Ordinanza n. 290 del 2004

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ORDINANZA N. 290

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-          Gustavo            ZAGREBELSKY                 Presidente

-          Valerio              ONIDA                                  Giudice

-          Carlo                 MEZZANOTTE                    "

-          Fernanda           CONTRI                                "

-          Guido                NEPPI MODONA                "

-          Piero Alberto    CAPOTOSTI                         "

-          Annibale           MARINI                                "

-          Franco               BILE                                      "

-          Giovanni Maria FLICK                                   "

-          Francesco          AMIRANTE                          "

-          Ugo                   DE SIERVO                          "

-          Romano            VACCARELLA                   "

-          Paolo                 MADDALENA                     "

-          Alfio                 FINOCCHIARO                   "

-          Alfonso             QUARANTA                        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 705, primo comma, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 20 marzo 2003 dal Tribunale di Grosseto nel procedimento civile vertente tra Corsini Mario e Pecciarini Agostino ed altre, iscritta al n. 370 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 28 aprile 2004 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

Ritenuto che, con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Grosseto ha sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 705, primo comma, del codice di procedura civile, nel testo risultante dalla sentenza n. 25 del 1992 della Corte costituzionale, nella parte in cui consente la proposizione del giudizio petitorio prima della definizione della controversia possessoria e della esecuzione della decisione nel caso che ne derivi o possa derivarne un pregiudizio irreparabile al convenuto, anziché limitarsi a consentire la deducibilità delle ragioni petitorie davanti al giudice del possessorio al solo fine di chiedere la reiezione della domanda possessoria;

che al giudice rimettente, con ricorso ex art. 700 cod. proc. civ., è stato chiesto, in pendenza di procedimento possessorio davanti ad altro giudice, di disporre la sospensione del provvedimento di reintegrazione nel possesso, adottato da quest’ultimo, assumendosi che il diritto alla conservazione delle opere realizzate derivava da accordo intervenuto tra le parti, e invocandosi, alla luce della sentenza di questa Corte n. 25 del 1992, l’irreparabilità del pregiudizio quale presupposto per la deroga al divieto di iniziare il giudizio petitorio prima della definizione della controversia possessoria;

che il giudice adito ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, motivando la rilevanza della questione, sul rilievo che il pericolo di pregiudizio irreparabile prospettato da parte ricorrente (distruzione del manufatto realizzato) integra la fattispecie di pericolo in presenza del quale la richiamata sentenza n. 25 del 1992 della Corte costituzionale giustifica, appunto, la deroga al divieto di introduzione del giudizio petitorio in pendenza del possessorio;

che lo stesso rimettente, affermata la propria legittimazione a sollevare la questione di costituzionalità, non avendo emesso o respinto il richiesto provvedimento cautelare, deduce che nella disciplina vigente, al fine di contrastare la richiesta di reintegra – beninteso, ove dall’esecuzione di questa possa derivare il pericolo di un pregiudizio irreparabile – le ragioni petitorie possono esser fatte valere attraverso un autonomo giudizio petitorio, a ciò inducendo: a) il tenore letterale dell’art. 705 cod. proc. civ., risultante dalla pronuncia di incostituzionalità; b) la parte della motivazione della sentenza n. 25 del 1992 in cui la Corte costituzionale considera inammissibile la questione di legittimità dell’art. 1168, quarto comma, cod. civ., ed esclude che le ragioni petitorie debbano esser necessariamente fatte valere davanti al giudice del possessorio; c) la possibilità consentita dalla Corte costituzionale di invocare il rimedio del sequestro giudiziario, facendo valere lo ius possidendi, ciò presupponendo l’instaurazione autonoma del giudizio petitorio; d) la giurisprudenza di legittimità, che ha sempre affermato che le ragioni petitorie possono essere dedotte nel giudizio possessorio, purché l’eccezione sia finalizzata al solo rigetto della domanda possessoria e non implichi deroga alle ordinarie regole di competenza, senza che questo significhi che le eccezioni petitorie debbano essere esclusivamente sollevate nel giudizio possessorio;

