Sentenza n. 315 del 2007

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SENTENZA N. 315

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-         Franco                                          BILE                                      Presidente

-         Giovanni Maria                            FLICK                                               Giudice

-         Francesco                                     AMIRANTE                               "

-         Ugo                                              DE SIERVO                               "

-         Paolo                                            MADDALENA                          "

-         Alfio                                            FINOCCHIARO                        "

-         Alfonso                                        QUARANTA                             "

-         Franco                                          GALLO                                      "

-         Luigi                                            MAZZELLA                              "

-         Gaetano                                       SILVESTRI                                "

-         Sabino                                          CASSESE                                   "

-         Maria Rita                        SAULLE                                    "

-         Giuseppe                                      TESAURO                                 "

-         Paolo Maria                                  NAPOLITANO                          "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 44, comma 1, lettera b) e 46, secondo comma, della legge 4 agosto 1983 n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), promosso con ordinanza del 21 aprile 2006 dalla Corte d’appello di Venezia nel procedimento civile vertente tra B. L. in proprio e per il figlio minore e P.A., iscritta al n. 338 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Visti gli atti di costituzione di B.L. in proprio e per il figlio minore, di P.A., fuori termine, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 22 maggio 2007 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;

uditi l’avvocato Albino Lacava per P.A. e l’avvocato dello Stato Attilio Barbieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – La Corte d’appello di Venezia, nella causa promossa in appello da B. L., in proprio e quale unico genitore esercente la potestà sul figlio minore N., con ordinanza depositata il 21 aprile 2006, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 1, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui non consente al coniuge sopravvissuto, in caso di morte dell’altro coniuge, genitore del minore che s’intende adottare, di chiedere l’adozione del medesimo, per contrasto col principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione; nonché dell’art. 46, secondo comma, della stessa legge n. 184 del 1983, nella parte in cui esclude che il tribunale possa superare il diniego di assenso del genitore del minore adottando, che sia nel pieno possesso della potestà genitoriale, quand’anche detto diniego sia contrario al primario interesse del minore, per contrasto con gli artt. 2 e 31, secondo comma, della Costituzione.

Premette la Corte rimettente che, avanti al Tribunale per i minorenni di Venezia, P. A. esponeva che in data 21 febbraio 2004 aveva contratto matrimonio con N. D., che già da otto anni con lui conviveva unitamente ai figli B., F. e N., nati dal precedente matrimonio con B. L., di cui era stata dichiarata la cessazione degli effetti civili in data 16 gennaio 2003; che la separazione consensuale tra la donna ed il primo marito, B.L., era avvenuta nel 1996, anche se di fatto era iniziata nell’ottobre 1994; che sia il ricorso di separazione consensuale sia la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio prevedevano l’affidamento dei figli alla madre e l’obbligo del padre a concorrere nel loro mantenimento, mentre quest’ultimo. non vi aveva mai ottemperato, tralasciando di curare anche il rapporto affettivo con essi ed in particolare con N., nato il 3 settembre 1992, limitandosi a pochi incontri con il figlio minore nonostante la previsione del suo diritto di visita sia nella separazione sia nel divorzio; che pertanto N., dall’età di due anni, aveva prima vissuto solo con la madre e poi, dal 1996, con la nuova famiglia composta, oltre che dalla madre e dal fratello maggiore F., anche da esso ricorrente; che il 18 agosto 2004 N. D. era deceduta a seguito di una grave malattia iniziata ancor prima del matrimonio; che la donna, nonostante la malattia già in atto, poco dopo il divorzio dal primo marito, B.L.  aveva voluto contrarre matrimonio con il ricorrente per tutelare al meglio i figli, che lo stesso ricorrente aveva sino ad allora seguito come propri; che era interesse primario del minore N. vivere nell’habitat attuale, presso la famiglia dello stesso sempre conosciuta, vale a dire quella costituita da esso ricorrente, dal fratello F. e dalla sorella maggiorenne B. F. anch’essa andata a stare in tale nucleo. Tanto premesso, P.A., affermando l’esistenza dei presupposti di legge e l’irrilevanza dell’eventuale dissenso del padre biologico B. L., chiedeva l’adozione del minore B. N., ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera b), della legge n. 183 del 1984.

