Sentenza n. 25 del 1992

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 25

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1168 del codice civile, degli artt. 705 del codice di procedura civile e 55, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 6 aprile 1991 dal Pretore di Messina- sezione distaccata di Francavilla di Sicilia nel procedimento civile vertente tra Santalucia Salvatore e la s.p.a. Fiat Geotech, iscritta al n. 412 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 novembre 1991 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

udito l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso di un giudizio di reintegrazione nel possesso il Pretore di Messina - sezione distaccata di Francavilla di Sicilia, con ordinanza del 6 aprile 1991, ha impugnato, per contrasto con gli artt. 3, 24, primo comma, e 42 della Costituzione, gli artt. 1168 cod. civ. e 705 cod.proc.civ., nonchè l'art. 55, comma 1, cod.proc.pen. in relazioni precedenti.

La vicenda da cui trae origine la controversia è la seguente. La s.p.a. Fiat Geotech ha concesso in leasing a un terzo, estraneo al processo, un bene mobile non registrato di rilevante valore (precisamente una ruspa). Il locatario non solo ha pagato il corrispettivo con assegni a vuoto, ma ha pure venduto la macchina all'odierno ricorrente, Salvatore Santalucia, il quale a sua volta ha rilasciato assegni a vuoto per la maggior parte del prezzo pattuito. La società proprietaria, essendo stata la ruspa trovata incustodita nel greto di un torrente, ne ha ripreso il possesso, spogliandone il terzo acquirente. Questi ha promosso azione civile di spoglio e inoltre ha sporto denuncia di furto. Secondo le norme anteriori al nuovo codice di procedura penale, il Pretore penale ha provveduto a inviare comunicazioni giudiziarie alla società locatrice per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, al locatario e al terzo acquirente per concorso in truffa ai danni della prima, e al terzo acquirente anche per simulazione di reato in ordine alla denuncia di furto.

Gli artt. 1168 cod. civ. e 705 cod. proc. civ. sono ritenuti illegittimi, in primo luogo, perchè non limitano la tutela possessoria a una funzione di difesa della proprietà, ma la concedono anche al possessore non proprietario contro il proprietario, impedendo a quest'ultimo di difendere le proprie ragioni; in secondo luogo, perchè, concedendo la tutela possessoria anche a chi possiede per effetto della commissione di reati contro il patrimonio, non consentono al giudice di impedire che i detti reati vengano portati a conseguenze ulteriori in danno del proprietario.

In connessione con questo secondo motivo, è impugnato altresì l'art.55 cod. proc. pen. perchè non attribuisce anche al giudice civile nel processo possessorio le funzioni ivi previste di polizia giudiziaria.

Il giudice remittente lamenta che nella specie le norme impugnate gli impongono di ordinare la reintegrazione del ricorrente nel possesso, sebbene abbia ammesso la propria mala fede al momento dell'acquisto e sia evidente la truffa ordita a danno del proprietario; che l'esecuzione della sentenza, prevista dall'art. 705 cod. proc. civ. come condizione affinchè il convenuto in un giudizio possessorio possa proporre giudizio petitorio, metterebbe il ricorrente in grado di alienare il bene a terzi di buona fede, con conseguente perdita della proprietà da parte della resistente;

che gli atti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni compiuti da quest'ultima sono sufficientemente sanzionati dall'art. 392 cod.pen., mentre la tutela civile, con l'accennato rischio di ridurre la pretesa della resistente a una mera azione di risarcimento dei danni contro persone insolvibili, appare sproporzionata e incompatibile con la garanzia costituzionale della proprietà.

2. Nel giudizio davanti alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

In ordine alla prima questione l'Avvocatura osserva che essa contraddice l'essenza stessa della tutela possessoria, la quale opera indipendentemente dalla questione della proprietà, essendo fondata sull'interesse pubblico al ristabilimento dell'ordine sociale violato dall'autore dello spoglio.

