Ordinanza n. 365 del 2008

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ORDINANZA N. 365

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giovanni Maria        FLICK                    Presidente

- Francesco               AMIRANTE              Giudice

- Ugo                                DE SIERVO                           "

- Paolo                      MADDALENA              "

- Alfio                       FINOCCHIARO            "

- Alfonso                   QUARANTA                 "

- Franco                    GALLO                        "

- Luigi                       MAZZELLA                  "

- Gaetano                  SILVESTRI                   "

- Sabino                    CASSESE                     "

- Maria Rita               SAULLE                       "

- Giuseppe                 TESAURO                    "

- Paolo Maria             NAPOLITANO             "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 41, commi primo e quarto, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), come sostituiti dagli artt. 31 e 39 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), promosso con ordinanza del 15 dicembre 2007 dal Tribunale ordinario di Firenze nella procedura fallimentare relativa al Fallimento 51 s.a.s., iscritta al n. 119 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2008.

       Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2008 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.

Ritenuto che, con ordinanza depositata il 15 dicembre 2007, il Tribunale ordinario di Firenze, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 41, commi primo e secondo (recte: quarto), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), come sostituiti dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80);

che, in via subordinata, lo stesso rimettente ha, con la medesima ordinanza, sollevato anche questione di legittimità costituzionale, sempre in relazione agli artt. 3 e 76 della Costituzione, del solo art. 35 del regio decreto n. 267 del 1942;

che il Tribunale rimettente premette, in fatto, che il 6 dicembre 2007 il giudice delegato del fallimento della società 51 s. a. s. gli riferiva: a) di essere stato informato dal curatore di quel fallimento che, a seguito della autorizzazione del comitato dei creditori, era imminente il perfezionamento di un atto di transazione e vendita a trattativa privata di una quota significativa di beni immobili facenti parte dell’attivo della procedura, ad un prezzo pari al valore di stima; b) di aver rilevato che, non essendo stata data pubblicità alla predetta vendita, non era dato sapere se fosse possibile ottenere un prezzo più elevato; c) di aver ritenuto, pertanto, che tale vendita a trattativa privata poteva risultare viziata sia  sotto il profilo di merito, in quanto inidonea a realizzare il massimo interesse del «ceto creditorio», sia sotto il profilo della legittimità, in quanto in contrasto con la previsione dall’art. 107, primo comma, del r.d. n. 267 del 1942, il quale prescrive, per la vendita dei beni immobili fallimentari, che il curatore segua «procedure competitive», assicurando, «con adeguate forme di pubblicità», la massima partecipazione degli interessati;

che il collegio, ritenuti primo visu non infondati i rilievi del giudice delegato, emetteva decreto col quale disponeva che il curatore non desse corso al perfezionamento degli atti di transazione e vendita, fissando per il successivo 12 dicembre l’udienza camerale per l’adozione degli ulteriori provvedimenti;

che, in tale sede, il Tribunale, con l’ordinanza di rimessione, osservava che il nuovo art. 41 del r.d. n. 267 del 1942 attribuisce il potere di autorizzare gli atti del curatore al comitato dei creditori, risultando confinata solo ad ipotesi residuali l’attribuzione di tale potere al giudice delegato e che, al di fuori di tali ipotesi, al giudice delegato spetta la potestà autorizzatoria principalmente in caso di approvazione del piano di liquidazione ai sensi dell’art. 104-ter del r.d. n. 267 del 1942;

che, aggiunge il rimettente, essendo, tuttavia, compito del giudice delegato esercitare il controllo e la vigilanza sulla regolarità della procedura, non sarebbe chiaro come tale funzione di controllo si possa esplicare, in presenza di atti illegittimi o comunque in contrasto con gli interessi dei creditori;

