Ordinanza n. 23 del 2009

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ORDINANZA N. 23

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Giovanni Maria   FLICK                    Presidente

-  Francesco          AMIRANTE            Giudice

-  Ugo                   DE SIERVO            ”

-  Alfio                  FINOCCHIARO      ”

-  Alfonso              QUARANTA           ”

-  Franco               GALLO                   ”

-  Luigi                  MAZZELLA            ”

-  Gaetano             SILVESTRI             ”

-  Sabino               CASSESE               ”

-  Maria Rita          SAULLE                 ”

-  Giuseppe            TESAURO               ”

-  Paolo Maria       NAPOLITANO        “

-  Giuseppe            FRIGO                    ”

-  Alessandro         CRISCUOLO          ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 204-bis, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 4, comma 1-septies, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214, promosso con ordinanza del 5 marzo 2008 dal Giudice di pace di Milano nel procedimento civile vertente tra A. M. e il Comune di Milano, iscritta al n. 286 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 14 gennaio 2009 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto che il Giudice di pace di Milano ha sollevato – in riferimento all’articolo 3 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’articolo 204-bis, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 4, comma 1-septies, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214;

che il giudice a quo premette, in punto di fatto, di dover esaminare un’opposizione proposta avverso verbale di contestazione di infrazione stradale, elevato in ragione della violazione dell’art. 7, comma 14, del codice della strada, evidenziando, altresì, di dover rigettare la stessa, non avendo la ricorrente «addotto alcun valido motivo a sostegno della sua domanda di annullamento», né «addotto alcuna prova a conferma di quanto da lei affermato»;

che egli deduce, inoltre, di dover «anche determinare l’importo della sanzione pecuniaria», evidenziando che l’autorità giudiziaria – nell’espletare tale incombente – deve avere riguardo ai criteri stabiliti dall’art. 195, comma 2, del codice della strada, costituiti da: «gravità della violazione, opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché personalità del trasgressore e sue condizioni economiche»;

che nel caso di specie, a suo dire, «nessuna delle anzidette circostanze è stata dedotta o provata dalla pubblica amministrazione (o comunque risulta dagli atti processuali)», ciò che esclude che «il giudice possa o debba determinare la sanzione pecuniaria in misura superiore al minimo edittale», essendo, invece, costretto ad «infliggere la sanzione pecuniaria nella misura minima prevista dalla legge», e dunque per un importo inferiore alla spesa «che la pubblica amministrazione (Stato e Comuni) e quindi la collettività sostiene (deve sostenere) per il procedimento giurisdizionale promosso dall’autore o dal responsabile della violazione»;

che, d’altra parte, tale inconveniente neppure potrebbe essere superato in virtù del disposto dell’art. 23, undicesimo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), giacché tale norma, pur consentendo al giudice, in caso di rigetto dell’opposizione, di porre a carico dell’opponente «le spese del procedimento», si riferisce alle sole spese processuali previste dall’art. 91 del codice di procedura civile;

che, di conseguenza, il remittente – pur consapevole che la determinazione delle sanzioni rientra nella discrezionalità del legislatore (ma sempre a condizione che le sue scelte siano ragionevoli) – ritiene che la previsione del comma 14 dell’art. 7 del codice della strada sia «discutibile», avvertendo, però, che considerazioni analoghe «potrebbero essere fatte» per «quasi tutte» le infrazioni stradali;

che egli, pertanto, dubita della ragionevolezza «del sistema sanzionatorio» previsto dal codice della strada, «per la diversità di trattamento tra coloro che propongono ricorso al prefetto» (art. 204, comma 1) e «coloro che propongono ricorso al giudice di pace» (art. 204-bis, comma 7), giacché, solo nel primo caso è previsto che, nell’ipotesi di rigetto del ricorso, la sanzione pecuniaria irrogata «non può essere “inferiore al doppio del minimo edittale per ogni singola violazione”»;

che tale «diversità di trattamento» – la quale, sempre secondo il remittente, incrementa, «forse in misura abnorme, il contenzioso davanti al giudice di pace» – appare «di dubbia legittimità in relazione al principio di eguaglianza e “ragionevolezza” previsto dall’art. 3 della Costituzione»;