Perciò il giudice chiamato a pronunciarsi su un'azione di reintegrazione deve limitarsi ad accertare la pregressa situazione di possesso dell'attore e l'intervenuto fatto dello spoglio, lasciando da parte la questione del diritto al possesso. Per la stessa ragione risulta infondata anche la seconda questione, relativa all'art. 55 cod. proc. pen., posto che tutela penale e tutela civile operano su piani separati e non reciprocamente condizionantisi, salva l'adozione della misura del sequestro in sede penale.

Quanto al divieto di cumulo del giudizio possessorio col petitorio, sancito dall'art. 705 cod.proc. civ. nei confronti del convenuto, l'Avvocatura nega che possa ritenersi in contrasto col diritto di difesa, col principio di eguaglianza e con la tutela costituzionale della proprietà, e all'uopo richiama le argomentazioni della sentenza n. 41 del 1974 di questa Corte, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità della norma da ultimo citata.

Considerato in diritto

Dal Pretore di Messina - sezione distaccata di Francavilla di Sicilia è sollevata questione di legittimità costituzionale degli artt.1168 cod. civ. e 705 cod. proc. civ.:

a) in via primaria, in quanto "concedono la tutela possessoria al possessore non proprietario contro il proprietario e impediscono a quest'ultimo di eccepire e così difendere il diritto di proprietà, per violazione degli artt. 3, 24, primo comma, e 42 Cost.";

b) in via secondaria e in riferimento ai medesimi parametri, nella parte in cui concedono la tutela possessoria al possessore non proprietario contro il proprietario nell'ipotesi in cui, trattandosi di bene mobile non registrato, lo spogliato ne sia venuto in possesso mediante un reato contro il patrimonio.

In connessione con la questione sub b) è impugnato anche l'art. 55, comma 1, cod.proc.pen., "nella parte in cui, irrazionalmente discriminando tra pubblico ministero e polizia giudiziaria da un lato e giudice civile dall'altro, non consente al giudice del giudizio possessorio di impedire che i reati, il cui prodotto o profitto è rappresentato dal bene oggetto dello spoglio, siano portati ad ulteriori conseguenze a danno del proprietario".

2. Le prime due questioni devono essere corrette, alla stregua della motivazione, e unificate. La questione sub a) prospetta una sentenza radicalmente ablativa del divieto di cumulo del giudizio possessorio col petitorio, sul riflesso che "la tutela possessoria è costituzionalmente giustificata (solo) nella misura in cui accorda una tutela rapida al proprietario", cioé in base alla premessa di una pretesa illegittimità costituzionale del principio di autonomia del possesso rispetto alla proprietà, sul quale si fonda la tutela possessoria intesa come tutela separata da quella della proprietà.

La premessa è insostenibile sia sotto il profilo del principio di razionalità (art. 3 Cost.), perchè la tutela possessoria risponde all'esigenza di ordine pubblico che siano prontamente ripristinate situazioni soggettive di fatto arbitrariamente modificate da un terzo senza previo accertamento, giudiziale o negoziale, dello stato di diritto; sia sotto il profilo della garanzia del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e della proprietà privata (art. 42 Cost.), perchè la tutela possessoria, avendo carattere interinale, non pr proprietario della tutela giurisdizionale del suo diritto, ma soltanto la rinvia a un giudizio successivo, e d'altro lato avvantaggia lo stesso proprietario consentendogli, quando subisca spoglio o molestie nel possesso, di fruire di un rimedio rapido, che non richiede la prova del diritto.

Se questa è la ratio della tutela autonoma del possesso e del correlativo divieto processuale al convenuto di invocare il proprio diritto di proprietà, sul piano della legittimità costituzionale si pone la questione più limitata - chiaramente individuata nella parte motiva dell'ordinanza di rimessione, ma non con altrettanta chiarezza tradotta nel dispositivo - se il detto divieto sia conforme ai parametri costituzionali richiamati nell'ipotesi in cui dall'esecuzione del provvedimento possessorio deriverebbe o potrebbe derivare (secondo un giudizio di pericolo) un danno irreparabile al convenuto che sia proprietario o titolare di altro diritto in ordine alla cosa.