Il Tribunale per i Minorenni di Venezia, con provvedimento temporaneo ed urgente pronunciato in data 10 settembre 2004, a seguito di istanza urgente del ricorrente, ritenuta la sussistenza del fumus boni iuris e della stabilità di relazioni, di rapporti scolastici e di luoghi abitativi e che vi era urgenza di decidere perché il padre aveva manifestato la volontà di avere con sé il figlio, affidava il minore B.N. al ricorrente.

Il padre del minore, costituitosi in giudizio, eccepiva il difetto di legittimazione in capo al ricorrente, atteso che l’art. 44, comma 1, lettera b), della legge n. 183 del 1984 presuppone che il ricorrente sia il coniuge di uno dei genitori del minore che s’intende adottare mentre, nella fattispecie, il P. non aveva tale qualità, in quanto vedovo di N., la cui morte aveva sciolto il matrimonio; deduceva, poi, l’insussistenza dei presupposti per farsi luogo all’adozione e, in particolare, il consenso del genitore esercitante la patria potestà sul minore, che il B. negava ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 46, secondo comma, della legge n. 183 del 1984. B. L. faceva a tal proposito presente che mai era stato sospeso dalla potestà genitoriale sul figlio N., nonostante l’esercizio di fatto gli venisse illegittimamente impedito dall’atteggiamento ostativo del P.. Chiedeva, quindi, il rigetto del ricorso ed il rientro immediato del figlio minore presso di sé, affermando di avere sempre avuto un ottimo rapporto con il figlio, e di avere, dopo la morte della madre, inutilmente chiesto la consegna del minore. Venivano altresì sentiti personalmente i due fratelli maggiorenni di B. N., i quali si dichiaravano d’accordo con la richiesta di adozione svolta da P. A. ritenendola nell’interesse del fratello minore. Veniva sentito infine il minore B. N., di anni 13, che pure dichiarava il proprio desiderio di essere adottato dal ricorrente, con lui convivente da molto tempo, rappresentando che B. L. non si era mai interessato veramente a lui e a sua madre quando era in vita, anche nel periodo della malattia di quest’ultima.

Sentito il parere del pubblico ministero, che concludeva per l’accoglimento del ricorso, la controversia veniva portata al collegio per la decisione ed infine decisa con sentenza depositata l’8 maggio 2005, con cui il Tribunale per i minorenni dichiarava farsi luogo all’adozione del minore B. N. da parte di P. A., ritenuta la di lui legittimazione, anche se vedovo e non più coniuge, quale coniuge superstite della madre del bambino, visto che la morte della donna non aveva fatto cessare tutti gli effetti che la legge riconosce al matrimonio in quanto espressamente tutelati, appunto, oltre la morte stessa, quali quelli in materia di successione e filiazione, nonché di adozione, laddove questa, ad esempio, è consentita dall’art. 25 della legge n. 183 del 1984, al coniuge supersite quando l’altro sia morto durante l’affidamento preadottivo, con conseguente inserimento dell’adottato in una famiglia costituita non più da due, ma da un solo soggetto. Il Tribunale riteneva inoltre non ostativa all’adozione speciale di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), della legge n. 183 del 1984, la mancanza di assenso da parte del B., padre legittimo del minore, in quanto, se anche egli non era decaduto dalla potestà sul figlio, tuttavia, non avendola di fatto esercitata, venendo meno al dovere di responsabilità che l’istituto richiede, non poteva essere ritenuto il genitore esercente la potestà, essendo stata ex art. 155 del codice civile solo la madre, fino alla morte, a curarsi del figlio, mentre egli pur dopo la morte della moglie divorziata, non aveva mai, appunto, esercitato in concreto quei poteri, doveri e oneri che integrano l’esercizio della potestà genitoriale.

