 186 – dalla lettera a), e ciò sebbene «il dato sintomatico sia compatibile con il superamento di soglie più elevate» di quella prevista da tale lettera.

1.2.— Ciò premesso, il remittente, nel sottolineare come l’indicata opzione ermeneutica sia «l’unica consentita dal vigente sistema normativo», giacché la sola «compatibile con il principio del favor rei di matrice costituzionale» sancita dall’art. 25, secondo comma, Cost. (non essendo, per contro, «costituzionalmente accettabile», sempre secondo il giudice a quo, quell’interpretazione «che ritenesse oggi priva di rilevanza penale la guida in stato di ebbrezza accertata soltanto in via sintomatica»), ne evidenzia, tuttavia, il contrasto con «plurimi principi costituzionali».

Denuncia, in primo luogo, la violazione del «canone di ragionevolezza posto dall’art. 3 Cost. il quale, fra l’altro, impone al legislatore che situazioni identiche o ontologicamente assimilabili ricevano il medesimo trattamento – anche di tipo sanzionatorio – pena un’ingiustificabile disparità di disciplina».

È quanto si verificherebbe nel caso in esame, giacché quando «la prova dell’ebbrezza sia raggiunta, per così dire ictu oculi, cioè in ragione di una serie di elementi esplicativi sensorialmente apprezzabili (alito vinoso, eloquio sconnesso, difficoltà di deambulazione ed equilibrio precario, guida incontrollata, et similia), è logico ritenere che il conducente versi in una condizione di grave alterazione psicofisica, se non di vera e propria ubriachezza»; nondimeno, egli sarà punito con la sanzione più lieve tra quelle previste dall’art. 186, comma 2, del codice della strada, e cioè quella fissata – dalla lettera a) – «per le fattispecie che destano minor allarme sociale, connotate da minimo superamento della soglia limite».

Viene, in secondo luogo, ipotizzata la violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost., rilevando che «intanto la risposta sanzionatoria al reato potrà costituire, non solo giusta retribuzione della realizzata trasgressione, ma anche efficace monito rispetto a nuove condotte illecite, indi essere portatrice di reale forza dissuasiva, in quanto risulti proporzionata ed adeguata al concreto disvalore del fatto commesso».

Tale non sarebbe, invece, il caso del trattamento sanzionatorio previsto per la guida in stato di ebbrezza sintomatica, allorché la stessa si palesi come «ebbrezza acuta», giacché la fattispecie risulta assoggettata alla «pena prevista per la trasgressione lieve, di minima rilevanza penale».

1.3.— Evidenziate le ragioni che denoterebbero l’illegittimità costituzionale della contestata disciplina, il remittente sottolinea che la conformità della stessa agli evocati parametri costituzionali «sarebbe stata ancora sostenibile laddove il legislatore avesse penalmente sanzionato – con la pena prevista per la più grave fra le condotte di guida in stato di ebbrezza – il rifiuto del guidatore, anche solo del guidatore la cui alterazione psico-fisica di ingestione di alcol emerga in via sintomatica, di sottoporsi agli accertamenti tecnici di legge». Difatti, in questo caso, «la blandizie del trattamento irrogabile nei casi di ebbrezza sintomatica» avrebbe potuto trovare «una compensazione nella disciplina delle conseguenze del rifiuto», giacché «la situazione di apparente stallo probatorio sarebbe stata superata sul piano sanzionatorio dalla congiunzione dei due elementi rappresentati dall’ebbrezza manifesta e dal rifiuto degli accertamenti tecnici». Per contro, la scelta compiuta dal già citato art. 5, comma l, lettera c), del decreto-legge n. 117 del 2007 di trasformare in illecito amministrativo la fattispecie di cui al comma 7 dell’art. 186 del codice della strada (e cioè il rifiuto del conducente, come visto, di sottoporsi agli accertamenti tecnici idonei a rilevare, nel suo organismo, l’entità della concentrazione di alcol per litro di sangue), unitamente alla introduzione – quanto al reato previsto dall’art. 186, comma 2, del medesimo codice – «di un sistema di incriminazioni intimamente connesso a specifiche fasce quantitative di concentrazione alcolica», consente al conducente, colto in stato di ebbrezza sintomatica, «di beneficiare del trattamento proprio dei comportamenti di minore pericolosità, in difetto di ogni altra conseguenza di natura penale».

