Sentenza n. 377 del 2008

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SENTENZA N. 377

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giovanni Maria              FLICK                        Presidente

- Francesco                             AMIRANTE                          Giudice

- Ugo                              DE SIERVO                        "

- Paolo                           MADDALENA                    "

- Alfio                             FINOCCHIARO                  "

- Alfonso                         QUARANTA                       "

- Franco                          GALLO                              "

- Luigi                             MAZZELLA                        "

- Gaetano                        SILVESTRI                         "

- Sabino                          CASSESE                           "

- Maria Rita                     SAULLE                             "

- Giuseppe                      TESAURO                          "

- Paolo Maria                  NAPOLITANO                   "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 63, comma 1, numero 4), e 69, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), promosso, con ordinanza del 29 dicembre 2007 dal Tribunale amministrativo regionale della Puglia sezione di Lecce sul ricorso proposto da Aurelio Gianfreda nei confronti del Ministero dell’interno ed altri, iscritta al n. 69 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 ottobre 2008 il Giudice relatore Sabino Cassese.

Ritenuto in fatto

1. - Il Tribunale amministrativo regionale della Puglia ha sollevato, con riferimento agli articoli 3, 24, 101, 103, 111 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), «nella parte in cui devolve al Tribunale ordinario la tutela giurisdizionale avverso la delibera di decadenza dalla carica di consigliere, per incompatibilità», nonché, con riferimento agli artt. 3, 24 e 51 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 1, numero 4), dello stesso decreto legislativo, «nella parte in cui prevede, anche agli effetti di cui al successivo art. 68, comma 2, che, colui il quale ha una lite pendente, in quanto parte di un procedimento civile (od amministrativo) con il comune, è incompatibile con la carica di consigliere comunale».

Espone il Tribunale rimettente che dinanzi a esso pende il ricorso proposto da un componente del consiglio comunale di Poggiardo, per l’annullamento della deliberazione con la quale lo stesso consiglio è stato convocato, nonché di quelle con le quali esso ha affermato la sussistenza di una causa di incompatibilità in capo al ricorrente e ha successivamente dichiarato la sua decadenza dalla carica. La causa di incompatibilità riscontrata dal consiglio comunale è quella prevista dall’art. 63, comma 1, numero 4), del d. lgs. n. 267 del 2000, che dispone l’incompatibilità di chi abbia una lite pendente con l’ente locale.

2. - In ordine alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 5, del d. lgs. n. 267 del 2000, che attribuisce al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie in materia di decadenza per incompatibilità, il Tribunale rileva che solo l’accoglimento di essa e la conseguente attribuzione delle relative controversie al giudice amministrativo gli consentirebbero di decidere sul ricorso.

3. - In punto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 1, numero 4), del citato decreto legislativo, il Collegio osserva che l’eventuale accoglimento di essa renderebbe l’esito del giudizio sicuramente favorevole al ricorrente.

4. - In ordine alla non manifesta infondatezza della questione relativa all’art. 69, comma 5, del citato decreto legislativo, il Tribunale rileva che l’attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario non è conforme al criterio costituzionale di riparto, basato sulla dicotomia tra diritti soggettivi e interessi legittimi, trattandosi di un’ipotesi in cui vi è un atto amministrativo da impugnare. Esso ritiene artificiosa la distinzione, elaborata dalla giurisprudenza di legittimità per giustificare il riparto della giurisdizione operato in questa materia dalla legge, tra interesse legittimo alla regolarità delle operazioni elettorali e diritto soggettivo all’eleggibilità e alla compatibilità. Argomenta, poi, anche facendo riferimento alla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 140 del 2007 e n. 204 del 2004), la pienezza della tutela assicurata dal giudice amministrativo e critica la tesi della corrispondenza tra attività amministrativa vincolata e diritto soggettivo. Da queste considerazioni il rimettente trae la conclusione che in materia elettorale non vi sono ragioni per distinguere tra il diritto soggettivo all’elettorato passivo e l’interesse legittimo alla regolarità delle operazioni elettorali, ma che si è in presenza soltanto di interessi legittimi.