che, ad avviso del giudice a quo, la previsione contenuta nell’art. 35 del r.d. n. 267 del 1942, che impone al curatore di informare preventivamente il giudice delegato degli atti di straordinaria amministrazione aventi significativo contenuto economico e di tutte le transazioni, è, appunto, volta a consentire l’esercizio del potere di vigilanza e di controllo, il quale non potrebbe più esplicarsi direttamente attraverso strumenti di tipo inibitorio, in quanto non previsti, ma si svolgerebbe attualmente tramite la informativa al collegio, secondo la procedura di cui all’art. 25, primo comma, numero 1), del r.d. n. 267 del 1942, a seguito della quale il collegio avrebbe il potere di verificare la legittimità formale e sostanziale dell’atto di straordinaria amministrazione;

che, opina ancora il rimettente, nell’esercizio di tale potere spetterebbe al collegio anche la competenza ad adottare quei provvedimenti, inibitori o confermativi della iniziativa del curatore, idonei ad assicurare il regolare svolgimento della procedura;

che, peraltro, la possibilità del collegio di entrare nel merito delle osservazioni del giudice delegato, valutando la legittimità della iniziativa del curatore fallimentare, presuppone – sempre a giudizio del rimettente collegio – che «il sistema autorizzatorio delineato dagli artt. 41 e 35 L. F. sia costituzionalmente legittimo o, in via subordinata, che sia tale l’esclusione di un autonomo potere di intervento da parte del G.D.»;

che, in tal senso, la questione di legittimità costituzionale delle indicate disposizioni normative sarebbe rilevante;

che il Tribunale di Firenze argomenta prioritariamente, riguardo alla non manifesta infondatezza della questione, con riferimento alla conformità delle predette disposizioni all’art. 76 della Costituzione, dubitando che l’indicato sistema autorizzatorio trovi un «conforto» nella legge 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali);

che, ad avviso del rimettente, le due disposizioni in questione, ponendo, salvo ipotesi residuali, il potere autorizzatorio in capo al comitato dei creditori – così «stravolgendo per riflesso la funzione del G.D.», che verrebbe ridimensionato nella sua funzione di «organo di garanzia della tutela degli interessi sottesi al fallimento» – non troverebbero fondamento in alcuno dei principi e criteri direttivi contenuti nella legge di delega;

che, in particolare, non sarebbe consentito rinvenirne la giustificazione nella possibilità prevista dall’art. 1, comma 6, lettera a), numero 1), della legge n. 80 del 2005, di procedere al coordinamento dei poteri degli organi della procedura;

che il rimettente osserva come tale criterio di delega non preveda un mutamento delle attribuzioni dei «poteri» agli organi della procedura, ma solo un coordinamento degli stessi, stanti le più ampie «competenze» assegnate al comitato dei creditori;

che, peraltro, ad avviso del rimettente, l’ampliamento delle competenze del comitato dei creditori previsto dalla legge di delega sarebbe finalizzato ad estendere la partecipazione di questo alla “gestione” della crisi dell’impresa, di tal che, dovendosi escludere che il potere autorizzatorio sia riconducibile ad un profilo “gestorio”, essendo, invece, esso riferibile ad una funzione di carattere direttivo, la descritta estensione delle competenze del comitato dei creditori esulerebbe comunque dai limiti della delega;

che, aggiunge il rimettente, parrebbe difficile ipotizzare che una modifica quale quella di trasferire dal giudice delegato al comitato dei creditori – organo non neutrale e non rappresentativo di tutti gli interessi rilevanti (certamente non di quelli del fallito) – il potere di autorizzare gli atti del curatore, potere connotato da finalità di garanzia e tutela, non sarebbe stata oggetto di una specifica direttiva nella delega legislativa ove il legislatore delegante l’avesse effettivamente voluta;

che, sotto altro profilo, il rimettente ritiene che il sistema autorizzatorio ricavabile dagli artt. 41, primo e quarto comma, e 35 del r.d. n. 267 del 1942 sia in contrasto col canone della ragionevolezza, presidiato dall’art. 3 della Costituzione;