che nel diritto vivente consolidato attraverso l’interpretazione della Corte di cassazione, se vige, in via di principio, il divieto per il convenuto in possessorio, di introdurre questione petitoria, in via di eccezione o con autonoma azione, viceversa, ove dall’esecuzione della decisione possessoria derivi o possa derivare un pregiudizio irreparabile, il convenuto in petitorio può dedurre ragioni petitorie davanti al giudice del possessorio purché la deduzione sia diretta solo a far rigettare la domanda possessoria, ma può anche far valere le sue ragioni con l’introduzione di autonomo giudizio petitorio;

che, ad avviso del giudice a quo, il sistema, che consente l’instaurazione autonoma del giudizio petitorio per paralizzare l’esecuzione della decisione possessoria, non va tuttavia esente da dubbi di legittimità costituzionale, dal momento che esso sembra concedere al convenuto-proprietario più di quanto sarebbe strettamente necessario a soddisfare la specifica esigenza ispiratrice della pronuncia di incostituzionalità di cui alla sentenza n. 25 del 1992, giacché determina una disparità di trattamento nei confronti di tutti gli altri convenuti-proprietari nei confronti dei quali – in assenza di pregiudizio irreparabile – vige il divieto dell’art. 705 cod. proc. civ.;

che la pronuncia accertativa del diritto, idonea a passare in giudicato prima dell’esito del giudizio possessorio (in cui va compresa la durata della fase c.d. del merito possessorio), è conseguibile – per il solo fatto della invocabilità del pregiudizio – con largo anticipo rispetto ai tempi con cui la generalità dei convenuti ottiene lo stesso risultato, laddove la ratio della citata pronuncia costituzionale era di impedire che il sacrificio del convenuto proprietario risultasse definitivo e irreparabile, mentre lo strumento postulato al perseguimento di tale obiettivo – l’autonoma proponibilità di azione petitoria – appare sproporzionato al fine, dal momento che l’obiettivo ben può essere raggiunto attraverso la deduzione delle ragioni petitorie nell’ambito del giudizio possessorio, sia pure al limitato fine di chiedere il rigetto della domanda interdittale;

che la sproporzione risulta evidente ove si consideri che, nel caso di spoglio di immobili, l’autonoma proponibilità di azione possessoria opererebbe a favore di chi abbia posto in essere un illecito possessorio di rilevante entità (costruzione di manufatti), onde è necessaria l’interpretazione restrittiva sulla portata derogatoria della norma, tenendo conto, esemplificativamente, che il diverso trattamento assicurato dalla deroga al costruttore di un grattacielo rispetto al manipolatore di una serratura, è giustificato solo nella misura in cui si impedisca che dall’esecuzione della decisione possessoria possa derivare un pregiudizio irreparabile, non anche per conseguire una pronuncia petitoria con efficacia di giudicato, e che il primo risultato può essere ottenuto limitando l’ammissibilità delle istanze possessorie nell’economia di una valutazione incidenter tantum in ambito possessorio;

che non vale osservare che comunque la riconosciuta ammissibilità dell’eccezione consentirebbe l’azione autonoma, non mancando nell’ordinamento ipotesi di diversa regolamentazione delle due facoltà (vedi art. 1442, secondo comma, cod. civ.);

che la possibilità riconosciuta al convenuto proprietario di ottenere il rigetto della domanda possessoria con eccezione nell’ambito di quel giudizio sarebbe di per sé sufficiente a soddisfare l’esigenza ispiratrice della pronuncia n. 25 del 1992, laddove il consentire l’azione petitoria autonoma per bloccare la decisione possessoria pare dipendere dalla sola preoccupazione – ammettendo eccezioni petitorie in ambito possessorio – di indurre modifiche alle regole sulla competenza;

che la diversa esigenza di economia processuale sarebbe invece applicabile a tutte le possibili interferenze possessorio-petitorio, a prescindere dalla previsione di un pregiudizio, tanto più che in prosieguo di tempo, con l’abolizione della figura del pretore, e la concentrazione delle controversie davanti al giudice unico del tribunale, l’eccezione petitoria rimarrebbe nell’ambito della competenza di questo giudice;

che il rimettente ritiene, conclusivamente, di non poter risolvere la questione in via interpretativa, atteso il tenore letterale dell’art. 705 cod. proc. civ., l’autorevole motivazione della Corte costituzionale, l’orientamento della Corte di cassazione;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che chiede dichiararsi l’inammissibilità o la manifesta infondatezza della questione.