Il rimettente osserva infine, in via subordinata, che, anche se si ritenesse che in questo ambito sussistono diritti soggettivi, occorrerebbe tener conto della peculiarità della materia, caratterizzata da un intreccio di situazioni giuridiche di diversa natura, la cui piena ed effettiva tutela imporrebbe al legislatore di devolvere le relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

5. - In merito alla non manifesta infondatezza della questione relativa all’art. 63, comma 1, numero 4), del citato decreto legislativo, il Tribunale rimettente, dopo avere illustrato il quadro della giurisprudenza costituzionale in materia di incompatibilità per lite pendente, osserva che, secondo la stessa giurisprudenza, in materia di elettorato passivo la regola è costituita dalla più ampia apertura possibile, mentre l’ineleggibilità e l’incompatibilità rappresentano l’eccezione (sentenza n. 344 del 1993).

Ciò premesso, il collegio rimettente ritiene, in primo luogo, che la previsione dell’incompatibilità per lite pendente sia, almeno per i consiglieri comunali, irrazionale e sproporzionata rispetto al fine di assicurare il corretto esercizio delle funzioni elettive, in considerazione della limitata possibilità del singolo consigliere di influenzare le decisioni relative alle controversie di cui l’ente è parte. La previsione gli appare, in secondo luogo, lesiva del diritto di difesa giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., in quanto – in assenza della previsione di sospensione o interruzione dei termini di decadenza o prescrizione – l’opzione per la conservazione della carica elettiva impone all’interessato un pregiudizio definitivo. L’irragionevolezza della norma deriverebbe, in terzo luogo, dall’esclusione della rilevanza delle liti tributarie, che possono vertere su questioni ben più rilevanti di quelle civili e amministrative.

6. - Nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuta, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l’Avvocatura generale dello Stato.

La difesa statale eccepisce preliminarmente tre ragioni di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 1, numero 4), del d. lgs. n. 267 del 2000. In primo luogo, difetterebbe il requisito della rilevanza della questione sotto il profilo dell’attualità, che dipenderebbe da un evento futuro e incerto, quale l’accoglimento della questione relativa all’art. 69, comma 5, dello stesso decreto legislativo. In secondo luogo, il Tribunale rimettente non si sarebbe dato carico di verificare la possibilità di interpretare la disposizione impugnata in senso conforme a Costituzione: possibilità che pur vi sarebbe stata, in considerazione di quanto sostenuto dal ricorrente nel giudizio a quo, in ordine all’insussistenza della causa di incompatibilità per via della connessione della lite con l’esercizio del mandato. In terzo luogo, l’ordinanza sarebbe volta a sindacare la discrezionalità del legislatore, che non irragionevolmente avrebbe previsto l’incompatibilità dell’amministratore locale per lite pendente con l’ente.

Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato afferma l’infondatezza della questione, osservando che l’opzione tra rinuncia al diritto di difesa e rinuncia al diritto di elettorato passivo non è irragionevole. Infatti, prosegue la difesa statale, «o trattasi di lite bagatellare ed allora la compressione del diritto di difesa appare perfettamente congruente con la razionalità del bilanciamento oppure trattasi di lite di rilevante importanza ed allora appare legittimo il sacrificio del diritto di elettorato essendo legittimo il sospetto che l’interesse privato in gioco possa interferire con il corretto esercizio della funzione pubblica».

Considerato in diritto

1. - Il Tribunale amministrativo regionale della Puglia ha sollevato, con riferimento agli articoli 3, 24, 101, 103, 111 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), «nella parte in cui devolve al Tribunale ordinario la tutela giurisdizionale avverso la delibera di decadenza dalla carica di consigliere, per incompatibilità», nonché, con riferimento agli artt. 3, 24 e 51 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 1, numero 4), dello stesso decreto legislativo, «nella parte in cui prevede, anche agli effetti di cui al successivo art. 68, comma 2, che, colui il quale ha una lite pendente, in quanto parte di un procedimento civile (od amministrativo) con il comune, è incompatibile con la carica di consigliere comunale».

Per quanto riguarda la censura relativa all’art. 69, comma 5, del citato decreto legislativo, il rimettente ritiene che l’attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario non è conforme al criterio costituzionale di riparto, basato sulla dicotomia tra diritti soggettivi e interessi legittimi, in quanto in materia elettorale vi sono solo situazioni soggettive di interesse legittimo, che impongono l’attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo. Aggiunge che, anche se si ritenesse che vi è una compresenza di diritti soggettivi e interessi legittimi, i principi di effettività e pienezza della tutela imporrebbero al legislatore di devolvere le relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

In ordine alla censura relativa all’art. 63, comma 1, numero 4), il rimettente ritiene che la previsione dell’incompatibilità per lite pendente sia, almeno per i consiglieri comunali, irrazionale e sproporzionata rispetto al fine di assicurare il corretto esercizio delle funzioni elettive e lesiva del diritto di difesa giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., in quanto l’opzione per la conservazione della carica elettiva impone all’interessato un pregiudizio definitivo. L’irragionevolezza della norma deriverebbe anche dall’esclusione della rilevanza delle liti tributarie pendenti.