che, in forza di tali rilievi, il giudice a quo ha sollevato questione di legittimità dell’art. 204-bis, comma 7, del codice della strada, «nella parte in cui prevede che in caso di rigetto del ricorso “il giudice di pace non può applicare una sanzione inferiore al minimo edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata” e non invece “una sanzione non inferiore al doppio del minimo edittale per ogni singola violazione”, così come previsto per il Prefetto dall’art. 204, comma 1», del medesimo codice della strada;

che il remittente, inoltre, sottolinea la rilevanza, nel giudizio principale, della sollevata questione giacché, in caso di declaratoria di illegittimità della norma censurata, egli «dovrebbe determinare l’importo della sanzione pecuniaria a carico del ricorrente in misura non inferiore al doppio del minimo edittale», mentre, nell’ipotesi contraria, «potrebbe e dovrebbe determinare l’importo della sanzione pecuniaria in misura pari al minimo edittale»;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata «inammissibile prima ancora che infondata»;

che, in particolare, secondo la difesa statale, a tale conclusione condurrebbe «lo stesso iter argomentativo seguito dal giudice remittente», il quale «muove dalla critica della ragionevolezza della scelta legislativa di punire con sanzioni di modesta entità» le infrazioni contemplate dal comma 14 dell’art. 7 del codice della strada;

che, pertanto, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, «se tali argomentazioni» – come parrebbe emergere dal testo stesso dell’ordinanza di rimessione – «sottendono il convincimento» del giudice a quo circa la «mancanza di ragionevolezza del sistema sanzionatorio delle violazioni del codice della strada», e particolarmente quelle previste dall’art. 7, comma 14, la questione sollevata avrebbe dovuto investire anche tale norma e non il solo art. 204-bis, comma 7, donde la sua inammissibilità;

che al medesimo esito processuale dovrebbe, comunque, pervenirsi anche nell’ipotesi in cui si ritenga che il giudice a quo abbia inteso «unicamente denunciare la disparità di trattamento che, a fronte di una medesima violazione, si determina in punto di sanzioni applicabili in ragione dello strumento di tutela prescelto», e cioè il ricorso amministrativo piuttosto che quello giurisdizionale;

che è, infatti, orientamento consolidato della giurisprudenza costituzionale – prosegue ancora la difesa dello Stato – quello che vuole rimessa alla discrezionalità del legislatore tanto la scelta, che la quantificazione delle sanzioni, tale discrezionalità essendo censurabile «soltanto ove il suo esercizio ne rappresenti un uso distorto o arbitrario, così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza»;

che detta evenienza – conclude la difesa statale – deve, però, escludersi nel caso di specie, in considerazione delle differenze esistenti tra i due procedimenti (quello innanzi al prefetto e quello giurisdizionale), non solo perché il primo si pone in termini di alternatività rispetto al secondo, ma anche perché esso si caratterizza in ragione della previsione (comma 1-bis dell’art. 204 del codice della strada) di un’ipotesi di «silenzio-accoglimento», allorché, «decorso il termine di 150 giorni dalla sua presentazione», non intervenga «l’ordinanza ingiunzione»;

che, dunque, «la previsione di un trattamento sanzionatorio più lieve in caso di rigetto del ricorso giurisdizionale» avrebbe lo scopo di controbilanciare «l’introduzione del silenzio-accoglimento del ricorso che venga proposto innanzi al Prefetto».

Considerato che il Giudice di pace di Milano ha sollevato – in riferimento all’articolo 3 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’articolo 204-bis, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 4, comma 1-septies, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214;

che, in sostanza, il remittente reputa irragionevole che soltanto per il ricorso proposto innanzi all’autorità prefettizia, finalizzato all’annullamento del verbale di contestazione di infrazione stradale, e non pure per quello, di contenuto analogo, esperibile innanzi al giudice di pace, sia previsto, in caso di rigetto, che la sanzione pecuniaria minima irrogabile non possa essere inferiore al doppio del minimo edittale;

che, tuttavia, come osservato da questa Corte in più occasioni, anche nel vagliare la legittimità costituzionale della norma oggi censurata (sebbene in una prospettiva opposta a quella indicata dall’odierno remittente, giacché in quel caso l’art. 204-bis, comma 7, del codice della strada veniva contestato nella parte in cui non consente al giudice di pace, che rigetti il ricorso, di determinare l’entità della sanzione pecuniaria in una misura addirittura inferiore al minimo edittale) – «l’individuazione delle condotte punibili e la scelta e la quantificazione delle relative sanzioni rientrano nella discrezionalità del legislatore», potendo tale discrezionalità «essere oggetto di censura, in sede di scrutinio di costituzionalità, soltanto nei casi di “uso distorto o arbitrario”, così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza» (ordinanza n. 292 del 2006);

