Ordinanza n. 300 del 2004

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ORDINANZA N. 300

 

ANNO 2004

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

- Valerio                   ONIDA                                       Presidente

 

- Carlo                      MEZZANOTTE                          Giudice

 

- Fernanda                CONTRI                                     "

 

- Guido                     NEPPI MODONA                      "

 

- Piero Alberto          CAPOTOSTI                              "

 

- Annibale                 MARINI                                     "

 

- Franco                    BILE                                           "

 

- Giovanni Maria      FLICK                                         "

 

- Francesco               AMIRANTE                               "

 

- Ugo                        DE SIERVO                               "

 

- Romano                  VACCARELLA                         "

 

- Paolo                      MADDALENA                          "

 

- Alfonso                  QUARANTA                              "

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 12 febbraio 2001 dal Tribunale di Padova nel procedimento penale a carico di C.F., iscritta al n. 388 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2003.

 

Visti l’atto di costituzione di C.F. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell’udienza pubblica del 6 luglio 2004 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick;

 

uditi l’avvocato Piero Longo per C.F. e l’avvocato dello Stato Giovanni Lancia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto che il Tribunale di Padova, con ordinanza emessa il 12 febbraio 2001, pervenuta alla Corte il 14 maggio 2003, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che l’imputato possa proporre istanza di citazione del responsabile civile quando si tratti di «responsabili civili ex lege derivanti dalla normativa in tema di infortuni sul lavoro ed in tema di previdenza sociale», nonché «da quanto previsto dall’art. 28 della Costituzione»;

 

che il rimettente premette di essere investito del processo penale nei confronti di persona imputata del reato di lesioni colpose aggravate (artt. 590 e 583 cod. pen.), commesse con violazione dell’art. 2087 cod. civ. e degli artt. 375 e 377 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), per aver consentito, quale responsabile del settore tecnico di un ospedale civile, che un lavoratore operasse per diciassette anni nella centrale termica e curasse la manutenzione di tubature coibentate con amianto, senza avvertirlo dei rischi della lavorazione e senza predisporre misure di protezione, causandogli, in tal modo, una malattia professionale consistente in una placca pleurica con rilevante riduzione della capacità respiratoria;

 

che — essendovi stata costituzione di parte civile — il difensore dell’imputato aveva chiesto la citazione, come responsabili civili, della «gestione liquidatoria» della soppressa Unità locale socio-sanitaria n. 21 di Padova, quale pubblica amministrazione responsabile per il fatto illecito del proprio dipendente, a norma dell’art. 28 Cost.; della società assicuratrice della predetta Unità locale socio-sanitaria; nonché dell’INAIL e dell’INPS, quali responsabili ex lege — secondo la difesa — per l’esposizione ultradecennale ad amianto in forza dell’art. 13, comma 8, della legge 23 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto);

 

che, ad avviso del giudice a quo, l’istanza in parola dovrebbe essere ritenuta allo stato inammissibile, in quanto l’art. 83 cod. proc. pen. non include l’imputato tra i soggetti legittimati a chiedere la citazione del responsabile civile: e ciò anche dopo la sentenza n. 112 del 1998 di questa Corte, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato art. 83 nella parte in cui non prevedeva che, nel caso di responsabilità civile derivante dall’assicurazione obbligatoria di cui alla legge 24 dicembre 1969, n. 990 (Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), l’assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell’imputato;

 

che tale decisione, infatti, per il suo preciso dispositivo, non sarebbe suscettibile di estensione in via interpretativa a fattispecie diverse da quella indicata;

 

che secondo il rimettente, tuttavia, l’art. 83 cod. proc. pen. si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. — nella parte in cui non consente all’imputato di chiedere la citazione del responsabile civile — anche quando si tratti di responsabili civili ex lege in base alla normativa in materia di infortuni sul lavoro e di previdenza sociale, ovvero alla stregua del disposto dell’art. 28 Cost.;

 

che la citata sentenza n. 112 del 1998 avrebbe infatti preso le mosse dalla considerazione che — alla luce degli artt. 18 e 23 della legge n. 990 del 1969 — l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti determina una responsabilità civile ex lege dell’assicuratore, riconducibile alla previsione del secondo comma dell’art. 185 cod. pen., in forza della quale ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui;