Alla luce, dunque, di tali complessivi rilievi, il remittente insiste nel sottolineare «l’irragionevolezza della depenalizzazione del rifiuto di sottoporsi ad accertamenti tecnici da parte del conducente, non essendo accettabile che l’accertamento del reato e del grado della sua pericolosità dipenda dal consenso dell’interessato».

1.4.— Quanto, infine, alla rilevanza della sollevata questione di costituzionalità, il giudice a quo evidenzia che nel caso di specie l’imputato, sebbene avesse rifiutato «il proposto accertamento del tasso alcolemico mediante etilometro», veniva denunciato egualmente per il reato di cui all’art. 186, comma 2, del codice della strada, e ciò « in ragione della sintomatologia di ebbrezza ritenuta dagli operatori sulla scorta di plurimi indicatori: “alito fortemente vinoso, linguaggio sconnesso, difficoltà di espressione verbale, parole senza senso, occhi lucidi, difficoltà di coordinamento dei movimenti, tono di voce immotivatamente alto, stato confusionale, eccessiva sudorazione, equilibrio precario, andatura barcollante”».

Orbene, conclude il remittente, a fronte di tale comportamento l’unica sanzione prospettabile a carico del conducente risulta quella di cui alla lettera a) del comma 2 dell’art. 186 del codice della strada, sebbene esso, «per le sue concrete caratteristiche, sia piuttosto sussumibile» nell’ipotesi di cui alla lettera c) del medesimo comma.

1.5.— Su tali basi, quindi, il giudice a quo ha chiesto dichiararsi l’illegittimità costituzionale dei citati commi 2 e 7 dell’art. 186 del codice della strada, rispettivamente, il primo «nella parte in cui omette di sanzionare con la pena e le sanzioni amministrative accessorie», previste dalla lettera c) di tale comma, «il fatto di guida in stato di ebbrezza accertato in via sintomatica», il secondo, invece, «nella parte in cui sanziona esclusivamente quale illecito amministrativo», e non quale reato punito ai sensi del comma 2, lettera c), del medesimo art. 186, «il rifiuto del conducente di sottoporsi agli accertamenti» di cui ai precedenti commi 3, 4 e 5 dello stesso articolo.

2.— È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate.

In particolare, secondo la difesa statale, costituirebbe consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale «quello che vuole rimessa alla discrezionalità del legislatore» – non sindacabile «se non sotto il profilo della ragionevolezza» – «la determinazione delle condotte punibili e la scelta delle sanzioni applicabili», non spettando alla Corte costituzionale «rimodulare le scelte punitive del legislatore».

Orbene, prosegue l’Avvocatura generale dello Stato, «non irragionevole appare nella specie l’opzione manifestata dal legislatore laddove ha equiparato, ai fini del trattamento sanzionatorio, allo stato di ebbrezza accertato di grado più lieve lo stato di ebbrezza desunto in via presuntiva, sulla base cioè di elementi in astratto non incompatibili con altre alterazioni dello stato psico-fisico, anche di natura patologica, come tali inidonei, diversamente dalle evidenze scientifiche degli alcol test, a dar assoluta conferma dello stato di ubriachezza».

Del pari inammissibile, prima ancora che infondata, sarebbe – secondo la difesa statale – la questione che investe il comma 7 del medesimo art. 186 del codice della strada.

