Ordinanza n. 89 del 2008

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ORDINANZA N. 89

ANNO 2008

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Franco                              BILE                                       Presidente

-      Giovanni Maria                 FLICK                                      Giudice

-      Francesco                         AMIRANTE                                  "

-      Ugo                                  DE SIERVO                                  "

-      Alfio                                 FINOCCHIARO                           "

-      Alfonso                             QUARANTA                                 "

-      Franco                              GALLO                                         "

-      Luigi                                 MAZZELLA                                  "

-      Gaetano                            SILVESTRI                                   "

-      Sabino                              CASSESE                                      "

-      Maria Rita                        SAULLE                                        "

-      Giuseppe                          TESAURO                                     "

-      Paolo Maria                      NAPOLITANO                             "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 159, 160, 420-quater, comma 1, e 484 del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale di Pinerolo, nel procedimento penale a carico di N. S. O., con ordinanza del 14 marzo 2006 iscritta al n. 145 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2008 il Giudice relatore Francesco Amirante.

Ritenuto che, nel corso di un procedimento penale a carico di una persona irreperibile, imputata del reato di cui all’art. 6 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, il Tribunale di Pinerolo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 10, primo comma, 97, primo comma, e 111, secondo, terzo e quarto comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 159, 160, 420-quater, comma 1, e 484 del codice di procedura penale «nella parte in cui non prevedono la sospensione obbligatoria del processo penale nei confronti degli imputati ai quali il decreto di citazione a giudizio è stato notificato previa emissione di decreto di irreperibilità»;

che nel giudizio a quo l’imputato è stato tratto a giudizio con citazione diretta da parte del pubblico ministero, a lui notificata – previa emissione del decreto di irreperibilità – mediante consegna al difensore d’ufficio designato, secondo il sistema fissato dagli artt. 159 e 160 cod. proc. pen.;

che l’imputato, non comparso al dibattimento, è stato quindi dichiarato contumace ed il giudizio dovrebbe proseguire in absentia;

che il complesso di norme sopra menzionato appare al giudice a quo in contrasto con gli invocati parametri costituzionali nella parte in cui impone la dichiarazione di contumacia e la conseguente celebrazione del processo nei confronti degli imputati irreperibili, anziché prevedere la sospensione obbligatoria del medesimo;

che il Tribunale rammenta come una questione di legittimità costituzionale degli artt. 159 e 160 cod. proc. pen. sia stata già dichiarata non fondata da questa Corte con la sentenza n. 399 del 1998, prima, però, che vi fosse il profondo cambiamento dell’art. 111 Cost. il quale «sembra porsi in netto contrasto con la possibilità che un processo venga celebrato nella totale ignoranza dell’imputato irreperibile»;

che nella sentenza n. 399 del 1998 la Corte ha osservato come spetti soltanto al legislatore la scelta tra il rimedio «preventivo e inibitorio, comportante l’obbligatoria sospensione del processo a carico dell’irreperibile-contumace, ovvero quello successivo e riparatorio», che prevede la celebrazione del processo e l’introduzione di strumenti per ottenere eventualmente una nuova pronuncia sui medesimi fatti;

che le conclusioni a suo tempo raggiunte con la citata sentenza appaiono al remittente superate dalla nuova formulazione dell’art. 111 Cost. che, introducendo il principio del contraddittorio tipico del processo accusatorio, lo ha reso non soltanto una garanzia soggettiva per l’imputato, ma anche una garanzia oggettiva per l’ordinamento, sicché può ben dirsi che senza contraddittorio non esista un processo penale conforme alla legalità costituzionale;

che, al fine di garantire una piena attuazione dei principi costituzionali, appare irrilevante l’ampliamento delle ipotesi di restituzione in termini realizzatosi con la modifica dell’art. 175 cod. proc. pen. disposta con l’art. 1, comma 1, lettera a), del decreto-legge 21 febbraio 2005, n. 17 (Disposizioni urgenti in materia di impugnazione delle sentenze contumaciali e dei decreti di condanna), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 aprile 2005, n. 60;