che, rileva il rimettente, potendo detto sistema trovare applicazione solo nelle procedure in cui è possibile costituire un efficiente comitato dei creditori, si determina un’irragionevole disparità di trattamento, stante il fatto che, spettando, in caso di assenza o di mancato funzionamento di detto comitato, il potere di autorizzazione al giudice delegato, il «ceto creditorio» ed il fallito saranno tutelati tramite l’esercizio di tale potere da parte di un organo giurisdizionale solo in tale ipotesi, mentre, nell’ipotesi di esistenza e di funzionamento del comitato dei creditori, il potere di controllo sarà esercitato da un organo di matrice privatistica, non rappresentativo, in quanto non nominato da costoro, nemmeno di tutti i creditori;

che l’irragionevolezza delle disposizioni censurate è riscontrabile anche nel fatto che, anche all’interno di una stessa procedura, se l’atto di straordinaria amministrazione è previsto all’interno del programma di liquidazione o di un suo supplemento, esso sarà oggetto dell’autorizzazione del giudice delegato, se, invece, è estraneo al programma di liquidazione sarà soggetto all’autorizzazione del comitato dei creditori;

che, pertanto, la diversa tutela offerta ai creditori ed al fallito dipende, irragionevolmente, da un fattore casuale o, comunque, da una scelta del curatore del fallimento;

che, in via subordinata, il Tribunale di Firenze solleva, sempre in relazione agli artt. 3 e 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del solo art. 35 del r.d. n. 267 del 1942, nella parte in cui non prevede in capo al giudice delegato la possibilità di intervenire, inibendo il perfezionamento di un atto di straordinaria amministrazione del curatore ritenuto illegittimo o contrario agli interessi dei creditori o del fallito;

che, ad avviso del rimettente, nella legge di delega non sarebbe rinvenibile alcun principio che autorizzi la trasformazione del giudice delegato in un organo passivo, destinato ad esercitare le sue attribuzioni solo a seguito della iniziativa di terzi;

che, competendo al giudice delegato il controllo sulla procedura fallimentare – anche a voler ammettere l’avvenuto trasferimento al comitato dei creditori del potere di autorizzare il compimento di atti di straordinaria amministrazione – ove si intenda dare un effettivo contenuto al predetto potere di controllo, sarebbe, quantomeno, necessario configurare un potere di intervento sugli atti autorizzati o autorizzandi in capo al giudice delegato;

che la mancata attribuzione di siffatto potere violerebbe l’art. 76 della Costituzione, in quanto la previsione, non solo sarebbe stata introdotta in carenza di una disposizione di delega, ma sarebbe anche in contrasto col principio direttivo che prevede il coordinamento fra i poteri degli organi della procedura; infatti, pur ammettendo la legittimità costituzionale del trasferimento del potere autorizzatorio dal giudice delegato al comitato dei creditori, risponderebbe a tale principio direttivo la previsione di un residuo potere di intervento in capo al giudice delegato;

che, infine, la mancata previsione del ricordato potere di intervento risulterebbe irragionevole, sia per la contraddittorietà insita nel prevedere un obbligo di informazione cui non è correlata alcuna possibilità di intervenire da parte del soggetto informato, sia perché la già dianzi descritta disparità di trattamento che sussiste fra chi (qualora l’atto di straordinaria amministrazione sia inserito nel programma di liquidazione) goda della tutela offerta dal meccanismo di autorizzazione da parte di un organo giudiziario e quanti (qualora l’atto si collochi al di fuori di tale programma) non possano godere di detta tutela, è resa ancor più intensa dal fatto che costoro, stante la mancata previsione di un apposito strumento inibitorio, non possono effettivamente usufruire neppure del controllo ex post del giudice delegato;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la inammissibilità e, comunque, per l’infondatezza della questione;

che, quanto alla inammissibilità della questione, la Avvocatura ne contesta la rilevanza;