 

che, su tale premessa, la sentenza in discorso avrebbe altresì rimarcato la sostanziale equiparabilità della posizione del convenuto nel giudizio civile di danno rispetto a quella dell’imputato nei cui confronti la parte civile esercita l’azione risarcitoria: simmetria a fronte della quale si è ritenuta priva di ragionevole giustificazione la mancata previsione della facoltà dell’imputato di chiedere la citazione dell’assicuratore, con l’effetto di privarlo del potere corrispondente a quello di chiamata in garanzia dell’assicuratore medesimo, riconosciuto al convenuto in sede civile;

 

che siffatte considerazioni risulterebbero peraltro riferibili — secondo il rimettente — alla generalità dei casi nei quali è consentito al convenuto nel processo civile di chiamare in garanzia un «responsabile civile ex lege»: dovendosi anche in tali ipotesi riconoscere all’imputato, di fronte all’azione risarcitoria intentata nei suoi confronti dalla parte civile, il simmetrico potere di chiedere la citazione del predetto responsabile, pena una disparità di trattamento analoga a quella già censurata da questa Corte;

 

che, con riferimento al caso di specie, anche a voler ritenere che la questione non riguardi l’assicuratore «privato» della Unità locale socio-sanitaria — tenuto conto dell’origine non «normativa» della relativa responsabilità — e «impregiudicata», altresì, «la natura della eventuale responsabilità» dell’INAIL e dell’INPS, la situazione sopra indicata ricorrerebbe quantomeno in rapporto all’ente pubblico dal quale l’imputato dipendeva, in quanto chiamato a rispondere civilmente ex lege del fatto illecito oggetto di giudizio in base all’art. 28 Cost.;

 

che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;

 

che si è costituita, altresì, la parte privata F.C., imputato nel giudizio a quo, che — aderendo alle argomentazioni svolte dal rimettente — ha chiesto che la Corte dichiari l’illegittimità costituzionale della norma impugnata.

 

Considerato che il Tribunale di Padova dubita della legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale, nella parte in cui non riconosce all’imputato la facoltà di chiedere la citazione del responsabile civile allorché si tratti di responsabile civile ex lege in base alle norme in materia di infortuni sul lavoro e di previdenza sociale, ovvero in forza dell’art. 28 Cost.;

 

che, a parere del rimettente, la norma impugnata violerebbe, sotto tale profilo, l’art. 3 Cost. — gli artt. 24 e 97 Cost. sono menzionati unicamente nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione, senza alcuna argomentazione di supporto nella parte motiva — in quanto determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra il convenuto nel giudizio civile di danno e l’imputato nei cui confronti è esercitata l’azione risarcitoria della parte civile: disparità di trattamento del tutto analoga a quella già censurata da questa Corte con la sentenza n. 112 del 1998;

 

che, al riguardo, va peraltro rilevato come questa Corte, con pronuncia successiva all’ordinanza di rimessione, abbia avuto modo di precisare l’esatta portata dei principi affermati nella sentenza ora citata, in rapporto a quesiti di costituzionalità basati, come quello odierno, su una supposta vis espansiva della relativa ratio decidendi (cfr. sentenza n. 75 del 2001);

 

che, nell’occasione, si è preliminarmente rimarcato il «particolare rigore» con il quale — nel sistema delineato dal nuovo codice di rito del 1988 — «devono essere misurate le disposizioni che regolano l’ingresso, in sede penale, di parti diverse da quelle necessarie»: e ciò a fronte dell’«accentuata tendenza», caratteristica del nuovo impianto, «a circoscrivere nei limiti dell’essenzialità tutte le forme di cumulo processuale, stante la maturata consapevolezza che l’incremento delle regiudicande — specie se, come quelle civili, estranee alle finalità tipiche del processo penale — non possa che aggravarne l’iter»; con conseguente «perdita di snellezza e celerità nelle cadenze e nei tempi di definizione» (valori, questi, attualmente oggetto di espressa garanzia costituzionale ad opera dell’art. 111, secondo comma, Cost.);

 

che, in tale prospettiva, le enunciazioni di principio racchiuse nella sentenza n. 112 del 1998 si presentano intimamente saldate alle «specifiche caratteristiche che rendono del tutto peculiare la posizione dell’assicuratore chiamato a rispondere, ai sensi della legge n. 990 del 1969, dei danni derivanti dalla circolazione dei veicoli e dei natanti», implicando «una correlazione tra le posizioni coinvolte di spessore tale da rendere necessariamente omologabile il … regime ad esse riservato, tanto in sede civile che nella ipotesi di esercizio della domanda risarcitoria in sede penale»;