Anche, infatti, «a voler prescindere dall’omessa indicazione di quale sia il parametro violato», la constatazione che il remittente adduca la mancata rilevanza penale del contegno omissivo, disciplinato da tale disposizione, soltanto «quale argomento a conferma della irragionevolezza» da cui sarebbe affetta l’altra disposizione contestata (il comma 2 del medesimo art. 186) denoterebbe l’inammissibilità della questione avente ad oggetto il predetto comma 7.

In ogni caso, poi, dovrebbe comunque escludersi l’illegittimità costituzionale di tale norma.

La disciplina da essa recata, difatti, non sarebbe irragionevole, ove si consideri – è la conclusione della difesa statale – che «l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria e di quella accessoria della sospensione per mesi sei della patente» (previste dalla norma, nella formulazione introdotta dal citato art. 5, comma 1, lettera c, del decreto-legge n. 117 del 2007) non sarebbe, comunque, preclusa nel caso di specie, pure «se dovesse risultare in ipotesi escluso lo stato di alterazione derivante da alcol» in capo all’imputato, atteso che tali sanzioni trovano entrambe fondamento in un’autonoma condotta del conducente, consistente nell’inottemperanza ad un ordine dell’autorità «finalizzato all’accertamento delle condizioni psicofisiche del conducente».

Considerato in diritto

1.— Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano ha sollevato – in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 186, commi 2 e 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nel testo sostituito, rispettivamente, dalle lettere a) e c) del comma 1 dell’art. 5 del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117 (Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 ottobre 2007, n. 160.

I citati commi 2 e 7 sono censurati, rispettivamente, il primo «nella parte in cui omette di sanzionare con la pena e le sanzioni amministrative accessorie», previste dalla lettera c) del medesimo comma, «il fatto di guida in stato di ebbrezza accertato in via sintomatica»; il secondo, invece, «nella parte in cui sanziona esclusivamente quale illecito amministrativo», e non quale reato punito ai sensi del comma 2, lettera c), del medesimo art. 186, «il rifiuto del conducente di sottoporsi agli accertamenti» di cui ai precedenti commi 3, 4 e 5 dello stesso articolo.

1.1.— Preliminarmente, deve rilevarsi che giudice a quo, nel sollevare tali questioni, muove da un duplice presupposto interpretativo non implausibile, che risulta, anzi, confermato dalla giurisprudenza di legittimità pronunciatasi sul punto (in particolare, Corte di cassazione, sezione IV penale, sentenza n. 26132 del 3 giugno 2008).

Il remittente reputa, in primo luogo, che la guida effettuata in stato di «ebbrezza sintomatica» – riscontrata, cioè, non attraverso gli esiti delle verifiche di cui ai commi 3, 4 e 5 dell’art. 186 del codice della strada, bensì sulla base di circostanze riferite dagli agenti accertatori (quali, in via esemplificativa, l’alito vinoso, l’andatura barcollante, l’eloquio sconnesso e simili) – conservi rilevanza penale anche a seguito delle modifiche apportate al testo del comma 2 del medesimo art. 186 dall’art. 5, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 117 del 2007, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 160 del 2007.

In secondo luogo, egli ritiene che il descritto contegno debba essere sanzionato – anche nel caso, qual è quello oggetto del giudizio principale, in cui venga in rilievo una fattispecie di guida in stato di «ebbrezza sintomatica» commessa anteriormente all’entrata in vigore del predetto decreto-legge n. 117 del 2007, ponendosi la relativa disciplina, sul punto, come lex mitior, ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 2, quarto comma, del codice penale – con il trattamento più lieve tra quelli previsti dal novellato testo del comma 2 dell’art. 186 del codice della strada, e dunque quello di cui alla lettera a).

Nondimeno, il remittente reputa che gli interventi operati sul testo dell’art. 186 del codice della strada – non solo quanto al comma 2, ma anche quanto al comma 7, consistiti, in questo secondo caso, nella depenalizzazione (peraltro rivelatasi temporanea, giusti i rilievi che di seguito si svolgeranno) del rifiuto del conducente di sottoporsi agli accertamenti di cui ai commi 3, 4 e 5 del medesimo art. 186 – siano in contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.

