Ordinanza n. 362 del 2006

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ORDINANZA N. 362

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco                                                        BILE                          Presidente

-  Giovanni Maria                                          FLICK                       Giudice

-  Francesco                                                   AMIRANTE                      “

-  Ugo                                                            DE SIERVO                      “

-  Romano                                                      VACCARELLA                “

-  Paolo                                                          MADDALENA                 “

-  Alfio                                                           FINOCCHIARO               “

-  Alfonso                                                      QUARANTA                    “

-  Franco                                                        GALLO                             “

-  Luigi                                                           MAZZELLA                     “

-  Gaetano                                                      SILVESTRI                       “

-  Sabino                                                        CASSESE                          “

-  Maria Rita                                                  SAULLE                            “

-  Giuseppe                                                    TESAURO                         “

-  Paolo Maria                                                NAPOLITANO                 “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge 24 marzo 1993, n. 75 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, recante disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonché altre disposizioni tributarie), promosso con ordinanza deliberata il 13 dicembre 2000 e depositata il 7 febbraio 2001 dalla Commissione tributaria regionale della Calabria, nel giudizio tributario promosso da Antonio Mauro ed altri nei confronti della Direzione regionale delle entrate per la Calabria, Ufficio di Reggio Calabria, iscritta al n. 122 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2006.

            Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nella camera di consiglio dell’11 ottobre 2006 il Giudice relatore Franco Gallo.

Ritenuto che nel corso di un giudizio di appello – riguardante il ricorso proposto da alcuni contribuenti avverso il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso della ritenuta applicata sul corrispettivo della cessione volontaria di un immobile, intervenuta nel corso di un procedimento espropriativo – la Commissione tributaria regionale della Calabria, con ordinanza pronunciata il 13 dicembre 2000, depositata il 7 febbraio 2001 e pervenuta a questa Corte il 7 aprile 2006, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 23, 53, 70, 77 e 81 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge 24 marzo 1993, n. 75 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, recante disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonché altre disposizioni tributarie);

che il giudice a quo riferisce, in punto di fatto, che: a) in data 14 luglio 1992, i ricorrenti avevano ceduto volontariamente un terreno di cui erano comproprietari, «già oggetto di procedura espropriativa iniziata con decreto prefettizio del 19.03.1990»; b) sul corrispettivo della predetta cessione volontaria era stata applicata la ritenuta ai fini dell’IRPEF del 20 per cento, ai sensi dell’art. 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413; c) con istanza di rimborso, presentata il 9 luglio 1993, i contribuenti avevano chiesto la restituzione della ritenuta fiscale applicata sull’indicato corrispettivo, in quanto «il terreno espropriato, a seguito di variazione del 18.11.91 documentata dall’UTE in data 07.07.92, nonché di modificazioni degli strumenti urbanistici certificati dal Comune di Reggio Calabria il 14.07.92, da terreno agricolo era stato destinato a zona omogenea di tipo “F” (area a servizio della residenza; aree a verde pubblico; aree per le attrezzature scolastiche di grado superiore)» e, pertanto, non rientrava nella previsione della legge n. 413 del 1991, secondo cui l’applicazione della ritenuta IRPEF era limitata alle plusvalenze conseguenti alla percezione di indennità di esproprio o di corrispettivi di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi relativi alle sole zone territoriali omogenee classificate, in base al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come «A», «B», «C» e «D», e non anche a quelle classificate come «F», per le quali ultime la ritenuta era stata prevista esclusivamente da decreti-legge non convertiti; d) i contribuenti avevano successivamente impugnato, davanti alla competente Commissione tributaria provinciale, il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso, eccependo l’illegittimità costituzionale del sopravvenuto art. 1, comma 2, della legge n. 75 del 1993, il quale aveva temporaneamente esteso la suddetta ritenuta con riferimento alle zone territoriali omogenee di tipo «F», avendo dichiarato validi gli atti, i provvedimenti assunti ed i rapporti giuridici sorti sotto la vigenza della norma che aveva previsto tale estensione, cioè l’art. 3 dei decreti-legge non convertiti 28 febbraio 1992, n. 174, 27 aprile 1992, n. 269 e 25 giugno 1992, n. 319; e) i contribuenti avevano quindi proposto appello avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato le loro domande ed avevano reiterato l’eccezione di illegittimità costituzionale, evidenziando che, dopo la sentenza impugnata, il Dipartimento delle entrate - Direzione centrale per gli affari giuridici e per il contenzioso tributario, con la risoluzione n. 111/E/III-5-812 dell’11 luglio 1996 sulla tassazione delle indennità di esproprio, aveva precisato che, per individuare il momento rilevante «per la collocazione del terreno nelle zone omogenee prevista dalla legge al fine di stabilire l’assoggettabilità o meno a tassazione dell’indennità di esproprio, si deve fare riferimento non alla emissione del decreto di esproprio, bensì all’inizio della procedura esecutiva»;

