Ordinanza n. 351 del 2007

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ORDINANZA N. 351

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-     Franco                    BILE                                 Presidente

-     Giovanni Maria       FLICK                                 Giudice

-     Francesco                AMIRANTE                            "

-     Ugo                        DE SIERVO                            "

-     Paolo                      MADDALENA                        "

-     Alfio                      FINOCCHIARO                      "

-     Alfonso                  QUARANTA                           "

-     Luigi                      MAZZELLA                            "

-     Gaetano                  SILVESTRI                             "

-     Maria Rita               SAULLE                                 "

-     Giuseppe                 TESAURO                               "

-     Paolo Maria             NAPOLITANO                        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), promosso con ordinanza del 23 maggio 2005 dal Giudice di pace di Ottaviano nel procedimento civile vertente tra Napolitano Giuseppina e Assitalia – Le Assicurazioni d’Italia s.p.a., iscritta al n. 289 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Visto l’atto di costituzione di Napolitano Giuseppina;

udito nell’udienza pubblica del 25 settembre 2007 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;

udito l’avvocato Stefano Cianci per Napolitano Giuseppina.

Ritenuto che il Giudice di pace di Ottaviano, con ordinanza del 23 maggio 2005, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 (parametro quest’ultimo indicato in motivazione) della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), il quale stabilisce che le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV di detta legge sono promossi davanti alla corte d’appello competente per territorio;

che nel giudizio principale l’attrice ha chiesto la condanna di una società assicuratrice alla restituzione, a titolo di risarcimento del danno, della somma corrisposta quale premio relativo ad un contratto di assicurazione per la responsabilità civile derivante dalla circolazione di autoveicoli, per la parte asseritamente risultata in eccedenza, in quanto corrisposta a causa di una intesa tra le imprese del settore, dichiarata in violazione delle norme in materia di concorrenza di cui alla legge n. 287 del 1990, dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con provvedimento confermato dal giudice amministrativo;

che, pregiudizialmente, la società convenuta ha eccepito l’incompetenza per materia del giudice adito, indicando, ai sensi della norma censurata, la corte d’appello quale giudice competente, e, ad avviso del rimettente, l’eccezione sarebbe fondata, in virtù dell’interpretazione data a detta norma dalle sezioni unite civili della Corte suprema di cassazione (sentenza 4 febbraio 2005, n. 2207), assunta come “diritto vivente”;

che, tuttavia, secondo l’ordinanza di rimessione, il citato art. 33, comma 2, stabilendo la competenza della corte d’appello in ordine a controversie anche di valore economico esiguo, comporta in tal modo la necessità che le parti stiano in giudizio con il patrocinio di un avvocato e, perciò, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., violando i principi di ragionevolezza e di eguaglianza, in quanto comprimerebbe il diritto di difesa, costituzionalmente garantito, in danno dei cittadini meno abbienti, recando vulnus alla garanzia costituzionale del diritto di agire in giudizio, dato che escluderebbe «la possibilità dell’autodifesa» nelle suindicate controversie;

che, inoltre, la norma denunciata violerebbe gli artt. 3 e 24 Cost. anche perché, non ragionevolmente, «sacrifica il diritto a due gradi di giudizio di merito»;

che nel giudizio innanzi a questa Corte si è costituita l’attrice del processo principale, chiedendo che la questione sia accolta anche in riferimento a profili ed a parametri (art. 117, primo comma, Cost.) ulteriori rispetto a quelli indicati nell’ordinanza di rimessione.

Considerato che le questioni di legittimità costituzionale investono, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., l’art. 33, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), nella parte in cui, stabilendo che le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV di detta legge sono promossi davanti alla corte d’appello competente per territorio, secondo l’interpretazione offertane dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione, assunta quale “diritto vivente”, concerne anche le controversie promosse nei confronti di una società di assicurazioni, al fine di ottenerne la condanna, a titolo di risarcimento del danno, alla restituzione della parte di premio indebitamente corrisposta a causa di una intesa tra le imprese del settore, dichiarata in violazione delle norme in materia di concorrenza di cui a detta legge;

che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, non possono essere prese in considerazione le censure svolte dalle parti del giudizio principale, con riferimento a parametri costituzionali ed a profili non evocati dal giudice a quo (per tutte, sentenze n. 310 e n. 234 del 2006) e, quindi, la questione va esaminata entro i limiti del thema decidendum individuato dall’ordinanza di rimessione;

che la questione riferita agli artt. 3, 24 e 111 Cost. è stata sollevata sull’assunto che la norma censurata, stabilendo la competenza per materia della corte d’appello in ordine alle controversie sopra indicate, anche qualora abbiano ad oggetto somme di modesto importo – quindi riconducibili alla competenza per valore del giudice di pace – non permetterebbe alla parte l’autodifesa e, in tal modo, realizzerebbe una irragionevole disparità di trattamento in danno dei cittadini meno abbienti, vanificando la garanzia costituzionale del diritto di agire in giudizio;

che, indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla costante affermazione secondo la quale il legislatore ordinario, nella materia processuale, nel disciplinare i casi nei quali è prevista la necessità del patrocinio di un avvocato, e nel dettare le regole di ripartizione della competenza, gode della più ampia discrezionalità, che incontra il solo limite della manifesta irragionevolezza ed arbitrarietà (ex plurimis, ordinanze n. 460 del 2006; n. 193 del 2003; n. 481 del 2002), la questione così posta è del tutto ipotetica ed eventuale – quindi manifestamente inammissibile –, in quanto nel giudizio principale l’attrice è difesa da un avvocato, sicchè non si pone alcun problema in merito all’incidenza sulla facoltà di agire in giudizio dell’onere economico conseguente dalla necessità del ricorso alla difesa tecnica anche in controversie di esiguo valore (ordinanza n. 66 del 2006);

che la questione sollevata in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. sul rilievo che il citato art. 33, comma 2, non ragionevolmente, «sacrifica il diritto a due gradi di giudizio di merito», è manifestamente infondata, poiché, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il doppio grado di cognizione di merito non è riconosciuto dalla Costituzione quale necessaria garanzia di difesa (sentenze n. 433 del 1990; n. 301 del 1986; n. 198 del 1984; n. 78 del 1984; n. 22 del 1973; ordinanza n. 585 del 2000; v. anche ordinanze n. 107 del 2007; n. 84 del 2003).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., dal Giudice di pace di Ottaviano, con l’ordinanza in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, della legge n. 287 del 1990, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal medesimo Giudice di pace, con la stessa ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 ottobre 2007.