Ordinanza n. 422 del 2004

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ORDINANZA N. 422

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio            ONIDA                      Presidente

- Fernanda         CONTRI                    Giudice

- Guido             NEPPI MODONA    "

- Piero Alberto  CAPOTOSTI             "

- Annibale         MARINI                    "

- Franco             BILE                          "

- Giovanni Maria FLICK                     "

- Francesco        AMIRANTE              "

- Ugo                 DE SIERVO              "

- Romano          VACCARELLA        "

- Paolo               MADDALENA         "

- Alfio               FINOCCHIARO       "

- Alfonso           QUARANTA            "

- Franco            GALLO                     "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 5 e seguenti, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promossi, nell'ambito di diversi procedimenti di sorveglianza, dal Magistrato di sorveglianza di Cagliari con ordinanze in data 8 agosto 2003, iscritte ai numeri da 1002 a 1004 del registro ordinanze del 2003, e 11 del registro ordinanze del 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numero 48, prima serie speciale, dell'anno 2003 e numero 8, prima serie speciale, dell'anno 2004.

    Udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

    Ritenuto che con quattro ordinanze di identico tenore il Magistrato di sorveglianza di Cagliari ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 (e 13), 3, 27, terzo comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 5 e seguenti, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), in relazione agli artt. 13 e 19 del medesimo decreto, in quanto prevede, a titolo di 'sanzione alternativa', l'espulsione dello straniero che debba scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni;

    che il rimettente - premesso di non condividere l'affermazione secondo cui l'espulsione, concretando «una sorta di rinuncia all'esecuzione della pena principale», si tradurrebbe in un beneficio per il condannato, anche perché in tal caso si sarebbe dovuto consentire «al 'beneficiario' di rinunciarvi», mentre la disciplina positiva prescinde dal consenso dell'interessato - ritiene che l'espulsione a titolo di sanzione alternativa, se non si vuol consentire al legislatore «di eludere i limiti posti dalla Costituzione attraverso una sorta di 'truffa delle etichette' realizzata con la previsione di un tertium genus di sanzioni penali», abbia sicuramente natura di pena;

    che, così inquadrata, la disciplina censurata non si conformerebbe al principio rieducativo di cui all'art. 27, terzo comma, Cost. e violerebbe inoltre gli artt. 2 e 3 Cost., per la irragionevolezza delle scelte legislative che l'assistono e perché lede diritti inviolabili;

    che, in particolare, la normativa denunciata sarebbe caratterizzata da un automatismo inconciliabile con il principio della finalità rieducativa della pena e imporrebbe altresì un irragionevole obbligo di disporre l'espulsione di chi ha commesso reati più lievi a fronte del divieto di procedere all'espulsione dei condannati per i reati più gravi elencati nell'art. 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale; obbligo che si porrebbe inoltre in contrasto con l'esigenza – già rappresentata nella sentenza n. 62 del 1994 - dell'impulso della parte privata, a garanzia «di un diritto inviolabile»;

    che sarebbe inoltre violato l'art. 111, primo e secondo comma, Cost., in quanto la normativa censurata configura un procedimento - de plano e ad iniziativa officiosa -, che, nonostante abbia natura giurisdizionale, non realizza il «contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità» e non assicura al pubblico ministero la concreta possibilità di esercitare le sue attribuzioni istituzionali, volte al controllo di legalità della decisione, dal momento che, ove il condannato non abbia interesse ad impugnare il provvedimento di espulsione, al pubblico ministero è precluso ogni efficace spazio di intervento.

    Considerato che il rimettente dubita della legittimità costituzionale della disciplina dell'espulsione, a titolo di 'sanzione alternativa' alla detenzione, dello straniero che debba scontare una pena non superiore, anche quale pena residua, a due anni di reclusione o di arresto, prevista dall'art. 16, comma 5 e seguenti, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo);

    che, in particolare, il rimettente ritiene violati:

    - l'art. 2 della Costituzione, perché la disciplina censurata non riserva al condannato l'iniziativa di chiedere l'espulsione, che è garanzia di un diritto «espressamente qualificato come inviolabile dall'art. 13, primo comma, Cost.»;

