Sentenza n. 66 del 2005

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SENTENZA N. 66

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA                 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO             

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio                      ONIDA                                     Presidente

- Fernanda                  CONTRI                                     Giudice           

- Guido                       NEPPI MODONA                            "

- Piero Alberto            CAPOTOSTI                                     "

- Annibale                   MARINI                                            "

- Franco                      BILE                                                  "

- Giovanni Maria        FLICK                                               "

- Francesco                 AMIRANTE                                      "

- Ugo                          DE SIERVO                                      "

- Romano                    VACCARELLA                               "

- Paolo                        MADDALENA                                 "

- Alfio                         FINOCCHIARO                               "

- Alfonso                    QUARANTA                                    "

- Franco                      GALLO                                             "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera d), della legge 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale) e dell’art. 7, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promosso con ordinanza del 28 ottobre 2003 dal Giudice di pace di Roma nel procedimento civile vertente tra Petrangolo Antonio e il Comune di Roma, iscritta al n. 407 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto in fatto

 

1. – Il Giudice di pace di Roma, con ordinanza emessa il 28 ottobre 2003, ha sollevato, in riferimento agli artt. 76, 16, 3 e 23 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera d), della legge 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale) e dell’art. 7, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada).

Il rimettente, innanzi al quale è stata proposta opposizione a sanzione amministrativa per omesso pagamento della somma dovuta per la sosta del veicolo, osserva che l’art. 2, comma 1, lettera d), della legge delega n. 190 del 1991, nel prevedere la facoltà dell’ente proprietario della strada di subordinare il parcheggio e la sosta dei veicoli al pagamento di una somma, non specifica i principi e i criteri direttivi della subordinazione né indica i criteri impositivi. Ad avviso del giudice a quo, sussisterebbe una lesione dell’art. 76 della Costituzione, in quanto sarebbe stata del tutto omessa la determinazione dei principi e dei criteri direttivi e di valutazione sia in ordine alla individuazione delle zone che possono essere sottoposte all’onere del pagamento di una somma per il parcheggio sia in ordine alle tariffe applicabili, non essendo rinvenibili tali criteri nell’art. 2 della legge n. 190 del 1991, che fa riferimento soltanto ad esigenze di tutela della sicurezza stradale, peraltro non invocabili nella fattispecie.

Secondo il rimettente, l’omissione nella legge delega dei principi e dei criteri direttivi, stabiliti in maniera uniforme per l’intero territorio nazionale, avrebbe prodotto “situazioni aberranti”, in considerazione della continua estensione delle zone soggette al pagamento e dei criteri di determinazione delle tariffe, variabili in relazione non solo alle singole città ma anche alle zone della medesima città e alle ore.

 

L’art. 7, comma 1, lettera f), del nuovo codice della strada, nel tentativo di porre rimedio a tale omissione, avrebbe illegittimamente rimesso al Ministro dei lavori pubblici (ora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti) il compito di indicare le direttive cui devono attenersi le delibere delle giunte comunali che stabiliscono le aree destinate a parcheggio, fissando le condizioni e le tariffe. Ad avviso del rimettente, la violazione sarebbe duplice, poiché il Parlamento avrebbe omesso di indicare i principi direttivi e il Governo, in assenza di delega, avrebbe demandato ad un Ministro l’emanazione dei criteri.

Un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale è individuato dal giudice rimettente nella lesione dell’art. 16 della Costituzione, che garantisce la libertà di circolazione con riferimento anche ai mezzi di trasporto, senza i quali non vi sarebbe una circolazione adeguata, e consente che siano previste delle limitazioni, da attuare con legge formale, ma solo per ragioni di sanità e sicurezza. Nella fattispecie, non solo vi sarebbe una violazione della riserva di legge, poiché la materia è stata rimessa alla discrezionalità del Ministro dei lavori pubblici (ora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti), ma difetterebbero anche i motivi di sanità e di sicurezza che possono giustificare le limitazioni al diritto di circolazione.

Sussisterebbe poi una violazione del principio di eguaglianza, poiché nell’accesso ad un servizio pubblico, come è la strada, sarebbero privilegiati i cittadini con maggiori capacità economiche, ai quali è concesso di usufruire della strada e delle relative possibilità di parcheggio, mentre ai cittadini meno abbienti sarebbe negato il medesimo diritto in forza di una legge che impone oneri sproporzionati alle capacità economiche dei medesimi.