che tale modifica, conseguente ad una sentenza di condanna emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia (sentenza Sejdovic 10 novembre 2004), è comunque insufficiente, secondo il remittente, a sanare il vizio d’origine di un processo celebrato e concluso senza effettivo contraddittorio, per essere l’imputato incolpevolmente ignaro dell’esistenza di un’accusa a suo carico;

che il combinato disposto delle norme censurate appare al giudice a quo, inoltre, in contrasto anche con gli artt. 10, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione;

che l’art. 10, primo comma, Cost., inteso sotto il profilo della violazione delle norme di diritto internazionale accettate dall’Italia, sarebbe rilevante per il contrasto che il Tribunale ravvisa tra le norme denunciate e l’art. 6, comma 3, lettere a) e b), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;

che, invece, quanto al principio del buon andamento della pubblica amministrazione, il remittente sottolinea l’illegittimità costituzionale dell’attuale sistema, che prevede l’obbligo «di celebrare processi inutili a carico di imputati irreperibili» destinati a concludersi con sentenze prive di esecuzione, con dispendio di risorse che potrebbero essere utilizzate per celebrare processi nei confronti di imputati presenti ovvero colpevolmente o volontariamente assenti;

che il Tribunale di Pinerolo aggiunge che la sospensione obbligatoria del processo penale a carico degli imputati irreperibili, oltre a porsi come soluzione «costituzionalmente obbligata», non creerebbe alcun problema nell’impianto generale del nostro processo penale, anche perché il codice di rito già conosce l’ipotesi della sospensione obbligatoria del processo qualora l’imputato sia incapace di stare in giudizio (art. 71 cod. proc. pen.), senza che ciò faccia venire meno il principio di obbligatorietà dell’azione penale;

che l’ipotizzata sospensione, del resto, non colliderebbe con il principio di ragionevole durata del processo pure previsto dall’art. 111 Cost., in quanto l’unico modello di processo conforme a Costituzione è quello che prevede la presenza dell’imputato;

che, ad avviso del giudice a quo, la questione è rilevante, in quanto l’imputato è stato tratto a giudizio, su citazione diretta del pubblico ministero, col rito degli irreperibili, ossia tramite consegna del relativo decreto al difensore d’ufficio all’uopo nominato.

Considerato che il Tribunale di Pinerolo dubita, in riferimento agli artt. 3, 10, primo comma, 97, primo comma, e 111, secondo, terzo e quarto comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 159, 160, 420-quater, comma 1, e 484 del codice di procedura penale «nella parte in cui non prevedono la sospensione obbligatoria del processo penale nei confronti degli imputati ai quali il decreto di citazione a giudizio è stato notificato previa emissione di decreto di irreperibilità»;

che una questione identica a quella odierna è già stata sottoposta – dal medesimo Tribunale di Pinerolo – all’esame di questa Corte, che l’ha dichiarata non fondata con la sentenza n. 117 del 2007;

che in quell’occasione la Corte ha evidenziato la centralità del diritto di difesa, al quale, secondo lo stesso giudice a quo, la CEDU non accorda, in tema di processo svoltosi in absentia, garanzie maggiori di quelle previste dall’art. 111 Cost., sottolineando come la stessa Corte di Strasburgo, con la seconda sentenza emessa nel caso Sejdovic (sentenza della Grande Camera 1° marzo 2006), non abbia negato, in linea di principio, il rilievo che possono assumere idonee misure ripristinatorie;

che la presente ordinanza di rimessione non aggiunge, rispetto alla precedente, profili nuovi o diversi di censura;

che, pertanto, la presente questione deve ritenersi manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 159, 160, 420-quater, comma 1, e 484 del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli artt. 3, 10, primo comma, 97, primo comma, e 111, secondo, terzo e quarto comma, della Costituzione, dal Tribunale di Pinerolo con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 31 marzo 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2008.