Sentenza n. 117 del 2007

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SENTENZA N. 117

 

ANNO 2007

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

-      Franco                             BILE                                      Presidente

 

-      Francesco                        AMIRANTE                            Giudice

 

-      Ugo                                 DE SIERVO                                 "

 

-      Romano                           VACCARELLA                           "

 

-      Paolo                               MADDALENA                            "

 

-      Alfio                                FINOCCHIARO                          "

 

-      Alfonso                           QUARANTA                               "

 

-      Franco                             GALLO                                        "

 

-      Luigi                                MAZZELLA                                "

 

-      Gaetano                           SILVESTRI                                  "

 

-      Sabino                             CASSESE                                     "

 

-      Maria Rita                       SAULLE                                       "

 

-      Giuseppe                         TESAURO                                    "

 

-      Paolo Maria                     NAPOLITANO                            "

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 159, 160, 420-quater, comma 1, e 484 del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale di Pinerolo, nel procedimento penale a carico di V. D., con ordinanza del 31 gennaio 2006, iscritta al n. 135 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2006.

 

Udito nella camera di consiglio del 7 febbraio 2007 il Giudice relatore Francesco Amirante.

 

Ritenuto in fatto

 

1.— Nel corso di un procedimento penale a carico di una persona irreperibile, imputata, a titolo di concorso, del delitto di tentata violazione di domicilio, il Tribunale di Pinerolo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 10, primo comma, 97, primo comma, e 111, secondo, terzo e quarto comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 159, 160, 420-quater, comma 1, e 484 del codice di procedura penale.

 

Premette in fatto il remittente che l’imputata è stata tratta a giudizio con atto di citazione diretta da parte del pubblico ministero, a lei notificato – previa emissione del decreto di irreperibilità – mediante consegna al difensore d’ufficio designato, secondo il sistema fissato dagli artt. 159 e 160 del codice di procedura penale. L’imputata, non comparsa al dibattimento, è stata quindi dichiarata contumace ed il giudizio dovrebbe proseguire in absentia; tuttavia il complesso di norme sopra menzionato appare al giudice a quo in contrasto con gli invocati parametri costituzionali nella parte in cui impone la dichiarazione di contumacia e la conseguente celebrazione del processo nei confronti degli imputati irreperibili, anziché prevedere la sospensione obbligatoria del medesimo.

 

Il Tribunale di Pinerolo rammenta che una questione di legittimità costituzionale degli artt. 159 e 160 cod. proc. pen. è stata già dichiarata non fondata da questa Corte con la sentenza n. 399 del 1998; tuttavia, il mutamento del quadro costituzionale di riferimento, rappresentato dai profondi cambiamenti introdotti nell’art. 111 Cost. – che «sembra porsi in netto contrasto con la possibilità che un processo venga celebrato nella totale ignoranza dell’imputato irreperibile» – imporrebbe un ripensamento dell’intera questione. In quella pronuncia la Corte, richiamando anche la nota sentenza 12 febbraio 1985 della Corte europea dei diritti dell’uomo (caso Colozza), ha rilevato che il vigente codice di procedura penale, oltre a prevedere una più rigorosa disciplina della contumacia, appresta pure numerosi rimedi per il caso in cui l’imputato non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento. La menzionata sentenza Colozza, d’altra parte, non impone un unico modello processuale, dovendosi ritenere sufficiente che all’imputato condannato in contumacia sia assicurata la possibilità di essere nuovamente giudicato dopo essere stato ascoltato. Nella sentenza n. 399 del 1998, in conclusione, la Corte ha osservato che spetta soltanto al legislatore la scelta tra il rimedio «preventivo e inibitorio, comportante l’obbligatoria sospensione del processo a carico dell’irreperibile-contumace, ovvero quello successivo e riparatorio», che prevede la celebrazione del processo e l’introduzione di strumenti per ottenere eventualmente una nuova pronuncia sui medesimi fatti.