che la Commissione tributaria rimettente dichiara di condividere la risoluzione n. 111 del 1996, menzionata dagli appellanti, affermando che «il presupposto della imposizione è dato dalla inclusione del terreno in una delle zone omogenee previste dalle norme impositive», e che «è esclusivamente con riguardo a tale profilo interpretativo che deve considerarsi il riferimento all’inizio della procedura esecutiva, al fine di evitare elusioni della norma impositiva attraverso una diversa classificazione del terreno nel periodo compreso tra l’inizio e la fine della procedura esecutiva», mentre «il momento temporale dell’imposizione è invece costituito dalla materiale percezione delle somme», avvenuta, nella specie, il 14 luglio 1992;

che inoltre, per il medesimo giudice, la legge n. 75 del 1993, nel convertire il decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, ha fatto salvi, con il censurato art. 1, comma 2, gli effetti prodottisi, i rapporti giuridici sorti ed i provvedimenti adottati sotto la vigenza dei precedenti decreti-legge, non convertiti –  n. 174 del 1992, n. 269 del 1992 e n. 319 del 1992 – i quali avevano previsto l’estensione dell’imposizione fiscale al caso dei terreni ricadenti in zone territoriali omogenee di tipo «F»;

che, per il giudice a quo, la norma denunciata si porrebbe in contrasto con gli articoli 70 e 77 della Costituzione, perché il decreto-legge n. 16 del 1993, da essa convertito, sarebbe privo dei requisiti di necessità e urgenza che lo dovrebbero sorreggere, anche «in quanto sostitutivo di […] precedenti decreti-legge non convertiti»;

che, infatti, ad avviso del giudice rimettente, è viziata da incostituzionalità la norma che riproduca il «contenuto normativo dell’intero testo o di singole disposizioni» di un decreto-legge non convertito, ove tale riproduzione non sia giustificata da nuovi presupposti straordinari di necessità ed urgenza; vizio, questo, che – contrariamente a quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 360 del 1996 – non sarebbe sanato dalla conversione in legge, ma – come, invece, ritenuto dalla sentenza di questa Corte n. 29 del 1995 – si rifletterebbe, come vizio in procedendo, sulla legge di conversione;

che il giudice a quo si sofferma poi a descrivere il meccanismo attraverso il quale opera la legge di conversione, precisando che, a suo avviso, «nel caso in cui con l’effetto prodotto dal congiunto operare di un decreto e della relativa legge di conversione si disciplinano fattispecie che resterebbero precluse ad una legge retroattiva emanata ai sensi dell’art. 70 Cost.», «l’illegittimità del provvedimento del Governo non può non riflettersi su quello delle Camere»;

che il giudice a quo sostiene che, con riferimento alla fattispecie concreta al suo esame, la retroattività della norma denunciata non si giustifica nemmeno «in ragione dell’esigenza di coordinamento e razionale sistemazione delle innumerevoli disposizioni tributarie succedutesi nel tempo»;

che, quanto all’evocato art. 23 Cost., il rimettente ritiene che, dal collegamento sistematico di tale articolo con gli artt. 24 e 25 Cost., si desume il principio dell’irretroattività delle norme tributarie impositive e che «nel caso di specie, di fatto, manca la legge impositiva, poiché l’art. 1, comma secondo, della legge n. 73/95 ha semplicemente fatto salvi gli effetti dei d.l. non convertiti, ma non ha imposto alcun tributo»;