Il rimettente osserva infine che la mancanza di principi e criteri direttivi costituirebbe anche violazione dell’art. 23 della Costituzione, in quanto la legge delega non contiene al riguardo nessuna indicazione, nemmeno con riferimento ai limiti minimi e massimi delle tariffe.

Il giudice a quo richiama in proposito il principio affermato dalla giurisprudenza costituzionale, secondo cui il carattere impositivo della prestazione non è escluso per il solo fatto che la richiesta del servizio dipenda dalla volontà del privato, e sottolinea che, come più volte precisato dalla Corte costituzionale, la determinazione delle tariffe di accesso ad un servizio essenziale non può essere rimessa all’arbitrio delle autorità ma deve essere assistita dalle garanzie che la Costituzione ha voluto assicurare attraverso la riserva di legge, con la indicazione almeno dei criteri idonei a delimitare la discrezionalità della pubblica amministrazione per ciò che attiene sia al quantum che ai soggetti passivi, al fine di escludere che la discrezionalità si trasformi in arbitrio.

2. – E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la inammissibilità o per l’infondatezza della questione.

La difesa erariale sottolinea anzitutto come i criteri direttivi si ricavino agevolmente dal complesso delle disposizioni contenute nell’art. 2, comma 1, lettere d) e f), nelle quali si traduce l’indirizzo parlamentare diretto a limitare l’uso della strada per la sosta. Inoltre, poiché le norme impugnate non hanno carattere innovativo rispetto alla previgente disciplina della circolazione stradale dettata con d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, che all’art. 4 prevedeva analoga possibilità per i comuni di destinare al parcheggio aree, subordinando la sosta dei veicoli al pagamento di somme, non vi sarebbe nemmeno necessità della specifica indicazione di principi e criteri direttivi, come affermato dalla giurisprudenza costituzionale.

Le disposizioni del codice della strada attuano il disegno della delega, delineando i poteri amministrativi degli enti proprietari delle strade e delle autorità comunali secondo i moduli tipici di regolazione dell’attività amministrativa, tra i quali è compresa la sottoposizione dei comuni al potere di direttiva del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, stabilita dall’art. 7, comma 2, lettera f).

L’Avvocatura osserva inoltre che l’istituzione delle fasce di parcheggio a pagamento è atto impugnabile dinanzi al TAR e che il rimettente non ha nemmeno individuato l’atto istitutivo di tale parcheggio a pagamento, che avrebbe potuto anche disapplicare, omettendo di motivare in modo sufficiente quanto alla rilevanza della questione sollevata.

La difesa erariale sostiene poi l’infondatezza delle censure sollevate in relazione alla pretesa violazione dell’art. 16 Cost., poiché la libertà di circolazione non può intendersi quale libertà di parcheggio gratuito sulla pubblica via; né, a suo avviso, potrebbe invocarsi la riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost., quando il pagamento imposto per la sosta del veicolo trovi la sua fonte in un atto volontario dell’utente.

Infine, quanto alla dedotta lesione del principio di eguaglianza, l’Avvocatura ritiene che la questione della determinazione delle tariffe e delle relative esenzioni debba essere esaminata con riferimento agli atti che hanno introdotto le tariffe stesse, eventualmente in un giudizio di impugnazione, e che comunque appare ragionevole la scelta operata dal legislatore di dissuadere la sosta nei centri storici.

Considerato in diritto

 

1. – Il Giudice di pace di Roma censura l’art. 2, comma 1, lettera a), della legge delega per la revisione delle norme sulla circolazione stradale 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale) e l’art. 7, comma 1, lettera f), del decreto legislativo n. 285 del 1992 (Nuovo codice della strada), prospettando diversi profili di illegittimità costituzionale delle due citate disposizioni, che consentono di subordinare la sosta dei veicoli al pagamento di una somma di denaro. Le due norme sarebbero in contrasto anzitutto con l’art. 76 Cost., per essere stata del tutto omessa la determinazione dei