 

Le conclusioni a suo tempo raggiunte con la citata sentenza appaiono al remittente superate dalla nuova formulazione dell’art. 111 Cost. che, introducendo il principio del contraddittorio tipico del processo accusatorio, lo ha reso non soltanto una garanzia soggettiva per l’imputato, ma anche una garanzia oggettiva per l’ordinamento, sicché può ben dirsi che senza contraddittorio non esista un processo penale conforme alla legalità costituzionale. Un processo siffatto postula inevitabilmente che l’imputato sia a conoscenza dell’accusa al fine di scegliere se essere presente ovvero come difendersi, mentre gli artt. 159, 160, 420-quater, comma 1, e 484 cod. proc. pen. non appaiono, da questo punto di vista, conformi al secondo, terzo e quarto comma dell’art. 111 della Costituzione. Alla luce di questi ultimi, infatti, s’imporrebbe, secondo il Tribunale, la scelta per la soluzione inibitoria, consistente nell’obbligatoria sospensione del processo penale a carico dell’imputato irreperibile, perché fino al momento in cui l’imputato non è messo nelle condizioni di conoscere l’accusa, ricevendo una citazione, non esiste nemmeno un “simulacro” di contraddittorio.

 

Osserva il Tribunale di Pinerolo che, al fine di garantire una piena attuazione dei principi costituzionali, appare irrilevante l’ampliamento delle ipotesi di restituzione in termini realizzatosi con la modifica dell’art. 175 cod. proc. pen. disposta col decreto-legge 21 febbraio 2005, n. 17 (Disposizioni urgenti in materia di impugnazione delle sentenze contumaciali e dei decreti di condanna), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 aprile 2005, n. 60. Tale modifica, introdotta in seguito ad un’ulteriore sentenza di condanna emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia (sentenza Sejdovic del 10 novembre 2004), è comunque insufficiente a sanare il vizio d’origine di un processo celebrato e concluso senza effettivo contraddittorio, per essere l’imputato incolpevolmente ignaro dell’esistenza di un’accusa a suo carico.

 

Il combinato disposto delle norme impugnate appare al giudice a quo, inoltre, in contrasto anche con gli artt. 10, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione.

 

L’art. 10, primo comma, sarebbe violato per il contrasto esistente fra le disposizioni denunciate e l’art. 6, comma 3, lettere a) e b), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, benché lo stesso giudice a quo osservi che tali disposizioni internazionali sono oggi «riproposte» nel testo dell’art. 111, terzo comma, della Costituzione.

 

Quanto al principio del buon andamento della pubblica amministrazione, il remittente sottolinea l’illegittimità costituzionale dell’attuale sistema, che prevede l’obbligo «di celebrare processi inutili a carico di imputati irreperibili» destinati a concludersi con sentenze prive di esecuzione, con dispendio di risorse che potrebbero essere utilizzate per celebrare processi nei confronti di imputati presenti ovvero colpevolmente o volontariamente assenti.

 

Il Tribunale remittente aggiunge che la sospensione obbligatoria del processo penale a carico degli imputati irreperibili, oltre a porsi come soluzione «costituzionalmente obbligata», non creerebbe alcun problema nell’impianto generale del nostro processo penale. Da un lato, infatti, il nuovo testo dell’art. 159 cod. pen., introdotto dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, prevede l’automatica sospensione del corso della prescrizione in tutti i casi in cui la sospensione del processo penale è imposta per legge; dall’altro, il codice di rito già conosce l’ipotesi della sospensione obbligatoria del processo qualora l’imputato sia incapace di stare in giudizio (art. 71 cod. proc. pen.), senza che ciò faccia venire meno il principio di obbligatorietà dell’azione penale. Alla luce di tale tertium comparationis, quindi, si riscontrerebbe anche una violazione dell’art. 3 Cost. inteso come principio di ragionevolezza, posto che, in presenza di «situazioni omologhe (di totale inconsapevolezza dell’accusa) – ed entrambe comportanti l’impossibilità di garantire il contraddittorio costituzionalmente obbligatorio a livello oggettivo e soggettivo – viene prevista soltanto nei casi di cui agli artt. 70 e 71 c.p.p. la sospensione obbligatoria del processo (e, per l’effetto, del corso della prescrizione)».

