Ordinanza n. 421 del 2004

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ORDINANZA N. 421

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio            ONIDA                                     Presidente

- Carlo               MEZZANOTTE                         Giudice

- Guido             NEPPI MODONA                            "         

- Piero Alberto  CAPOTOSTI                                     "

- Annibale         MARINI                                            "

- Franco             BILE                                                  "

- Giovanni Maria FLICK                                            "

- Francesco        AMIRANTE                                     "

- Romano          VACCARELLA                               "

- Paolo               MADDALENA                                "

- Alfio               FINOCCHIARO                              "

- Alfonso           QUARANTA                                    "

- Franco             GALLO                                             "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 444, comma 1-bis, del codice di procedura penale, introdotto dall'art. 1, comma 1, della legge 12 giugno 2003, n. 134 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti), promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dal Tribunale di Torre Annunziata con ordinanza del 9 dicembre 2003, iscritta al n. 166 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 2004.

    Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

    Ritenuto che il Tribunale di Torre Annunziata ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 444, comma 1-bis, del codice di procedura penale, introdotto dall'art. 1, comma 1, della legge 12 giugno 2003, n. 134 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti), «nella parte in cui esclude l'applicazione integrale del comma 1 dell'articolo 444 cod. proc. pen. ai procedimenti nei confronti dei recidivi ai sensi dell'art. 99, quarto comma, codice penale, limitandola, invece, alle richieste di pena contenute nei due anni di pena detentiva»;

    che il giudice rimettente premette:

    - che procede nei confronti di un soggetto che ha chiesto l'applicazione di una pena di due anni e sei mesi di reclusione e milleseicento euro di multa;

    - che il pubblico ministero ha espresso il proprio consenso;

    - che il comma 1-bis dell'art. 444 cod. proc. pen. non consente di applicare la disciplina del comma 1 ai procedimenti per i delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., nonché ai soggetti dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza o recidivi ai sensi dell'art. 99, quarto comma, cod. pen., qualora la pena detentiva superi i due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria;

    - che la richiesta dovrebbe essere dichiarata inammissibile in quanto la recidiva reiterata contestata all'imputato non consente l'applicazione di una pena superiore a due anni;

    che il Tribunale rimettente ritiene che la disciplina censurata sia in contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione, per disparità di trattamento nei confronti dei recidivi reiterati e per violazione del principio della ragionevole durata del processo;

    che, ad avviso del rimettente, se è vero che la delimitazione dell'ambito entro il quale può operare l'applicazione della pena su richiesta delle parti non può che rientrare nella discrezionalità del legislatore, è però anche vero che esclusioni o divieti devono essere ragionevoli e riguardare interessi meritevoli di tutela, tali da giustificare il diverso trattamento;

    che non può ritenersi ragionevole, né sorretta da adeguata ratio, una disciplina che preclude al recidivo che commette un altro reato la possibilità di fruire del «patteggiamento allargato» introdotto dalla legge n. 134 del 2003, e che consente invece analoga possibilità all'imputato incensurato o gravato da recidiva semplice, specifica o infraquinquennale;

    che il legislatore, prosegue il giudice a quo, con l'introduzione dell'istituto del patteggiamento 'ordinario' e del rito abbreviato «ha già rinunciato all'indefettibilità dell'applicazione integrale del trattamento sanzionatorio», privilegiando esigenze di speditezza e di semplificazione, per cui non può ritenersi che la scelta legislativa censurata sia «giustificata da un interesse dello Stato all'irrogazione integrale di una pena congrua secondo i parametri dettati dall'art. 133 cod. pen. e idonea alla rieducazione del condannato»;

    che non può neppure ritenersi che il legislatore abbia inteso escludere il recidivo dai «vantaggi» del patteggiamento, atteso che tali 'benefici' premiali operano ove sia stata irrogata una pena detentiva non superiore a due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria;

    che, infine, sarebbe violato anche l'art. 111 Cost., in quanto il principio della ragionevole durata del processo comporta il divieto di introdurre disposizioni di legge «intrinsecamente irrazionali», prive di adeguata giustificazione o «che abbiano una ricaduta indiretta sui tempi del processo»;

    che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata, essendo analoga a quella sollevata con l'ordinanza recante il n. 1061 del registro ordinanze del 2003, per la quale era stato a suo tempo depositato atto di intervento, contestualmente allegato;

    che con successiva memoria l'Avvocatura ha sostenuto che la ratio della diversa disciplina prevista per il recidivo reiterato va individuata «nell'interesse dello Stato a un accertamento esplicito della responsabilità penale» e della «posizione processuale di un soggetto ritenuta meritevole dell'approfondimento cognitivo anche ai fini delle valutazioni di cui agli artt. 102-105 cod. pen.».

