Ordinanza n. 394 del 2008

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ORDINANZA N. 394

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

composta dai signori:

-    Giovanni Maria           FLICK                                 Presidente

-    Francesco                  AMIRANTE                                   Giudice

-    Ugo                          DE SIERVO                                "

-    Paolo                        MADDALENA                             "

-    Alfio                         FINOCCHIARO                          "

-    Alfonso                     QUARANTA                               "

-    Franco                      GALLO                                       "

-    Luigi                         MAZZELLA                                "

-    Gaetano                     SILVESTRI                                 "

-    Sabino                       CASSESE                                   "

-    Maria Rita                 SAULLE                                     "

-    Giuseppe                   TESAURO                                   "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                            "

-    Giuseppe                   FRIGO                                        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, e 36, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248, promosso con ordinanza depositata il 13 dicembre 2007 dalla Commissione tributaria provinciale di Messina, nel giudizio vertente tra Antonino Sciotto ed il Comune di Milazzo, iscritta al n. 89 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 5 novembre 2008 il Giudice relatore Franco Gallo.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di liquidazione dell’ICI dell’anno 1999, notificato in data 30 dicembre 2003 e relativo ad un terreno qualificato come edificabile dalle previsioni di un piano regolatore generale non attuato, la Commissione tributaria provinciale di Messina, con ordinanza depositata il 13 dicembre 2007, ha sollevato, in riferimento all’art. 42, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, e 36, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248;

che, con riferimento all’ICI (cioè al tributo oggetto del giudizio principale), le disposizioni censurate stabiliscono, rispettivamente, che un’area è da considerare fabbricabile: a) «se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo» (art. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge n. 203 del 2005); b) «se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo» (art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006);

che, secondo quanto premette il giudice rimettente: a) prima dell’instaurazione del giudizio principale, era insorto un contrasto giurisprudenziale sull’interpretazione dell’art. 2, comma 1, lettera b), primo periodo, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) – in forza del quale «per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità» –, con riguardo all’assoggettabilità all’ICI come fabbricabili delle aree che, pur essendo considerate utilizzabili a scopo edificatorio dal piano regolatore generale, non erano effettivamente suscettibili di edificazione a causa della mancata approvazione dei necessari piani attuativi ovvero dell’esistenza di misure di salvaguardia adottate dal Comune (il rimettente cita, in senso favorevole alla qualificabilità come fabbricabili di dette aree, la sentenza della Corte di cassazione civile n. 16751 del 2004; in senso sfavorevole, le sentenze della stessa Corte n. 21573 e n. 21644 del 2004); b) a dirimere legislativamente detto contrasto, nel frattempo sottoposto all’esame delle sezioni unite civili della Corte di cassazione con ordinanza di tale Corte n. 10062 del 2005, erano sopravvenute le due denunciate disposizioni di legge; c) dette disposizioni – avendo entrambe, secondo il rimettente, «inequivocabile» natura di interpretazione autentica (per la parte relativa all’ICI, la sola rilevante ai fini di causa) dell’art. 2, comma 1, lettera b), primo periodo, del decreto legislativo n. 504 del 1992 ed avendo entrambe, perciò, efficacia retroattiva – sono applicabili nel giudizio principale e, pertanto, determinano l’imponibile dell’ICI, «stante il chiaro dettato normativo», in base al valore di mercato dell’area di proprietà del contribuente, «classificata edificabile dal piano regolatore generale del Comune di Milazzo, pur non essendo immediatamente edificabile per la carenza di un piano attuativo dello stesso P.R.G.»;

che, in ordine alla non manifesta infondatezza delle sollevate questioni, il giudice a quo – dopo aver ricordato che il «contrasto» delle medesime disposizioni censurate «con gli artt. 3 e 53 Cost.» è già stato sottoposto all’attenzione della Corte costituzionale «con proprie ordinanze sia dalla Commissione tributaria regionale del Lazio (Ord. n. 313 del 30 agosto 2006 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - 1ª serie speciale - n. 18 del 9 maggio 2007 pag. 103) e sia dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza (Ord. n. 29 del 13 marzo 2007)» – afferma che le denunciate norme d’interpretazione autentica víolano l’art. 42 della Costituzione, perché danno luogo «nei fatti» ad «una sostanziale espropriazione di un bene senza indennizzo alcuno», disciplinando un’«imposta ordinaria sul patrimonio» che sottopone a «prolungata tassazione nel tempo» aree «soltanto potenzialmente edificabili sulla base delle previsioni del P.R.G.» e, perciò, «determina alla lunga (dopo 10-15 anni) una sommatoria di imposte pagate pari o molto prossime alla parità o se del caso superiore, al valore di mercato del bene»;