La questione è riferibile alle cose mobili e immobili, non soltanto alle prime come adombra in linea subordinata il giudice a quo, ed è indipendente dalla circostanza che lo spogliato abbia conseguito il possesso come frutto di un reato contro il patrimonio. Essa investe esclusivamente l'art. 705, primo comma, cod.proc.civ., non anche l'art.1168, quarto comma, cod. civ., la cui disposizione, secondo la dottrina più accreditata, è un relitto storico privo di fondamento positivo, essendo collegata a un modus procedendi (il "possessorium summariissimum" degli antichi statuti piemontesi) non previsto dal codice di rito.

Comunque, pur ammesso che abbia tuttora un qualche significato normativo, l'ultimo comma dell'art. 1168 non si presta a formare oggetto, insieme con l'art. 705 cod.proc.civ., di una sentenza di illegittimità costituzionale costitutiva di un limite al potere-dovere del giudice di ordinare la reintegrazione senza ascoltare le eccezioni petitorie eventualmente opposte dal convenuto. Nei termini della norma del codice civile il limite non potrebbe atteggiarsi se non come legittimazione del convenuto, nel caso sopra ipotizzato, a far valere un diritto al possesso nel medesimo giudizio in via di eccezione riconvenzionale, in deroga alle regole (ordinarie) di competenza e di procedura che governano i giudizi petitori.

Una simile innovazione esula dai poteri della Corte, onde, in relazione all'art. 1168, ultimo comma, cod. civ., la questione va dichiarata inammissibile.

Inoltre, poichè per i beni immobili la tutela contro lo spoglio è ripartita tra l'azione di reintegrazione e l'azione di manutenzione (a parte la difficoltà di stabilire il discrimine, dal momento che la giurisprudenza ha praticamente cancellato nell'art. 1168 il requisito della violenza), la questione deve coinvolgere anche la forma di tutela possessoria prevista dall'art. 1170, cioé l'intero campo di applicazione dell'art. 705 cod.proc. civ. É appena il caso di rammentare che il requisito di pregiudizialità della questione di legittimità costituzionale non significa che essa abbia carattere strettamente servente rispetto all'oggetto del giudizio a quo: stabilita la rilevanza, la Corte è investita della questione in generale, nei limiti dell'impugnazione.

3. Così definita, la questione è fondata in riferimento agli artt. 3 e 24, primo comma, Cost.

Nell'alveo della tradizione del diritto romano comune il giudizio possessorio è organizzato dalla legge come procedimento speciale, con una prima fase di tipo interdittale improntata alle forme del processo cautelare, e con un carattere complessivo di celerità. La cognizione sommaria del giudice è giustificata dall'urgenza di intervento del braccio della legge per ripristinare uno stato di cose alterato dal comportamento arbitrario del terzo, ma è costruita in modo da arrecare al convenuto, che sia titolare di un diritto sulla (o alla) cosa, un sacrificio transeunte e reversibile, cui porrà riparo il successivo giudizio petitorio.

Con questa concezione non è coerente - e perciò contrasta col principio di razionalità di cui all'art. 3 Cost. - l'assolutezza del divieto di invocare il proprio diritto che l'art. 705 impone al convenuto, impedendogli non solo la proposizione di eccezioni ex iure proprio nello stesso processo possessorio, ma anche, fino a quando il processo non sarà conchiuso e la decisione eseguita, la proposizione di un separato giudizio petitorio davanti al giudice competente. La norma non tiene conto che, secondo la ratio sottesa ai procedimenti regolati dagli artt.703 sgg. cod.proc.civ., l'autonomia della tutela possessoria è bilanciata, e quindi limitata, dalla condizione che il pregiudizio arrecato al convenuto possa essere riparato mediante un altro giudizio.

Quando si tratta di cose mobili non registrate, un pregiudizio definitivo e irrimediabile incombe soprattutto (ma non solo) quando lo spogliato risulti essere un ladro, un ricettatore, un ritrovatore infedele o, come nella specie, un indiziato di truffa. Rientrato in possesso della cosa, in esecuzione della sentenza di reintegrazione, egli potrà alienarla a un terzo di buona fede, che ne diventerà proprietario in virtù dell'art. 1153 cod. civ., applicabile anche alle cose rubate o smarrite.

