Sentenza n. 21 del 2007

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SENTENZA N. 21

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Giovanni Maria               FLICK                                   Presidente

-      Francesco                        AMIRANTE                            Giudice

-      Ugo                                 DE SIERVO                                 "

-      Romano                           VACCARELLA                           "

-      Paolo                               MADDALENA                            "

-      Alfio                                FINOCCHIARO                          "

-      Alfonso                           QUARANTA                               "

-      Franco                             GALLO                                        "

-      Luigi                                MAZZELLA                                "

-      Gaetano                           SILVESTRI                                  "

-      Sabino                             CASSESE                                     "

-      Maria Rita                       SAULLE                                       "

-      Giuseppe                         TESAURO                                    "

-      Paolo Maria                     NAPOLITANO                            "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 38, comma 2, 5, commi 1 e 3, 8, comma 3, lettera e), e 11, comma 6, lettera e), della legge della Regione Sardegna 5 dicembre 2005, n. 20 (Norme in materia di promozione dell’occupazione, sicurezza e qualità del lavoro. Disciplina dei servizi e delle politiche per il lavoro. Abrogazione della legge regionale 14 luglio 2003, n. 9, in materia di lavoro e servizi all’impiego), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 6 febbraio 2006, depositato in cancelleria il 14 febbraio 2006 ed iscritto al n. 21 del registro ricorsi 2006.

Visto l’atto di costituzione della Regione Sardegna;

udito nell’udienza pubblica del 5 dicembre 2006 il Giudice relatore Francesco Amirante;

udito l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Salvatore Alberto Romano per la Regione Sardegna.

Ritenuto in fatto

1.— Con ricorso notificato il 6 febbraio 2006 e depositato il 14 febbraio 2006 il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 38, comma 2, 5, commi 1 e 3, 8, comma 3, lettera e), e 11, comma 6, lettera e), della legge della Regione Sardegna 5 dicembre 2005, n. 20 (Norme in materia di promozione dell’occupazione, sicurezza e qualità del lavoro. Disciplina dei servizi e delle politiche per il lavoro. Abrogazione della legge regionale 14 luglio 2003, n. 9, in materia di lavoro e servizi all’impiego).

Premesso che la potestà legislativa in materia di lavoro rientra, in linea generale, nella legislazione concorrente di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost. (tutela e sicurezza del lavoro), nella quale allo Stato è riservata la determinazione dei principi fondamentali, il ricorrente ricorda come specifici aspetti della materia possano rientrare nella legislazione esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, Cost., laddove riguardino, caso per caso, l’immigrazione (lettera b), la tutela della concorrenza (lettera e), l’ordinamento e l’organizzazione dello Stato e degli enti pubblici (lettera g), l’ordinamento civile (lettera l), i diritti civili e sociali per i quali è necessaria una uniformità su tutto il territorio nazionale (lettera m), l’istruzione (lettera n) e la previdenza sociale (lettera o).

A sua volta, lo statuto speciale per la Sardegna, adottato con la legge costituzionale 28 febbraio 1948, n. 3, all’art. 5 prevede che la Regione ha facoltà di adattare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione e di attuazione in alcune materie, tra le quali l’istruzione ed il lavoro.

Il ricorrente sottolinea ancora che lo Stato, con la legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro), e con il successivo decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro), ha regolamentato organicamente la materia, dettando disposizioni nei settori di legislazione esclusiva e stabilendo, in particolare, i livelli essenziali delle prestazioni, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., nonché determinando i principi fondamentali nei campi in cui sussiste competenza concorrente con le Regioni.

Le denunciate norme della legge regionale, secondo il ricorrente, vulnerano la normativa in materia di lavoro, eccedendo la competenza regionale e, specificamente, violano l’art. 33, sesto comma, e l’art. 117, secondo e terzo comma, della Costituzione.

In particolare, l’art. 38, comma 2, della legge regionale impugnata, nell’ambito della disciplina dei profili formativi dei contratti di apprendistato, dispone che «la formazione teorica da espletarsi nel corso dell’apprendistato deve essere svolta secondo le modalità previste dalla contrattazione e comunque, in prevalenza, esternamente all’azienda».