che, al riguardo, il giudice rimettente osserva che detta conseguenza espropriativa non si verifica «nel caso della tassazione del fabbricato o del terreno agricolo», perché in questo caso «l’imposizione è contenuta in misura percentuale della rendita (e quindi del reddito) conseguito, senza costituire una incidenza secca sul valore del bene, improduttivo di alcun reddito come nel caso di un’area edificabile»;

che, sempre secondo il rimettente, nella fattispecie di causa non «può invocarsi alcuna forma di restituzione» dell’imposizione, perché «l’art. 13 della legge istitutiva del tributo (d.lgs. n. 504/1992) statuisce che soltanto “per le aree divenute inedificabili” il rimborso spetta limitatamente all’imposta pagata e comunque per un periodo non eccedente dieci anni ed a condizione che il vincolo di inedificabilità perduri per almeno tre anni», con la conseguenza che, per effetto di dette limitazioni, il rimborso non è applicabile al caso di un terreno che, in quanto qualificato come edificabile dalla previsione di un P.R.G. rimasto inattuato, sia stimato ai fini dell’ICI, come nella specie, sulla base del suo valore venale;

che, in ordine alla rilevanza delle questioni, il giudice a quo afferma che: a) con l’avviso impugnato, il Comune di Milazzo ha liquidato, ai fini dell’ICI relativa all’anno 1999, il valore di un terreno del contribuente, stimandolo in base al valore venale in comune commercio, invece che in base al reddito dominicale risultante in catasto; b) detto terreno è inserito in una zona qualificata come edificabile dal piano regolatore generale, ma per la quale è prevista, come condizione di edificabilità, la redazione di un piano particolareggiato [recte: di lottizzazione] comprendente una superficie di almeno dieci ettari, «superficie questa notevolmente superiore a quella posseduta» dal contribuente, con la conseguenza che quest’ultimo «di fatto non può in alcun modo utilizzare dal punto di vista edificatorio il terreno di cui è proprietario»; c) nel caso di specie, non sono stati adottati strumenti urbanistici attuativi del suddetto piano generale, «nonostante siano trascorsi quasi venti anni dalla adozione del P.R.G.»; d) le due disposizioni denunciate, recando un’interpretazione autentica (per la parte che qui interessa ai fini di causa) dell’art. 2, comma 1, lettera b), primo periodo, del decreto legislativo n. 504 del 1992, hanno efficacia retroattiva e, dunque, sono applicabili nel giudizio principale.

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque infondate;

che la difesa erariale preliminarmente eccepisce l’inammissibilità delle questioni per «astrattezza e per la mancanza di riferimenti al pericolo concreto di una tassazione troppo severa»;

che, quanto al merito delle questioni, l’Avvocatura generale dello Stato afferma che: a) il diritto vivente (costituito, secondo la difesa erariale, dalla sentenza dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione n. 25506 del 2006) considera fabbricabile un’area sin dal suo inserimento tra le zone edificabili del piano regolatore generale, indipendentemente dalla definitiva approvazione di quest’ultimo; b) non è dubbio che uno strumento urbanistico in itinere conferisce al terreno da esso qualificato come edificabile un valore ben superiore a quello precedente; c) nel caso di «ritiro del piano» attributivo della qualifica di area fabbricabile, v’è comunque un sistema di rimborsi a favore degli interessati e, perciò, nemmeno sotto tale profilo vi è una lesione dell’evocato parametro costituzionale; d) «per i profili generali della tassazione in esame» deve essere richiamata l’ordinanza n. 41 del 2008 della Corte costituzionale.

Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Messina, nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di liquidazione dell’ICI, dubita, in riferimento all’art. 42, terzo comma, della Costituzione, della legittimità degli artt. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, e 36, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248;

che, limitatamente all’ICI, le disposizioni denunciate stabiliscono che un’area è da considerare fabbricabile: a) «se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo» (art. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge n. 203 del 2005); b) «se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo» (art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006);

che il giudice rimettente muove dalla premessa che tali disposizioni – sempre con riguardo all’ICI – sono dotate di efficacia retroattiva ed incidono, pertanto, sulla precedente definizione di area fabbricabile rilevante ai fini dell’ICI e contenuta nell’art. 2, comma 1, lettera b), primo periodo, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), in forza del quale «per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità»;

che, ad avviso del medesimo rimettente, le disposizioni censurate víolano l’evocato parametro costituzionale, perché – disciplinando un’«imposta ordinaria sul patrimonio» che sottopone a «prolungata tassazione nel tempo» aree «soltanto potenzialmente edificabili sulla base delle previsioni del P.R.G.» e, perciò, determinando «alla lunga (dopo 10-15 anni) una sommatoria di imposte pagate pari o molto prossime alla parità o se del caso superiore, al valore di mercato del bene» medesimo – danno luogo, «nei fatti», ad «una sostanziale espropriazione di un bene senza indennizzo alcuno»;

che tali questioni sono in parte manifestamente inammissibili ed in parte manifestamente infondate;

che va dichiarata manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione concernente il menzionato art. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge n. 203 del 2005, perché di tale disposizione il giudice rimettente non deve fare applicazione nel giudizio a quo;

che, infatti – come già rilevato da questa Corte nelle ordinanze n. 266 e n. 41 del 2008, come affermato in varie pronunce delle sezioni unite civili della Corte di cassazione e come ritenuto dallo stesso rimettente –, l’art. 36, comma 2, del citato decreto-legge n. 223 del 2006, ha sostituito, in riferimento all’ICI e con effetto ex tunc, la disciplina dettata dall’indicato art. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge n. 203 del 2005, con la conseguenza che detto art. 36, comma 2, è l’unica disposizione, delle due denunciate, a trovare applicazione nel giudizio principale;

che, quanto alla questione prospettata con riferimento all’art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, la difesa erariale ne eccepisce, in via preliminare, l’inammissibilità per «astrattezza e per la mancanza di riferimenti al pericolo concreto di una tassazione troppo severa» e, pertanto, per difetto di motivazione sulla rilevanza;

che l’eccezione non è fondata;

che il giudice rimettente, infatti, ha adeguatamente motivato in punto di rilevanza, affermando che: a) la disposizione denunciata, recando un’interpretazione autentica (per la parte che interessa ai fini di causa) dell’art. 2, comma 1, lettera b), primo periodo, del decreto legislativo n. 504 del 1992, ha efficacia retroattiva e, dunque, è applicabile nel giudizio principale; b) il terreno del contribuente, la cui stima secondo il valore venale in comune commercio è stata contestata in giudizio, è inserito in una zona qualificata come edificabile dal piano regolatore generale, ma per la quale è prevista, come condizione di edificabilità, la redazione di un piano particolareggiato [recte: di lottizzazione] non adottato e non adottabile ad iniziativa del solo ricorrente;

che ciò è sufficiente a far ritenere che il giudice a quo deve effettivamente applicare, nel giudizio principale, la norma censurata, con conseguente rilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale;

che non ha, poi, importanza se, nella specie, si sia o no verificato in concreto il denunciato “effetto espropriativo” del tributo, perché tale effetto riguarda il profilo non della rilevanza, ma della fondatezza della questione ed è quindi sufficiente, nella prospettiva del rimettente, la mera eventualità che detto effetto si possa verificare e che, conseguentemente, la norma denunciata sia dichiarata incostituzionale e, quindi, non applicabile nel giudizio a quo;

che, nel merito, il giudice rimettente lamenta che, in forza del denunciato art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, l’ICI non «è contenuta in misura percentuale della rendita» conseguita dall’immobile oggetto del tributo, ma la sua applicazione comporta un’«incidenza secca» sul valore di detto bene (ritenuto dal medesimo rimettente «improduttivo di alcun reddito») e, quindi, dà luogo, «nei fatti» e «alla lunga», ad «una sostanziale espropriazione di un bene senza indennizzo alcuno»;

che, dunque, il giudice a quo censura la scelta del legislatore di commisurare al valore venale in comune commercio – e non alla rendita – l’ICI sui terreni qualificati fabbricabili da uno strumento urbanistico ancora inattuato;