1.3.— Nell’ordinanza di rimessione si assume, infatti, che quando «la prova dell’ebbrezza sia raggiunta, per così dire ictu oculi, cioè in ragione di una serie di elementi esplicativi sensorialmente apprezzabili», sarebbe «logico ritenere che il conducente versi in una condizione di grave alterazione psicofisica, se non di vera e propria ubriachezza». Di conseguenza, non sarebbe ragionevole comminare a tale soggetto la sanzione più lieve tra quelle previste dall’art. 186, comma 2, del codice della strada, e cioè quella fissata – dalla lettera a) di tale comma – «per le fattispecie che destano minor allarme sociale».

Inoltre, risultando la guida in stato di ebbrezza sintomatica, anche quando si palesi come «ebbrezza acuta», assoggettata soltanto alla «pena prevista per la trasgressione lieve, di minima rilevanza penale», verrebbe ad essere disattesa l’esigenza imposta dall’art. 27, terzo comma, Cost., ovvero che «la risposta sanzionatoria al reato» costituisca «non solo giusta retribuzione della realizzata trasgressione, ma anche efficace monito rispetto a nuove condotte illecite».

Infine, il giudice milanese, sul presupposto che «la blandizie del trattamento irrogabile nei casi di ebbrezza sintomatica» avrebbe potuto trovare «una compensazione nella disciplina delle conseguenze del rifiuto» di sottoporsi agli accertamenti di cui ai commi 3, 4 o 5 dell’art. 186 del codice della strada, reputa di dover estendere l’incidente di costituzionalità anche alla previsione del comma 7 del medesimo art. 186, il quale – nella formulazione applicabile, ratione temporis, alla fattispecie oggetto del giudizio principale – configura come mero illecito amministrativo il suddetto rifiuto.

2.— Tanto premesso in ordine all’oggetto delle questioni sollevate, appare necessario dare conto – sempre in via preliminare – delle ulteriori modificazioni che, successivamente all’ordinanza di rimessione, sono state recate, al testo dei censurati commi 2 e 7 dell’art. 186 del codice della strada, dalle lettere b) e d) del comma 1 dell’art. 4 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125.

Si tratta, infatti, di stabilire se tali modifiche comportino la necessità di restituzione degli atti al giudice remittente per una rinnovata valutazione circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni sollevate.

Tale evenienza, però, deve escludersi con riferimento ad entrambi gli interventi modificativi che hanno interessato la normativa censurata.

Difatti, quello relativo al comma 2 dell’art. 186 del codice della strada – consistito in un inasprimento del trattamento sanzionatorio previsto per l’ipotesi (lettera c) in cui venga accertato, a carico del conducente di un veicolo colto in stato di ebbrezza, il più elevato tasso alcolemico (superiore a 1,5 grammi di alcol per litro di sangue) tra quelli considerati da detto comma – risulta prima facie privo di influenza rispetto al giudizio principale. Quest’ultimo, invero, concerne una fattispecie – la guida in stato di ebbrezza accertata in via sintomatica – cui il remittente reputa di dovere applicare la previsione di cui alla lettera a), e non c), del predetto comma 2 dell’art. 186.

La medesima valutazione di ininfluenza rispetto al giudizio principale deve formularsi anche per la ulteriore novella che ha interessato il censurato comma 7 dell’art. 186, consistita non solo nell’attribuire nuovamente rilevanza penale al rifiuto di sottoporsi agli accertamenti di cui ai precedenti commi 3, 4 e 5, ma anche nell’assoggettare tale contegno omissivo (come, tra l’altro, auspicato dal remittente) alle «pene di cui al comma 2, lettera c)» del medesimo art. 186.