che l’evenienza da ultimo descritta, tuttavia, non ricorre nel caso in esame;

che la scelta compiuta dal legislatore – consistita nel diversificare la disciplina dei due ricorsi – non si presenta manifestamente irragionevole, innanzitutto se riguardata in relazione alle peculiarità che presenta quello proposto all’autorità prefettizia;

che in tale prospettiva rileva, in primo luogo, la circostanza – evidenziata dall’Avvocatura generale dello Stato – che l’irrogazione, in caso di rigetto del ricorso amministrativo, della sanzione pecuniaria in una misura non inferiore al doppio del minimo edittale vale a controbilanciare la previsione di un’ipotesi di silenzio-accoglimento qualora risulti inutilmente decorso il termine di 150 giorni dalla proposizione del ricorso senza che in relazione ad esso sia intervenuta alcuna decisione (comma 1-bis dell’art. 204 del codice della strada);

che, in secondo luogo, dirimente è la constatazione – più volte espressa dalla giurisprudenza costituzionale – che la misura dell’intervento sanzionatorio, in caso di rigetto del ricorso al prefetto, è stata «modulata dal legislatore in modo da perseguire finalità deflattive del contenzioso amministrativo» (così, da ultimo, l’ordinanza n. 63 del 2000, ma nello stesso senso già la sentenza n. 366 del 1994 e le ordinanze n. 306 del 1998, n. 324 del 1997, n. 268 del 1996);

che tali finalità, oltretutto, sono tanto più giustificate se si tiene conto del fatto che, nel caso di specie, il ricorso amministrativo avverso il verbale di contestazione dell’infrazione costituisce una peculiarità della disciplina dettata in materia di circolazione stradale, in deroga al «regime generale», previsto dalla legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), «valevole per tutte le infrazioni assoggettate alla sola sanzione amministrativa» (sentenza n. 255 del 1994);

che, inoltre, la scelta legislativa di differenziare il ricorso amministrativo da quello giurisdizionale deve essere considerata non manifestamente irragionevole, anche se riguardata dal punto di vista di quest’ultimo;

che rileva, infatti, in tale prospettiva, quanto questa Corte ha affermato nel vagliare la legittimità costituzionale dell’art. 202 del codice della strada, sotto il profilo del contrasto con l’art. 24 Cost.;

che, difatti, essendo stato allora ipotizzato che la possibilità di avvalersi del pagamento in misura ridotta integrasse un “condizionamento” alla possibilità di adire le vie giudiziali, la Corte ebbe ad osservare come «la scelta tra pagare in misura ridotta (e cioè la somma pari al minimo edittale della sanzione pecuniaria prevista per l’infrazione) ed impugnare invece il verbale, costituisca il risultato di una libera determinazione dell’interessato, il quale non subisce condizionamenti di sorta, considerato che, qualora opti per l’esercizio del diritto di azione, non per questo è destinato, necessariamente, a subire un aggravamento della sanzione pecuniaria» (sentenza n. 468 del 2005);

che, su tali basi, si è affermato che, in caso di rigetto dell’opposizione, «non è preclusa al Giudice di pace, “nella sua discrezionalità ed ove ne ricorrano le condizioni”, la possibilità di determinare l’entità della sanzione pecuniaria (…) nel minimo previsto, cioè nella misura corrispondente a quella “ridotta” di cui all’art. 202 del nuovo codice della strada» (così, nuovamente, la sentenza n. 468 del 2005);

che tale affermazione, dunque, evidenzia il ruolo non marginale rivestito – ai fini della coerenza complessiva e della funzionalità del sistema di accertamento e repressione delle infrazioni stradali – proprio dalla possibilità (che l’odierno remittente vorrebbe, invece, eliminare) spettante al giudice di pace di determinare, anche in una misura pari al minimo edittale, l’entità della sanzione pecuniaria irrogabile in caso di rigetto del ricorso;

che in base, pertanto, a tali rilievi deve essere dichiarata la manifesta infondatezza della questione sollevata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 204-bis, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 4, comma 1-septies, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214, sollevata – in riferimento all’articolo 3 della Costituzione – dal Giudice di pace di Milano con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2009.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2009.