 

principi e dei criteri direttivi e di valutazione sia in ordine alla individuazione delle zone che possono essere sottoposte all’onere del pagamento di una somma per il parcheggio sia in ordine alle tariffe applicabili; ed inoltre perché, in assenza di delega del Parlamento, l’indicazione di tali criteri sarebbe stata demandata dal Governo al Ministro dei lavori pubblici (ora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti); con l’art. 16 Cost., sotto il duplice profilo della violazione della riserva di legge, in quanto la materia è stata rimessa alla discrezionalità del Ministro dei lavori pubblici (ora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti), e del difetto dei motivi di sanità e di sicurezza, i quali soltanto potrebbero giustificare le limitazioni al diritto di circolazione; con l’art. 3 Cost., poiché nell’accesso ad un servizio pubblico, come è la strada, sarebbero privilegiati i cittadini con maggiori capacità economiche, ai quali è concesso di usufruire della strada e delle relative possibilità di parcheggio, mentre ai cittadini meno abbienti sarebbe negato il medesimo diritto in forza di una legge che impone oneri sproporzionati alle capacità economiche dei medesimi; con l’art. 23 Cost., in quanto la determinazione delle tariffe di accesso al servizio essenziale del parcheggio su strade urbane sarebbe stata rimessa all’arbitrio dell’autorità, in difetto della indicazione di criteri idonei a delimitarne la discrezionalità e della previsione di limiti minimi e massimi.

2. – Le censure non sono fondate.

 

2.1. – La legge di delegazione n. 190 del 1991 è stata più volte esaminata da questa Corte in relazione a censure riferite all’art. 76 Cost. e si è già avuto modo di affermare che la predetta legge, “abilitando in generale il Governo ad adottare disposizioni, aventi valore di legge, intese a «rivedere e riordinare […] la legislazione vigente concernente la disciplina […] della circolazione stradale» ha identificato direttamente, quale base di partenza dell’attività delegata, il codice della strada vigente, cioè il testo unico delle norme sulla circolazione stradale approvato con il d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393” (sentenze n. 239 del 2003, n. 251 del 2001, n. 427 del 2000, n. 354 del 1998 e n. 305 del 1996).  

 

   Si è quindi sostenuto che la revisione e il riordino, ove comportino l’introduzione di norme aventi contenuto innovativo rispetto alla disciplina previgente, necessitano della indicazione di principi e di criteri direttivi idonei a circoscrivere le diverse scelte discrezionali dell’esecutivo, mentre tale specifica indicazione può anche mancare allorché le nuove disposizioni abbiano carattere di sostanziale conferma delle precedenti (sentenza n. 354 del 1998).

 

Quest’ultima ipotesi ricorre nella specie, in quanto il previgente codice della strada conteneva già una disposizione del tutto analoga a quella del decreto legislativo in esame, introdotta dall’art. 15 della legge 24 marzo 1989, n. 122 (Disposizioni in materia di parcheggi, programma triennale per le aree urbane maggiormente popolate, nonché modificazioni di alcune norme del testo unico sulla disciplina della circolazione stradale, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 giugno 1959, n. 393), che ha modificato l’art. 4 del testo unico n. 393 del 1959, attribuendo ai comuni la facoltà di stabilire aree destinate al parcheggio, sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo della durata anche senza custodia del veicolo, e di fissare le relative condizioni e tariffe.

 

La sostanziale identità delle due norme consente allora di affermare che la disposizione contenuta nel nuovo codice della strada è in realtà meramente ricognitiva e confermativa della precedente; il che vale ad escludere la sussistenza della dedotta lesione dell’art. 76 Cost.

 

2.2. – Il rimettente ha invocato come parametro anche l’art. 16 Cost., a suo giudizio leso per violazione della riserva di legge e per il difetto dei motivi di sanità e sicurezza che soltanto potrebbero giustificare una limitazione del diritto di circolazione.

 

Entrambe le censure sono infondate.

 