La decisione veniva appellata dal B.N. che chiedeva che fosse respinta la domanda del P. e fosse disposta l’immediata restituzione a lui del minore, previa revoca del provvedimento cautelare di affido temporaneo del 10 settembre 2004, lamentando, in rito, non essere stato integrato il contraddittorio nei confronti del minore stesso, quale parte necessaria, e, nel merito, che il P., quale vedovo e quindi non più coniuge della defunta N. D., madre dell’adottando, non era legittimato ad agire, non potendosi la norma anteporre in via cronologica od ostativa, siccome erroneamente aveva fatto il Tribunale per i minorenni, trattandosi di norma speciale.

Interveniva in causa il Procuratore generale, il quale concludeva per la conferma della prima pronuncia, avuto riguardo alla ratio dell’adozione speciale di cui alla legge n. 183 del 1984, volta all’inserimento del minore nel contesto familiare adeguato anche a prescindere, quindi, dalla sopravvenuta morte di uno dei coniugi adottanti, mentre non rilevava il rifiuto del B., quale genitore senz’altro non esercente la potestà e fermo, infine, il concreto interesse del minore alla chiesta adozione, sia per la volontà da lui espressa, sia per la convivenza anche con gli altri fratelli.

Ciò posto, la Corte d’appello non ritiene di poter accogliere la opzione interpretativa adottata dal Tribunale, osservando che essa è impedita dalla formulazione letterale della normativa in questione, di cui sottolinea la inidoneità a tutelare l’interesse del minore, che ha primario rilievo costituzionale.

Il Collegio rimettente richiama altresì l’art. 3 della Convenzione di New York 20 novembre 1989, resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, nonché la giurisprudenza costituzionale che attribuisce rilievo preminente a detto interesse, al quale tutti gli altri restano subordinati (sentenza 13 maggio 1998, n. 166).

La Corte si fa carico delle risultanze processuali dalle quali emergerebbe come il reclamo del padre del minore tenda a soddisfare solo un suo personale interesse egocentrico, ma gli riconosce, sulla base della normativa attuale, la possibilità di invocare a suo favore il disposto dell’art. 46 della legge n. 184 del 1983.

Né, secondo il Collegio rimettente, la questione potrebbe risolversi con l’apertura di un procedimento a carico del B. per condotta pregiudizievole nei confronti del figlio ai sensi dell’art. 333 del codice civile, non potendosi intendere per tale l’uso del diritto a proprio favore. In tale situazione, secondo la Corte d’appello, l’interesse del minore potrebbe essere salvaguardato solo attraverso una pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 44, comma 1, lettera b), della legge n. 184 del 1983, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, apparendo non ragionevole che il successivo art. 47 riconosca la possibilità dell’adozione non legittimante anche nell’ipotesi in cui uno dei coniugi deceda durante l’iter, e non abbia invece come analoga finalità preminente l’interesse del minore all’inserimento nel contesto familiare a lui adeguato, quando il coniuge-genitore sia deceduto prima dell’inizio dell’iter, ancor più quando questo coniuge-genitore aveva già manifestato in vita di voler seguire tale iter.

Ulteriormente irragionevole appare al Collegio rimettente il limite legislativo, ove si consideri che anche nell’art. 25 della stessa legge n. 183 del 1984 si rimarca la prevalenza dell’interesse del minore, acconsentendo che si arrivi all’adozione quando si verifica la morte del genitore dell’adottando durante il periodo di affidamento preadottivo. E l’irrazionalità di tali diverse previsioni, per casi che si presentano analoghi, si evincerebbe vieppiù ove si consideri che in entrambe le situazioni si verifica l’ipotesi di un’adozione assunta da un soggetto singolo (appunto il vedovo), e non da una coppia genitoriale, il che dimostra ulteriormente che dovrebbe sempre e comunque prevalere l’interesse del minore.

Nella richiesta di declaratoria di illegittimità costituzionale viene coinvolto poi l’art. 46, secondo comma, della legge n. 184 del 1983, per contrasto con l’art. 2 della Costituzione, ove si proclama la tutela della personalità dell’individuo, e con l’art. 31, secondo comma, Cost., che garantisce protezione ai minori. La norma censurata appare alla Corte rimettente incoerente col sistema che privilegia la protezione dell’interesse del minore, ancorandosi invece all’istituto della potestà genitoriale per ritenere in via presuntiva che è sempre interesse del minore tornare col padre legittimo, anche quando costui se ne sia costantemente disinteressato.

2. – Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituito B.L., in proprio e quale unico genitore esercente la potestà sul figlio N., concludendo per la inammissibilità per irrilevanza o per la infondatezza della questione sollevata, che, a suo avviso, è unica, in quanto la impugnazione della norma dell’art. 46, secondo comma, della legge n. 184 del 1983, anche se annunciata nella ordinanza, sarebbe, di fatto, mancata. In ogni caso, la questione, o le questioni, sarebbe(ro) inammissibile(i) perché il giudizio principale si sarebbe dovuto decidere indipendentemente dalla stessa, per la mancata notificazione del ricorso al minore interessato.

Altra ragione di irrilevanza risiederebbe nella circostanza che, anche in caso di accoglimento della questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 1, lettera b), della legge n. 184 del 1983, il dissenso all’adozione del genitore, ai sensi dell’art. 46, secondo comma, della stessa legge – norma ritenuta, per quanto si è visto, non impugnata – impedirebbe in ogni caso l’accoglimento dell’appello.

Ulteriore causa di inammissibilità per irrilevanza della questione consisterebbe nel fatto che, anche in ipotesi di accoglimento di entrambe le questioni, il provvedimento del Tribunale dei minori andrebbe comunque annullato, per la mancanza del consenso di entrambi i genitori del minore previsto dall’art. 46, primo comma, della legge: del padre perché contrario, della madre perché premorta.

Infine, la pronuncia dell’adozione di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), non deciderebbe né con chi debba vivere il minore né chi eserciti la potestà sullo stesso. E la decisione del Tribunale minorile sarebbe abnorme proprio per aver attribuito una siffatta funzione alla adozione di cui si tratta.

Nel merito, la parte privata costituita ritiene manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 1, lettera b), della legge n. 184 del 1983. Rileva il B. che, poiché l’art. 29 Cost. tutela i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, è legittimo il requisito posto dalla norma impugnata all’aspirante adottante di essere coniuge, mentre, se si dovesse estendere la legittimazione al vedovo, questa dovrebbe, poi, estendersi altresì al divorziato o al convivente, ed ancora alle coppie omosessuali.

La scelta del legislatore avrebbe, poi, una base psicopedagogica, in quanto l’adozione di cui si tratta avrebbe senso solo se ed in quanto adottante e coniuge costituiscano una famiglia composta di due figure, di valenza rispettivamente paterna e materna, in cui si inserisca il minore. Sicché, sarebbe incostituzionale, per contrasto con l’art. 29 Cost., l’art. 47 della legge n. 184 del 1983, nella parte in cui consente il completamento della procedura per l’adozione, anche se nel corso della stessa il genitore-coniuge sia deceduto, e non l’art. 44, comma 1, lettera b).

La parte privata esamina altresì la questione di legittimità costituzionale dell’art. 46, secondo comma, della legge n. 184 del 1983, che, pure, ritiene non sollevata, e conclude per la infondatezza della stessa. Premette il B. di non essersi affatto disinteressato del figlio N., che gli sarebbe stato tenuto lontano dalla madre e dal suo nuovo coniuge, sicché sarebbe interesse del minore recuperare il rapporto con il padre. La questione di cui si tratta non sarebbe stata, comunque, illustrata dal Collegio rimettente, che non avrebbe spiegato ciò in cui consisterebbe il contrasto con gli artt. 2 e 31 Cost., limitandosi ad un generico richiamo a considerazioni di opportunità. Comunque, il sistema adottato dall’ordinamento sarebbe ragionevolmente bilanciato, riconoscendo anzitutto la famiglia, ed intervenendo con mezzi graduati solo qualora il comportamento di un genitore costituisca un pericolo per il figlio, sospendendo, o limitandone la potestà, o allontanando il figlio da lui, e affidandolo ad un’altra coppia in casi estremi in cui entrambi i genitori siano inidonei.

