Sentenza n. 441 del 2006

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SENTENZA N. 441

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                BILE                        Presidente

- Giovanni Maria   FLICK                       Giudice

- Francesco            AMIRANTE                   "

- Ugo                    DE SIERVO                   "

- Romano              VACCARELLA              "

- Paolo                  MADDALENA               "

- Alfio                  FINOCCHIARO             "

- Alfonso              QUARANTA                  "

- Franco                GALLO                          "

- Luigi                  MAZZELLA                   "

- Gaetano              SILVESTRI                    "

- Sabino                CASSESE                      "

- Maria Rita           SAULLE                        "

- Giuseppe             TESAURO                     "

- Paolo Maria         NAPOLITANO               "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 26, ultimo comma, della legge della Regione Lombardia del 16 agosto 1993, n. 26 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria), sostituito dall’art. 2 della legge della Regione Lombardia del 7 agosto 2002, n. 19 (Modifiche alla legge regionale 16 agosto 1993, n. 26), promosso con ordinanza del 27 luglio 2004 dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sul ricorso proposto da WWF Italia ed altri contro la Regione Lombardia, iscritta al n. 923 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visti gli atti di costituzione del WWF Italia ed altri e della Regione Lombardia;

udito nell’udienza pubblica del 21 novembre 2006 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;

udito l’avvocato Giuseppe Franco Ferrari per la Regione Lombardia.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza del 27 luglio 2004, il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia ha sollevato, in riferimento agli artt. 97 e 117, commi secondo, lettere l) e s), e terzo della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 5, della legge della Regione Lombardia 16 agosto 1993, n. 26 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria), sostituito dall’art. 2 della legge della Regione Lombardia del 7 agosto 2002, n. 19 (Modifiche alla legge regionale 16 agosto 1993, n. 26).

Premette il rimettente che il giudizio principale ha ad oggetto l’impugnazione della delibera della Giunta della Regione Lombardia con la quale è stato adottato il regolamento di attuazione della legge sopraindicata e, in particolare, l’art. 12 del suddetto regolamento.

I ricorrenti nel giudizio a quo lamentano che tale norma regolamentare, nel dare attuazione all’art. 26 della legge regionale n. 26 del 1993, prevede, in contrasto con l’art. 5 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), la rimozione dell’anello numerato identificativo dei richiami vivi per l’esercizio venatorio, con il solo obbligo per il cacciatore di darne comunicazione alla Provincia e, per gli allevatori, di provvedere direttamente alla registrazione di tale operazione.

1.1.- In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che l’art. 12, in attuazione dell’art. 26 della legge regionale n. 26 del 1993, prevede la possibilità di rimozione del suddetto anello inamovibile, di talché, a parere del rimettente, l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità della norma regionale comporterebbe l’annullamento anche della disposizione regolamentare.

1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente, dopo aver osservato che la disciplina relativa all’individuazione dei limiti entro cui è consentito l’esercizio venatorio rientra nella competenza esclusiva dello Stato, ex art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, rileva che la norma impugnata si pone in contrasto con quanto disposto dall’art. 5 della legge n. 157 del 1992, che, proprio al fine di apprestare idonea tutela alla fauna, prevede l’inamovibilità dell’anello identificativo dei richiami vivi, impedendone in tal modo la cattura ed il commercio illeciti.

Il giudice a quo ritiene che la norma regionale impugnata violerebbe, altresì, l’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, poiché la condotta di chi caccia con richiami privi di anello inamovibile rientra nella ipotesi di esercizio dell’attività venatoria con mezzi vietati, sanzionata penalmente dall’art. 30, lettera h), della legge n. 157 del 1992. La norma impugnata, quindi, nel rimuovere un divieto afferente a comportamenti suscettibili di sanzione penale, interferirebbe sulla astratta fattispecie penale la cui individuazione è riservata alla competenza del legislatore nazionale.

Infine, il rimettente ritiene che l’art. 26, comma 5, della legge regionale n. 26 del 1993 violerebbe anche l’art. 97 della Costituzione, poiché il sistema di controllo previsto dalla norma impugnata non garantirebbe la stessa tutela di quello previsto dalla legge n. 157 del 1992.

2.- Si sono costituite le associazioni WWF Italia, Legambiente e la Lega per l’abolizione della caccia, ricorrenti nel giudizio a quo, aderendo ai dubbi di costituzionalità sollevati dal rimettente.

3.- Si è costituita, altresì, la Regione Lombardia, resistente nel giudizio a quo, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e/o infondata.