che tale censura – prospettata dal rimettente con riguardo soltanto all’ICI sui terreni edificabili di cui all’art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, ma generalizzabile ad ogni tipo di imposta periodica patrimoniale che abbia come base imponibile il valore venale – è manifestamente infondata;

che, in primo luogo, il rimettente inesattamente sussume il caso sottoposto al suo esame nella fattispecie di «espropriazione di un bene senza indennizzo» limitandosi a evocare a parametro l’art. 42, terzo comma, Cost.;

che al riguardo, contrariamente a quanto ritiene il giudice a quo, il pagamento dell’ICI, attenendo all’adempimento, mediante versamento diretto di una somma di denaro, di un obbligo tributario, non rientra nelle ipotesi di espropriazione di beni previste dall’evocato terzo comma dell’art. 42 Cost.; e ciò neppure nel caso in cui il contribuente non abbia a disposizione denaro liquido e, per adempiere detto obbligo, alieni a terzi uno o piú beni di sua proprietà;

che, di conseguenza, trattandosi di un prelievo tributario, il parametro evocato è palesemente inconferente;

che, in secondo luogo, l’assunto del giudice a quo, per cui, in definitiva, le imposte patrimoniali sono costituzionalmente legittime solo se possono essere pagate con il reddito ritraibile dal cespite oggetto d’imposta, non trova fondamento nemmeno nel primo comma dell’art. 53 Cost., perché la capacità contributiva in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese esige solo l’oggettivo e ragionevole collegamento del tributo a un effettivo indice di ricchezza espresso, nella specie, dal valore del bene immobile “posseduto” dal soggetto passivo di imposta ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992 (ex plurimis, in generale, sentenze n. 315 del 1994, n. 42 del 1992, n. 373 del 1988 e, con particolare riferimento all’ICI, sentenze n. 119 del 1999 e n. 111 del 1997, le quali giustificano, altresì, il prelievo a carico dei soggetti passivi, per il fatto che essi, avendo il godimento del bene, si avvantaggiano, con immediatezza, dei servizi e delle attività gestionali dei comuni);

che, perciò, va ribadito che, «quando sia censurata una misura fiscale alla stregua di provvedimento ablatorio, la denuncia di incostituzionalità è disattesa ove sia rinvenibile una giustificazione economica alla specifica imposizione, indipendentemente dall’incidenza sul patrimonio del soggetto passivo, purché sussista il collegamento oggettivo del tributo ad un concreto presupposto impositivo» (ordinanza n. 395 del 2002; nello stesso senso, sentenza n. 21 del 1996);

che, proprio con riguardo al denunciato art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, questa Corte ha già affermato che «la potenzialità edificatoria dell’area, anche se prevista da strumenti urbanistici solo in itinere o ancora inattuati, costituisce notoriamente un elemento oggettivo idoneo ad influenzare il valore del terreno e, pertanto, rappresenta un indice di capacità contributiva adeguato, ai sensi dell’art. 53 Cost., in quanto espressivo di una specifica posizione di vantaggio economicamente rilevante» (ordinanze n. 266 e n. 41 del 2008);

che, in conclusione, la riferita denuncia di incostituzionalità deve essere disattesa, perché il presupposto fattuale della qualificazione di un’area come “edificabile” ad opera di uno strumento urbanistico generale non approvato o non attuato costituisce un indice di capacità contributiva che, giustificando la tassazione ai sensi dell’art. 53 Cost., esclude di per sé l’evocabilità dell’art. 42, terzo comma, Cost.;

che tali rilievi rendono superflua ogni considerazione circa le evidenti carenze del ragionamento del rimettente, il quale muove dall’erroneo presupposto che la base imponibile dell’ICI sui terreni agricoli sia costituita, nella sostanza, dalla rendita catastale, senza considerare che, a norma dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992, detta base è costituita per ogni cespite immobiliare dal valore, determinato, a seconda del tipo di immobile, o in base alla rendita catastale (come è il caso dei fabbricati e terreni agricoli) o in base al valore venale (come è il caso delle aree fabbricabili).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Messina, in riferimento all’art. 42, terzo comma, della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248, sollevata dalla medesima Commissione tributaria provinciale di Messina, in riferimento all’art. 42, terzo comma, della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2008.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2008.