3. – Nel giudizio innanzi alla Corte si è altresì costituito P.A., parte privata richiedente l’adozione, che, con argomentazioni adesive a quelle di cui alla ordinanza di rimessione, ha concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa censurata.

4. – Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità o la infondatezza delle questioni.

Quanto alla prima di esse, l’Autorità intervenuta rileva che il giudice a quo non avrebbe proceduto ad una lettura costituzionalmente orientata della norma censurata. Anzitutto, la morte del coniuge genitore non farebbe venir meno il rapporto di coniugio, e, con esso, l’applicabilità dell’art. 44, comma 1, lettera b), della legge n. 184 del 1983. Ma, anche se si opinasse diversamente, non potrebbero trarsi elementi contrari alla interpretazione suggerita dalla Avvocatura dalle norme dell’art. 25, comma 4, e 47, comma 2, della stessa legge, richiamate nella ordinanza di rimessione, che disciplinano gli effetti del decesso sull’adozione, disciplinando la sopravvivenza della relativa domanda al decesso di uno degli istanti. Dette disposizioni si riferiscono a situazioni diverse da quella presa in esame, riguardando l’art. 25, comma 4, la domanda di adozione legittimante, l’art. 47, comma 2, quella non legittimante, e tuttavia entrambe finalizzate ad assicurare al minore la costruzione del legame giuridico con i due genitori anche qualora uno dei due sia deceduto in itinere.

Quanto alla seconda questione, rileva l’Avvocatura generale che, pur tenuto conto della preminenza dell’interesse del minore, vanno considerati anche gli interessi concorrenti con esso, quale, nella specie, quello del genitore esercente la potestà, che incarna quello della famiglia biologica. Andrebbe, perciò, valutato se il sistema sia in grado di garantire il contemperamento tra gli stessi. Al riguardo, si sottolinea nella memoria la innovazione operata dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, che, introducendo il principio generale dell’esercizio congiunto della potestà genitoriale anche in caso di separazione personale tra coniugi, ha ampliato la sfera delle facoltà esercitabili dai genitori non affidatari e non conviventi, rafforzando in tal modo anche i contenuti sottesi al secondo comma dell’art. 46 della legge n. 184 del 1983, quale estrinsecazione delle facoltà connesse all’esercizio della potestà genitoriale. Pertanto, l’effetto impediente attribuito dalla citata norma al rifiuto di assenso del genitore all’adozione risponde ad una esigenza già avvertita, e poi tradotta dal legislatore nei termini di cui alla citata riforma in tema di potestà genitoriale. Del resto, rileva l’Avvocatura generale, il sistema predispone risorse efficaci per limitare, ai sensi dell’art. 333 del codice civile, la potestà del genitore dissenziente ove il riavvicinamento al figlio non corrisponda all’interesse di quest’ultimo, ed eventualmente disporne l’affidamento allo stesso richiedente l’adozione; ovvero per dichiarare la decadenza, ai sensi dell’art. 330 cod. civ., dalla potestà.

In definitiva, l’interesse del minore, ove confliggente con quello del genitore, potrebbe essere preservato attraverso i mezzi predisposti dall’ordinamento.

Considerato in diritto

1. – La Corte d’appello di Venezia dubita della legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 1, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui non consente al coniuge sopravvissuto, in caso di morte dell’altro coniuge, genitore del minore che s’intende adottare, di chiedere l’adozione del medesimo, per violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, tenuto conto che il successivo art. 47 riconosce la possibilità dell’adozione non legittimante anche nell’ipotesi in cui uno dei coniugi deceda durante l’iter per l’adozione, e che anche nell’art. 25 della stessa legge n. 183 del 1984 si rimarca la prevalenza dell’interesse del minore, acconsentendo che si arrivi all’adozione quando si verifica la morte del genitore dell’adottando durante il periodo di affidamento preadottivo; nonché dell’art. 46, secondo comma, della stessa legge n. 184 del 1983, nella parte in cui esclude che il tribunale possa superare il diniego di assenso del genitore del minore adottando, che sia nel pieno possesso della potestà genitoriale, quand’anche detto diniego sia contrario al primario interesse del minore, per violazione degli artt 2 Cost., che proclama la tutela della personalità dell’individuo, e 31, secondo comma, Cost., che garantisce protezione ai minori.