che, infatti, secondo la difesa pubblica, nel giudizio a quo, in cui non è in discussione la legittimità o meno di eventuali provvedimenti inibitori emessi dal giudice delegato, ma, semmai, l’ampiezza dei poteri di controllo spettanti al collegio a seguito della relazione ad esso indirizzata, ai sensi dell’art. 25, primo comma, numero 1), del r.d. n. 267 del 1942, dallo stesso giudice delegato, l’eventuale accoglimento della sollevata questione non spiegherebbe alcun effetto;

che, sempre secondo la difesa erariale, un ulteriore profilo di inammissibilità della questione deriverebbe dal fatto che, diversamente da quanto ritenuto dal rimettente, il giudizio a quo non avrebbe ad oggetto un generico atto di straordinaria amministrazione ma un vero e proprio atto di liquidazione dell’attivo fallimentare, la cui disciplina, contenuta nell’art. 104-ter del r.d. n. 267 del 1942, prevede che esso sia autorizzato dal giudice delegato, dopo che ne ha verificato la legittimità;

che, quanto al merito, la interveniente difesa, ritenuto corretto inquadrare la fattispecie nell’ambito degli atti di liquidazione dell’attivo fallimentare, osserva che la norma da sottoporre a scrutinio di costituzionalità doveva essere l’art. 104-ter del r.d. n. 267 del 1942, norma quest’ultima che, anche alla luce delle correzioni intervenute a seguito della entrata in vigore del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’art. 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80), è perfettamente in linea sia col criterio direttivo contenuto nell’art. 1, comma 6, numero 10), della legge n. 80 del 2005, sia con quello contenuto nell’art. 1, comma 6, lettera a), numero 1), della stessa legge, il quale introduce la distinzione tra controllo sugli atti di gestione del curatore fallimentare, assegnato al comitato dei creditori, e controllo di legittimità sugli atti medesimi, riservato al giudice delegato.    

Considerato che il Tribunale ordinario di Firenze dubita, con riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 35 e 41, commi primo e quarto, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), come sostituiti dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), nella parte in cui prevedono che, affinché il curatore fallimentare possa effettuare atti di straordinaria amministrazione, sia necessaria la previa autorizzazione del comitato dei creditori e non più quella del giudice delegato, così come era, invece, previsto anteriormente alla riforma della procedure concorsuali realizzata con il d.lgs. n. 5 del 2006;

che, subordinatamente all’eventuale rigetto della questione di legittimità costituzionale ora indicata, il medesimo Tribunale dubita, ancora con riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 35 del r.d. n. 267 del 1942, come sostituito dal d.lgs. n. 5 del 2006, nella parte in cui, pur prevedendo che il curatore del fallimento, in caso di effettuazione di atti di straordinaria amministrazione il cui valore sia superiore a cinquantamila euro, o in ogni caso per le transazioni, debba previamente informare il giudice delegato, non attribuisce a quest’ultimo, ove ravvisi ipotesi di illegittimità formale o sostanziale dell’atto in questione, il potere di inibirne il compimento;

che, in particolare, con riferimento alla censura principale, il rimettente ritiene che il trasferimento del potere di autorizzare gli atti di straordinaria amministrazione del curatore fallimentare dall’ambito delle attribuzioni del giudice delegato a quello del comitato dei creditori non trovi riscontro in alcuno dei criteri e principi direttivi di cui alla delega legislativa contenuta nella legge 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), e che, d’altra parte, la circostanza che il potere autorizzatorio continui ad essere attribuito al giudice delegato nel caso di procedura fallimentare in cui non sia possibile il funzionamento del comitato dei creditori, ovvero in cui questo rimanga inerte, determina un’irragionevole disparità di trattamento;

che ulteriore disparità di trattamento viene ravvisata dal rimettente nel fatto che, diversamente da quanto si verifica per gli atti di straordinaria amministrazione di cui al citato art. 35 del r.d. n. 267 del 1942, gli atti di straordinaria amministrazione contenuti nel programma di liquidazione predisposto dal curatore del fallimento, ai sensi dell’art. 104-ter del r.d. n. 267 del 1942, sono autorizzati dal giudice delegato, sicché la forma di controllo più intensa affidata ad un organo della giurisdizione dipenderebbe da una scelta del curatore del fallimento;