 

che da un lato, infatti, gli artt. 18 e 23 della legge n. 990 del 1969 — prevedendo, rispettivamente, l’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore ed il litisconsorzio necessario fra responsabile del danno ed assicuratore nel giudizio promosso contro quest’ultimo — consentono di collocare la particolare ipotesi di responsabilità civile in discorso fra i casi ai quali si riferisce il secondo comma dell’art. 185 cod. pen., tradizionalmente raccordato alla assunzione di una posizione di garanzia per il fatto altrui;

 

che, dall’altro lato e al tempo stesso, la possibilità di chiamare in causa l’assicuratore — offerta al danneggiante convenuto in sede propria dagli artt. 1917, ultimo comma, cod. civ. e 106 cod. proc. civ. — risulta correlata «al diritto dell’assicurato di vedersi manlevato dalle pretese risarcitorie, con correlativo potere di regresso, al contrario escluso per l’assicuratore»;

 

che a tale «funzione plurima» del rapporto di garanzia — in quanto destinato a salvaguardare direttamente tanto la vittima che il danneggiante — questa Corte ha ritenuto dovesse quindi necessariamente corrispondere l’allineamento, anche in sede penale, dei poteri processuali di «chiamata» riconosciuti in sede civile, onde evitare che l’effettività della predetta funzione venga pregiudicata dalle scelte operate dall’attore-parte civile;

 

che, peraltro — contrariamente a quanto mostra di ritenere il giudice a quo — le peculiarità dianzi evidenziate non si riscontrano affatto nella generalità delle ipotesi di responsabilità civile ex lege per fatto altrui;

 

che con la citata sentenza n. 75 del 2001 la Corte ha escluso, così, che alla posizione dell’assicuratore ex legge n. 990 del 1969 potesse essere assimilata quella dell’esercente l’aeromobile, tenuto a risarcire i danni provocati da un sinistro in base all’art. 878 del codice della navigazione: e ciò sul rilievo che, in tal caso, all’azione diretta del danneggiato non corrisponde un rapporto interno di «garanzia» tra imputato e responsabile civile, nei termini delineati dal richiamato art. 1917 cod. civ., né può intravedersi il correlativo ed automatico diritto di regresso, che caratterizza la posizione del danneggiante «garantito»;

 

che considerazioni similari valgono anche in rapporto ai casi oggetto dell’odierno scrutinio di costituzionalità;

 

che la responsabilità civile dello Stato e degli enti pubblici per i fatti dei dipendenti, prevista dall’art. 28 Cost., assolve, difatti, ad un funzione di tutela nei confronti del solo danneggiato, e non anche del danneggiante: non è il dipendente che risarcisce il danno provocato da suoi «atti compiuti in violazione di diritti» ad aver diritto di rivalsa nei confronti dell’amministrazione pubblica di appartenenza, ma semmai il contrario; onde l’invocata facoltà di citazione dell’ente di appartenenza, quale responsabile civile, da parte del dipendente-imputato non potrebbe trovare giustificazione in un rapporto interno di «garanzia» tra i due soggetti;

 

che quanto, poi, ai «responsabili civili ex lege derivanti dalla normativa in tema di infortuni sul lavoro ed in tema di previdenza sociale», lo stesso rimettente si esprime in termini dubitativi e perplessi — allorché lascia «impregiudicata» la natura della responsabilità in questione — circa la possibilità di qualificare gli enti previdenziali come responsabili civili ai sensi dell’art. 185, secondo comma, cod. pen.: qualificazione che, peraltro, non può certamente farsi discendere dal disposto dell’art. 13, comma 8, del d.lgs. n. 257 del 1992, evocato nell’ordinanza di rimessione, che si limita ad accordare uno speciale beneficio (maggiorazione del periodo lavorativo) ai lavoratori esposti all’amianto ai fini di un più rapido conseguimento delle prestazioni pensionistiche;

 

che, d’altra parte — anche qualora si volesse prescindere da tale profilo — dalla disciplina generale dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali non si desume comunque l’esistenza di un rapporto interno di «garanzia» tra l’imputato-danneggiante e l’istituto assicuratore, omologo a quello valorizzato dalla sentenza n. 112 del 1998: giacché, anzi, gli artt. 10 e 11 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), riconoscono piuttosto all’istituto assicuratore, che abbia corrisposto le indennità previste dalla legge (e non, dunque, il risarcimento del danno), il diritto di regresso contro le persone civilmente responsabili, ivi compreso il datore di lavoro quando il fatto integri un reato perseguibile d’ufficio;

 

che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Padova con l’ordinanza indicata.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 settembre 2004.

 

Valerio ONIDA, Presidente

 

Giovanni Maria FLICK, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 29 settembre 2004.