2. – Le eccezioni di inammissibilità sollevate da B. L. sono infondate.

Ed infatti, quanto al rilievo della mancata notificazione del ricorso al minore interessato, va osservato che la questione di legittimità costituzionale all’odierno esame è stata sollevata nel corso di un giudizio di appello promosso dallo stesso B. L. con ricorso presentato in proprio e in qualità di unico genitore esercente la potestà genitoriale sul minore stesso.

Ai fini, poi, del rigetto della eccezione di inammissibilità, per irrilevanza, nel giudizio principale, del dissenso all’adozione del minore da parte del genitore, è sufficiente rilevare che, contrariamente all’assunto della parte privata, la censura di illegittimità costituzionale investe non solo l’art. 44, comma 1, lettera b), della legge n. 184 del 1983, ma anche l’art. 46, secondo comma, della stessa legge, sicché deve escludersi che, nella specie, detto dissenso renda comunque priva di rilevanza la questione di legittimità costituzionale del citato art. 44, comma 1, lettera b).

Le residue censure di inammissibilità attengono all’evidenza al merito del giudizio di costituzionalità.

3. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 1, lettera b), della legge n. 184 del 1983, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, non è fondata, sulla base delle considerazioni che seguono.

Il legislatore – sostituita la titolazione originaria del Titolo VIII del Libro I del codice civile «Dell’adozione» con quella di «Adozione di persone maggiori di età» (art. 58 della legge n. 184 del 1983), per essere ormai l’adozione dei minori disciplinata dagli artt. 6 e seguenti della stessa legge – ha ritenuto di mantenere l’adozione cosiddetta ordinaria in particolari ipotesi.

Ha compiuto cioè – come si legge nella Relazione della II Commissione permanente del Senato, comunicata il 28 luglio 1982 – una scelta diretta ad una drastica riduzione a ipotesi limitate e tassative dell’applicabilità ai minori dell’adozione cosiddetta ordinaria, che corrisponde alla evoluzione avutasi, nella cultura giuridica e nel costume, dell’istituto dell’adozione dei minori. Tale scelta ha segnato più nettamente il passaggio da una tradizione privatistica ad una funzione pubblicistica dell’istituto e la sua considerazione alla stregua dell’esclusivo interesse del minore.

In presenza di situazioni che non avrebbero potuto – per la mancanza della condizione di abbandono di cui al comma 1 dell’art. 7 (art. 44, comma 1) o per la difficoltà concreta, in considerazione di condizioni personali del minore – giustificare l’adozione legittimante, il legislatore ha disciplinato alcune tassative ipotesi prevedendo una forma di adozione che presenta la peculiarità di non avere effetto legittimante nei confronti dell’adottato, né effetto risolutivo nei confronti della famiglia di origine. Essa è stata definita come «adozione in casi particolari», ma che, più propriamente, la dottrina qualifica come “adozione non legittimante”.

Si tratta di ipotesi eccezionali rispetto al sistema introdotto dalla legge n. 184 del 1983, per il quale «il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’àmbito della propria famiglia» (art. 1, comma 1), mentre solo «quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all’educazione del minore, si applicano gli istituti di cui alla presente legge» (art. 1, comma 4). Fra tali ipotesi residue vi è quella di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), per la quale il minore può essere adottato «dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge».

La ratio della richiamata disposizione è quella di consentire al coniuge di soggetto che sia genitore convivente con il minore una adozione non legittimante dello stesso, inserendolo in una famiglia nella quale si ricostituiscono le due figure genitoriali, una delle quali è già genitore (legittimo, naturale o adottivo), mentre l’altra, l’adottante, lo diventa a seguito dell’accoglimento della relativa domanda. Il legislatore, cioè, giustifica questa forma di adozione in considerazione della finalità di attribuire all’adottante la potestà genitoriale sul minore unitamente all’altro genitore del minore con il quale quest’ultimo conviveva (art. 48, primo comma).