 

L’ipotizzata sospensione, del resto, non andrebbe ad urtare contro il principio di ragionevole durata del processo pure previsto dall’art. 111 Cost., posto che l’unico modello di processo conforme a Costituzione è quello che prevede la presenza dell’imputato.

 

Quanto alla rilevanza, il remittente precisa che essa sussiste in quanto l’imputata è stata tratta a giudizio, su citazione diretta del pubblico ministero, col rito degli irreperibili, ossia tramite consegna al difensore d’ufficio all’uopo nominato; ed aggiunge che, sulla base delle norme impugnate, verificata la regolare instaurazione del contraddittorio e dichiarata la contumacia, il processo dovrebbe regolarmente proseguire. Il Tribunale, pertanto, chiede che le norme denunciate vengano dichiarate costituzionalmente illegittime «nella parte in cui non prevedono la sospensione obbligatoria del processo penale nei confronti degli imputati ai quali il decreto di citazione a giudizio è stato notificato previa emissione di decreto di irreperibilità».

 

Considerato in diritto

 

1.–– Il Tribunale di Pinerolo, in composizione monocratica, in sede di dibattimento instaurato con decreto di citazione diretta a giudizio notificato al difensore dell’imputata dopo l’emissione da parte del pubblico ministero del decreto di irreperibilità, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 10, primo comma, 97, primo comma e 111, secondo, terzo e quarto comma della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 159, 160, 420-quater, comma 1, e 484 del codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevedono la sospensione obbligatoria del processo nei confronti degli imputati ai quali il decreto di citazione a giudizio sia stato notificato previa emissione del decreto di irreperibilità».

 

Il remittente espone di essere consapevole che questa Corte, con la sentenza n. 399 del 1998, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 159 e 160 cod. proc. pen. sul rilievo che il legislatore, modificando la previgente disciplina, aveva previsto che fossero svolte più rigorose e ripetute ricerche al fine di limitare al massimo i processi a carico di irreperibili e nel contempo aveva anche regolato, nell’ambito dell’art. 175 cod. proc. pen., situazioni che consentissero a chi fosse stato giudicato, a sua insaputa, con il rito degli irreperibili, una volta venuto a conoscenza del processo, di esercitare il proprio diritto di difesa. Con tali modifiche il legislatore italiano aveva inteso adeguare la normativa interna alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), come interpretata dalla Corte di Strasburgo, in particolare con la sentenza del 12 febbraio 1985 (Colozza c. Italia).

 

Il Tribunale, tuttavia, ritiene che la questione debba essere riproposta con riguardo alle modifiche apportate, successivamente alla suddetta pronuncia di questa Corte, all’art. 111 Cost., i cui commi secondo, terzo e quarto impongono lo svolgimento di un effettivo contraddittorio come requisito di qualsiasi processo, in conformità con le norme dell’art. 6, lettere a) e b), della menzionata Convenzione, assicurando all’imputato garanzie non minori di quelle in essa previste. L’effettività del contraddittorio, alla stregua del novellato testo dell’art. 111 Cost., è richiesta non soltanto a tutela del diritto di difesa, ma anche come «garanzia oggettiva rispondente a un interesse di rilevanza pubblicistica».

 

Le suindicate modifiche costituzionali, ad avviso del remittente, rendono irrilevanti le misure cosiddette ripristinatorie o riparatorie, cioè dirette a tutelare il diritto di difesa dell’imputato una volta che sia venuto a formale conoscenza del processo svoltosi in sua contumacia.

 

Le disposizioni suddette sono censurate, inoltre, con riguardo all’art. 97, primo comma, Cost., perché un processo svoltosi senza che l’imputato abbia avuto conoscenza dell’accusa e possibilità di preparare la difesa sarebbe un processo inutile, con spreco di energie «finanziarie e lavorative» e violazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione.