che, anche con riferimento all’art. 81 Cost., il giudice a quo afferma che «l’imposizione tributaria non può essere retroattiva poiché violerebbe le specifiche norme relative alla legge sul Bilancio che ha una durata ben determinata proprio per evitare il verificarsi di effetti retroattivi di aggiustamento delle poste di bilancio che dovrebbero essere oggetto di esame della legge finanziaria dell’anno successivo»;

che, in punto di rilevanza, la Commissione tributaria rimettente osserva che il giudizio in corso non potrebbe essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione sollevata;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o, comunque, per l’infondatezza della sollevata questione;

che, in relazione alla pretesa violazione degli artt. 70 e 77 Cost., la difesa erariale rileva che la norma censurata sarebbe una norma non già di conversione – come ritenuto dal rimettente –, ma di sanatoria, diretta a fare salvi gli effetti giuridici dei decreti-legge reiterati e non convertiti, con conseguente manifesta infondatezza della questione;

che, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., la questione sarebbe inammissibile, per mancanza di adeguata motivazione;

che, quanto al parametro dell’art. 23 Cost., la questione sarebbe, invece, infondata, dal momento che il divieto di leggi retroattive sarebbe stabilito, in via assoluta ed inderogabile, solo nella materia penale;

che, in riferimento all’art. 81 Cost., la questione sarebbe, infine, infondata o manifestamente infondata, perché su tale parametro non potrebbe basarsi il divieto di retroattività della norma censurata;

che, in prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria, ribadendo le argomentazioni svolte nell’atto di intervento.

Considerato che la Commissione tributaria regionale della Calabria dubita, in riferimento agli articoli 3, 23, 53, 70, 77 e 81 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge 24 marzo 1993, n. 75 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, recante disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonché altre disposizioni tributarie);

che la norma censurata prevede, in particolare, che «restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti» sulla base dell’art. 3, comma 1, lettera a), del decreto-legge 28 febbraio 1992, n. 174, dell’art. 3, comma 1, lettera a), del decreto-legge 27 aprile 1992, n. 269 e dell’art. 3, comma 1, lettera a), del decreto-legge 25 giugno 1992, n. 319;

che le disposizioni richiamate dalla norma censurata, di identico contenuto ed inserite in decreti-legge non convertiti, avevano esteso l’assoggettamento a tassazione previsto dall’art. 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, alle «plusvalenze conseguenti alla percezione, da parte di soggetti che non esercitano imprese commerciali, di indennità di esproprio o di somme percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi nonché di somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime relativamente a terreni destinati ad opere pubbliche o ad infrastrutture urbane all’interno delle zone omogenee di tipo F», di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444;

che la questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza;

che, infatti, il giudice a quo, condividendo in punto di diritto l’interpretazione dell’amministrazione finanziaria, afferma che ai fini dell’applicazione dell’imposta si deve avere riguardo alla zona territoriale omogenea in cui risulta classificato il terreno alla data del primo atto della procedura espropriativa e non alla data della emissione del decreto di esproprio;

che, a quanto riferisce in punto di fatto lo stesso rimettente, l’espropriazione ha avuto inizio, nella specie, in data 19 marzo 1990, e cioè in una data anteriore a quella in cui il terreno espropriato, da agricolo, è stato destinato a zona omogenea di tipo “F” «a seguito di variazione del 18.11.91 documentata dall’UTE in data 07.07.92, nonché di modificazioni degli strumenti urbanistici certificati dal Comune di Reggio Calabria il 14.07.92»;

che, pertanto, da tali assunti del rimettente in punto di diritto e di fatto consegue necessariamente che la cessione volontaria del terreno oggetto del giudizio a quo non rientra nell’ambito di applicazione della norma censurata, la quale – nell’interpretazione del medesimo rimettente – riguarda esclusivamente il diverso caso dei terreni che, al momento dell’inizio della procedura espropriativa, siano ubicati in zona territoriale omogenea di tipo “F”.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge 24 marzo 1993, n. 75 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, recante disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonché altre disposizioni tributarie), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 23, 53, 70, 77 e 81 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale della Calabria con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 2006.

Franco BILE, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2006.