3.1.- In via preliminare, la Regione osserva che la norma che consente la detenzione dei richiami vivi privi di anello identificativo è contenuta nell’art 26 della legge regionale n. 26 del 1993, di talché il giudizio principale sarebbe inammissibile perché rivolto contro un atto legislativo.

3.2.- Nel merito la Regione rileva, quanto alla presunta violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera s), e 97, della Costituzione, che la caccia rientra nella competenza normativa delle regioni essendo soggetta soltanto al rispetto degli standard minimi di tutela della fauna fissati dal legislatore nazionale che, nel caso di specie, risultano rispettati. In particolare, la Regione osserva che la norma impugnata non prevede una deroga al controllo mediante anello inamovibile dei richiami disposto dal legislatore nazionale, ma sostituisce questo con altro sistema parimenti in grado di garantire la tutela degli animali utilizzabili quali richiami vivi.

Anche la presunta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione sarebbe infondata, in quanto la norma impugnata prevede, in caso di sua inosservanza, l’applicazione delle sanzioni contenute nella stessa legge regionale n. 26 del 1993 che, sul punto, rinvia a quanto disposto dagli artt. 30 e 31 della legge n. 157 del 1992.

3.3.- In prossimità dell’udienza la Regione Lombardia ha depositato memoria con la quale ha ribadito le argomentazioni contenute nell’atto di costituzione.

Considerato in diritto

1.- Il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia dubita, in relazione agli artt. 97 e 117, commi secondo, lettere l) e s), e terzo della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art 26, comma 5, della legge della Regione Lombardia 16 agosto 1993, n. 26 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria), sostituito dall’art. 2 della legge della Regione Lombardia del 7 agosto 2002, n. 19 (Modifiche alla legge regionale 16 agosto 1993, n. 26), nella parte in cui prevede che «I richiami vivi possono essere tenuti privi di anello. Per la loro legittima detenzione fa fede, per i richiami di cattura, la documentazione esistente presso la Provincia e, per i richiami di allevamento, la documentazione propria del cacciatore».

La norma impugnata, a parere del rimettente, sarebbe in contrasto con i parametri costituzionali evocati e, in particolare, con la legge statale 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che fissa il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica valido per l’intero territorio nazionale e, pertanto, riservato alla competenza esclusiva dello Stato (sentenze n. 311 del 2003 e n. 536 del 2002).

2.- La Regione Lombardia, resistente nel giudizio a quo, eccepisce, preliminarmente, il difetto di rilevanza della questione, assumendo che il rimettente avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il giudizio principale in quanto, in realtà, diretto contro un atto legislativo e, quindi, privo di incidentalità.

2.1.- L’eccezione va disattesa, in quanto prospettata su argomentazioni già valutate dal giudice del merito e dallo stesso non implausibilmente ritenute non fondate.

3.- Nel merito la questione è fondata.

L’art. 26 della legge regionale n. 26 del 1993, al comma 5, prevede la possibilità per i cacciatori di detenere richiami vivi privi di anello di riconoscimento, detenzione che è considerata legittima, per i richiami di cattura, sulla base della documentazione esistente presso la Provincia e, per i richiami di allevamento, sulla base della documentazione in possesso del cacciatore.

Tale disciplina si pone in contrasto con l’art. 5 della legge n. 157 del 1992, il quale prevede, al comma 7, che «È vietato l’uso di richiami che non siano identificabili mediante anello inamovibile, numerato secondo le norme regionali che disciplinano anche la procedura in materia» e, al successivo comma 8, che la «sostituzione di un richiamo può avvenire soltanto dietro presentazione all’ente competente del richiamo morto da sostituire».

La norma statale sopra riportata, nel disciplinare le modalità di esercizio della caccia, fissa standard minimi e uniformi di tutela della fauna la cui determinazione appartiene in via esclusiva alla competenza del legislatore statale ex art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione  (sentenza n. 313 del 2006).

Da ciò consegue che l’impugnata norma regionale nel consentire, seppure previa tenuta di apposita documentazione, la possibilità di rimuovere il suddetto anello introduce una deroga alla citata disciplina statale, deroga che contrasta con la finalità di tutela da quest’ultima perseguita, non potendosi in alcun modo ritenere fungibile il sistema di controllo previsto dall’art. 5 della legge n. 157 del 1992 con quello introdotto dal legislatore regionale.

4.- La declaratoria di illegittimità costituzionale della norma impugnata comporta l’assorbimento di ogni ulteriore e diverso profilo di censura prospettato dal rimettente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, comma 5, della legge della Regione Lombardia 16 agosto 1993, n. 26 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2006.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 2006