In materia immobiliare, l'esecuzione del provvedimento possessorio arreca un danno irreparabile quando lo spoglio si concreta nella costruzione di un manufatto. In tal caso l'onere di eseguire la decisione prima di proporre il giudizio petitorio costringe il convenuto a distruggere un'opera che, come risulterà dal successivo giudizio petitorio, aveva diritto di costruire.

Qui l'irrazionalità della deroga portata dal divieto dell'art. 705 al principio di economia processuale (dolo facit qui petit quod mox redditurus est) è talmente evidente che in passato la Corte di cassazione, con giurisprudenza pretoria, non esitò ad ammettere in qualche occasione che l'azione possessoria potesse essere paralizzata dall'esercizio contemporaneo, in separato giudizio, di un'azione petitoria, con conseguente sospensione dell'ordine di demolizione, anche allo scopo - aggiunse la Corte - di evitare all'economia nazionale "un inutile spreco di ricchezza" (cfr.Cass. 29 gennaio 1929, n.405). Sotto quest'ultimo profilo si può notare una incoerenza sistematica tra l'art. 705 cod.proc.civ. e la disciplina dell'esecuzione in forma specifica degli obblighi di non fare prevista dall'art. 2933 cod.civ., il quale vieta che sia ordinata la distruzione di ciò che è stato fatto in violazione dell'obbligo, "se la distruzione della cosa è di pregiudizio all'economia nazionale".

4. Nei casi di irreparabilità del danno inflitto all'avente diritto, l'esecuzione del provvedimento possessorio, cui è subordinata dall'art.705 la proposizione del giudizio petitorio, frustra questo g consentendo che nel frattempo il proprietario venga privato del diritto per effetto della regola "possesso vale titolo" o riducendo l'esito del giudizio al riconoscimento della facoltà di ricostruire ciò che in precedenza egli era stato costretto a demolire. Si rende così manifesta anche la violazione dell'art.24 Cost., non essendo qui possibile sostenere che la tutela possessoria non preclude la tutela giurisdizionale del diritto del convenuto, ma soltanto la differisce a un giudizio successivo.

5. La questione sopra indicata al punto 1, sub c) è infondata.

Le funzioni previste dall'art. 55, comma 1, cod.proc.pen. sono funzioni di polizia giudiziaria, e non ha senso ipotizzarne l'estensione al giudice civile investito di una domanda di reintegrazione nel possesso. La ratio di questa forma di tutela possessoria esclude ogni rilevanza, ai fini della decisione sulla domanda, del modo con cui lo spogliato è venuto in possesso della cosa, e quindi esclude che il giudice possa, anche solo incidenter tantum, accertarne l'origine criminosa. Nè si può pensare che, avendo notizia di tale origine, egli possa essere legittimato a chiedere al giudice competente di disporre il sequestro penale della cosa, tale misura non essendo utilizzabile per impedire che il reato venga portato a conseguenze ulteriori, nè a fini di tutela cautelare del diritto del soggetto offeso, ma soltanto ai fini dell'accertamento dei fatti rilevanti nel processo penale.

Del resto, qualora il possesso di chi domanda la reintegrazione risulti frutto di un reato a danno del convenuto-proprietario, si concreta un caso in cui, in virtù della dichiarazione di illegittimità costituzionale che si va a pronunciare, il convenuto, che dimostri il suo diritto, potrà chiedere il sequestro giudiziario del bene ai sensi dell'art. 670 cod.proc.civ.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 705, primo comma, cod.proc.civ., nella parte in cui subordina la proposizione del giudizio petitorio alla definizione della controversia possessoria e all'esecuzione della decisione nel caso che ne derivi o possa derivarne un pregiudizio irreparabile al convenuto;

dichiara inammissibile la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 1168 cod.civ., sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 42 Cost., dal Pretore di Messina-sezione distaccata di Francavilla di Sicilia con l'ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.55, comma 1, cod. proc.pen., sollevata, in riferimento ai medesimi parametri, dal nominato Pretore con la stessa ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/01/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 3 febbraio del 1992.