In tale prospettiva, infatti, deve innanzitutto considerarsi che il giudice a quo – come sostanzialmente evidenziato dall’Avvocatura generale dello Stato – non ha adeguatamente motivato le ragioni della rilevanza della censura che investe il comma 7 dell’art. 186, specie se si considera che il remittente, come si evince dal testo stesso della sua ordinanza, non è chiamato a fare applicazione di tale norma nel giudizio principale.

In ogni caso, poi, anche a prescindere da tale rilievo, dirimente appare la constatazione che l’esistenza – per le ragioni di seguito illustrate – di un ulteriore pregiudiziale profilo di inammissibilità, che inficia entrambe le questioni sollevate dal remittente milanese, rende superflua ogni valutazione circa l’incidenza del ius superveniens.

3.— Le questioni sollevate sono, infatti, inammissibili.

3.1.— Il presente incidente di costituzionalità mira a conseguire, in materia penale, un duplice intervento con effetti in malam partem, in assenza, tuttavia, delle condizioni individuate da questa Corte per la sua ammissibilità (sentenza n. 394 del 2006).

Ed invero, se il principio della riserva di legge non preclude, in senso assoluto, l’adozione di pronunce aventi una simile efficacia, è chiaro che esse sono ammissibili solo quando «l’effetto in malam partem non discende dall’introduzione di nuove norme o dalla manipolazione di norme esistenti da parte della Corte», ovvero dal ripristino di una norma abrogata «espressiva di scelte di criminalizzazione non più attuali», presentandosi ciascuna di tali operazioni «chiaramente invasiva del monopolio del legislatore» nella materia penale (sentenza n. 394 del 2006; in senso conforme anche la sentenza n. 324 del 2008 e l’ordinanza n. 413 del 2008).

È necessario, per contro, che l’effetto in malam partem costituisca il risultato della riespansione di una «norma generale o comune», conseguendo, pertanto, a «decisioni ablative di norme che sottraggano determinati gruppi di soggetti o di condotte alla sfera applicativa» della prima, vale a dire alla eliminazione di disposizioni qualificabili come norme penali di favore (così, nuovamente, la sentenza n. 394 del 2006).

3.2.— Nel caso in esame, tuttavia, si è al di fuori di tale ipotesi, e ciò con riferimento ad entrambe le norme censurate.

Il richiesto intervento avente ad oggetto il comma 2 dell’art. 186 del codice della strada è, infatti, chiaramente manipolativo, in quanto tende ad ottenere che alla guida in stato di ebbrezza sintomatica si applichi, non il trattamento sanzionatorio più lieve (lettera a) tra quelli contemplati da tale comma, bensì quello più severo (lettera c del medesimo comma).

Quanto, invece, alla censura che investe il comma 7 del predetto art. 186, essa mira a conseguire – in anticipo sulle determinazioni successivamente assunte dal legislatore (nell’esercizio di quel monopolio riservatogli dall’art. 25, secondo comma, Cost.) – una rinnovata “criminalizzazione” della fattispecie contemplata da tale norma. Ricorre, pertanto, anche in questo caso, un esito diverso dall’ablazione di norme penali di favore, cioè di quelle disposizioni, come si è precisato, «che sottraggano determinati gruppi di soggetti o di condotte alla sfera applicativa di una norma comune o comunque più generale», destinata a riespandersi proprio in ragione di tale ablazione.

In conclusione, entrambe le questioni proposte con riferimento ai commi 2 e 7 dell’art. 186, in quanto tendono a non consentiti interventi con effetti in malam partem, devono essere dichiarati inammissibili, in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis, sentenze n. 324 del 2008, n. 394 del 2006; ordinanza n. 413 del 2008).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 186, commi 2 e 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nel testo sostituito, rispettivamente, dalle lettere a) e c) del comma 1 dall’art. 5 del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117 (Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 ottobre 2007, n. 160, questioni sollevate – in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2009.