Secondo il ricorrente, in primo luogo, tale disposizione, nel porre principi di carattere generale e nel regolare le caratteristiche del contratto di lavoro e della qualifica lavorativa, inciderebbe in materia di competenza esclusiva statale, in quanto i profili formativi da detta disposizione disciplinati rientrerebbero, più e prima che nella materia del lavoro, in quella dell’istruzione (ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera n, Cost., che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione delle norme generali) e in quella dell’ordinamento civile (parimenti rientrante nella predetta competenza esclusiva, in base all’art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.).

L’Avvocatura sostiene, poi, che la stessa disposizione sarebbe comunque illegittima, poiché contrasterebbe con l’art. 2, comma 1, lettera b), della legge n. 30 del 2003 che, nel dettare i principi e i criteri direttivi per l’attuazione della delega in materia di contratti a contenuto formativo, espressamente dispone che venga valorizzata l’attività formativa svolta in azienda. La medesima disposizione contrasterebbe, infine, anche con l’art. 49, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 276 del 2003, che prevede la possibilità di acquisire, al termine del rapporto di lavoro, una qualifica «sulla base degli esiti della formazione aziendale od extra-aziendale», senza porre alcuna limitazione e prescrizione quanto alle modalità con le quali la formazione deve essere svolta dall’apprendista. Tale disposizione legislativa detta, secondo il ricorrente, «quanto meno», principi fondamentali in materia di legislazione concorrente, come tali vincolanti anche la Regione Sardegna.

Il ricorrente impugna, quindi, cumulativamente, gli artt. 5, commi 1 e 3, 8, comma 3, lettera e), e 11, comma 6, lettera e), della legge regionale citata, i quali – nel prevedere, rispettivamente, il coinvolgimento delle università, insieme ad altri soggetti, nel sistema regionale dei servizi per il lavoro e la partecipazione degli stessi nella Commissione regionale e nelle Commissioni provinciali per i servizi e le politiche del lavoro – eccederebbero le competenze regionali, intervenendo in una materia riservata, ai sensi dell’art. 33, sesto comma, Cost., alla competenza legislativa dello Stato e violerebbero l’autonomia riconosciuta alle università dalla medesima norma costituzionale. Le disposizioni impugnate, infatti, impongono specifici obblighi partecipativi alle università e, prescrivendo la designazione di loro rappresentanti in organi regionali, le qualificano unilateralmente come componenti necessarie di tali organi. Ciò senza indicare alcun criterio di collegamento tra le singole università e gli organi ai quali è imposto che esse partecipino, in contrasto con i principi enunciati da questa Corte in materia di coordinamento e collaborazione tra le Regioni ed i diversi organi dello Stato, applicabili anche nei confronti delle istituzioni universitarie, la cui autonomia è costituzionalmente garantita.

2.— Si è costituita la Regione Sardegna che, anche in una memoria depositata nell’imminenza dell’udienza, ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità delle censure per la mancata individuazione del parametro costituzionale del giudizio. Essendo, infatti, la Sardegna una Regione a statuto speciale, alla medesima sarebbero applicabili in via immediata soltanto le disposizioni statuarie, mentre quelle che disciplinano le competenze delle Regioni ordinarie potrebbero esserlo, ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), soltanto in quanto attributive di forme di autonomia più ampie rispetto a quelle previste dallo statuto stesso. Pertanto, nell’evocare quale parametro le norme costituzionali comuni, il ricorrente avrebbe dovuto esplicitamente giustificare tale scelta, sulla base del citato art. 10, e non limitarsi a richiamare alcune previsioni statutarie, per poi prendere in considerazione quale parametro delle censure le norme comuni, senza argomentare la ragione di tale scelta.

Quanto alla censura relativa all’art. 38, comma 2, della legge regionale impugnata, la resistente rileva che la disciplina ivi dettata va collocata nell’ambito di materie nelle quali la Regione è dotata di competenze di tipo esclusivo, di tipo integrativo e di tipo concorrente. Da un lato, infatti, la Regione Sardegna, sulla base del proprio statuto di autonomia, ha potestà legislativa integrativa e di attuazione nelle materie dell’istruzione (art. 5, lettera a) e del lavoro (art. 5, lettera b), nelle quali rientra la disciplina censurata. Inoltre, proprio in forza dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, la Sardegna sarebbe titolare di potestà legislativa esclusiva, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., in materia di «istruzione e formazione professionale», spettante in via residuale alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni. Infine, anche sotto il profilo della tutela e sicurezza del lavoro, vi sarebbe una competenza concorrente delle Regioni e, quindi, anche della Regione Sardegna, in applicazione dello stesso art. 10.