    Considerato che il Tribunale di Torre Annunziata dubita, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 444, comma 1-bis, del codice di procedura penale, introdotto dall'art. 1, comma 1, della legge 12 giugno 2003, n. 134 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti), nella parte in cui preclude ai recidivi reiterati ai sensi dell'art. 99, quarto comma, del codice penale di accedere all'istituto del patteggiamento qualora la pena detentiva sia superiore a due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria;

    che il rimettente ritiene priva di ragionevolezza e non sorretta da adeguata ratio la disciplina che da un lato preclude al recidivo reiterato di fruire dell'applicazione della pena su richiesta sino al tetto di cinque anni, dall'altro consente tale possibilità al recidivo semplice, specifico o infraquinquennale;

    che, inoltre, la disciplina censurata ostacolerebbe l'attuazione del principio della ragionevole durata del processo, sulla base di scelte «prive di adeguate giustificazioni» e «intrinsecamente irrazionali»;

    che questa Corte, prendendo in esame una questione di legittimità costituzionale della disciplina dell'applicazione della pena su richiesta, come modificata dalla legge n. 134 del 2003, nella quale si censurava l'eccessiva ampiezza della sfera di applicazione del nuovo patteggiamento 'allargato', ha avuto occasione di precisare che proprio «le cautele adottate dal legislatore nel prevedere le ipotesi di esclusione oggettiva e soggettiva in relazione alla gravità dei reati ed ai casi di pericolosità qualificata [...] consentono di ritenere [...] che la scelta di ampliare l'ambito di operatività del patteggiamento, certamente rientrante nella sfera di discrezionalità del legislatore, non è stata esercitata in maniera manifestamente irragionevole» (v. sentenza n. 219 del 2004);

    che, da un punto di vista generale, va rilevato che il legislatore pone normalmente la condizione del soggetto recidivo a base di un trattamento differenziato – e meno favorevole – rispetto alla posizione del soggetto incensurato, e considera la recidiva reiterata sintomatica di una pericolosità soggettiva più intensa rispetto alle altre forme di recidiva;

    che, in particolare, la recidiva reiterata costituisce elemento impeditivo dell'applicazione di numerosi istituti, quali l'amnistia, l'indulto (salvo che la legge disponga diversamente), l'oblazione di cui all'art. 162-bis cod. pen., la sospensione condizionale della pena, l'estinzione delle pene della reclusione e della multa per decorso del tempo;

    che, al riguardo, questa Corte ha avuto occasione di precisare che tra le «condizioni personali e sociali», richiamate dall'art. 3 Cost. per escludere che possano costituire il presupposto di eventuali trattamenti discriminatori, non rientrano certamente quelle che, come la recidiva, derivano da una  condotta illegale o addirittura criminosa (sentenze numeri 100 del 1971 e 5 del 1977);

    che, con particolare riferimento al divieto, posto solo nei confronti dei recidivi reiterati, di accedere a determinati benefici di natura sostanziale la Corte ha ritenuto esente da profili di irragionevolezza o di incoerenza la disciplina che esclude tali soggetti dalla concessione della sospensione condizionale della pena (sentenze numeri 133 del 1980 e 361 del 1991, ordinanza n. 393 del 1993);

    che risulta pertanto coerente con le finalità perseguite in via generale dall'ordinamento penale che il legislatore, nell'ampliare l'ambito di operatività del patteggiamento, abbia previsto specifiche esclusioni soggettive nei confronti di coloro che, da un lato, hanno dimostrato un rilevante grado di capacità a delinquere e, dall'altro, sono imputati di reati che – ove si tenga conto della determinazione della pena in concreto e della speciale diminuente di un terzo per effetto del patteggiamento - rivestono non trascurabile gravità, tanto da comportare l'applicazione di una pena detentiva superiore a due e sino a cinque anni;

    che la questione deve conseguentemente essere dichiarata manifestamente infondata in relazione ad entrambi i parametri evocati dal rimettente.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

    PER QUESTI MOTIVI

    LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 444, comma 1-bis, del codice di procedura penale, introdotto dall'art. 1, comma 1, della legge 12 giugno 2003, n. 134 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Torre Annunziata, con l'ordinanza in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2004.

    Valerio ONIDA, Presidente

    Guido NEPPI MODONA, Redattore

    Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2004.