Ordinanza n. 281 del 2007

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ORDINANZA N. 281

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

- Franco                      BILE                                       Presidente

- Giovanni Maria         FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                 "

- Ugo                          DE SIERVO                                 "

- Paolo                        MADDALENA                             "

- Alfio                        FINOCCHIARO                           "

- Franco                      GALLO                                        "

- Luigi                        MAZZELLA                                 "

- Gaetano                    SILVESTRI                                  "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                SAULLE                                      "

- Giuseppe                  TESAURO                                    "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni) e 380, comma 2, lettera e), del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 18 agosto 2005 dal Tribunale per i minorenni di Firenze nel procedimento penale a carico di B. F., iscritta al n. 46 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Udito nella camera di consiglio del 20 giugno 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Firenze ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 23 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni) e dell’art. 380, comma 2, lettera e), del codice di procedura penale, nella parte in cui ammettono l’applicazione della custodia cautelare per il reato di cui agli artt. 56, 624 e 625, primo comma, n. 2, prima ipotesi, del codice penale, «confrontati con la disciplina cautelare penale prevista dall’art. 23 d.P.R. 448/88 per il tentativo di furto in abitazione aggravato»; reato, quest’ultimo, in ordine al quale – ancorché «sicuramente più grave» del primo – non potrebbe essere applicata la misura della custodia «in istituto penale minorile»;

che il giudice a quo premette di essere stato investito della richiesta di convalida dell’arresto e di applicazione della misura della custodia cautelare nei confronti di un minorenne, tratto in arresto nella quasi flagranza del delitto di tentato furto in concorso di una autovettura, aggravato anche dalla violenza esercitata sulle cose; e che, nella specie, sussisterebbero tutti i presupposti per l’applicazione della più grave misura coercitiva;

che, tuttavia, ponendo a raffronto la fattispecie oggetto di delibazione cautelare con quella del furto in abitazione previsto dall’art. 624-bis cod. pen. (in ipotesi, anch’esso aggravato dalla violenza sulle cose), se ne dovrebbe dedurre – a parere del giudice rimettente – che, malgrado la maggiore gravità di quest’ultima figura criminosa, la stessa non sarebbe prevista fra le ipotesi di reato richiamate dall’art. 23, comma 1, del citato d.P.R. n. 448 del 1988; quest’ultima previsione, infatti, consente la applicazione della custodia cautelare, in tema di furto, nel caso previsto dall’art. 380, comma 2, lettera e), cod. proc. pen.: vale a dire quando ricorre la circostanza aggravante della violenza sulle cose, prevista dall’art. 625, primo comma, numero 2), prima ipotesi, cod. pen., e non invece nel caso del furto in abitazione;

che tale conclusione deriverebbe dal rilievo, non esplicitato dal giudice a quo, ma implicitamente desumibile dal suo percorso argomentativo, per il quale – a seguito della introduzione, come figure autonome di reato, del furto in abitazione e del furto con strappo di cui all’art. 624-bis, ad opera dell’art. 2, comma 2, della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini); nonché a seguito della correlativa introduzione, nell’art. 380, comma 2, cod. proc. pen., della lettera e-bis), destinata appunto ad inserire, fra i casi di arresto obbligatorio in flagranza, anche le “nuove” figure di reato, introdotte dal richiamato art. 624-bis cod. pen. (“innesto”, quello testè citato, effettuato ad opera dell’art. 10, comma 2, della già citata legge n. 128 del 2001) – il mancato contestuale “adeguamento” dei richiami all’art. 380 cod. proc. pen., che compare nel testo dell’art. 23 del d.P.R. n. 448 del 1988, equivarrebbe ad una esclusione delle nuove figure autonome di furto dal novero dei reati per i quali nel processo a carico degli imputati minorenni è consentita l’applicazione della custodia cautelare;

che, pertanto, la disciplina oggetto di censura si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza e di ragionevolezza, in quanto, alla stregua dei riferiti rilievi, «dovrebbe applicarsi un trattamento cautelare più pesante per un reato più lieve»;

che nel giudizio non vi è stata costituzione delle parti private né ha svolto atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri .

Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Firenze ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 23 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni) e 380, comma 2, lettera e), del codice di procedura penale, nella parte in cui consentono l’applicazione della misura della custodia cautelare nei confronti degli imputati minorenni in ordine al reato di cui agli artt. 56, 624 e 625, primo comma, numero 2), prima ipotesi, cod. pen., mentre escludono l’applicabilità della stessa misura in riferimento al più grave reato di tentato furto in abitazione, parimenti aggravato dalla violenza sulle cose;

che tale conseguenza deriverebbe dalla introduzione della figura autonoma di furto in appartamento a norma dell’art. 624-bis cod. pen. e dalla correlativa previsione, fra i casi di arresto obbligatorio in flagranza, della lettera e-bis), nel comma 2 dell’art. 380 cod. proc.pen., giacchè – non risultando essere stato simmetricamente modificato l’art. 23 del d.P.R. n. 448 del 1988, nella parte in cui prevede la possibilità di applicare la custodia cautelare in taluni casi di arresto obbligatorio in flagranza – la più grave misura custodiale può trovare applicazione nelle ipotesi di furto disciplinate dalla lettera e) dell’art. 380 cod. proc. pen., (espressamente richiamata dallo stesso art. 23 del d.P.R. n. 448 del 1998), ma non nella più grave (e nuova) figura di furto in appartamento, ora autonomamente prevista nella lettera e-bis) del citato art. 380 cod. proc. pen.;

che tale lettura del quadro normativo di riferimento – per di più, neppure esplicitata con chiarezza nella scarna ordinanza di rimessione – evidentemente si fonda sul presupposto di ritenere che il richiamo all’art. 380 cod. proc. pen., effettuato dal più volte citato art. 23 del d.P.R. n. 448 del 1988, operi quale rinvio cosiddetto formale o mobile, e come tale sia suscettibile di trovare applicazione anche in rapporto alle eventuali successive modifiche apportate alla norma richiamata;

che, peraltro, è del tutto evidente come l’intendimento perseguito dal legislatore nell’introdurre, quali figure autonome di furto, le ipotesi del furto in appartamento e del furto con strappo, sia stato quello di inasprire il relativo trattamento sanzionatorio in ragione della peculiare pericolosità di tali condotte criminose: con l’ovvia conseguenza che la relativa previsione fra i casi di arresto obbligatorio in flagranza, sotto la nuova lettera e-bis dell’art. 380 cod. proc. pen., lungi dal rappresentare una scelta innovativa, ha costituito lo strumento “tecnico” destinato a soddisfare esclusivamente una esigenza formale di coordinamento normativo;

che, pertanto, risulta di conseguenza evidente come il mancato “adeguamento” dell’art. 23 del d.P.R. n. 448 del 1988 alla nuova “rassegna” delle ipotesi di furto enunciate dall’art. 380 cod. proc. pen., come novellato, non risulti affatto denotare una sorta di voluntas excludendi delle più gravi ipotesi di cui all’art. 624-bis cod. pen. dal panorama delle fattispecie in ordine alle quali è consentita l’applicazione della custodia cautelare nei confronti degli imputati minorenni; apparendo, anzi, un siffatto epilogo ermeneutico come una obiettiva “eterogenesi dei fini” dichiaratamente perseguiti dal legislatore, attraverso l’opera di novellazione di cui innanzi si è detto;

che, di conseguenza – attesa anche la mancanza, in parte qua, di un consolidato quadro di “diritto vivente” poiché, anzi, si registra un contrasto di giurisprudenza sul punto; e non appalesandosi argomenti di ordine testuale o sistematico dirimenti in senso contrario (essendo ipotizzabile che la disciplina censurata «possa essere frutto di una svista del legislatore»: si vede l’ordinanza n. 137 del 2003) – era compito del giudice a quo verificare se, nella specie, non fosse possibile interpretare il richiamo all’art. 380, comma 2, lettera e), cod. proc. pen., contenuto nell’art. 23 del d.P.R. n. 448 del 1988, alla stregua di un rinvio cosiddetto recettizio: vale a dire come richiamo testuale – e normativamente “cristallizzato” – alla disposizione in vigore a quel momento, la quale prevedeva l’arresto obbligatorio (e, dunque, la custodia cautelare per i minorenni) per il delitto di furto, quando ricorresse, fra le altre, taluna delle circostanze aggravanti previste dall’art. 625, primo comma, numeri 1) e 4), seconda ipotesi, cod. pen., nella formulazione all’epoca vigente e suscettibile, dunque, di ricomprendere anche le figure del furto in appartamento e del furto con strappo, ora autonome;

che, pertanto, la mancata verifica preliminare, da parte del giudice rimettente, della praticabilità di una soluzione interpretativa diversa da quella posta a base del dubbio di legittimità costituzionale e tale da dirimere il fondamento stesso di quel dubbio, comporta – in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, tra le ultime, ordinanze n. 32 del 2007, n. 244, n. 64 e n. 34 del 2006) – la inammissibilità della questione proposta.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 23 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), e 380, comma 2, lettera e), del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Firenze con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della consulta, il 4 luglio 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2007.