Poiché la disciplina di un aspetto della formazione professionale nel contratto di apprendistato deve correttamente collocarsi nell’ambito delle suddette materie – e, fra esse, specificamente in quella della istruzione e della formazione professionale – resterebbe in tal modo dimostrata l’infondatezza della censura relativa alla violazione della competenza esclusiva statale.

Del resto, l’art. 48 del d.lgs. n. 276 del 2003, dettando i principi e i criteri direttivi, affida alle Regioni la «regolamentazione dei profili formativi dell’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione», né sussiste un principio fondamentale, vincolante per le Regioni, secondo il quale la formazione dell’apprendista deve realizzarsi in prevalenza all’interno dell’azienda. Neanche potrebbe utilmente evocarsi la norma della legge delega, viceversa richiamata in ricorso come norma interposta: essa, infatti, non può essere considerata quale principio fondamentale della materia operante nei confronti della legge regionale, ma soltanto in riferimento al relativo decreto legislativo delegato, di talché la Regione Sardegna può ritenersi vincolata dai principi espressi dal decreto legislativo, ma non da ogni prescrizione contenuta nella legge di delega e rivolta al Governo.

Peraltro, la preferenza indicata dalla norma regionale per la formazione svolta all’esterno dell’azienda riguarda non già tutto l’aspetto formativo dell’apprendistato, ma soltanto quella parte individuata come «formazione teorica».

Con riguardo, poi, alle censure relative agli artt. 5, commi 1 e 3, 8, comma 3, lettera e), e 11, comma 6, lettera e), la resistente osserva che tali previsioni  non incidono in alcun modo sull’autonomia statutaria delle università, che concerne soprattutto il loro assetto interno e non, invece, la loro partecipazione ad organismi esterni ad esse. Non trattandosi di limiti all’autonomia statutaria delle università, non verrebbe nemmeno in gioco la riserva di legge statale di cui all’evocato art. 33, sesto comma, della Costituzione. Peraltro, anche se le disposizioni denunciate potessero in qualche modo coinvolgere detta autonomia, esse certo non ne costituirebbero una violazione, limitandosi ad attribuire alle università la possibilità di partecipare al sistema regionale dei servizi per il lavoro. Si tratterebbe, perciò, di una facoltà riconosciuta a tali enti e non di una imposizione.

Ciò si desume, in particolare, dall’art. 5, commi 1 e 3, della legge impugnata, ove la suddetta possibilità è subordinata alla acquisizione di un accreditamento, rilasciato dalla giunta regionale, che le università sono libere di non richiedere.

Tale previsione, quindi, non distoglie in alcun modo le università dalle loro funzioni istituzionali, ma, anzi, attribuisce alle medesime uno strumento ulteriore per raggiungere i propri obiettivi.

In sostanza, non vi sarebbe alcuna lesione dell’autonomia del sistema universitario, che si vede anzi attribuita una possibilità di cui altrimenti sarebbe privo: trattandosi di partecipazione ad organismi collegiali facenti capo alla Regione o alle Province, certamente le università non potrebbero unilateralmente, nell’esercizio della loro autonomia statutaria, prevederla, in mancanza di una norma espressa simile a quella oggi impugnata dallo Stato. Le disposizioni censurate, dunque, sono volte ad ampliare l’autonomia universitaria, senza confliggere in alcun modo con essa.

Considerato in diritto

1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 38, comma 2, 5, commi 1 e 3, 8, comma 3, lettera e), e 11, comma 6, lettera e), della legge della Regione Sardegna 5 dicembre 2005, n. 20 (Norme in materia di promozione dell’occupazione, sicurezza e qualità del lavoro. Disciplina dei servizi e delle politiche per il lavoro. Abrogazione della legge regionale 14 luglio 2003, n. 9, in materia di lavoro e di servizi per l’impiego).

Secondo il ricorrente, la norma dell’art. 38, comma 2, che dispone la prevalenza della formazione esterna rispetto alla formazione cosiddetta «formale», contrasterebbe con l’art. 117, secondo comma, lettere l) e n), della Costituzione, che stabiliscono la competenza legislativa esclusiva dello Stato rispettivamente in materia di ordinamento civile e di norme generali sull’istruzione. Il ricorrente osserva, poi, che l’art. 5, lettere a) e b), dello statuto della Regione Sardegna, adottato con legge costituzionale 28 febbraio 1948, n. 3, attribuisce alla Regione il potere di emanare norme integrative e di attuazione in materia di istruzione e di lavoro.