2. - La questione relativa all’art. 69, comma 5, del d. lgs. n. 267 del 2000, sollevata con riferimento agli artt. 101, 111 e 113 Cost., è inammissibile, in quanto i parametri costituzionali evocati sono inconferenti e le relative censure sono prive di motivazione.

3. - La questione relativa allo stesso art. 69, comma 5, del d. lgs. n. 267 del 2000, sollevata con riferimento agli artt. 3, 24 e 103 Cost., non è fondata.

Le scelte del legislatore in materia di riparto della giurisdizione possono essere censurate se contrastanti con i criteri desumibili dalle previsioni costituzionali o se irragionevoli. Né il contrasto con il dettato costituzionale né l’irragionevolezza possono essere affermate per la disposizione impugnata.

Non è convincente, in primo luogo, l’affermazione secondo la quale, in materia elettorale, possono essere fatte valere soltanto situazioni soggettive di interesse legittimo, con esclusione di diritti soggettivi. Le considerazioni di ordine generale del Tribunale amministrativo rimettente sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, sulla pienezza della tutela offerta dal giudice amministrativo e sull’ammissibilità della giurisdizione amministrativa in presenza di provvedimenti amministrativi vincolati non sono idonee a suffragare l’affermazione secondo la quale, nella particolare materia elettorale, vi sono solo interessi legittimi. Né il fatto che venga emanato un provvedimento amministrativo, per dichiarare la decadenza dell’amministratore locale, è sufficiente a escludere la sussistenza di diritti soggettivi, sui quali detto provvedimento possa incidere. Al contrario, secondo un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, i provvedimenti che dichiarano la decadenza dell’amministratore locale incidono sul diritto di elettorato passivo.

Non è condivisibile neanche l’affermazione secondo la quale i principi di effettività e pienezza della tutela richiedono che il legislatore devolva tutte le controversie in materia elettorale alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Innanzitutto, questi principi non impongono certo di attribuire allo stesso giudice controversie aventi oggetti diversi e suscettibili di insorgere in momenti differenti, quali quelle relative alle operazioni elettorali e quelle relative alla decadenza dell’amministratore locale. In secondo luogo, non vi è comunque una soluzione costituzionalmente obbligata, spettando alla legge la scelta in ordine all’eventuale concentrazione della tutela e all’individuazione del giudice competente. Questa Corte ha più volte riconosciuto che la Costituzione lascia al legislatore un margine di apprezzamento in materia di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo (sentenze n. 240 del 2006, n. 301 del 2004 e n. 414 del 2001).

Occorre dunque escludere che l’attribuzione delle controversie in materia di incompatibilità e decadenza dell’amministratore locale alla giurisdizione amministrativa sia imposta dall’art. 103 Cost. e che la scelta del legislatore di affidare dette controversie alla giurisdizione ordinaria sia irragionevole in base all’art. 3 Cost.

Anche le censure relative all’art. 24 Cost. non sono fondate. Le argomentazioni del Tribunale amministrativo rimettente, volte a sostenere la pienezza della tutela del giudice amministrativo, non possono certo indurre ad affermare che la tutela offerta dal giudice ordinario sia inadeguata. Nè, quindi, si può ritenere che l’attribuzione delle controversie in materia di diritto di elettorato passivo al giudice ordinario comporti una lesione del diritto di difesa.

4. - La questione relativa all’art. 63, comma 1, numero 4), del d. lgs. n. 267 del 2000 è inammissibile.

L’inammissibilità deriva dall’infondatezza della questione relativa all’art. 69, comma 5, dello stesso decreto legislativo. Il collegio rimettente rileva che avrebbe giurisdizione sulla controversia al suo esame solo se fosse dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma che radica la giurisdizione davanti al giudice ordinario. Difettando di giurisdizione sulla controversia, il Tribunale amministrativo rimettente non deve fare applicazione della disposizione dell’art. 69, comma 5, del d. lgs. n. 267 del 2000. Ne deriva l’irrilevanza della questione nel giudizio a quo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 1, numero 4), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 51 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Puglia con l’ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 5, dello stesso decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 101, 111 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Puglia con l’ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 5, dello stesso decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 103 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Puglia con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2008.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 novembre 2008.