Ordinanza n. 458 del 2007

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ORDINANZA N. 458

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                        Presidente

- Giovanni Maria          FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                  "

- Ugo                          DE SIERVO                                  "

- Paolo                        MADDALENA                               "

- Alfio                         FINOCCHIARO                            "

- Alfonso                     QUARANTA                                 "

- Franco                      GALLO                                         "

- Luigi                         MAZZELLA                                  "

- Gaetano                    SILVESTRI                                   "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                 SAULLE                                       "

- Giuseppe                   TESAURO                                     "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 4, della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), promosso con ordinanza del 22 maggio 2006 dalla Corte d’appello di Palermo nel procedimento penale a carico di C.G., iscritta al n. 507 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2006.

         Udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

         Ritenuto che, con l’ordinanza in epigrafe, la Corte d’appello di Palermo ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 4, della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), «nella parte in cui prevede, nel caso di annullamento di una sentenza di condanna di una Corte di assise di appello o di una Corte di appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione (su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza), l’inammissibilità dell’appello proposto dal p.m., anche quando sia già stata ammessa dalla Corte una prova da considerarsi decisiva ai sensi dell’art. 603» del codice di proceduta penale;

che la Corte rimettente premette in fatto che, con sentenza del Tribunale di Palermo, gli imputati sono stati assolti, in esito a giudizio abbreviato, dal reato di cui all’art. 416-bis del codice penale, perché il fatto non sussiste; che, a seguito di impugnazione del Procuratore della Repubblica di Palermo, gli imputati sono stati successivamente condannati dalla Corte d’appello di Palermo; che, infine, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna di secondo grado con rinvio alla Corte d’appello rimettente;

che nell’ordinanza si precisa altresì che la Corte rimettente, investita del nuovo giudizio, ha disposto «la rinnovazione parziale dell’istruzione sollecitata dal p.g., disponendo, tra l’altro, l’esame dei collaboratori di giustizia» – e ciò «sul rilievo che l’esame dei predetti soggetti si rivelava assolutamente necessario ai fini della decisione, ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., applicabile anche al giudizio abbreviato» – e che l’esame di alcuni collaboratori ha avuto solo parzialmente luogo;

che, quanto alla rilevanza della questione, la rimettente sottolinea che, nelle more del giudizio, è entrata in vigore la legge 20 febbraio 2006, n. 46, il cui art. 1 ha sostituito l’art. 593 cod. proc. pen., sottraendo al pubblico ministero il potere di appellare le sentenze di proscioglimento;

che l’art. 10 della medesima legge ha, inoltre, stabilito che la nuova disciplina si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge, prevedendo poi, al comma 2, che l’appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dall’imputato o dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della legge viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile e, al comma 4, che tale ultima disposizione «si applica anche al caso in cui sia stata annullata, su punti diversi dalla pena e dalla misura di sicurezza, una sentenza di condanna di una Corte di assise di appello o di una Corte di appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione»;

che, dunque, la questione di costituzionalità sarebbe rilevante nel giudizio a quo, «considerato che l’applicazione di tale legge comporta sicuramente una diversa disciplina del presente processo»;

che, nell’illustrare le ragioni della non manifesta infondatezza della questione, il rimettente mostra di non dubitare della legittimità costituzionale dei nuovi limiti introdotti al potere di impugnazione del pubblico ministero dalla novella del 2006, precisando anzi che «l’appello non costituisce mezzo di impugnazione costituzionalmente garantito» e che la differente posizione sostanziale dell’accusa e della difesa può legittimare un diverso atteggiarsi del regime delle impugnazioni, fermo restando il diritto del pubblico ministero di proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza «ritenuta ingiusta o erronea»;

che l’appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento resta peraltro consentito, per effetto delle modifiche recate dall’art. 1 della legge n. 46 del 2006 all’art. 593 cod. proc. pen., nel caso disciplinato dall’art. 603, comma 2, dello stesso codice, quando, cioè, sopravvengano o si scoprano nuove prove dopo il giudizio di primo grado, e sempre che tali prove risultino decisive;

che sarebbe proprio questa previsione, a giudizio della Corte rimettente, a conferire «ragionevolezza» e «coerenza» al nuovo sistema delle impugnazioni nel processo penale;

che, tuttavia, la deroga alla inappellabilità delle sentenze nelle ipotesi di cui all’art. 603, comma 2, sopra richiamato non è stata prevista in riferimento alla disciplina transitoria;

che è proprio di tale mancata estensione che si duole il giudice a quo, sottolineando che, nel caso di specie, tale omissione «porterebbe inevitabilmente alla declaratoria di inammissibilità dell’appello proposto dal pubblico ministero», nonostante sia già stata non solo ammessa una prova valutata come indispensabile ai fini della decisione, «ma parzialmente espletata una nuova prova»;

che la mancata previsione, in sede di disciplina transitoria, del potere di appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento – riconosciuto a regime dall’art. 593, comma 2, cod. proc. pen. nei casi di prova nuova decisiva – violerebbe l’art. 3 Cost. per il diverso trattamento irragionevolmente riservato a casi analoghi: a giudizio del rimettente, infatti, non vi sarebbe alcuna ragione di diversificare la disciplina a regime rispetto a quella transitoria, escludendo che possa valere anche in relazione a quest’ultima una analoga deroga al generale principio di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento.

Considerato che la Corte d’appello di Palermo dubita, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 4, della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui prevede che l’appello proposto dal pubblico ministero prima dell’entrata in vigore della legge sia dichiarato inammissibile, «anche quando sia già stata ammessa dalla Corte una prova da considerarsi decisiva ai sensi dell’art. 603» del codice di procedura penale;

che il comma 4 censurato fa espresso richiamo al comma 2 del medesimo articolo, stabilendo che tale disposizione – secondo cui l’appello proposto dall’imputato o dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della legge viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile – «si applica anche nel caso in cui sia annullata, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, una sentenza di condanna di una corte d'assise d’appello o di una corte d’appello che abbia riformato una sentenza di assoluzione»;

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, il citato comma 2 dell’art. 10 della legge n. 46 del 2006 è stato ritenuto costituzionalmente illegittimo da questa Corte, nella parte in cui prevede che è dichiarato inammissibile l’appello proposto dal pubblico ministero, prima dell’entrata in vigore della legge, avverso, rispettivamente, una sentenza dibattimentale di proscioglimento (sentenza n. 26 del 2007, che ha contestualmente dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 1 della legge n. 46 del 2006, sostitutivo dell’art. 593 cod. proc. pen.) e, per quanto più direttamente rileva nel giudizio a quo, una sentenza di proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato (sentenza n. 320 del 2007, che ha contestualmente dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della citata legge n. 46 del 2006, modificativo dell’art. 443, comma 1, cod. proc. pen.);

che, alla stregua delle richiamate pronunce di questa Corte, gli atti devono essere pertanto restituiti al giudice rimettente per un nuovo esame della rilevanza della questione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti alla Corte d’appello di Palermo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2007.