Ed infatti, oltre alla considerazione che le lamentate limitazioni al diritto di circolazione risultano comunque poste con lo strumento della legge, è sufficiente osservare, quanto alla doglianza relativa alla pretesa insussistenza delle ragioni che consentono di limitare il predetto diritto, che con la sentenza n. 264 del 1996 questa Corte ha affermato che “il precetto di cui al detto art. 16 non preclude al legislatore la possibilità di adottare, per ragioni di pubblico interesse, misure che influiscano sul movimento della popolazione. In particolare l’uso delle strade, specie con mezzi di trasporto, può essere regolato sulla base di esigenze che, sebbene trascendano il campo della sicurezza e della sanità, attengono al buon regime della cosa pubblica, alla sua conservazione, alla disciplina che gli utenti debbono osservare ed alle eventuali prestazioni che essi sono tenuti a compiere. La tipologia dei limiti (divieti, diversità temporali o di utilizzazioni, subordinazione a certe condizioni) viene articolata dalla pubblica autorità tenendo conto dei vari elementi in gioco: diversità dei mezzi impiegati, impatto ambientale, situazione topografica o dei servizi pubblici, conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’uso indiscriminato del mezzo privato. Si tratta pur sempre, però, di una disciplina funzionale alla pluralità degli interessi pubblici meritevoli di tutela ed alle diverse esigenze, e sempre che queste rispondano a criteri di ragionevolezza.”

 

In ragione di ciò, si può quindi concludere che le limitazioni in esame sono giustificate in funzione di altri interessi pubblici egualmente meritevoli di tutela, quali quelli attinenti al buon regime della cosa pubblica.

 

2.3. – Il rimettente sostiene che nell’accesso ad un servizio pubblico, come è la strada, sarebbero privilegiati i cittadini con maggiori capacità economiche, ai quali è concesso di usufruire della strada e delle relative possibilità di parcheggio, mentre ai cittadini meno abbienti sarebbe negato il medesimo diritto in forza di una legge che impone oneri sproporzionati alle capacità economiche dei medesimi.

 

La questione risulta sollevata in modo astratto e ipotetico, poiché manca ogni collegamento con la fattispecie del giudizio a quo, come può del resto rilevarsi dall’ordinanza di rimessione, che non contiene alcun riferimento alle condizioni economiche dell’opponente né ad una eventuale eccezione svolta dal medesimo in relazione ad una pretesa incapacità economica di assolvere l’obbligo di pagamento del parcheggio. Onde la inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza.

2.4. – Risulta, infine, insussistente anche la lamentata violazione della riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte.

Come questa Corte ha più volte affermato (si vedano, tra le tante, le sentenze n. 435 del 2001, n. 215 del 1998, n. 180 del 1996 e n. 236 del 1994), rientrano nella nozione di prestazione patrimoniale imposta anche prestazioni di natura non tributaria e aventi funzione di corrispettivo, quando per i caratteri e il regime giuridico dell’attività resa, sia pure su richiesta del privato, a fronte della prestazione patrimoniale appare prevalente l’elemento della imposizione legale.

 

Ai fini dell’individuazione delle prestazioni patrimoniali imposte, non costituiscono profili determinanti né le formali qualificazioni delle prestazioni né la fonte negoziale o meno dell’atto costitutivo né l’inserimento di obbligazioni ex lege in contratti privatistici (sentenza n. 215 del 1998). Deve invece riconoscersi «un peso decisivo agli aspetti pubblicistici dell’intervento delle autorità ed in particolare alla disciplina della destinazione e dell’uso di beni o servizi, per i quali si verifica che, in considerazione della loro natura giuridica, della situazione di monopolio pubblico o della essenzialità di alcuni bisogni di vita soddisfatti da quei beni o servizi, la determinazione della prestazione sia unilateralmente imposta con atti formali autoritativi, che, incidendo sostanzialmente sulla sfera dell’autonomia privata, giustificano la previsione di una riserva di legge» (sentenza n. 236 del 1994).

 

Nel caso in esame, il pagamento per la sosta del veicolo sfugge sia alla nozione di tributo che a quella di prestazione patrimoniale imposta; esso è configurabile piuttosto come corrispettivo, commisurato ai tempi e ai luoghi della sosta, di una utilizzazione particolare della strada, rimessa ad una scelta dell’utente non priva di alternative; sicché il corrispettivo risulta privo di uno dei fondamentali requisiti che questa Corte ha ritenuto indispensabile affinché possa individuarsi una prestazione patrimoniale imposta; e ciò esclude che debba essere assistito dalla garanzia prevista dall’art. 23 Cost.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera d), della legge 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale) e dell’art. 7, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice di pace di Roma con l’ordinanza in epigrafe;

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera d), della legge 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale) e dell’art. 7, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevata, in riferimento agli artt. 76, 16 e 23 della Costituzione, dallo stesso Giudice di pace di Roma con l’ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2005.

Valerio ONIDA, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 29 gennaio 2005.