 

Il Tribunale di Pinerolo ritiene che, per eliminare i suindicati profili di illegittimità costituzionale, si dovrebbe imporre la sospensione del processo nei confronti degli irreperibili e, a tal proposito, nel rammentare che l’art. 71 cod. proc. pen. prevede la sospensione del processo qualora l’imputato sia incapace, osserva che la situazione di colui che ignora la pendenza di un processo a suo carico perché irreperibile è assimilabile a quella di chi, essendo incapace, non è in grado di conoscere e valutare la pendenza del processo e difendersi. La mancata estensione all’irreperibile del trattamento processuale previsto per l’incapace costituirebbe violazione dell’art. 3 della Costituzione.

 

2.–– Nessuna delle censure proposte è fondata.

 

Il giudice remittente afferma che, a seguito delle innovazioni apportate all’art. 111 Cost. dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, l’esigenza del contraddittorio trascende la tutela delle posizioni soggettive delle parti e costituisce un’indefettibile connotazione del processo, sicché, ove questo si svolgesse senza effettivo contraddittorio, sarebbe un “simulacro” di processo. Ora, a prescindere da qualsiasi considerazione sulla validità della concezione oggettiva del contraddittorio, da essa non possono trarsi, ai fini della presente questione, le conseguenze prospettate con l’ordinanza di rimessione.

 

L’enunciazione del quarto comma dell’art. 111 Cost., secondo cui nel processo penale «la formazione della prova è regolata dal principio del contraddittorio», non comporta che il cosiddetto profilo oggettivo del medesimo non sia correlato con quello soggettivo e non costituisca comunque un aspetto del diritto di difesa. Mentre, infatti, il remittente non chiarisce se l’inutilità dei processi svoltisi senza effettivo contraddittorio sia, in ipotesi, tale da riguardare anche quelli definiti con sentenza di proscioglimento e non dice a chi dovrebbe competere farla valere, il comma quinto della medesima disposizione costituzionale, nell’ammettere la deroga al principio, fa riferimento anzitutto al consenso dell’imputato.

 

3.–– Si deve ritenere, pertanto, che ciò che conta è pur sempre la tutela del diritto di difesa, al quale, secondo lo stesso remittente, la CEDU non accorda, in tema di processo svoltosi in absentia, garanzie maggiori di quelle previste dall’art. 111 Cost., tanto che egli la evoca più come fonte ispiratrice del diritto interno in materia e dei criteri per interpretarlo che come autonomo parametro di costituzionalità.

 

A tal proposito è opportuno rilevare che la stessa Corte di Strasburgo, ancora di recente, con la seconda sentenza emessa nel caso Sejdovic (sentenza della Grande Camera del 1° marzo 2006), non ha negato in linea di principio il rilievo che possono assumere idonee misure ripristinatorie.

 

4.–– La censura proposta in riferimento all’art. 97, primo comma, Cost. non è fondata alla stregua del principio, più volte affermato da questa Corte, secondo il quale l’invocato parametro non riguarda la disciplina dell’attività giurisdizionale (v., da ultimo, ordinanze n. 462 del 2006 e n. 27 del 2007).

 

5.–– Per quanto concerne la asserita violazione dell’art. 3 Cost., prospettata sotto il profilo della disparità di trattamento dell’irreperibile rispetto all’incapace, disparità asseritamente ingiustificata, si rileva che la situazione di quest’ultimo non può fungere da tertium comparationis. E’ sufficiente, infatti, osservare, da una parte, che l’incapace può essere fisicamente presente, rendendo possibili le prove sulla sua persona, dall’altra (art. 71, comma 4, cod. proc. pen.) che è prevista la nomina di un curatore speciale, cui la legge demanda l’esercizio di facoltà processuali nell’interesse dell’incapace stesso. Ciò rende non adattabile alla situazione dell’irreperibile la sospensione del processo stabilita per l’imputato incapace.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 159, 160, 420-quater, comma 1, e 484 del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli artt. 3, 10, primo comma, 97, primo comma, e 111, secondo, terzo e quarto comma, della Costituzione, dal Tribunale di Pinerolo con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,  il 21 marzo 2007.

 

F.to:

 

Franco BILE, Presidente

 

Francesco AMIRANTE, Redattore

 

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2007.