Condizione indispensabile perché si possa far luogo a questo tipo di adozione è l’esistenza attuale, al momento dell’inizio della procedura e comunque prima della prestazione dell’assenso di cui all’art. 46, del rapporto di coniugio fra chi intende procedere all’adozione ed il genitore del minore adottando.

La sussistenza di questo rapporto, fra coniuge adottante, genitore del minore e minore stesso, individua il legittimato attivo alla relativa azione e costituisce presupposto indispensabile perché si possa giungere all’accoglimento della domanda.

Da quanto premesso deriva che la morte del genitore del minore avvenuta – come nella specie – prima della proposizione della domanda e della prestazione dell’assenso, fa venire meno una delle condizioni dell’azione e comporta il rigetto della relativa domanda.

Il giudice rimettente non contesta che sia questo il contenuto della norma, ma ne deduce la incostituzionalità per violazione dell’art. 3 della Costituzione, apparendo non ragionevole se raffrontato alla disposizione di cui al successivo art. 47, che riconosce la possibilità dell’adozione non legittimante anche nell’ipotesi in cui uno dei coniugi deceda durante l’iter per l’adozione, e tenuto anche conto che nell’art. 25 della stessa legge n. 184 del 1983 si rimarca la prevalenza dell’interesse del minore, acconsentendo che si arrivi all’adozione quando si verifica la morte del genitore dell’adottando durante il periodo di affidamento preadottivo.

Proprio le norme invocate a sostegno dell’incostituzionalità dimostrano, invece, la ragionevolezza delle scelte operate.

Il legislatore, cioè, posto di fronte a situazioni che impedirebbero l’accoglimento della domanda per essere venute meno successivamente alla proposizione della stessa le condizioni necessarie previste dalla legge (rapporto di coniugio in atto al momento della prestazione dell’assenso, in tema di adozione in casi particolari; rapporto di coniugio almeno triennale e mancanza di separazione, anche di fatto, successivamente all’affidamento preadottivo in tema di adozione legittimante) – facendo applicazione eccezionale, in tema di azioni costitutive di uno status, del principio secondo cui il tempo necessario per l’attribuzione del bene della vita richiesto non deve risolversi in un danno per l’interessato a tale attribuzione –, ammette l’adozione, su richiesta di uno o di entrambi i coniugi, a seconda delle varie ipotesi, purché le condizioni richieste preesistano ad un determinato momento successivo alla proposizione dell’azione ed individuato in quello dell’affidamento preadottivo, in caso di adozione legittimante, ed in quello della prestazione dell’assenso, in caso di adozione non legittimante.

L’interesse del minore, se giustifica, secondo i casi, l’adozione legittimante o non legittimante, che sarebbe altrimenti impossibile per essere venute meno, successivamente alla proposizione della domanda, le condizioni dell’azione, all’origine esistenti, non consente che si prescinda da tali condizioni fin dal momento della proposizione della domanda stessa. L’accoglimento della tesi qui contestata sarebbe in contrasto con i princípi dell’adozione, in quanto introdurrebbe una incertezza sulle condizioni dell’azione.

Seppure è vero che la morte di un coniuge non esclude la rilevanza, ad altri effetti, del pregresso rapporto coniugale, non da ciò solo deriva la possibilità di considerare tale rapporto come ancora esistente ai fini dell’adozione.

Ciò non esclude che, per restare nell’ambito della fattispecie in esame, il legislatore ordinario possa consentire l’adozione al nuovo coniuge, per la tutela dell’interesse del minore, anche in ipotesi di decesso del genitore del minore stesso in un momento precedente la prestazione dell’assenso.

4. – La pronuncia che precede determina l’inammissibilità, per irrilevanza, della questione di costituzionalità dell’art. 46, secondo comma, della stessa legge n. 184 del 1983, nella parte in cui esclude che il tribunale possa superare il diniego di assenso del genitore del minore adottando, che sia nel pieno possesso della potestà genitoriale, dal momento che il suo eventuale accoglimento non avrebbe alcun effetto nella fattispecie in esame.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 1, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Venezia con l’ordinanza in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 46, secondo comma, della stessa legge n. 184 del 1983, sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 31 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Venezia, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2007.