che, con riguardo alla censura formulata in via subordinata, il rimettente, oltre a dubitare del fatto che – avendo il legislatore delegante previsto, fra i compiti del legislatore delegato, in considerazione dell’ampliamento delle competenze del comitato dei creditori, quello di provvedere al coordinamento degli altri organi della procedura fallimentare – sia rispettosa di tale delega la mancata previsione del potere del giudice delegato di intervenire con strumenti inibitori sul perfezionamento degli atti di straordinaria amministrazione del curatore, autorizzati del comitato dei creditori, ritiene, altresì, che sia intrinsecamente irragionevole avere previsto, per gli atti di significativo valore economico, ed in ogni caso per le transazioni, la necessaria previa informativa al giudice delegato, laddove non sia stata anche prevista – quale strumento per l’attuazione dei compiti di controllo e vigilanza sulla procedura demandati al giudice delegato ed in relazione ai quali si giustifica la necessità della previa informativa – la attribuzione a detto giudice dell’autonomo potere di impedire il perfezionamento di tali atti;

che, d’altra parte, tale circostanza risulterebbe foriera anche di una disparità di trattamento, in quanto, diversamente da ciò che si verifica nelle sopraindicate residuali e derogatorie ipotesi in cui la competenza autorizzatoria è rimasta in capo al giudice delegato, nella disciplina ordinaria non sarebbe consentito neppure un efficace controllo ex post del giudice delegato sull’operato del curatore del fallimento;

che, a prescindere dal problematico inquadramento normativo attribuito dal giudice rimettente alla fattispecie al suo esame, risultando dubbio che essa sia riconducibile alla previsione dell’art. 35 del r.d. n. 267 del 1942, piuttosto che a quella dell’art. 104-ter del r.d. n. 267 del 1942 – disposizione questa, peraltro, modificata successivamente al deposito dell’ordinanza di rimessione dall’art. 7 del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’art. 1, commi 5, 5-bis, e 6 della legge 14 maggio 2005, n. 80), nel senso dell’estensione anche al programma di liquidazione del potere di approvazione del comitato dei creditori, residuando al giudice delegato solo il compito di autorizzare l’esecuzione dei singoli atti ad esso conformi – la questione di legittimità costituzionale, sia come formulata in via principale sia come formulata in via subordinata, appare manifestamente inammissibile in quanto irrilevante nell’ambito della fase processuale durante la quale l’incidente di costituzionalità è stato sollevato;

che, in particolare, essendo stato il giudice collegiale rimettente oramai già investito dal giudice delegato – in applicazione del generale potere di “relazione” al collegio a lui attribuito dall’art. 25, primo comma, numero 1), del r.d. n. 267 del 1942 – della valutazione sulla legittimità dell’operato del curatore del fallimento non ha più alcuna attualità – ed è, pertanto, privo di rilevanza – il quesito sia in ordine alla legittimità costituzionale del trasferimento dal giudice delegato al comitato dei creditori del potere di autorizzare gli atti di straordinaria amministrazione del curatore fallimentare, sia in ordine alla ragionevolezza della mancata previsione di un immediato potere di intervento del giudice delegato per impedire il perfezionamento dell’atto del curatore fallimentare autorizzato dal comitato dei creditori;

che, infatti, il giudice delegato, cui semmai spettava di dolersi di quanto successivamente lamentato dal giudice collegiale (sulla legittimazione del giudice delegato a sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale si vedano la sentenza n. 71 del 1994 e le ordinanze n. 168 e n. 75 del 2002), ha, viceversa, ritenuto di definire la vicenda procedurale di fronte a sé attraverso il deferimento di essa alla cognizione del giudice collegiale, privando in tal modo di rilevanza la dedotta questione.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 41, commi primo e quarto, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), come sostituiti dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2008.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2008.