Considerato che il Tribunale di Grosseto, in pendenza di un giudizio introdotto con ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile e con il quale si chiede la sospensione dell’esecuzione di un provvedimento possessorio, adottato in altro procedimento, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 705, primo comma, del codice di procedura civile, nel testo risultante dalla sentenza n. 25 del 1992 della Corte costituzionale, là dove consente la proposizione del giudizio petitorio prima della definizione della controversia possessoria e della esecuzione della decisione nel caso che ne derivi o possa derivarne un pregiudizio irreparabile per il convenuto, anziché limitarsi a consentire la deducibilità delle ragioni petitorie davanti al giudice del possessorio al solo fine di chiedere la reiezione della domanda possessoria, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, per ingiustificato trattamento di favore rispetto alla generalità dei convenuti proprietari nei cui confronti non sia ravvisabile il pregiudizio;

che questa Corte, con la sentenza n. 25 del 1992, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 705, comma primo, cod. proc. civ., nella parte in cui subordinava la proposizione del giudizio petitorio alla definizione della controversia possessoria e all’esecuzione della decisione, nel caso che ne derivi o possa derivarne un pregiudizio irreparabile al convenuto, sulla base del rilievo della non coerenza – e perciò del contrasto col principio di razionalità di cui all’art. 3 Cost. – dell’assolutezza del divieto di invocare il proprio diritto che l’art. 705 cod. proc. civ. imponeva al convenuto, impedendogli non solo la proposizione di eccezioni ex iure proprio nello stesso processo possessorio, ma anche, fino a quando il processo non fosse conchiuso e la decisione eseguita, la proposizione di un separato giudizio petitorio davanti al giudice competente;

che la stessa decisione ha poi osservato che la norma impugnata non tiene conto che, secondo la ratio sottesa ai procedimenti regolati dagli artt. 703 e seguenti cod. proc. civ., l’autonomia è bilanciata, e quindi limitata, dalla condizione che il pregiudizio arrecato al convenuto possa essere riparato mediante un altro giudizio, con la conseguenza che, in materia immobiliare, l’esecuzione del provvedimento possessorio arreca un danno irreparabile quando lo spoglio si concreta nella costruzione di un manufatto, sicché l’onere di eseguire la decisione prima di proporre il giudizio petitorio costringe il convenuto a distruggere un’opera che, come risulterà dal successivo giudizio petitorio, aveva il diritto di costruire, ravvisando, in ciò la violazione del principio di cui all’art. 3 della Costituzione;

che nella specie, il giudice rimettente, in presenza di una situazione legittimante la deroga al divieto di cumulo del petitorio con il possessorio, chiede che sia affermata l’esclusione della proponibilità del giudizio petitorio in via autonoma anche nei casi di pregiudizio o di pericolo di pregiudizio irreparabile, denunciando una irragionevole diversità di trattamento "rispetto alla generalità delle ipotesi in cui, paradossalmente, l’atto di spoglio risulti di minore gravità";

che la questione proposta è manifestamente infondata dal momento che con la stessa il giudice rimettente, da un lato, prospetta la violazione dell’art. 3 della Costituzione proprio a seguito della pronuncia di questa Corte n. 25 del 1992, che ha posto un ragionevole limite al generale divieto della domanda petitoria nel giudizio possessorio e, dall’altro, chiedendo che in quest’ultimo giudizio la tutela del proprietario si realizzi attraverso il ricorso alla eccezione petitoria e sia affermata la proponibilità del petitorio come eccezione e non a mezzo di una azione autonoma, non pone una questione di costituzionalità, ma di interpretazione della normativa, devoluta al giudice del rapporto processuale.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questione di legittimità costituzionale dell’art. 705 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Grosseto con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta

il 13 luglio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 luglio 2004.