    - gli artt. 3 e 27 Cost., in quanto l'espulsione in esame, nonostante abbia natura di sanzione penale, è in realtà priva di contenuto e finalità rieducativi e deve essere disposta - prescindendo da ogni concreta valutazione dell'effettivo percorso del condannato - automaticamente e indiscriminatamente in relazione a situazioni in ipotesi affatto diverse, sulla presunzione che la parte di pena espiata abbia già raggiunto l'anzidetta finalità: presunzione che irragionevolmente concerne soltanto stranieri extracomunitari e, tra costoro, quelli che hanno commesso reati più lievi;

    - l'art. 111, primo e secondo comma, Cost., perché nel procedimento per l'applicazione dell'espulsione a titolo di sanzione alternativa non è garantita la partecipazione delle parti in condizioni di parità e perché al pubblico ministero è precluso l'esercizio delle sue attribuzioni istituzionali, non essendo in particolare prevista la facoltà di proporre opposizione avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza;

    che, avendo tutte le ordinanze di rimessione per oggetto l'istituto dell'espulsione a titolo di sanzione alternativa, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

    che successivamente alle ordinanze di rimessione questa Corte, con ordinanza n. 226 del 2004, ha dichiarato manifestamente infondate analoghe questioni di legittimità costituzionale sul presupposto che l'espulsione prevista dall'art. 16, comma 5, del decreto legislativo n. 286 del 1998 - analogamente a quella disciplinata a titolo di sanzione sostitutiva dal comma 1 dell'art. 16 del decreto legislativo n. 286 del 1998 (già art. 14 della legge 6 marzo 1998, n. 40, rimasto immutato dopo le modifiche recate dalla legge n. 189 del 2002), sulla quale si era pronunciata l'ordinanza n. 369 del 1999 - ha natura amministrativa, dovendo essere disposta nei confronti dello straniero che si trova in taluna delle situazioni che costituiscono il presupposto dell'espulsione amministrativa disciplinata dall'art. 13 del medesimo decreto;

    che la Corte ha peraltro affermato che «la natura amministrativa comporta che l'istituto sia comunque assistito dalle garanzie che accompagnano l'espulsione disciplinata dall'art. 13 del decreto legislativo n. 286 del 1998»;

    che, in particolare, sono comuni alle due disposizioni «il divieto, previsto rispettivamente nell'art. 13, comma 12, e nell'art. 16, comma 9, di procedere all'espulsione dello straniero che si trovi nelle condizioni elencate nell'art. 19; l'impugnabilità del provvedimento di espulsione, rispettivamente prevista nel comma 8 dell'art. 13 e, con effetto sospensivo, nei commi 6 e 7 dell'art. 16; la garanzia del decreto motivato, rispettivamente richiamata nel comma 3 dell'art. 13 e nel comma 6 dell'art. 16»;

    che «per quanto concerne l'espulsione prevista dall'art. 16, comma 5, la garanzia dell'opposizione al tribunale di sorveglianza, con effetto sospensivo, svolge anche la funzione di assicurare, sia pure in un momento successivo alla pronuncia del decreto di espulsione, il contraddittorio tra le parti e l'esercizio del diritto di difesa, alla stregua di quanto dispone per il procedimento di esecuzione l'art. 666 cod. proc. pen.»;

    che dalla prescrizione contenuta nel comma 7 dell'art. 13 può desumersi in via sistematica «l'obbligo di comunicare allo straniero il decreto di espulsione tradotto in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in francese, inglese o spagnolo, unitamente all'indicazione delle modalità di impugnazione»;

    che la Corte ha infine ritenuto che «nulla impedisce al magistrato di sorveglianza, prima di emettere il decreto di espulsione, di acquisire dagli organi di polizia non solo, a norma dell'art. 16, comma 6, le informazioni sull'identità e sulla nazionalità dello straniero, ma qualsiasi tipo di informazione necessaria o utile al fine di accertare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni che legittimano l'espulsione, posto che nel disporre l'analoga misura amministrativa di cui all'art. 13, comma 3, il questore può evidentemente avvalersi di informazioni a tutto campo sullo straniero nei cui confronti deve essere disposta l'espulsione»;

    che, non essendo prospettati motivi nuovi o ulteriori rispetto a quelli già esaminati, le questioni devono essere dichiarate manifestamente infondate.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi,

    dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 5 e seguenti, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 27, terzo comma, e 111, commi primo e secondo, della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Cagliari.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2004.

    Valerio ONIDA, Presidente

    Guido NEPPI MODONA, Redattore

    Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2004.