Il ricorrente sostiene, inoltre, che tutte le altre disposizioni, concernenti la partecipazione di rappresentanti della scuola, della formazione e delle università al sistema regionale dei servizi per il lavoro – e in particolare alle Commissioni provinciali e a quella regionale per i servizi e le politiche del lavoro – violano le attribuzioni dello Stato in materia di tutela e sicurezza del lavoro.

2.— Preliminarmente, si rileva l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla Regione Sardegna per carenze relative all’identificazione del parametro, in quanto la qualità di Regione ad autonomia differenziata comporta che, in primo luogo, si tenga conto delle norme statutarie, potendosi fare riferimento alle disposizioni della Costituzione soltanto ove le prime attribuiscano poteri più limitati di quelli spettanti alle Regioni ordinarie.

Nel caso in esame, infatti, il ricorrente non ha trascurato il parametro statutario, ma, dopo aver rilevato che lo statuto, nelle materie in oggetto, non attribuisce alla Regione se non poteri integrativi e attuativi e, quindi, implicitamente non idonei, a suo avviso, a giustificare l’emanazione delle disposizioni impugnate, ha evocato le disposizioni degli artt. 33, sesto comma, e 117, secondo e terzo comma, della Costituzione.

3.— Nel merito, le questioni non sono fondate.

Riguardo alla disposizione di cui all’art. 38, comma 2, della legge regionale impugnata, ribadendo quanto da questa Corte già affermato con la sentenza n. 425 del 2006, si deve ritenere che essa, nello stabilire che la formazione dalla legge definita formale debba essere prevalentemente esterna, non alteri i rapporti tra formazione interna, la cui disciplina compete allo Stato, e formazione esterna di competenza regionale, mantenendosi perciò conforme al sistema delle competenze concorrenti e del concorso di competenze che si verifica in tema di apprendistato (sentenza n. 50 del 2005).

Del pari non fondate sono le questioni, concernenti le altre disposizioni, sollevate per contrasto con l’art. 33, sesto comma, Cost., in quanto implicano la doverosa partecipazione di rappresentanti delle università al sistema dei servizi in materia di lavoro e ad organismi provinciali e regionali istituiti dalla legge impugnata, violando il principio dell’autonomia delle università.

Il ricorrente, infatti, non tiene conto della circostanza che l’art. 5, comma 3, della legge regionale n. 20 del 2005 stabilisce che i soggetti di cui al comma 1 (tra i quali la scuola, le università e gli enti di formazione) espletano le attività del sistema dei servizi «previo accreditamento rilasciato dalla Giunta regionale». Il comma 4 dello stesso articolo (non impugnato) prevede che «le procedure, i presupposti e le modalità per l’ottenimento, il mantenimento e la revoca dell’accreditamento, sono stabilite dalla Giunta regionale, su proposta dell’Assessore competente, sentita la Commissione regionale per i servizi e le politiche del lavoro e la Commissione consiliare competente».

Ora, ragioni logico-sistematiche e letterali – la disposizione parla di «ottenimento» dell’accreditamento – inducono ad escludere che questo possa essere attribuito d’ufficio. Tale accreditamento, al contrario, costituisce esplicazione dell’autonomia delle università, che potranno richiederlo oppure no. Ne consegue che il coinvolgimento delle medesime nel sistema dei servizi per il lavoro non si configura come adempimento di un obbligo, illegittimamente loro imposto dalla normativa regionale, di necessaria partecipazione ai detti organi regionali, ma come mera facoltà di partecipazione.

Le disposizioni impugnate, pertanto, da un lato costituiscono esercizio del potere della Regione di emanare norme attuative e integrative in materia di istruzione e in materia di lavoro (art. 5 dello statuto regionale), dall’altro non contrastano con quanto stabilito dall’art. 33, sesto comma, della Costituzione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 38, comma 2, 5, commi 1 e 3, 8, comma 3, lettera e), e 11, comma 6, lettera e), della legge della Regione Sardegna 5 dicembre 2005, n. 20 (Norme in materia di promozione dell’occupazione, sicurezza e qualità del lavoro. Disciplina dei servizi e delle politiche per il lavoro. Abrogazione della legge regionale 14 luglio 2003, n. 9, in materia di lavoro e servizi all’impiego), sollevate, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettere l) e n), e terzo comma, e 33, sesto comma, della Costituzione dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 2007.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2007.